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Autore: Freya Dakets    05/02/2017    0 recensioni
In una cittadina come tante ci sono due case come tante, una di fronte all'altra. E due finestre, anch'esse una di fronte all'altra, conducono alle camere di due ragazzi molto diversi.
Layla McNear ha un passato felice alle spalle. La sua vita era perfetta, finché in una sola notte il suo mondo non è collassato su se stesso prima del previsto.
Shawn Anderson è un ragazzo costantemente arrabbiato con il mondo, una di quelle persone alle quali non importa mai abbastanza di nulla. Ma un tempo non era così.
"Sai che da bambini Shawn era innamorato di te?"
"Sì, ma adesso le cose sono cambiate."
"Ti sbagli. Certe cose non cambiano. Certi sentimenti fanno a botte con il destino, e vincono. Certi sentimenti si piegano, ma non si spezzano. Certi sentimenti sono più forti del tempo e della distanza."
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 2
 

Non sono sempre stata così depressa nella mia vita. Anzi, a dire la verità sono sempre stata un tipo piuttosto solare. Amavo le feste, ma solo quel
le che organizzavamo io e la mia migliore amica Hannah, quelle "esclusive" in cui non ti ritrovi gente sconosciuta che vaga per casa tua. Le lunghe passeggiate all'aria aperta, il mio skate, la fotografia, le pazzie con gli amici. Ecco le mie passioni elencate in ordine sparso.
Quella sera doveva esserci la partita di basket di mio fratello. Non una partita qualunque, ma la partita. Sarebbe stato presente l'allenatore della M.C. Rolls, un'importante squadra. Continuavo a prendere in giro mio fratello per l'importanza che arrecava a quell'evento. E quella sera decisi di rimanere in casa con la scusa di dover fare i compiti, anziché supportare Nate. In realtà dovevo uscire con Zach, un amico che stava per diventare qualcosa di più. Ma né Nate né i miei genitori arrivarono mai a destinazione. Magari, se fossi andata con loro le cose sarebbero state diverse. Se non avessi preferito un ragazzo arrivato ubriaco davanti alla mia porta a loro, saremmo partiti più tardi, o saremmo partiti prima, ma non in quell'esatto istante fatale. So che la morte dei miei genitori non è colpa di Zach, ma lo odio ugualmente perché è più facile trovare un colpevole e io ho bisogno di qualcuno al quale arrecare la colpa di quanto accaduto. Sarò ingiusta, ma lo è anche la vita.
E' una mattina di fine Febbraio. Zio John e zia Katy sono già andati a lavoro, li ho sentiti uscire. Lego i miei lunghi capelli rossi in uno chignon. Non sono molte le cose da fare in questo momento. Potrei parlare al telefono con Hanna, ma lei è a scuola e non ho comunque voglia di parlare con nessuno dei miei amici. Renderebbe solo più difficili le cose. Devo ancora realizzare quanto accaduto finora. Estraggo un libro dagli scaffali nel tentativo di immergermi nella lettura e dimenticare il resto del mondo, ma è completamente inutile. Arrivata in fondo alla pagina mi rendo conto di non aver capito nulla di quanto letto. Chiudo il libro con un sospiro.
Fuori il cielo è nuvoloso, ma non dovrebbe piovere. Prendo il cappotto dall'attaccapanni e afferro la mia Nikon, quindi esco fuori di casa conservando le chiavi in tasca.
Qui nessuno sa chi sono e, per qualche istante, posso fingere di non saperlo nemmeno io. La strada è completamente deserta.
Accendo la macchina fotografica e inquadro un tetto rosso in particolare contrasto con il cielo grigio, poi scatto. Se non ricordo male, poco distante deve esserci un piccolo bosco con un lago. Decisa a raggiungere il luogo, non mi accorgo della presenza di qualcuno alle mie spalle, se non quando apre bocca.
-Layla - dice semplicemente.
Mi volto di scatto, sulla difensiva, ma per la terza volta in due giorni incontro quegli occhi azzurri in contrasto con i capelli neri. Gli occhi del ragazzo che abita accanto a me. Lo osservo per qualche istante, spiazzata.
-Ci conosciamo? - Gli chiedo.
Un lieve sorriso affiora sulle sue labbra, formando una leggera fossetta sulla guancia sinistra.
-Sono Shawn, ricordi? Giocavamo insieme qualche volta, da bambini - spiega.
Rievoco alla mente i momenti passati a casa di zia Katy prima che lei e la mamma si allontanassero qualche anno fa. Ricordo uno Shawn. Mio cugino era amico di suo fratello e noi due avevamo la stessa età, quindi sì, passavamo del tempo insieme. Ma lo Shawn che ricordo, leggermente in sovrappeso, non sembra avere nulla a che vedere con il ragazzo snello e alto con un piercing al sopracciglio che mi ritrovo davanti in questo momento. Tranne per un dettaglio: gli occhi. Gli occhi sono gli stessi.
-Certo che mi ricordo di te! - Esclamo, cercando di mettere un po' d'entusiasmo nella mia voce da giorni piatta.
-Perché sei qui? - Mi domanda subito dopo, un'espressione indecifrabile in volto.
Che diamine...?
-Passerò un po' di tempo a casa dei miei zii - rispondo, evitando il suo sguardo.
-Perché? - Domanda ancora.
Sollevo gli occhi su di lui, tentando di non far trapelare la rabbia che sta montando dentro di me.
-Sai chiedere solo perché? Affari miei - dico, voltandomi dall'altra parte e iniziando ad incamminarmi.
La sua può anche essere semplice curiosità, ma ci sono modi e modi. E sinceramente, non sopporto le persone insistenti.
-Se vedi tuo cugino, digli che lo voglio morto - mi urla dietro.
Mi blocco all'istante, dopodiché mi giro verso di lui.
-Che diavolo di problemi hai? - Gli chiedo. -Non ci vediamo da anni, posso dire di non conoscerti nemmeno e sputi subito minacce?!
Continua ad osservarmi, impassibile.
-E comunque, abbiamo la stessa età. Non dovresti essere a scuola? - Gli chiedo.
Si sforza per trattenere una risata.
-Io faccio quello che voglio. In più, potrei dire lo stesso per te.
Inarco un sopracciglio.
-Sei più sfigato di quanto ricordassi - concludo, incamminandomi definitivamente verso dove ricordo si trovasse il bosco.
Un tuono poco lontano però mi fa ricredere. Non è una buona idea dirigersi verso una foresta che non conosco bene con un temporale in arrivo.
Shawn è ancora fermo dove si trovava poco prima.
-Ti consiglio di rimandare la tua gita, sirenetta. E anche di tenere gli occhi ben aperti, in questa città - mi dice.
Dopodiché si avvia verso una moto nel suo giardino. Indossa il casco e, senza rivolgermi un'ulteriore occhiata, mette in moto e parte. Spero tanto che il temporale lo investi in pieno.
Scuoto la testa mentre ripenso al soprannome con il quale mi ha chiamata, sirenetta, lo stesso che usava quando eravamo bambini per via del colore dei miei capelli. Anche se non lo vedo ormai da almeno quattro anni e mi ero quasi dimenticata della sua esistenza, tanto da essermi dimenticata che vivesse esattamente nella casa accanto a quella di zia Katy, percepisco una sorta di nostalgia, nostalgia per quel periodo della mia vita in cui era tutto semplice, in cui era semplice farsi degli amici, in cui non dovevo prendere decisioni importanti, in cui la mia vita aveva ancora un senso e non era stata ridotta in numerosi cocci di vetro dalle diverse dimensioni che mi fanno vedere la realtà in maniera distorta.
La prima goccia di pioggia cade sulla mia testa, come una lacrima solitaria. Tiro fuori le chiavi di casa dalla tasca. Per oggi, troverò un altro passatempo. Domani si vedrà.

 
   
 
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