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Autore: The DogAndWolf    01/02/2017    3 recensioni
Joan Piton non è una ragazza come tutte le altre. Lei non ha mai frequentato Hogwarts e la sua esistenza sembra essere nascosta a tutto il mondo magico.
Ma allora perché ha scelto proprio il sesto anno di scuola di Harry per uscire allo scoperto?
E cosa c'entra Joan con i piani di Silente e con quelli di Voldemort?
Riuscirà a sopravvivere alla Seconda Guerra Magica?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VI libro alternativo
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«Una Potter tra i nostri ranghi, il Signore Oscuro deve essere impazzito!» commentò Amycus Carrow con una smorfia.
Quelle parole attraversarono Harry come una pugnalata, paralizzandolo ancora per qualche secondo sul posto. In un istante tutto quanto acquistò un senso e gli piovve addosso schiacciandolo inesorabilmente.
Joan non poteva saperlo, ma il gesto che aveva appena compiuto per spettinarsi i capelli era un tic che era appartenuto a James Potter. Gli occhi verdi, il colore dei capelli e il volto erano di Lily, anche se il naso leggermente più lungo della media era chiaramente quello dei Potter, che Harry non aveva ereditato. L’altezza era modesta, in qualche anno Harry l’avrebbe sicuramente raggiunta e forse superata di poco; la sua bellezza era pari a quella di Lily alla sua età, anche se i capelli corti spettinati e l’espressione dura le donavano un’aria selvaggia e feroce che Harry non ricordava di aver mai visto in sua madre.
Joan rivolse uno sguardo di disgusto al mago che aveva parlato, suggerendo: «Dovrei informare l’Oscuro Signore di quello che osi dirgli alle spalle, Carrow.»
Mia sorella riuscì a concludere Harry, fissandola attonito.
«Fuori di qui, sbrigatevi» ordinò Piton in tono secco, mettendo fine al diverbio e ai pensieri del ragazzo nascosto sotto il Mantello dell’Invisibilità.
Prese per il colletto Malfoy, scioccato dalla trasformazione della ragazza (pareva fosse l’unico a non conoscere il vero aspetto di Joan) e dalla morte di Silente, e lo spinse giù per le scale, in testa al gruppo. Joan seguì Piton lanciando un’ultima occhiataccia al gemello Carrow.
La ragazza seguì l’uomo che l’aveva cresciuta, mentre la battaglia imperversava attorno a loro, impedendole di concentrarsi su altro. Tra urla, incantesimi e feriti arrivarono alla fine del corridoio, finché Piton urlò agli altri Mangiamorte: «È finita, andiamo!»
«Lily!»
Joan sentì a malapena la voce conosciuta chiamarla sopra il fragore dei duelli magici, quella voce che avrebbe riconosciuto tra mille altre.
Si voltò di scatto verso Rebecca, che si fece strada nella battaglia per raggiungerla. Si guardò attorno, esitando per qualche istante sul da farsi e notò Harry che spuntava dalle scale della Torre di Astronomia, saltando un Mangiamorte pietrificato. Realizzò che aveva assistito a quello che era successo nell’istante in cui gli occhi verdi trovarono la loro copia esatta in quelli del ragazzo.
Joan imboccò il corridoio parallelo a quello che aveva preso Piton, per guadagnare tempo sulla loro indecisione.
Rebecca si fiondò all’inseguimento della ragazza senza nemmeno darsi tempo di pensare; mentre Harry, dopo un attimo di indecisione, si gettò a rotta di collo dietro a Piton e Malfoy, cercando di allontanare ogni pensiero su Joan. La cosa che importava in quel momento era trovare Piton, facendo questo avrebbe raggiunto Silente, lui lo sapeva.
«Lily!»
Sorda ai richiami disperati di Rebecca, Joan si concentrò sul raggiungere al più presto il gruppo di Mangiamorte da cui si era separata. Sapeva cosa doveva dire a Rebecca, ma voleva evitarlo a tutti i costi.
Scostò studenti e professori con spallate incuranti, saltò corpi stesi a terra, senza riconoscerli, senza darsi modo di capire se fossero ancora vivi, attenta a non scivolare sulle scale ricoperte di sangue.
La bassa Corvonero non aveva il fiato per starle dietro, ma un’altra forza le venne in aiuto in quella corsa che le sembrò infinita: raggiungere quella ragazza era l’unica cosa che importava. Perché si sarebbe risolto tutto quanto e sarebbe ritornato tutto come prima, lei lo sapeva.
Joan raggiunse il portone e lo spinse con tutte le proprie forze, ma questo la rallentò inevitabilmente e Rebecca riuscì ad afferrarle la manica della veste mentre usciva nella fredda notte.
Rischiarono di cadere entrambe sui gradini all’entrata della scuola, ma Joan recuperò l’equilibrio e sorresse istintivamente Rebecca, ritrovandosi faccia a faccia con quest’ultima, i volti più vicini di quanto avrebbe voluto in quel momento.
«Lily…»
Fu poco più di un sussurro quello che uscì dalle labbra della bruna mentre gli occhi blu cercavano con insistenza, quasi freneticamente, qualcosa, un segno nei lineamenti di quella ragazza che aveva creduto di conoscere.
La rossa si scostò velocemente da lei, scendendo gli scalini a due a due, gli occhi puntati su due figure distanti che correvano nel buio.
«Lil-…»
«Joan!»
Senza accorgersi aveva urlato il proprio nome, con rabbia, rivolta verso la Corvonero davanti a lei. Gli occhi verdi accesi da una follia incomprensibile a Rebecca, un’ira che tante volte aveva visto e che era sempre riuscita a placare. Ma non questa volta.
«Il mio nome è Joan Potter.»
La seconda esplosione fu più controllata, anche se delle scintille rosse provennero dalla punta della bacchetta bianca striata di nero, che non si era nemmeno resa conto di aver sfoderato.
Gli occhi blu di Rebecca si appannarono di lacrime: non capiva e non voleva capire cosa e chi avesse davanti agli occhi. Si rifiutò categoricamente di pensare che la ragazza che amava le avesse mentito per tutto quel tempo. Ci doveva essere sicuramente un errore, non poteva accadere.
«Ma… cosa sta succedendo?»
Mosse un passo verso la persona che pensava di conoscere di più al mondo, ma Joan mosse con uno scatto felino la bacchetta, come un colpo di frusta, e un segno si delineò ai piedi di Rebecca, bruciando l’erba al passaggio dell’incantesimo.
«Stai indietro. Non seguirmi.»
La voce era ferma, il volto una maschera, aveva recuperato il controllo: la chiave era non dimostrare alcuna emozione.
Rebecca cercò freneticamente nel verde di quegli occhi, ma li ritrovò vuoti. Due pozzi neri senza fondo addestrati a mentire.
Fu allora che qualcosa scattò nella Corvonero, proprio quando Joan fece per voltarsi e scappare, scappare e agire secondo i piani. Riuscì a vedere tutto il tempo che avevano passato assieme come se fosse una spettatrice oggettiva ed ebbe un’intuizione. Un’intuizione che presupponeva qualcosa di gigantesco dietro a tutte le azioni di Joan, più grande del loro destino, più grande di tutto quello che aveva attorno. Un’intuizione che parlava di un bene superiore che prescindeva tutto quanto, persino la sincerità dell’amore che Joan provava nei suoi confronti. Perché sapeva quanto fosse sincero.
Rebecca alzò la bacchetta e un incantesimo scaturì dal nucleo di peli di Unicorno fino alla punta di noce nero, senza che lei pronunciasse una sola parola. Non era mai riuscita a fare un incantesimo Non Verbale prima d’ora, men che meno contro un’altra persona. Non era mai nemmeno riuscita a scagliare un Impedimenta in tutta la sua vita. Ma non poteva permettere a Joan di fuggire, non quando era così sicura di aver trovato la verità dietro al passato e al presente che stava vivendo.
L’Impedimenta colpì Joan al fianco sinistro e la scagliò di faccia nel fango, due metri più in là.
La rossa alzò immediatamente la testa e si rese conto di avere ancora la bacchetta nella mano sinistra, quindi la fece scivolare istintivamente nella propria manica destra, frastornata dal colpo ricevuto, aspettandosene un altro.
«Voglio sapere cosa sta succedendo, Lily.»
Joan conosceva i piani e sapeva cosa avrebbe dovuto fare, ma questo non le rese più facile abbandonarsi ad una risata vuota, canzonatoria.
«Ti ho già detto che mi chiamo Joan.»
Individuò le due figure che stava seguendo davanti a lei, due ombre che si stagliarono improvvisamente sullo sfondo del fuoco appiccato alla capanna di Hagrid.
Riconobbe la voce di Harry nella fredda notte, ma non comprese cosa stesse urlando.
«I piani dell’Oscuro Signore si completeranno grazie a noi fedeli servitori. I Sanguemarcio e i traditori periranno.»
Joan si alzò tenendo le mani in alto, in segno di resa. Si girò con tutta la lentezza di cui era capace in quel momento verso Rebecca e vide il dubbio nascere sul suo volto. Un dubbio che intaccò la determinazione che le aveva permesso di usare la magia contro di lei.
Le rivolse un ghigno e sentì il sapore metallico del sangue che proveniva dal suo labbro superiore, che doveva essersi spaccato nella caduta.
«Puoi ancora salvarti. Unisciti a noi e salvati, Beck.»
Il suo tono era mellifluo e dolce, ipnotico come una melodia magica.
Lentamente sollevò la manica destra della veste, impugnando la bacchetta al di sotto di essa con la mano sinistra, rivelando un tatuaggio orribile in inchiostro nero. Ritraeva un serpente che usciva dalla bocca di un teschio: lo stesso simbolo che sovrastava la Torre di Astronomia in quel preciso momento.
Le certezze di Rebecca Raeburn crollarono davanti al Marchio Nero che Joan le stava mostrando e abbassò senza rendersene conto il braccio armato mentre la disperazione cresceva in lei, il dubbio sgretolava in un battito di ciglia la sua determinazione. Scosse lentamente la testa con un’espressione d’orrore in volto, incapace di parlare o agire.
Joan, con velocità fulminea, sfoderò la propria bacchetta dalla manica e il suo Schiantesimo silenzioso colpì in pieno petto la Corvonero, che perse all’istante i sensi cadendo supina a terra.
Allora si avvicinò al corpo esanime e si lasciò andare ad un lungo sospiro tremante fissando il volto della ragazza Schiantata e abbandonò le braccia accanto ai fianchi senza più alcuna forza.
Si immaginò miliardi di soluzioni per evitare quella situazione, si perse in un mondo alternativo in cui era libera di fare quello che voleva, senza piani, intrighi o obblighi verso niente e nessuno. Un mondo in cui poteva essere felice senza preoccuparsi di un fantomatico bene superiore.
Un mondo su cui Albus Silente le aveva mentito, convincendola che avrebbe potuto essere reale e tutto quello che bastava per renderlo tale era una sua scelta. Una scelta che non aveva mai avuto.
Delle urla la riscossero dai suoi pensieri e vide l’ombra di una bestia gigante attaccare Severus Piton. Riconobbe Fierobecco e, senza darsi il tempo di ragionare, si trasformò in una volpe per raggiungere il più velocemente possibile l’uomo che l’aveva cresciuta, l’unica persona al mondo che nonostante tutto sarebbe sempre rimasta dalla sua parte.

 
*****
Eccomi finalmente qui con il penultimo capitolo! Scusate la lunga assenza, ma ho fatto veramente fatica a concluderlo: non si voleva proprio scrivere!
Spero che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate e vi do appuntamento a domenica per l'ultimo capitolo di questa fanfiction.
A presto!
   
 
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