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Autore: HikaRygaoKA    29/01/2017    0 recensioni
Questa avrebbe anche solo potuto essere la storia di come Damian ricevette il pugno nello stomaco più forte della sua vita, invece è il racconto di come tre ragazzi salvarono un impero. Storia vincitrice del secondo posto nel concorso "Steampunk tendencies" di Haykaleen.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3-     I topi congelati non ballano



 
Un urlo acuto gli sfuggì dalle labbra quando lo vide: un terribile, disgustoso, pericolosissimo ratto. Damian trattenne un conato di vomito: odiava quelle creature disgustose e diaboliche, anche se Cassandra e Adam (soprattutto Cassandra) non parevano aver mai capito questo suo legittimo terrore, preferendo invece ridere di lui per questo. In un certo senso trovarsi da solo in un corridoio claustrofobico, al buio quasi completo, oppresso da un odore disgustoso e delle temperature sempre più rigide era stato, per una buona volta, una cosa positiva. Riluttante si avvicinò al topo e lo osservò meglio: nel cono di luce della lanterna il corpo emanava un leggero brillio. Si rese conto che la pelliccia dell’animale era coperta di brina e alcune parti del corpo, come i bulbi oculari, erano congelate. Damian cominciò a sentirsi teso. Mentre camminava lungo il corridoio, ormai da qualche minuto, aveva avvertito la temperatura abbassarsi in modo tangibile, al punto che gli arti iniziavano ad irrigidirsi. Riprese a camminare con maggior cautela: c’era ancora un silenzio opprimente che aleggiava nell’aria, e il suo respiro non aveva forse iniziato a condensarsi? Strani pensieri avevano iniziato ad accumularsi nella sua testa. Erano quel genere di pensieri che non voleva mai affrontare, che riguardavano i primi dolori mesi di addestramento all’Accademia, quando era solo un bambino e lo avevano privato di qualsiasi legame affettivo, qualunque esso fosse prima di indossare la divisa nera della Regina. Delle prime ferite da combattimento che erano diventate, con gli anni, cicatrici profonde e indelebili che marchiavano tutto il suo corpo, il marchio dei cani di Sua Maestà. Delle lunghe notti insonni ad apprendere l’arte della guerra, dello spionaggio. E poi, il ricordo più doloroso di tutti, ancora di più dei morti in missione, quello dei morti durante il periodo di apprendistato magico quando, non ancora consapevoli della natura del loro talento, che pure li aveva resi una ghiottoneria agli occhi dell’impero, che pure li aveva privati della loro identità e, in un certo senso, umanità, furono costretti a compiere esperimenti su se stressi, per capire cosa erano, come potevano rendersi utili. Incantesimi, esperimenti alchemici, cavie del Laboratorio Reale, finché quello che era il loro talento, unico e proprio, che gli aveva dato valore, era emerso, costretto a forza fuori dal loro corpo, dalla loro mente, lo sforzo tale da condurre molti alla morte. Era uno dei motivi per cui quello dei checkers era un gruppo d’èlite: molti di loro morivano durante il primo anno di Accademia e per quanto sembrasse orribile, disumano, mostruoso, nessuno si ribellava alla strage di tutti quei bambini, perché era un male necessario per il bene della Nazione, della loro Regina. Era il pensiero di Adam e Cassandra a dargli forza in quei momenti: le loro disavventure, i conflitti, le risate. A volte c’era solo Cassandra, la sua voce, e il suo sorriso e la sua intelligenza. E tutto quello che era. Ed era molto di più che abbastanza. A volte, a essere sincero, c’era anche altro su Cassandra nella sua testa. E, sebbene Damian non avrebbe esitato a definire quell’altro, una fantasticheria che gli metteva decisamente il buon umore, non era propriamente del genere che lo faceva ridere. Si schiarì la gola e si ricordò che, davvero, quello non era il momento più opportuno per concentrasi su certe cose. Continuò a camminare finché, finalmente, non incontrò una porta. Sembrava pesante, di metallo anche questa, decorata con lo stesso simbolo del toro mostruoso e delle sette muse sulla porta che prima Adam aveva distrutto. Se avvicinava l’orecchio alla sua superficie metallica, riusciva a sentire un rumore, come un clangore ritmico. La porta era, ovviamente, sigillata. Le esplosioni, però, erano una cosa di Adam: lui avrebbe fatto qualcosa più nel suo stile. Prese un paio di fili di acciaio sottili dalla sacca della propria cintura e cominciò ad armeggiare con la serratura. L’abilità nello scassinare era l’unica eredità lasciatagli dalla vita precedente all’Accademia. Perché ne fosse capace, cosa era stato prima, Damian non lo sapeva. Ma aveva l’impressione che, qualsiasi fosse la verità sul suo passato, non valesse la pena di conoscerla. Pochi attimi dopo la serratura scattò. Spinse la pesante porta ed entrò.
Anche questa stanza era immersa nell'oscurità, impossibile orientarsi. In lontananza, forse sulla parete opposta, riusciva a distinguere un leggero baluginio azzurro. Facendo attenzioni a dove metteva i piedi, si diresse verso quella luce. La temperatura era, se possibile, ancora più bassa che nel corridoio, e il pavimento era scivoloso, come se fosse coperto da una leggera lamina di ghiaccio. La natura dello scuro lucore che l’ambiente attorno a Damian emanava gli era incomprensibile. Avanzando scoprì che il rumore che aveva sentito fuori dalla stanza, e che era cresciuto di intensità ad ogni passo compiuto, era quello di alcuni pistoni enormi, di un colore simile al bronzo, che si muovevano ritmicamente, sopra di un basso e strano marchingegno simile al loro Decodificatore, ma decisamente più grande. Cercò di contare i pistoni ma sembravano essere posizionati l’uno sopra l’altro, verso il tetto, e la lanterna non gli permetteva di vedere sin lassù. Alcuni sembravano fermi. Damian esaminò la macchina più da vicino e riconobbe parte delle indicazioni sulla tastiera: erano una tecnologia nota ai Laboratori dell’Accademia, ma non era tecnologia civile: era intrisa di magia lunare. Perché si trovava lì? Mentre esaminava la tastiera avvertì il rumore. Proveniva da lontano, dalla parete della stanza verso cui si stava dirigendo, forse ancora trenta o quaranta metri più in fondo. Era stato un piccolo, distinto eco metallico. Come se un oggetto di piccole dimensioni fosse caduto a terra. Poteva essere stato qualsiasi cosa, magari un topo che si muoveva frenetico nella stanza. Poteva essere qualsiasi cosa e il rumore dei pistoni, in qualsiasi altra circostanza lo avrebbe distratto: il tintinnio era stato così debole che con quel rumore non ci avrebbe mai fatto caso. Ma i topi qui muoiono assiderati. Poteva davvero essere qualsiasi cosa, ma in realtà non poteva. E qualsiasi cosa fosse ora non era più sul fondo della stanza, da dove era arrivato l’eco metallico, ma era dietro di lui. Non emanava calore, ma avvertiva la sua presenza alle sue spalle. Non respirava, ma avvertiva il suo sguardo all’altezza della sua nuca. Non poteva essere vivo, ma si muoveva. Poteva essere qualsiasi cosa, ma non lo era. Damian non era più solo.
Sfilò la pistola dalla cintura, levò la sicura e si voltò, pronto a qualsiasi evenienza ma, chiunque fosse lì con lui in quella stanza era:1) incredibilmente veloce, 2) chiaramente ostile perché, pochi secondi dopo averlo scansato, lanciò qualcosa contro Damian. Era qualcosa di liquido, maleodorante e di poco chiara natura, quello di cui era certo, però, a giudicare dalle condizioni del tavolino che il liquido aveva centrato al suo posto, era molto, molto corrosivo. Damian imprecò, con una mano premette il pulsante sul dispositivo del segnale di emergenza, una piccola spilla a forma di coccinella che emanava un suono inudibile all'orecchio dei normali esseri umani ma che i checkers riuscivano a udire con chiarezza. Adam e Cassandra lo avrebbero raggiunto, lo sapeva, ma nel frattempo doveva sopravvivere, e per farlo doveva accendere la luce il più in fretta possibile. Si voltò verso il marchingegno e vide un piccolo pannello divelto, gli ingranaggi fermi e alcuni fili scoperti, ammassati all’esterno come se qualcun avesse tentato di strapparli. Sotto una tastiera alfanumerica di dimensioni ridotte. Doveva essere il pannello di avviamento remoto. Ricordò di averne studiato alcuni tipi al seminario obbligatorio di Principi di ingegneria magica e meccanica di magister Giles, e si ripromise di rinfacciarlo ad Adam in seguito. Doveva guadagnare il tempo di riavviarlo, però. Sparare o gettare bombe alla cieca poteva essere più pericoloso per sé che per altro, in quella circostanze. Non sembrava esserci nulla di utile vicino. Ma quando quel qualcuno, chiunque fosse, smise di sputare quel qualcosa, qualunque cosa fosse, Damian fece l’unica cosa utile che gli riuscì di fare: gli scagliò contro la lampada ad olio magico, e fu un centro perfetto. L’olio, incredibilmente instabile come sostanza (all’Accademia amavano farli sentire al sicuro) avvolse quel qualcuno nelle fiamme, e quel qualcuno cacciò un grido di dolore fin troppo umano, fin troppo giovane. A Damian si ghiacciò il sangue nelle vene e temette, temette tantissimo di aver commesso un errore irreparabile ma no, non c’era tempo e lui sapeva, in qualche modo, di aver ragione, e se non avesse avuto ragione, era già diventato un omicida da tempo. Tutto per la Regina. Collegò il suo Decodificatore al pannello di controllo e nel giro di pochi secondi, tutti i pistoni ripresero a funzionare meticolosamente, il rumore nella stanza si fece ancora più intenso e, finalmente, la luce esplose.
 
  
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