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Autore: summers001    01/02/2017    2 recensioni
Captain Swan | AU | Nel mondo reale senza magia.
Dal testo:

"Allora," fece la poliziotta sexy "chi è lo sposo?"
Dal fondo della sala partirono una serie di urla di ragazzi e uomini più adulti che gridavano una serie di "io, io, io" per cercare di convincere la spogliarellista.
L'uomo alzò la testa al cielo e cominciò a ridere. Si morse le labbra quando vide la spogliarellista scendere le scale con fare aggressivo ed avvicinarsi. Gli si sedette addosso, mentre dal fondo della sala qualcuno ululava.
L'amica gli passò sul tavolo una serie di banconote. L'uomo le strinse, non sicuro di voler mettere le mani in tutta quell'abbondanza.
"Che direbbe tua moglie?" gli sussurrò la spogliarellista.
"E chi lo sa!" rispose l'uomo quasi intimorito. Non s'aspettava di scoprirsi timido in quella situazione.
"E dai, Killian!" lo spronò l'amica, che s'avvicinò alla spogliarellista e le infilò un paio di banconote nel reggisenoA Killian faceva comodo di sicuro avere un'amica lesbica e così estroversa. Non sapeva infatti cosa aspettarsi per il suo addio al celibato e a tutto poteva pensare eccetto che ad uno strip tease.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7.

 

2016, sei di mattina
Killian Jones non poteva dire con certezza di dormire. Forse perché in quel momento non era in grado di parlare, ma a parte questo, era consapevole di star dormendo e sognando, riusciva però anche a sentire chi si muoveva attorno a lui, attorno a quel divano nero, e mischiava quelle informazioni col casino che si era creato in testa.
Aveva sentito il campanello suonare, dei passi trascinarsi fino alla porta e poi la voce di Liam. Nella sua testa, nel suo sogno, c'erano Liam e sua madre che parlavano. Sua madre che gli chiedeva dove diavolo fosse stato tutto quel tempo, perché gli aveva detto di tornare prima a casa. Si ricordò di quando sua madre era sempre arrabbiata, quando non funzionava più con suo padre ed ogni cosa la faceva infuriare, soprattutto coi suoi figli. E forse sapeva già allora di essere malata.
Voleva smettere di ricordare quel momento, voleva ricordarsela che sorrideva, che giocava con lui e suo fratello in un giardino, anche se non era mai successo. Si agitò e sudò lungo il collo. Forse quello lo portò un po' più lontano da quel sogno fastidioso, tuttavia l'ansia rimase.
"Ciao Ruby." disse la voce di Liam nella realtà.
"Liam." ci fu un momento di attesa, probabilmente un abbraccio o qualcosa del genere. Killian sentì persino qualcosa che veniva ruotato e trascinato sul pavimento, quasi sicuramente una valigia. Ci furono una serie di brusii ed il fatto che non riuscisse a comprenderli, si disse, era la prova che stava ancora dormendo. Si rigirò ancora una volta e il braccio gli scivolò sugli occhi così da proteggerlo dalla luce che stava già entrando dal balcone affianco al divano. Sentì i loro sguardi addosso.
"Che diavolo è successo alla sua faccia?" chiese poi Liam.
"Non ne ho idea, non era così ieri sera.." spiegò Ruby "Credo."
Sentì Liam mugugnare, probabilmente ricollegando quello che gli aveva detto suo fratello stesso per telefono.
"Caffé?" chiese Ruby. E poi di nuovo si allontanarono e non li sentì più.
Killian in quel barlume di dormiveglia si chiese come faceva anche Ruby stessa ad essere così sveglia e fresca dopo aver dormito solo cinque ore, o forse meno.
Si rigirò di nuovo ed alleggerito si rimise a dormire.
Il pensiero di sua madre non riusciva ad allontanarlo. Il suo dito con l'anello d'oro bianco e quel diamante che luccicava sempre alla luce del sole lo ossessionava. La vedeva puntargli quel dito davanti di continuo. La vedeva raccomandargli di non sporsarsi mai, di non farsi incastrare mai. La vedeva dirgli che la vita era breve e allora sì, ci rifletté, e sì lei lo sapeva, lei sapeva già di essere malata allora. E per tutta la sua adolescenza seguì il suo consiglio alla lettera, un consiglio che trovava un terreno fertile in un giovane maschio bombardato dagli ormoni e col complesso dell'abbandono.
Fu qualche anno dopo, ad uno dei tanti anniversari della morte di sua madre che cominciò a sentire un gran vuoto dentro. Si era svegliato ed aveva visto alcune delle cose di Milah: il suo pigiama e lo spazzolino. Era andato in cucina e s'aspettava di vedere la sua borsa o un rossetto o il crocifisso che indossava sempre lasciato in giro per casa. Invece tutte le sue cose erano ben nascoste, lontano dalla sua vista.
Come un lampo rivide un ricordo: era davanti alla vetrina di quel gioiellieri di tanti anni prima, dove vide l'anello che avrebbe voluto comprare a Milah e che riuscì ad avere solo un anno dopo, quando le chiese di sposarlo. Anche allora aveva ripensato a sua madre ed aveva deciso di vivere il presente e lasciarla andare. Fu quella l'ultima volta che pensò ai suoi assurdi consigli, alla vita triste che lei aveva vissuto, al suo voto di seguire le sue orme.
Di nuovo ricominciò a sudare, voleva uscire da quell'incubo, non era quello a cui voleva pensare il giorno del suo matrimonio. Avrebbe voluto che sua madre fosse lì, che fosse felice per lui. Sapeva che se ci fosse stata lei sarebbe stata felice.
Si ritrovò così di nuovo in quel limbo in cui dormiva, ma sapeva di dormire, e pensava, ma sapeva di pensare. C'era sempre sua madre in testa, così si agitò sperando che il movimento portasse via con sé anche quei ricordi spiacevoli. Sua madre non se ne andava. Era molto che non gli capitava di averla come un pensiero insistente, che non riusciva ad allontanare. A volte era contento perché poteva così immaginarsela tutta intera. E perché vi chiederete voi?
Provate ad immaginare una persona, un vostro caro. Partite da un dettaglio e poi come una brutta ripresa di un film di seconda categoria riducete lo zoom: inquadrate prima la sua bocca, gli occhi, il naso, poi il suo viso nel suo insieme. Ce l'avete fatta? Beh Killian no, Killian mai. Era da quando lei era morta che si appendeva ad ogni dettaglio e lo metteva insieme agli altri solo quando dormiva. Quel dettaglio, quell'episodio però credeva di averlo allontanato per sempre. Il suo dito non gli era mai tornato in mente da quella mattina davanti al gioielliere, neppure quando alla fine aveva comprato il diamante. Eppure quel ricordo gli dava fastidio e voleva eliminarlo. E allora agitò di nuovo la testa.
Quando non ne poté più di rigirarsi, di sudare e degli incubi, decise di aprire gli occhi. Erano pesanti e tutto il suo corpo gli urlava di rimanere lì e non muoversi per il resto del giorno. Il display del televisore però gli faceva presente che erano già le sette meno e cinque. Lasciò perdere quegli ultimi minuti di sonno che gli potevano rimanere e s'alzò.
Massaggiandosi la testa arrivò in cucina, dove una sagoma gli augurava "buon giorno" seduto al tavolo.
"Ruby?" chiese, senza connettere ancora bene. Si sfregò gli occhi e riconobbe Liam. Si colpì col palmo della mano la testa per essere stato così stupido, ma se ne pentì immediatamente. Una chiara smorfia sul viso annunciò anche a suo fratello il mal di testa violento e lo stato confusionario in cui versava.
Liam gli allungò lo scatolino che stava sul tavolo, afferrò una bottiglia d'acqua e gliene versò in un bicchiere. Gli allungò poi pure quella. Aspirine immaginò. La prima cosa positiva di quella lunga giornata fu non riuscire a vedere l'espressione di disapprovazione di Liam.
"Tutto ok?" chiese lui.
"Hm." mugugnò Killian, non sapendo bene come rispondere "Ho sognato la mamma." accennò poi. Da bambini si raccontavano sempre qualunque cosa riguardasse la mamma.
"Mi riferivo al tuo occhio." accennò il fratello, indicandogli il viso come con una freccia.
Killian si portò una mano alla faccia, sentì un dolore sotto le dita e poi sull'intera metà della faccia. Se n'era scordato. Prese le aspirine e cercò di ricordarsi dove poteva trovare uno specchio in quella casa.
Corse in corridoio, aprì la porta del bagno. C'era vapore ovunque e rumore d'acqua che veniva dalla doccia
"Ehi!" urlò Ruby protestando, che immediatamente chiuse tutto e cercò di coprirsi con le mani.
Killian le diede poco conto ed invece pulì lo specchio con una mano, creandosi una finestra sul bianco acquoso appiccicato al vetro. Si guardò attentamente, ma non c'era bisogno. Già sul vapore riusciva a vedere la macchia viola e verde stampata a fresco sulla sua faccia.
"Cazzo." imprecò.
"Cazzo." lo imitò Ruby, che nel frattempo era uscita e s'era infilata un accappatoio bianco di spugna.
"Cazzo, cazzo, cazzo." continuò lui mettendosi a sedere sulla tazza chiusa con le mani nei capelli. Un fischio nel frattempo cominciò a dargli fastidio all'orecchio.
Liam comparve davanti alla porta e s'annunciò sospirando. Non l'aveva sentito arrivare, né aveva visto la sua amica girargli attorno e tentare di guardargli meglio il livido sulla faccia. Le persone gli giravano attorno, a volte se le perdeva e poi gli ricomparivano davanti. Strizzò gli occhi e sperò che l'aspirina gli facesse subito effetto, desiderando intanto litri di caffé bollente.
"Andiamo di là alla luce, proviamo a sistemare questo pasticcio." propose Liam.
Killian si alzò scettico, ma immediatamente, rispondendo agli ordini di suo fratello come da vecchia abitudine.
Ruby recuperò i suoi vestiti appesi al termosifone, afferrò la sua scatola dei trucchi e li seguì a ruota. "A proposito," aggiunse "che ci fa un hamburger nel mio frigo?"



14 maggio 2013
"Dimmi qualcosa di te." chiese Killian Jones steso su una coperta sul pavimento del terrazzo, accanto ad Emma. Guardavano il soffitto buio intessuto di stelle, tutte quelle che lui le aveva indicato e lei non aveva capito, contemplando i puntini luminosi e riflettendo sul senso della vita e l'origine dell'universo.
"Cosa?" chiese Emma confusa dalla strana richiesta.
"Sto cercando di conoscere la vera Emma." esclamò lui, girandosi verso di lei. Si mise una mano sotto la testa e cercò di alzarsi un pochetto per guardarla meglio.
Emma gli diede un colpetto al fianco. Non voleva che lui fosse così sentimentale e non lo faceva tanto sentimentale. Poteva dirsi colpita, ma era troppo presto per esserne felice: come al solito Emma Swan ci andava coi piedi di piombo. "Ma smettila!"
"No, davvero." fece lui, non dando peso ai suoi colpi "Sto raccogliendo tutte le informazioni su di te in una specie di cartella mentale, sai come quelle del computer."
Emma lo guardò senza parlare. Era esattamente quello che aveva pensato lei dall'inizio. Erano esattamente le stesse parole, la stessa immagine stupida che s'era fatta in testa. Cercò di ricordare se avesse espresso a voce quel pensiero, se l'avesse scritto o cos'altro.
"Allora," cominciò lui vedendola persa. "Com'è successo che sei diventata brava in questo lavoro?"
"Non te lo dico." rispose subito Emma in un capriccio, dettato dalla paura. Paura di cosa? Paura che qualcuno fosse come lei, che qualcuno la capisse o la conoscesse. O paura che scoprisse chi era lei davvero? Chi era stata l'ultima persona ad averla conosciuta almeno un po' ? Era così abituata a tenersi tutto per sé che non avrebbe neanche saputo come rispondere.
"Ok, cose semplici, va bene?" le chiese Killian, mettendosi a sedere. Scrollò le spalle e alzò le mani, fingendo non curanza per la domanda che le aveva fatto in precedenza. "Colore preferito?"
"Cosa?" chiese Emma, che si alzò a sedere anche lei. Cercò di evitare il suo sguardo, ma lui non le staccava gli occhi di dosso, facendola sentire osservata ed a disagio. Così si girò e vide che lui stava ancora aspettando e non demordeva. Pensò ad una risposta che potesse accontentarlo ed alla fine riuscì a mettere insieme solo un "Rosso." O almeno così credeva.
Killian Jones fece cenno di sì col capo, poi si lecco il labbro e si perse un attimo nei suoi pensieri mentre la guardava con sguardo languido. "Sexy." esclamò solo. Emma fece cenno di dargli un buffetto, poi alla fine roteò solo gli occhi dietro alla testa e allora tutto tornò alla normalità. Poi lui guardò di nuovo in alto, si tenne la lingua tra i denti e bacchettò con un dito sul plaid a quadri. Dopo che ebbe finito si girò verso di lei. "Più grande desiderio da bambina?"
"E che ne so!" rispose lei infastidita dalle strane e troppe domande. Non è così che si conosce una persona! "Un cane?" immaginò che fosse quello che voleva. Ricordava di desiderarne uno quando aveva tra i cinque ed i dieci anni, ma era impossibile che glielo lasciassero tenere all'orfanotrofio, figuriamoci nelle case affidatarie. Se n'era completamente dimenticata e probabilmente non l'aveva mai detto a nessuno.
Tutte quelle domande stavano cominciando a darle sui nervi. Si distese di nuovo, per aggiungere un po' di spazio tra loro e riprese a guardare le stelle. Era strano che lui le fosse accanto, così vicino. Era a tutti gli effetti un estraneo e per tutto il tempo con cui era stata con lui non ci aveva mai fatto caso. Non ne conosceva la forma del corpo, l'odore, le abitudini: come metteva le mani, se era solito reggersi sui palmi o sui gomiti. La consapevolezza aumentò le distanze.
Killian la guardò un po' demoralizzato, poi decise di seguirla, rincorrendola. "Okay, okay!" mise le mani davanti come se volesse mettere qualcosa in mezzo per rassicurarla "La smetto." Mise le braccia sotto la testa a mò di cuscino.
Emma si portò le mani al petto ed incrociò le dita. Voleva cercare di non toccarlo neanche per errore, scappando di nuovo. Poi però ebbe voglia di sbirciarlo, così senza assolutamente girare il capo, con la coda dell'occhio lo spiò. Vedere il suo profilo perso nelle stelle ed immaginarselo da bambino a studiarle la addolcì. "Sei un cretino." mormorò.
Killian sorrise. "E' uno dei motivi per cui ti piaccio." replicò per stuzzicarla.
"Chi ti ha detto che mi piaci?" si difese lei senza neanche pensarci.
Killian abbozzò una piccola risata. La guardò, pensando a cosa rispondere. Emma gli restituì lo sguardo e un sorriso le affiorò tra le labbra. "Lo so." disse alla fine lui, in una variante delle mille volte che s'erano detti quella solita frase.
Emma slacciò le mani allora, cominciò a dire qualcosa ma poi s'arrese. "Non per quello almeno!" tentò.
"Oh! Invece sì!" non le concesse Killian e si lanciò addosso a lei con le dita pronte. Cominciò a solletticarla sui fianchi, la sovrastò e la costrinse distesa sul letto, continuando a cercare punti sensibili, fin quando lo trovò, il piccolo bastardo. Era una piccola linea di pelle tra l'elastico dei pantaloni e l'ombelico. Killian lo scovò in men che non si dica, facendola dimenare dalle risate. Emma tentò prima di trattenersi, stringendo le labbra le une con le altre, fingendosi di pietra, fino a che non esplose e le sue risa, unite poi a quelle divertite di lui, si persero nella notte.
Più tardi tornarono a casa di lei. Ripresero a guardare quel film a cui non avevano prestato attenzione. Lo rimisero daccapo, ma presto dovettero arrendersi a non scoprirne mai il finale, o tutta la trama dopo i primi dieci minuti. Si addormentarono sul divano. Killian si ridestò soltanto ai titoli di coda, così la scosse gentilmente per svegliarla e nella nuvola di confusione del sonno Emma alzò e raggiunse il letto. Dopo mezz'ora però era di nuovo in piedi, dopo essersi ricordata della cosa strana che stava succedendo a casa sua. Raggiunse allora a grandi passi il divano, dove lui stava guardando un programma alla tv, dove un uomo con una tuta da lavoro, davanti ad attrezzi industriali, spiegava i passaggi che una melma marroncina faceva prima in un'impastatrice, poi nei barattoli.
"Cos'è?" chiese allora lei.
Killian si ridestò, come incantato, forse non l'aveva sentita arrivare. La luce blu scuro della televisione gli illuminava la faccia ed una mano con cui si sorreggeva il mento. "Hm?" chiese lui. Recepì in ritardo il messaggio ed allora rispose "Burro d'arachidi." rispose. Poi sollevò un sopracciglio e guardò bene la televisione "Credo." aggiunse.
Era sovrappensiero, poco attento. Nonostante le occhiaie non chiudeva un attimo gli occhi. Fissava la televisione senza guardare attentamente, poi passava ad un altro punto qualunque, come l'attaccapanni o la porta d'ingresso. Le sue pupille erano dilatate e gli occhi neri.
Emma si strofinò gli occhi e si sedette accanto a lui. "Qualcosa non va?" si preoccupò lei.
Killian abbozzò un sorriso di convenienza, toccato dal suo interesse. "Ho appena realizzato che..." cominciò a spiegare, ma in realtà non sapeva neanche cosa dire.
Emma sapeva benissimo a cosa si riferisse. "Lo so." ricominciando con quel ritornello che tanto conoscevano.
"Devo andare a lavoro domani."
"Dovrei anch'io."
"E' stato bello." commentò poi.
Emma si chiese di cosa stesse parlando. Forse non pensare a Milah, alla sua vita che stava cambiando, avere una distrazione o passare forse del tempo con lei. Sembrava un punto a qualunque cosa che fosse stato a cui si stava riferendo. "Lo so." rispose di nuovo. "Puoi dormire qui se vuoi."
"Emma." cominciò lui, cercando di spiegare qualunque cosa gli stesse frullando in testa. Le afferrò la mano e poi la lasciò subito, come se non avesse voluto.
"Lo so, lo so." ripeté lei e se ne andò.
Gli recuperò una coperta calda, gliela lasciò sul divano accanto a lui, ancora piegata a quattro e se ne andò in camera da letto. Chiuse la porta per poter restare sola. Sentiva gli occhi bruciare, ma non l'avrebbero avuta vinta, così si lanciò sul letto, strizzò le palpebre e cercò di dormire.

Il mattino seguente Emma sapeva che non l'avrebbe trovato nell'altra stanza. La magnifica scena in cui si era imbattuta il giorno prima quando lui trafficava nella sua cucina non si sarebbe mai ripetuta. Non voleva aprire la porta della stanza. Finché stava dentro e non guardava fuori, lui poteva esserci e non esserci. Quel magnifico dubbio poteva sparire.
Si fece coraggio allora ed uscì. Non si stupì per niente di vedere il divano vuoto e la coperta ripiegata ed abbandonata in un nuovo punto. Quando la toccò era ancora calda.
Raggiunse la cucina e sorrise quando ci trovò una sorpresa: una tazza di caffé sul tavolo. Veniva da un bar, sotto al suo appartamento. Aprì il coperchio e vide la panna quasi del tutto sciolta nel liquido nero. Killian sapeva come le piaceva il caffé. Sorrise di nuovo come un'ebete. Quando lui non c'era, le pareva che lui la conoscesse come le sue tasche.
La giornata andò avanti col pilota automatico. Emma silenziò il cellulare, decisa a prendersi una pausa ed a pensare a tutto quello che sarebbe stato e che era stato. Ricevette due clienti e tra una pratica e l'altra fu difficile avere il tempo di riflettere. A metà giornata la lucina in alto sinistra sul suo smartphone segnalava una notifica, un mesaggio forse. Fissò per un attimo la lucina bianca, tamburellò il dito sulla plastica della sua cover e lo riposò, nascondendolo addirittura in un cassetto.
Quando finì erano le otto di sera. Aveva fame, si era rimpilzata di dolci e di schifezze e sentiva il bisogno di una cena vera. Sapeva che cucinando avrebbe soltanto evitato l'inevitabile. Guardò il cassetto in cui aveva chiuso il cellulare.
Cosa poteva dirle il messaggio? Che la stava lasciando? (Erano mai stati insieme?) Che non c'era mai stato niente? Che doveva tornare da Milah? Che non era stato niente quello con lei?
Non poteva saperlo se non prendeva quel dannato cellulare e leggeva quel dannato messaggio. In una esplosione di coraggio allora aprì il cassetto, afferrò il telefono e lesse il messaggio. Come togliersi un cerotto.
"Sto recuperando le mie cose all'appartamento. Cena?"
Chiedeva lui alle sei e mezzo. Niente di tutto quello che aveva immaginato. Le spuntò un sorriso sulle labbra e per il momento stava bene.
"Dove sei?" Digitò.
Dopo pochi secondi un altro messaggino le comunicava un indirizzo, quello dove aveva casa. Non sapeva nemmeno dove abitava. E così Emma, dimenticandosi persino della cena, saltò in auto e guidò fino al posto.

Killian era sulla strada, seduto sul marciappiedi circondato da macchie bianche e celesti sull'asfalto nero. Avvicinandosi Emma notò dei cocci di quella che pareva essere ceramica. Riconobbe poi piatti piani e fondi sfasciati e polverizzati, lanciati probabilmente dal palazzo di fronte.
"Che cavolo..." disse Emma, camminando tra i cocci.
Guardò in alto e vide Milah al piano di sopra, che tirava le ceramiche, uno alla volta dalla finestra, mentre prima uno e poi un altro spettatore si riunivano a guardare. La maggior parte delle persone però scappava, terrorizzata dai piatti volanti.
Con la punta del piede studiò e rigirò uno di quei frammenti: era bianco a bordi lisci e lavorati, con ghirigori a fiori celestini appena accennati. Si ricordò di una conversazione avuta con Killian Jones, che le spiegava che quando decidi di sposarti, i primi regali che ti recapitano a casa sono sempre piatti e bicchieri. Dovevano essere quei piatti che quell'isterica stava lanciando dal piano di sopra, i piatti del matrimonio.
"Scusa, sono stato un po' occupato e non ho potuto.." dovette evitare un piatto e tutti i cocci "...avvisare." fece ad Emma. Ed in quell'istante fu un attimo e la sua espressione cambiò. Killian diede un calcio ad uno dei cocci rimasti, si fermò le tempie con una mano per non lasciare i suoi pensieri correre via e scappare. Dopo quell'istante il suo respiro si regolarizzò di nuovo e si calmò.
"Lo vedo." fece Emma, non sapendo esattamente cosa rispondere. Ci si sente sempre un po' a disagio quando qualcuno che amiamo prova quella furia cieca che ti fa esplodere o ti rimbomba violentemente nel cranio. Killian esplodeva e la riversava nei calci e nei pugni, perché se li sarebbe voluti tirare addosso, farsi male, provare dolore fisico piuttosto che emotivo, perché non sapeva come gestirlo.
"Puoi farmi almeno il piacere di non tirarmeli in testa?" urlò lui.
Emma guardava tutti i piatti andare in frantumi. Killian anche fissava un piatto dopo l'altro e aveva quell'espressione sul viso. Emma sospirò, capì cosa era necessario fare. "Aspettami qui." gli disse e corse nel portone. Si fece tre rampe di scale a piedi, ma non aveva importanza. Arrivò finalmente a destinazione col fiatone. Non era mai stata lì e non sapeva quale fosse l'appartamento giusto. C'erano cinque porte ed un corridoio sul pianerottolo. Cercò tra i nomi e riconobbe una placchetta con inciso "Killian Jones, Milah Gold".
Bussò allora ed aspettò, ma non ebbe nessuna risposta. Allora con la mano cominciò a battere sulla porta. "Milah, possiamo parlare?"
"Non ci parlo con te!" le rispose lei urlando. La sua voce era fin troppo chiara, doveva essere appena dietro alla porta.
"No, hai ragione. Puoi solo ascoltarmi allora, d'accordo?" Lei si appoggia alla porta. "Ho sbagliato, è stata colpa mia. Killian, il tuo Killian, è un po' come me, sai? Ho dato di matto anch'io una volta. C'era questo ragazzo, perfetto, ho fatto in modo che mi mollasse perché ero spaventata dall'impegno, non ce la facevo dopo tanto tempo a non pensarmi più da sola. Ancora oggi mi chiedo cosa sarebbe successo se lui avesse tenuto duro con me. Forse oggi sarei felice. Capisci dove voglio arrivare?" chiese, ma l'altra non rispose e così s'accontentò sperando che bastasse. S'accorse anche di essersi ispirata al presente per quella tragica storiella. "Ok, ho capito io. Me ne vado, ma tu pensaci d'accordo. Ama te, non me."
La porta si aprì. "E tu?"
Emma si voltò verso Milah. Provò pena vedendola. Aveva le sclere rosse e gli occhi cerchiati di nero. Si sentì in colpa per davvero.
"Tu lo ami?" chiese lei più chiaramente.
"Non è importante."
Sapeva che la sua ammissione l'avrebbe calmata. Sperava che capisse che doveva mettere da parte la sua gelosia. Perché sì, avrebbe davvero potuto salvare tutto. Doveva, era la cosa giusta da fare.
Arrivò di nuovo al piano di sotto, si avvicinò a lui, seduto sul marciapiedi con le mani sulle tempie. Guardò in alto per controllare che Milah non fosse ancora lì e si concesse un ultimo contatto. Gli mise una mano sulla spalla, ultimo assaggio di una intimità rubata e desiderata.
"Che le hai detto?" le chiese lui con le lacrime agli occhi.
Emma sorrise. Per quanto facesse male, aveva fatto qualcosa per quelle lacrime e presto qualcuno gliele avrebbe asciugate e sarebbe andato tutto bene. "Sali." bisbigliò. Stava per piangere anche lei, ma non poteva, così inghiottì il singhiozzo che le stava salendo alla gola e strinse le labbra, cercando di sembrare tranquilla, sapendo che stava facendo un pessimo lavoro.
Killian s'alzò e si fermò a guardarla. Sbarrò gli occhi ed aprì la bocca, quasi fosse spaventato. Allungò una mano per prendere la sua, ma lei si ritrasse e strinse i pugni. "Sali." ripeté lei e finalmente quelle lacrime caddero traditrici sulle guance.
"Aspettami qui." cercò di assicurarsi lui, combattuto perché doveva andare almeno, glielo doveva, ma non voleva che la nuova vita che s'era scelto, quella tanto desiderata, se ne andasse e gli sfuggisse.
Ci fu un secondo, in cui si guardarono negli occhi ed entrambi videro un bivio, due scelte ed una sola possibilità. Rimasero in sospeso per quella che pareva un'eternità. Quando poi Killian abbassò gli occhi, nascondendo le iridi azzurre dietro le palpebre, il bivio si trasformò in una strada dritta.
"Certo." gli assicurò Emma.
Allora Killian, che quasi ci credeva, sollevato e pieno di speranze, aprì il portone e salì di corsa le scale a due a due.
Emma, dottor Stranamore, non rimase a guardare il resto. Sospirò, salì in auto e pianse. Mise in moto più veloce che poteva, così che nessuno potesse vederla neanche da una finestra. 



 




Angolo dell'autrice
Buon giorno a tutti!
Scommetto che siete in balia di sentimenti contrastanti: contenti che sia tornata, ma mi vorreste far fuori per l'assenza; contenti che ho aggiornato, ma non come ho aggiornato ;P 
Ops, I did it again! Scherzi a parte, chiedo umilmente pietà (tanto per cambiare) e credo e spero di avere più tempo ora per rimediare. 
Intanto vorrei chiedervi com'è andato il capitolo, se v'è sembrato affrettato oppure magari vi è piaciuto. Sto cercando di mantenere un tempo di narrazione intermedio nel passato, lento nel presente, per cui può essere facile che mi imbrogli. 
Spero vi sia piaciuto, almeno quanto è piaciuto a me scriverlo :)
Vi aspetto alla prossima, un bacio :*

  
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