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Autore: Ortensia_    31/01/2017    1 recensioni
[ IN SOSPESO ]
Kageyama Tobio, vent'anni appena compiuti, una retta universitaria da pagare e una madre isterica di cui prendersi cura. La sua monotona esistenza subisce uno scossone dal momento in cui incontra un ragazzino dai capelli arancioni che sostiene di essere uno shinigami.
Inizialmente rifiuta di credergli, ma essendo lui stesso un essere soprannaturale comincia a pensare che possa esserci un fondo di verità nella sua confessione.
Quel che Kageyama non sa è che gli esseri come lui sono molti altri e che anche loro riceveranno presto visite dal regno dei morti.
[ Superheroes!AU; coppie e accenni all'interno; fonti di ispirazione: Marvel!Universe; Death Note; Psycho-Pass (non è necessario essere fan della Marvel o consocere gli anime citati per seguire la fanfiction) ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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V


Di come appassiscono i fiori




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S h i n j u k u __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



«Ho fatto qualche ricerca» nonostante avesse libro e quaderno spalancati sotto al naso, e la penna stretta fra le dita affusolate e pallide, Akaashi aveva capito già da qualche minuto che non sarebbe riuscito a seguire la lezione, dunque esordì a bassa voce, osservando Kenma con la coda dell'occhio.
Non dovette dargli ulteriori informazioni: Kenma vide da sé che l'altro aveva passato l'intero pomeriggio del giorno prima a fare ricerche su Internet; aveva trovato un archivio contenente alcuni vecchi articoli di giornale molto interessanti, ma nessuno che potesse davvero spiegare ciò che stava accadendo.
«Anche io ho fatto qualche ricerca» Kozume rispose a bassa voce, gli occhi fissi sul gatto appena scarabocchiato sul quaderno.
Questa volta Akaashi girò il viso per guardarlo, fulminandolo con un'occhiataccia colma di disappunto: il “fare ricerche” di Kenma equivaleva molto probabilmente all'insinuarsi di nascosto in qualche cervello, un metodo poco ortodosso e soprattutto decisamente più efficace del trascorrere un pomeriggio intero a consultare Internet.
«Hai trovato qualcosa?»
«Ricordi che...» Kenma si fermò, osservando di sottecchi il professore, che per una qualche ragione aveva appena alzato la voce «che qualche tempo fa ero riuscito a localizzarne uno?» riprese a parlare pochi istanti dopo, non appena constatò che l'insegnante stava rimproverando una studentessa in prima fila.
«Sì» Akaashi rispose immediatamente, accompagnando la propria voce con un lieve cenno del capo.
Kenma si riferiva a un dotato di cromosoma Z che era riuscito a localizzare per puro caso; gli era entrato nella testa quasi senza rendersene conto, e ciò significava che in passato doveva averlo incontrato – questa era la condizione per accedere alla mente altrui, il suo limite. Un limite mastodontico, considerando la quantità smisurata di persone che abitavano il mondo.
«Credo di essere riuscito a individuare la zona in cui potrebbe vivere.»
Keiji restò a guardarlo in silenzio. Era sollevato e allo stesso tempo inquietato da quella notizia, ma Kozume era stato bravo e sembrava davvero interessato a trovare il dotato di cromosoma Z intercettato tanto tempo prima.
«Non rischiamo di farci scoprire?» azzardò poi, la voce sempre più bassa.
«Non mi ha mai dato l'impressione di essere una persona aggressiva,» Kenma cominciò a tracciare altre linee brevi con la punta della penna «credo preferisca collaborare, piuttosto che combattere.»
Akaashi rivolse la propria attenzione alla lavagna, quindi incrociò le braccia al petto sospirando sommessamente.
«Lo spero» borbottò poi, un po' angosciato all'idea che la sua alleanza con Kenma potesse subire un'alterazione in seguito all'ingresso di un terzo elemento.
«Kenma,» dopo qualche istante passato a cercare inutilmente di ascoltare la lezione, Keiji richiamò nuovamente l'attenzione dell'amico «come sta andando con Kuroo-san?»
Kenma sollevò leggermente le sopracciglia, sorpreso da quella domanda, poi accennò un sorriso a malapena percettibile.
«È molto gentile con me.»
«Sono contento.»
«E Bokuto-san? Com'è?» sopraffatto dall'irrequietezza che gli derivava dal fare domande, Kozume si concesse più confidenza del solito. Akaashi, dal canto suo, non rispose immediatamente, ma soltanto dopo aver voltato la testa verso di lui, lentamente e con un movimento ingessato che, sommato allo sguardo trafelato, lo aveva reso a dir poco inquietante.
«È un inferno.»


❋ ❋ ❋


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E d o g a w a __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



«Dovremmo andare a Shinjuku» non appena udì la voce di Tendou, Eita chiuse gli occhi e inspirò dalle narici. Deciso a ignorarlo – dopotutto era entrato in cucina soltanto per prendere un bicchiere d'acqua – continuò ad avanzare senza degnarlo neppure di uno sguardo, ma gli occhi di Satori erano davvero insistenti, li sentiva addosso senza che dovesse voltarsi per accertarsene.
Si fermò sulla porta, esalando un sospiro rassegnato, poi si girò per guardare l'altro.
«Perché dovremmo andare a Shinjuku?» chiese a voce bassa, incrociando le braccia al petto.
«Perché ho avuto una sensazione» Tendou sfoderò un sorriso compiaciuto che non fece altro che indispettire maggiormente il suo protetto.
«Non andremo a Shinjuku perché hai avuto una stupida sensazione. Riguardo a cosa, poi? Ti ho detto chiaramente quali sono le mie intenzioni.»
«Eita-kun!» Satori protese le labbra ed emise uno sbuffo rumoroso. «Sono bravo con le sensazioni, sai?» annunciò poi, impettito per l'orgoglio.
«E allora dimmi: perché Shinjuku?» non che Eita avesse un qualche particolare interesse a scoprirlo, anche perché non credeva a una sola parola dell'altro, ma era davvero curioso di sentire la sua risposta, riempire il proprio tempo con una qualche idiozia.
«Questo non lo so nemmeno io, ma le mie intuizioni portano sempre a qualcosa.»
Posto che stesse dicendo la verità, che le sue intuizioni portassero sempre a qualcosa non voleva significare nulla di preciso, visto che i risvolti potevano essere sia positivi che negativi: questo pensò Eita, il bicchiere ancora pieno d'acqua sorretto dalla mano destra.
«Comunque sia non ci andremo,» sospirò rassegnato «oggi pomeriggio devo lavorare.»
«Ah?» Satori inarcò un sopracciglio, protendendo le labbra in una smorfia, in segno di disappunto. «Potresti prenderti un giorno libero...» Eita gli aveva già voltato le spalle, perciò ponderò se continuare a parlare o meno, poi continuò con voce più bassa «oppure licenziarti.»
Semi fece solo un passo. Si fermò e restò a fissare le scale senza dire una parola, trattenendo il respiro per qualche istante, poi si voltò nuovamente verso il proprio shinigami: anche se non aveva percepito malizia o cattiveria nella voce di Tendou, quell'eccessiva schiettezza non gli era piaciuta affatto. Quella proposta equivaleva palesemente a: “Visto che stai per morire che ti importa di lavorare? Potresti mollare tutto e non fare un bel niente fino al giorno del giudizio, che probabilmente è più vicino di quanto pensi”.
Satori sostenne il suo sguardo, sollevando entrambe le sopracciglia e serrando con forza le labbra: l'espressione rabbiosa di Eita era eccitante e spaventosa allo stesso tempo, un po' lo confondeva e lo faceva sentire colpevole, tanto da renderlo molto simile a un bambino che continuava a negare le accuse di qualcosa che aveva fatto, in una folle danza sul confine tra divertimento e terrore.
Eita sfiatò appena, quasi disgustato dall'espressione dell'altro.
«Me ne torno a letto,» borbottò fra un colpo di tosse e un altro, voltando ancora una volta le spalle al proprio shinigami «vedi di non rompere.»


❋ ❋ ❋


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S h i b a t a __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



Oikawa massaggiò il ginocchio destro con le dita, il polpastrello dell'indice premuto sotto la rotula, alla ricerca di un punto dolorante o particolarmente sensibile. Si alzò dal letto pochi istanti più tardi, infilandosi subito i pantaloni.
«La gamba?» fu Iwaizumi, in piedi davanti alla porta della camera e con il piumino già ben abbottonato, a interrompere il silenzio.
«Come nuova» Tooru rispose immediatamente, infilandosi in fretta le scarpe da ginnastica: stava bene, non c'erano segni sulla pelle né un minimo cenno di dolore, come se non fosse accaduto nulla. Era stato fortunato, in realtà, perché la sua rigenerazione era relativamente veloce soltanto a livello superficiale e muscolare, quindi i denti di Kyoutani non dovevano avergli arrecato grossi danni ai tendini e alle ossa.
Iwaizumi infilò entrambe le mani nelle tasche del piumino, quindi si avvicinò alla finestra e sbirciò fuori.
«Si vede che è un albergo da poveracci» borbottò poi, lo sguardo fisso sulla strada stretta e desolata, racchiusa fra l'hotel in cui avevano passato la notte e un'abitazione grigia, tappezzata di macchie di umido e finestrelle sottili.
Durante il viaggio, appena il dolore alla gamba aveva cominciato a scemare, Oikawa gli aveva spiegato che era vissuto a Shibata per qualche anno, quando, in seguito al divorzio dei suoi genitori, sua madre aveva lasciato Sendai per prendersi una pausa.
Aveva cominciato le medie in una scuola nel centro città, e siccome si era trovato piuttosto bene, sua madre aveva deciso che sarebbero tornati a Sendai a ciclo scolastico compiuto. Essersi trattenuto più del dovuto in quella città gli aveva permesso di memorizzare determinati luoghi, conoscere e diventare amico di alcune persone, per questo, appena scesi dal treno, Oikawa si era diretto verso il bancomat più vicino senza indugi. Aveva prelevato qualche migliaio di yen, e poi, con Iwaizumi al seguito, era giunto di fronte all'ingresso di uno degli hotel più economici della città.
«Spero non sarà necessario restare qui ancora per molto, Iwa-chan,» parlò con calma, mentre infilava il cappotto «ma in tal caso abbiamo ancora soldi sufficienti per due giorni.»
«E poi?» Iwaizumi inarcò un sopracciglio, le labbra protese in una smorfia di disappunto. «Andremo a dormire sotto un ponte? E non chiamarmi in quel modo.»
Oikawa accennò un sorriso quasi impercettibile, poi gli voltò le spalle, diretto verso la porta chiusa.
«Chiamerò un amico e gli chiederò se è disposto a ospitarci» appena Hajime lo raggiunse, Tooru aprì la porta. «Certo, dovrò inventarmi una bella scusa...»
Uscirono in corridoio e lo attraversarono in silenzio, entrambi ben coperti, le mani nelle tasche – faceva un freddo tremendo in quell'albergo, tanto che Oikawa cominciò perfino a pensare che il riscaldamento non fosse previsto nei già esigui comfort della struttura.
Quando le porte dell'ascensore si chiusero a pochi passi da loro, Iwaizumi si schiarì la voce e decise di rompere ancora una volta il silenzio.
«Come stai? Per la ragazza, intendo» esordì con un certo imbarazzo, guardandolo di sottecchi: il suo protetto non si muoveva, fissava le porte chiuse dell'ascensore con le labbra serrate, le mani ancora in tasca.
Tooru pensò che si sarebbe sentito più sollevato se in quel momento avesse potuto indossare la maschera che aveva preparato con tanta fatica, ma in realtà anche in quel caso non ne aveva bisogno, visto che si stava recando da una persona che conosceva perfettamente il suo aspetto e il suo nome.
«Sto bene» disse poi, a costo di sembrare uno stupido stoico, un patetico orgoglioso o un crudele egoista. Era vero che stava bene, forse perché non aveva ancora elaborato del tutto l'accaduto, forse perché non era lui ad aver perso Hoshiko, ma la famiglia di quest'ultima, perciò non poteva fare molto oltre che dispiacersi.
Le porte dell'ascensore si spalancarono.
«Stiamo andando da lui, vero?» Hajime fu il primo a uscire.
«Sì» Tooru gli fu subito accanto, e poi lo superò, impaziente e eccitato – voleva rubare un potere, più poteri che non erano suoi; avrebbe ucciso, se fosse stato davvero necessario.
L'ascensore si richiuse alle loro spalle.


❋ ❋ ❋


Avendo conosciuto Kageyama alle medie, anche se era stato suo senpai solo per un anno, Oikawa sapeva dove si trovava la sua casa, mentre per quanto riguardava l'università, conoscendone il nome, gli era bastato fare qualche ricerca.
Quella notte aveva riflettuto sul luogo in cui si era svolto il suo scontro con Yahaba: un posto stretto, isolato, dove anche la comparsa di un improvviso strato di ghiaccio sulla strada o di una qualche onda anomala nata dal nulla era passata inosservata. Un luogo sicuro in cui lottare era una condizione fondamentale, soprattutto perché difendersi dai possessori del cromosoma Z era un dispendio di energie sufficiente, non serviva che si intromettessero anche le persone “normali” come la polizia o addirittura i civili.
Pensando a questo e a una presunta routine quotidiana di Kageyama, Tooru era arrivato a una conclusione valida, ovvero bloccare la strada che l'altro imboccava per tornare a casa e costringerlo a percorrerne un'altra. E l'altra, in quel caso, era una strada appena più lunga di quella solitamente percorsa da Kageyama, meno trafficata ma, soprattutto, adiacente a una fabbrica abbandonata.
In quel momento, Oikawa aveva già messo in atto il suo piano: aveva sfruttato l'acqua delle fogne e aveva fatto sì che allagasse una zona precisa della città, isolando la casa di Kageyama da quasi ogni lato, ad esclusione di quello raggiungibile percorrendo la strada della fabbrica abbandonata.
Adesso stava aspettando al piano più alto dell'edificio. Solo – anche se Iwaizumi non era molto lontano –, osservava la strada attraverso le grandi vetrate, proprio di fronte a un'enorme apertura dentro cui si riversavano l'aria fredda e i rumori provenienti dall'esterno. Inspirò appena, ascoltando lo scricchiolio di un vetro rotto sotto al proprio piede, lo sguardo fisso sulla strada. A malapena batteva le palpebre.
Kageyama transitò di fronte all'edificio abbandonato dieci minuti più tardi, il passo accelerato e l'aria decisamente ansiosa. Sospettava qualcosa, era evidente, ma era così concentrato sui suoi passi, sull'idea di arrivare a casa il più in fretta possibile, che non aveva considerato la fabbrica abbandonata neppure per un secondo.
All'improvviso, qualcosa gli afferrò le gambe, lo strattonò con forza e lo fece cadere, ma Tobio fu sollevato in aria ancor prima di toccare terra.
Venne trascinato verso l'alto, così in fretta che riuscì soltanto a schiudere le labbra. Incredulo, osservò la strada vuota sotto di lui, il borsone con all'interno i libri universitari – abbandonato al centro del marciapiede – rimpicciolirsi sempre di più.
Kageyama aveva capito, sapeva esattamente cosa lo stava trascinando, ma l'impatto con il pavimento fu tanto forte che per qualche istante, la faccia a terra, schiacciata contro le schegge di vetro che ricoprivano il terreno, smise di preoccuparsi.
Avrebbe dovuto immaginarlo, dopotutto quella delle fogne era acqua, non c'era ragione per la quale Oikawa non potesse manovrarla a suo piacimento.
Le dita di Tobio arrancarono, si contrassero in un lieve spasmo, facendo crepitare qualche scheggia di vetro contro la superficie ruvida e consumata del pavimento, poi sollevò il viso da terra, i denti stretti e un taglio sottile sulla guancia sinistra.
«Tobio-chan!» per un momento, la voce di Oikawa gli sembrò quella di un presentatore televisivo che annunciava con entusiasmo l'ingresso di un ospite. Era così fintamente stucchevole da mettergli la nausea.
Tooru sfoderò un sorriso morbido e gentile, che nel giro di pochi secondi si allargò in un ghigno inquietante.
«Da quanto tempo!» Oikawa tese le braccia in fretta, pronto ad attaccare, ma Kageyama fu più veloce: si alzò in piedi con un balzo, cercando di non badare ai piccoli tagli che il vetro gli aveva lasciato sulle mani. Investì l'altro con una vampata di fuoco, rovente e rossa come lava densa e voluminosa.
Tobio vide le fruste d'acqua scomparire tra le fiamme, ma la risata di Oikawa soppresse ogni sua speranza sul nascere.
«Lo hai dimenticato?» le fiamme si dissolsero, lasciando i segni del loro passaggio sul pavimento, ora leggermente più scuro e friabile sotto i loro piedi. Oikawa era in piedi di fronte a lui, neppure una minuscola scottatura, perfino i vestiti erano totalmente integri; lo guardava e gli sorrideva a denti scoperti, una pozzanghera d'acqua ai suoi piedi.
«Il fuoco non può bruciare l'acqua» Oikawa gli afferrò i polsi con le fruste d'acqua, schiacciandolo contro una parete.
Kageyama si dimenò ed evocò una seconda fiammata, ma di nuovo Oikawa non subì il minimo danno.
«Tutto qui, Tobio-chan? Mi aspettavo qualcosa di più.»
Kageyama si concentrò solo per un istante sullo sguardo dell'altro, sul suo tono di voce: adesso sembrava che Oikawa fosse serio, non lo stava prendendo in giro, si era aspettato davvero qualcosa in più da lui. Ma come avrebbe potuto imparare qualcosa in più, lui che usava la propria abilità principalmente per accendere un paio di sigarette l'anno e non soffrire il freddo durante i mesi invernali?
Kageyama piegò le gambe, inarcò la schiena, ma le fruste d'acqua del più grande erano forti e irremovibili, e presto gli immobilizzarono anche i piedi.
«Le tue ultime parole prima di morire, Tobio-chan?»
Oikawa era pronto: aveva già scritto il nome di Kageyama sul taccuino.
Tobio strinse i denti con forza, sostenendo il suo sguardo: da quanti anni non si parlavano? O meglio, da quanti anni non gli parlava, visto che alle medie Oikawa lo aveva degnato a malapena di uno sguardo?
Dar voce alle parole che aveva in mente era come condannare a morte il proprio orgoglio, ma non voleva morire. E in realtà non voleva neppure che fosse Oikawa a soccombere.
«Alleiamoci» sembrò quasi sputare, reticente e disgustato.
Oikawa restò immobile, limitandosi ad assottigliare lo sguardo e protendere appena le labbra, in una smorfia di disappunto.
«Muori» poi sibilò sommessamente, avvolgendogli il collo con una delle fruste e cercando di spalancargli la bocca con l'altra.
Kageyama scostò il viso, ma la stretta attorno al suo collo lo indusse molto presto ad aprire la bocca per incamerare più aria possibile.
La seconda frusta si insinuò rapida nella sua bocca, e quando Kageyama cercò di serrare i denti per spezzarla, questa resistette e, grazie all'elasticità della superficie, riuscì perfino a respingerlo. La frusta arrivò fin quasi in fondo alla gola: Tobio ne sentì lo spessore freddo che gli tolse del tutto il respiro; tentò di tossire, ma l'acqua gli riempì la bocca, scivolò giù veloce, nei polmoni.
Il diaframma di Kageyama si sollevò in uno spasmo di dolore, la fastidiosa sensazione di soffocamento lo spinse a dimenarsi di nuovo e a chiudere gli occhi con forza: Oikawa voleva annegarlo e ci stava riuscendo. Non aveva avuto alcun tentennamento a riguardo, e fu questo pensiero che spense del tutto la ribellione di Kageyama, la voglia di uscire da quella situazione, sopravvivere.
Oikawa fece affluire più acqua attraverso la frusta che si trovava nella bocca dell'altro, rafforzando inoltre la presa delle altre attorno ai suoi polsi e al suo collo. Appena sollevò gli angoli della bocca in un sorriso, qualcosa gli squarciò la schiena con terribile tempismo.
Oikawa spalancò la bocca in un gemito, le fruste d'acqua si ritirarono e Kageyama scivolò a terra, finendo un'altra volta con ginocchia e mani sui vetri rotti.
Tobio guardò davanti a sé, ritrovandosi a boccheggiare quando vide una macchia di sangue espandersi al centro del torace di Tooru.
Oikawa barcollò, portando immediatamente una mano sulla ferita.
«Vuoi darmi un altro pugno, Oikawa?»
Quando sentì la voce di Yahaba, Oikawa spalancò gli occhi e strinse i denti, mostrandoli in una smorfia rabbiosa.
«Yahaba!» urlò, il pugno destro già pronto, ma appena si voltò tutta l'energia che era riuscito a raccogliere scomparve: Yahaba aveva una maschera, e non di banale spandex. Era di ghiaccio, uno spesso elmo squadrato che si appuntiva sul mento e terminava sulla testa con due grosse corna di demone che racchiudevano una piccola corona di stalagmiti; gli unici spiragli erano un'apertura orizzontale per gli occhi e una serie di piccole colonne rettangolari sulla bocca.
Se gli avesse assestato un pugno si sarebbe frantumato il polso.
Shigeru tese il braccio sinistro, la mano spalancata a un metro da terra: le stalagmiti di ghiaccio ricoprirono il pavimento, correndo inarrestabili verso Oikawa.
Oikawa spalancò entrambe le mani, pronto a evocare una barriera d'acqua che potesse proteggerlo, ma le stalagmiti si arrestarono molto prima, distrutte da una bocca rovente che si aprì sotto il ghiaccio, illuminandolo per pochi secondi.
Yahaba rivolse un'occhiata al fianco di Oikawa, sorpreso, per poi assottigliare lo sguardo e increspare le labbra in una smorfia disgustata.
«Oikawa stava per ucciderti e tu lo proteggi? Sei proprio stupido, Kageyama.»
Tooru rivolse una rapida occhiata a Tobio, per poi tornare a osservare l'altro.
«Io vi ucciderò entrambi,» Yahaba sibilò contro l'elmo di ghiaccio, completamente a suo agio con il viso racchiuso in quella pesantezza gelida «non che l'acqua mi serva a molto, ma visto che mi hai abbandonato te lo meriti, Oikawa-san.»
«Me lo merito?» Oikawa soffiò, i pugni stretti con forza contro i fianchi. «Soltanto perché me ne sono andato di casa? Credevo fossi abbastanza maturo per capirlo, e poi non eri solo, c'era mia madre con te. Qual è il problema, Yahaba? Hai bisogno del babysitter?»
«Hai sempre preferito lui a me» le parole di Yahaba giunsero forti e chiare alle orecchie di entrambi, ma Oikawa, al contrario di Kageyama, non ne fu sorpreso.
Yahaba attaccò di nuovo, e Oikawa spinse Kageyama da parte, riuscendo a proteggersi dal ghiaccio dell'altro con una spessa barriera d'acqua.
«Sarò io ad ammazzarvi,» Tooru parlò a denti stretti, per poi sbraitare tutta la sua rabbia «vi ucciderò tutti e mi prenderò i vostri poteri!»
Kageyama riuscì a evitare la frusta d'acqua che giunse ai suoi piedi, mentre Yahaba la congelò e fece in modo che – attraverso di essa – il ghiaccio arrivasse il più vicino possibile al corpo di Oikawa.
«Oikawa-san,» Tobio lo afferrò per il braccio e lo strattonò verso di sé «non puoi sconfiggerlo da solo, hai bisogno del fuoco.»
Oikawa non rispose: lo sapeva anche da solo che sarebbe stato più facile se si fosse alleato con Kageyama, ma l'idea lo repelleva, era una via di uscita a dir poco umiliante.
Tooru se lo scrollò di dosso e lo spinse di nuovo da parte, in segno di rifiuto, per poi spazzarlo via con un'onda alta e impetuosa.
Kageyama si ritrovò sott'acqua per qualche istante, la schiena premuta contro una parete, di nuovo la fastidiosa sensazione di soffocamento e il rapido indebolimento del corpo, che non sopportava l'umidità.
Oikawa attaccò nuovamente Yahaba, più volte, ma le sue fruste vennero tutte congelate e frantumate.
«Non hai neppure idea di quanto ti detesti, Oikawa» Yahaba ringhiò a denti stretti, pronto a bloccare l'ennesimo attacco.
Il più grande evocò un'altra frusta d'acqua, cercando di ignorare la strana sensazione di affaticamento e appesantimento del corpo. La frusta, però, era così sottile che Yahaba la congelò in un istante, senza il minimo dispendio di energie.
Shigeru si avvicinò paurosamente, e fu allora che Tooru si rese conto di non riuscire più a evocare l'acqua.
Yahaba lo vide retrocedere di qualche passo, guardarsi le mani con aria confusa e vagamente spaurita.
«Questo è il vantaggio dell'essere te allo stato solido» Shigeru increspò le labbra in un ghigno appena visibile.
Oikawa batté i denti, una mano di nuovo a premere la ferita al centro del torace. Non era mai successo che l'acqua lo tradisse, quindi perché voltargli le spalle proprio in momento così delicato?
«Cos'hai fatto?!»
Il ghigno di Yahaba si distese.
«Stai ghiacciando dall'interno, Oikawa-san.»
Oikawa spalancò gli occhi, inorridito, mentre un prolungato brivido di freddo lo avviluppava, annichilendolo.
«L'acqua è una sostanza liquida che si solidifica con il freddo. Adesso si sta condensando dentro di te, sta diventando ghiaccio e tu non riuscirai a evocarla. Morirai di freddo, Oikawa-san, o forse ti ucciderò prima io. In ogni caso non hai più difese e io mi divertirò.»
Yahaba, i denti scoperti in un sorriso, tese le braccia in avanti e spalancò le mani, pronto ad attaccare. Oikawa fece lo stesso, ma quando realizzò che non sarebbe riuscito a evocare alcuna onda o frusta serrò le palpebre con forza, trattenendo il respiro.
Tooru avvertì nuovamente la sconcertante e dolorosa sensazione del ghiaccio freddo e duro conficcato nel petto, ma in realtà non accadde nulla del genere.
Con ancora gli occhi chiusi, sentì la pressione di una mano calda al centro della sua schiena, dunque sollevò in fretta le palpebre, appena in tempo per vedere un muro di fuoco innalzarsi fra lui e Yahaba.
Shigeru spalancò gli occhi, confuso, per poi serrare con forza i denti nel momento in cui vide il muro di ghiaccio liquefarsi e ripiegarsi su se stesso ancora prima di toccare il fuoco, gocciolare rovinosamente sui frammenti di vetro cosparsi ai loro piedi.
«Maledizione» borbottò fra i denti, cercando di aumentare l'intensità del proprio attacco.
Oikawa guardò alla propria sinistra, la mano calda ancora premuta al centro della schiena, lo spirito rinvigorito dalla piacevole sensazione di tepore emanato dalle fiamme, che ondeggiavano a pochi passi da lui.
«Tobio-chan...?»
Kageyama ricambiò il suo sguardo per qualche secondo, per poi rivolgere la propria attenzione al muro di fuoco.
Tooru si chiese cosa stesse facendo, ma il calore sprigionato dalla mano sulla sua schiena lo rassicurò e dissipò ogni dubbio. Guardò le fiamme alte che danzavano e crepitavano di fronte a loro, mosse le dita di entrambe le mani, distendendole e ripiegandole prima lentamente e poi in una contrazione fluida e veloce.
Oikawa aveva capito: si concentrò sul muro di fuoco, sulla sagoma che si intravedeva al di là delle fiamme, quindi mosse un rapido passo in avanti e si voltò verso sinistra, in direzione della parete più vicina. Pochi istanti più tardi una frusta d'acqua trapassò il muro di fuoco, avvolse il collo di Yahaba, lo sollevò appena e lo sbatté con forza contro la parete.
Shigeru si lasciò sfuggire un gemito, ma con le mani ancora libere afferrò la frusta e tentò di congelarla. In quello stesso istante, però, un nuovo muro di fiamme – più basso e circoscritto del precedente – lo circondò, e il calore cominciò subito a indebolirlo, impossibilitarlo.
Le sue mani strinsero con forza la frusta di Oikawa, ma non riuscirono a congelarla. La maschera cominciò a sciogliersi.
Kageyama stava utilizzando la sua stessa strategia, ma contraria: con il calore del fuoco stava sciogliendo il ghiaccio dentro di lui, rendendogli impossibile controllarlo.
Sembrava una presa in giro, o forse una disperata imitazione strategica per tentare di ovviare alla sua scarsa astuzia – in ogni caso, Shigeru lo odiava e quella situazione stava soltanto accrescendo il sentimento di disprezzo che nutriva nei suoi confronti.
Oikawa rafforzò la stretta della frusta attorno al collo dell'altro, compiaciuto all'idea che Yahaba non potesse più sfruttare il ghiaccio a proprio piacimento, poi si voltò verso Kageyama.
Tooru aspettò ancora qualche istante, perché il fuoco continuasse a compromettere l'abilità di Yahaba e Kageyama acquisisse sempre più confidenza, poi, appena lo vide abbassare la guardia, evocò una seconda frusta.
Kageyama si ritrovò immediatamente sbattuto contro il muro, a pochi metri da Yahaba, il respiro soffocato da una frusta d'acqua attorno al collo. Si dimenò, afferrando la frusta e piantando i piedi contro la parete per fare leva, ma si ritrovò subito annichilito dalla mancanza di ossigeno e soprattutto dalla risata divertita di Oikawa.
«Sapevo che eri stupido, Tobio-chan, ma non immaginavo così tanto!» Oikawa rise di nuovo, per poi serrare le labbra in un sorriso nervoso e spostare la propria attenzione su Yahaba, che a incendio dissipato sembrava aver riacquistato le proprie energie più in fretta del previsto.
Oikawa arricciò il naso, contrasse il viso in una smorfia e rafforzò la stretta attorno al collo di Yahaba; lo vide spalancare la bocca in cerca d'aria, contrarre il petto in uno spasmo, ma le mani del più piccolo erano sempre lì, salde attorno alla frusta d'acqua, la cui superficie stava cominciando a ricoprirsi di brina.
Kageyama, al contrario, era sul punto di perdere i sensi, indebolito da tutta quella umidità.
Oikawa non nascondeva di aver provato una certa attrazione per quel gioco fatale, ma l'inasprimento vero e proprio, la decisione di uccidere chi fino a quel momento aveva condiviso il suo stesso destino di emarginato, derivava principalmente dalla morte di Hoshiko. Non pretendeva di vendicarla perché la conosceva, ma perché detestava il fatto che una civile ignara avesse perso la vita. Era una questione di principio.
Fin da piccolo, Tooru aveva dimostrato un senso di giustizia aggressivo, profondo e istintivo. Si faceva forte dei valori irremovibili su cui aveva fondato parte della sua personalità, concezioni dai confini fumosi e confusi che tuttavia lo portavano a perseverare in macchinose vendette al limite del sadico. In sintesi, Tooru isolava un abuso e dopo averlo razionalizzato decideva di rispondervi per annullarlo – un pensiero più che condivisibile, finché lui stesso non dimostrava di essere disposto a ogni mezzo pur di giungere al proprio fine, tramutando di fatto un'intenzione benevola in una seconda ingiustizia, non meno efferata della prima.
Contrariamente a quanto desiderato e fortemente perseguito, Tooru non eliminava le ingiustizie, ma ne creava di nuove. Era pieno di buoni sentimenti che poco prima di uscire dal suo corpo si tramutavano in cattiverie spietate.
Probabilmente non sarebbe mai riuscito a mantenere pura anche una sola delle sue intenzioni, ecco perché aveva già scritto i nomi dei suoi kouhai sul quaderno nero.
Posto che in cuor suo desiderasse salvarli, avrebbe finito comunque per fare loro del male, quindi tanto valeva ucciderli subito.
Oikawa si decise a dare un taglio a quella situazione: distese le dita a ventaglio, distanziandole il più possibile l'una dall'altra, poi le piegò, si incurvarono come artigli bianchi, fermandosi all'improvviso, bloccate dalla leggera pressione che avvertì al centro della schiena.
Oikawa capì che si trattava di una mano. Cercò di muovere tutto il corpo, ma fu in grado di voltare il viso solo di qualche centimetro.
D'un tratto gli sembrò che qualcosa lo avesse nuovamente trapassato, che una lama invisibile avesse percorso la stessa strada che la stalagmite di ghiaccio si era aperta nel suo torace.
Una scossa piegò il suo corpo in una spasmo, lo costrinse a spalancare la bocca, in cerca di aria.
Le fruste d'acqua si ritirarono veloci, come elastici rilasciati dopo essere stati in tensione per lungo tempo; Tooru si inginocchiò a terra, una mano premuta sul petto e il respiro smorzato, il corpo attraversato da dolorosi tremiti di calore.
Le dita di Oikawa arrancarono contro il pavimento ruvido, strisciò in avanti, facendosi spazio fra i vetri rotti, per poi voltarsi.
La vista gli si annebbiò per qualche secondo, quando il dolore al torace divenne più intenso, tanto che per un istante pensò perfino di essere sul punto di vomitare.
Di fronte a lui svettava un ragazzo con indosso un piumino scuro e una maschera viola, l'occhio sinistro ben visibile grazie a una larga apertura a forma di fulmine, una saetta gialla che partiva dalla guancia e poi abbandonava la bidimensionalità per sollevarsi in alto, fin oltre l'orecchio destro. Oikawa si soffermò solo per un istante sulle tre piccole luci gialle e tonde che sulla maschera rappresentavano la bocca, poi sulla mano del ragazzo, sollevata e spalancata.
L'altro stava per attaccarlo di nuovo, e questa volta sembrava avere intenzione di rincarare la dose.
Oikawa si ritrovò incapace di ragionare, semplicemente cercò di trascinarsi ancora più lontano, pietrificandosi nel momento in cui una fila di stalagmiti si delineò di fronte ai suoi occhi, crescendo alta e compattandosi in uno spesso muro di ghiaccio.
«Lui è mio!» Yahaba sbraitò, la maschera di ghiaccio di nuovo intatta a coprirgli il viso.
Shirabu osservò il muro di ghiaccio per qualche istante, la sagoma fumosa di Oikawa oltre la parete fredda e luminosa, poi rivolse la propria attenzione a Yahaba.
«Non osare toccarlo!» se Oikawa doveva morire, sarebbe stato lui a ucciderlo: questo pensò Shigeru nel momento in cui si gettò contro il ragazzo del fulmine.
Oikawa guardò il ghiaccio senza davvero vederlo, il respiro smorzato, il cappotto insanguinato incollato al corpo, a premere sulla ferita aperta. Aveva caldo e freddo allo stesso tempo, e la schiena bruciava terribilmente.
Increspò le labbra in una smorfia, allargò le braccia e si distese sui vetri, serrando le palpebre – anche solo respirare e tenere gli occhi aperti gli causava un dolore terribile. Probabilmente era vero che non avrebbe più rivisto sua madre e Grey.
All'improvviso, però, una mano calda aggrappata al suo braccio gli restituì un po' di coscienza.
«Oikawa-san,» Kageyama si chinò su Oikawa, aspettando che aprisse gli occhi «adesso ti porto fuori di qui.»


❋ ❋ ❋


Oikawa ebbe la sensazione di essere tornato a respirare dopo una lunghissima apnea. Sollevò le palpebre ma le riabbassò immediatamente, dischiuse le labbra e inspirò, aggrottando la fronte a causa della gola secca e dolorante.
«Vuoi uccidere tutti e poi devo venire sempre a salvarti» sentì la voce di Iwaizumi, che sembrò schioccare la lingua contro il palato, in segno di disappunto.
Tooru riaprì gli occhi, massaggiando le tempie con le dita della mano destra: stava molto meglio, la lacerazione al centro del torace doveva essersi rimarginata, e il tremore provocato dalla scossa era svanito, anche se la schiena bruciava ancora.
Restò disteso ancora per qualche istante, rivolgendo una rapida occhiata a Iwaizumi, poi, però, vide che c'erano anche Kageyama e un ragazzino che non conosceva.
«Io e Hinata abbiamo aiutato Kageyama a portarti fuori da lì,» spiegò Hajime, che evidentemente aveva letto più che facilmente l'espressione spaesata che gli aveva ritorto il viso «attualmente sto rendendo invisibili i nostri corpi, quindi non dobbiamo preoccuparci delle altre persone.»
«Non siamo loro amici, Iwa-chan» Oikawa si mise a sedere e subito dopo si alzò, le labbra serrate con forza, increspate in una smorfia. Rivolse un'occhiataccia a Kageyama, che subito sembrò mettersi sull'attenti. Proprio come alle medie. Non lo sopportava.
Oikawa sfiatò dalle narici e assottigliò il proprio sguardo: perché Kageyama lo aveva aiutato? Desiderava così tanto collaborare con lui? Ed era così stupido da pensare che non avrebbe tentato di ucciderlo?
Era frustrante che fosse stato proprio Tobio a salvargli il culo.
«Non lo sono,» ammise Iwaizumi, le braccia conserte e la schiena aderente a un muro grigio e scrostato «ma faresti meglio a prendere in considerazione la possibilità di un'alleanza.»
Oikawa storse il naso.
Anche se lui e Iwaizumi si conoscevano da poco, si sentì tradito e vagamente umiliato dalla sua raccomandazione.
Indubbiamente aveva avuto diverse difficoltà in entrambi i combattimenti sostenuti, ma non a tal punto da doversi alleare con qualcuno – Kageyama in particolare.
«Oikawa-san,» Kageyama si fece coraggio, ritrovandosi a deglutire non appena l'altro gli puntò gli occhi addosso «siamo nella stessa situazione, e tu sei molto debole contro il ghiaccio e l'elettricità‒»
Kageyama ammutolì: Oikawa lo stava guardando malissimo, come se fosse sul punto di azzannarlo, ridurlo in brandelli.
«Siamo...» Tobio si schiarì la voce, chiaramente a disagio a causa dello sguardo dell'altro ancora fisso su di sé «siamo acqua e fuoco e per questo dovremmo cercare di collaborare. Ci completiamo e possiamo esserci utili a vicenda.»
Tooru sollevò il mento, indignato, e incrociò le braccia al petto, gli occhi aperti e vigili e le labbra serrate con forza.
Hinata guardò Oikawa e Kageyama con il fiato sospeso, per poi rivolgere una rapida occhiata a Iwaizumi, increspando le labbra in una piccola smorfia non appena si rese conto che quest'ultimo aveva tutta l'aria di non voler interferire a prescindere dal risvolto di quella disturbante situazione di stallo.
Oikawa inspirò con forza dalle narici, chiuse gli occhi e sciolse la stretta delle braccia sul petto. Kageyama lo vide riaprire gli occhi pochi istanti dopo, schiudere le labbra in un sospiro e stendere le braccia lungo i fianchi: stava accettando?
«La pallavolo?»
La voce di Oikawa giunse alle sue orecchie in un sussurro appena udibile. Kageyama sollevò le sopracciglia e sbatté le palpebre un paio di volte, sorpreso e disorientato da quella strana domanda.
«Ho...» esitò: davvero voleva saperlo? E proprio in quel momento?
Tobio deglutì, bersagliato dallo sguardo penetrante dell'altro.
«Ho lasciato.»
Aveva pronunciato quelle parole a fior di labbra, ma Oikawa le aveva sentite chiaramente e non aveva perso neppure un istante: lo aveva afferrato per il bavero del cappotto e lo aveva sbattuto con forza contro al muro.
«Perché?!»
All'urlo rabbioso di Oikawa, Hinata scattò in avanti, ma Iwaizumi tese il braccio e gli fece segno di fermarsi.
«Perché hai lasciato?!» Tooru sbraitò contro il viso contratto del più giovane, strattonando con forza il bavero. «Rispondimi, idiota!»
Non lo sopportava. Non poteva sopportare che Kageyama avesse lasciato la pallavolo. Lui che sicuramente non aveva problemi di nessun tipo alle giunture, lui che – per quanto odiasse anche solo pensarlo – era un genio, aveva mollato.
Oikawa era stato costretto a lasciare, mentre Kageyama...
«Oikawa-san‒» Kageyama gli afferrò entrambi i polsi per cercare di fargli mollare la presa.
«Perché?!»
«Mio padre...» aspettò che Oikawa allontanasse leggermente il viso e smettesse di tirargli il bavero «mio padre è morto. Devo risparmiare per pagare l'università»
Le dita di Oikawa scivolarono sul bavero, allontanandosene pochi istanti dopo.
Kageyama lo guardò: adesso Oikawa era calmo, le labbra increspate in una piccola smorfia, come se si fosse appena reso conto della magra figura appena fatta e se ne stesse dispiacendo.
Sia Hinata che Iwaizumi, in quel momento, si scoprirono sorpresi e incantati dall'improvvisa manifestazione del lato più umano dei loro protetti.


❋ ❋ ❋


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S h i n j u k u __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



«Questa è Shimizu-san» Koushi si rivolse ai bambini, i denti bianchi allineati in un grande sorriso gentile, poi si voltò verso Shimizu, che sussultò appena.
Sugawara le aveva detto come comportarsi, ma Kiyoko, almeno a primo impatto, si sentiva sempre un po' a disagio con i bambini. Era assurdo che creature così piccole mettessero soggezione a uno shinigami, ma la sua timidezza era tale da renderle alcuni approcci molto più difficili di altri.
«Ciao» Shimizu sollevò leggermente la mano, facendola ondeggiare in un cenno delicato, le labbra rosee piegate leggermente, in un sorriso appena percettibile.
Una bambina – quella con la cuffia azzurra attorno alla testa e l'ago cannula fissato al braccio sinistro da un cerotto bianco – sollevò la mano e le sorrise, altri risposero in coro al saluto, ma frettolosamente, e i pochi rimasti la fissarono senza dire nulla, forse perché avevano percepito il suo imbarazzo e ne erano stati completamente rapiti.
«Shimizu-san può giocare con noi?» uno dei bambini più piccoli, il pupazzo di un gatto fra le mani ossute, si rivolse a Sugawara, che subito gli accarezzò la testa annuendo.
Shimizu si morse il labbro inferiore, le dita delle mani intrecciate con forza: voleva davvero giocare con quei bambini, aiutarli a trascorrere una serata serena perché potessero addormentarsi senza pensare al dolore, alle medicine o alla nostalgia di casa e della famiglia, ma non sapeva proprio da dove iniziare.
«E visto che Shimizu-san è una signorina...» Koushi rovistò in una grossa scatola bianca, per poi sollevare trionfante una corona di plastica argentata, con pietre rosa su ogni lato.
«Il tè delle principesse!» una delle bambine più grandi gridò a gran voce, seguita a ruota dalle più piccole.
Shimizu, vagamente stordita da tutto quell'entusiasmo che lì per lì le parve immotivato, si irrigidì leggermente, arrossendo quando Sugawara le posò la corona sulla testa.
«Non preoccuparti,» Koushi sussurrò, rivolgendole un sorriso affabile e rassicurante «il tè delle principesse è perfino rilassante, una volta che ti lasci andare.»


❋ ❋ ❋


«Vieni qui spesso?»
«Cerco di visitarli almeno una volta a settimana» Koushi sollevò il viso, rivolgendo la propria attenzione al cielo scuro, l'alone pallido e lattiginoso della luna appena visibile oltre gli strati iridescenti delle nuvole di notte.
«Da quanto tempo?» adesso Kiyoko era molto più rilassata, aveva il viso disteso e sulle labbra c'era ancora la traccia di un sorriso: si era divertita con il tè delle principesse, ed era riuscita a prendere confidenza con tutti i bambini del reparto.
«Precisamente non lo so» Sugawara non aveva mai fatto troppo caso al tempo, né ricordava con esattezza cosa avesse comportato l'avviarsi di un'abitudine simile; a lui importava solo dei bambini, che restassero vivi e, possibilmente, guarissero.
L'ospedale pediatrico distava appena venti minuti a piedi dal suo appartamento, per cui vi si recava ogni volta che aveva un momento libero ed era sicuro di avere energie sufficienti da dedicare ai piccoli pazienti. Quelle due semplici condizioni erano più che sufficienti.
«È davvero bello, Sugawara-san.»
Sugawara le sorrise, chinando il viso in segno di ringraziamento.
«Purtroppo non credo riuscirò mai a guarirli del tutto, ma posso alleviare il dolore, rallentare la crescita di alcune malattie od ostacolarne lo sviluppo. Sarei una persona orribile se non usassi la mia specialità per fare del bene.»
«E pensare che i dottori stessi sarebbero pronti a denunciarti, se lo scoprissero.»
«E probabilmente anche i genitori dei bambini e chiunque altro» il sorriso di Sugawara divenne tirato, una smorfia amareggiata. «In questo mondo, se hai il cromosoma Z sei una creatura pericolosa e nociva.»
Shimizu lo guardò senza dire una parola, sentendosi sollevata all'idea che il suo protetto fosse lui, non un esibizionista con un qualche potere meno altruistico e più distruttivo.
Oltre i nuvoloni scuri, nel buio della notte, l'aria invisibile e fredda si espanse, esordendo in un tuono che fece vibrare la strada sotto i loro piedi. Sollevarono entrambi il viso, guardando il cielo: ora l'alone bianco della luna non c'era più.
«Spero che i bambini dormano bene» Sugawara sussurrò a fior di labbra, il riflesso del cielo nero negli occhi. Una goccia di pioggia si infranse sulla sua guancia.




L'angolino della piantina autoritaria
(You should read this):

Buongiorno a tutti!
Come stabilito, ecco qui il nuovo capitolo~
Comprendo che per alcuni di voi questa tempistica è un po' spiacevole, ma purtroppo ora come ora pubblicare una volta al mese è davvero tutto quello che posso fare (anche perché i capitoli sono sempre piuttosto lunghi ;w;'')
La fanfiction comunque è seguita da un discreto numero di persone e io sono una mamma soddisfatta!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, finalmente cominciano a formarsi le prime alleanze, così che si possa entrare davvero nel vivo della storia. Inoltre nel prossimo capitolo verranno introdotti nuovi personaggi, tanto per complicare un po' le cose 8'D
Il titolo di questo capitolo si riferisce in particolare ai personaggi di Yahaba, Oikawa e Kageyama e al legame che Oikawa ha con ognuno dei due. Le personalità di Yahaba e Oikawa, così come il loro rapporto, si stanno evolvendo – con velocità – in qualcosa di molto negativo, mentre il rapporto fra Tooru e Tobio non è mai stato sano e positivo, ma si trova decisamente più umanità in un confronto fra loro due piuttosto che fra Oikawa e Yahaba.
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, dalla scaletta che ho scritto immagino sarà molto lungo, e sfortunatamente febbraio è un mese breve- inoltre mi laureerò fra il 20 e il 24, quindi è molto probabile che a causa di ansia e tempo da dedicare allo studio non riuscirò a pubblicare per l'ultimo del mese.
Approssimativamente credo riuscirò a postare il capitolo fra il cinque e il dieci marzo, ma subito dopo cercherò di essere più attiva in modo da postare quello successivo entro la fine del mese o i primi di aprile, così da poter regolarizzare le pubblicazioni future.
Grazie per l'attenzione e per il supporto!
Alla prossima!
   
 
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