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Autore: Gaia Bessie    07/02/2017    4 recensioni
Rose ha da poco inviato le partecipazioni al suo matrimonio con Scorpius Malfoy.
Jem Potter è appena tornato dalla Romania, con più cicatrici del previsto, e credendo che le persone siano in grado di aspettare.
«Sì, resto qui. Resto quanto vuoi».
«Fantastico!» strillò Lily. «Oh… ma perché piangi?».
Perché le persone se ne vanno, Lily. Perché, a volte, vorrei andare via anche io: prendere un treno. Salirci sopra o andarci, sotto, non c’è molta differenza. Prenderlo e non tornare.
Anche la terra può essere casa o tomba, non solo il cielo.
«Non so che fare, Lils» sussurrò Rose, piangendo sulla spalla della cugina. «Non so dove andare».
«Ma tu sei Rose» osservò Lily. «Tu sai sempre cosa fare».
«Non questa volta».
«E avrai sempre un posto dove andare» disse, Lily Luna, ignorandola. «Perché, anche quando non ti vorrà nessuno, potrai venire da me».
Ma tu non ci sarai per sempre, Lily. L’hai detto anche tu, che un giorno sparirai: polvere alla polvere.
Quarta classificata al contest "Are you mine" indetto da Mary Black sul forum di Efp
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: James Sirius/Rose, Rose/Scorpius
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Nuova generazione
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Note dell'Autore: Mi sono permessa di esagerare, in questa storia. Non scrivo molto sulla nuova generazione e, ammetto, mi sono lasciata prendere la mano: è venuto qualcosa di immensamente più complicato di quanto non avessi inizialmente progettato.
Il titolo, devo segnalarlo, proviene da una canzone di un cartone Disney (Meet the Robinson), Little Wonders. Le frasi tra parentesi sono, una mia (ed è tutto qui, niente di più), l’altra ripresa dal testo originale della canzone.
La storia di Lily è parzialmente ispirata ai sintomi dell’Alzheimer, sebbene abbia cause estremamente diverse, forse più simili a un’amnesia provocata da un trauma fisico.
Per quanto riguarda James e Rose, non saprei, anche qui la questione si è evoluta in maniera particolare: inizialmente avevo in mente un’altra interpretazione di quel “non riuscire a resistere”. Poi, mi sono resa conto che quel “non riuscire a resistere” non doveva per forza implicare un cedere a James in ogni cosa: Rose presumibilmente lo ama, ma razionalmente si rende conto che l’unica maniera per non continuare a cedere a quel rapporto che si è creato, è fuggire. E qui smetto con gli spoiler.
Per quanto riguarda il soprannome di James, Jem, mi sono ispirata direttamente alla saga di Shadowhunters – le origini di Cassandra Clare.
La 1 è colpa di Cartesio e dell’esame di filosofia teoretica: mi è piaciuto moltissimo come viene spiegato l’errore, nella Quarta Meditazione. Ovvero, in breve: se Dio esiste, ed è benevolo (quindi non portato a ingannarci), l’errore a cosa è imputabile? Non all’intelletto, che di suo è limitato, perché non si può pretendere di pensare che Dio ci abbia dato una facoltà meno perfetta del dovuto. Ma al libero arbitrio, che ci consente di formulare giudizi anche dove l’intelletto smette di avere certezze.
 
 



 
 
 
«James Sirius Potter!» l’urlo di Ginny Weasley sembrò quasi voler crepare i muri. «Come hai solamente potuto pensare di poterti permettere…».
James sbuffò, trattenendo a malapena un risolino sarcastico, che sua madre non mancò di notare.
«Vedo che non hai smesso di controllare la posta di Lils» osservò, passando una mano nei folti capelli scuri. «Pensavo fosse solamente un modo di dire, quello delle abitudini dure a morire».
Sua madre arrossì, divenendo quasi della stessa totalità del suo chignon, scarlatto come il cuore di una fiamma, nonostante l’incedere degli anni.
James scosse il capo, con aria di infinita superiorità, le braccia abbronzate incrociate sul petto.
«Sai com’è tua sorella» mormorò Ginny, pensando a quanto fosse sbagliato dover dare una spiegazione al proprio primogenito. «Non voglio che veda certe… cose».
Si domandò, distrattamente, quando avesse iniziato, James, ad allontanarsi da lei. Qual era stato il momento, l’attimo, in cui era diventato un adulto dal sorriso tagliente come una lama, e con quegli occhi duri come una roccia, sebbene fossero sempre la replica esatta dei suoi.
Chissà se c’era davvero stato, un attimo, un secondo, in cui suo figlio aveva deciso di recidere anche l’ultimo frammento di quel cordone che li aveva uniti, ormai quasi ventisette anni prima.
«Ne arrivano ancora molte?» domandò James Sirius, il bel viso distorto da un’ombra di preoccupazione.
Ginny annuì, indicando con un cenno del capo il tavolo della cucina, pieno di lettere ancora da smistare.
«Alcune nemmeno le apro io, prima tuo padre preferisce guardarle personalmente» ingoiò un singhiozzo, cercando di forzarsi a non piangere. James non l’avrebbe sopportato: come si spiega a un bambino che anche le mamme possono piangere?
«Spesso capita che contengano… maledizioni, o altre diavolerie. Una era stata scritta con un veleno che brucia la pelle».
James Sirius abbassò lo sguardo e, con orrore, notò che sua madre aveva la mano destra bendata. Una fasciatura che continuava a tormentare, tirandone il nodo, e che probabilmente nascondeva una brutta ustione.
«Non mi sembra che zia Hermione smisti la posta di Rose» osservò James, storcendo la bocca nel pronunciare il nome della cugina.
«Non ne ha bisogno» mormorò Ginny, scuotendo il capo. «Solitamente se ne occupa Scorpius ma, per quanto ne so, non è così grave».
«Già, almeno Rose non ha sposato un vecchio».
Ginny si portò le mani davanti alla bocca, spalancando gli occhi. Istintivamente si voltò verso la porta, forse timorosa che Lily Luna, dal giardino, fosse in grado di udirla.
«James» sibilò. Il rossore del viso si stava diffondendo, a chiazze, sul collo. «Non parlare così di tua sorella».
James sorrise, guardandosi attorno, scivolando sulla figura di sua madre come se fosse stata solamente l’ennesimo ornamento della cucina, al pari di un vaso, o della foto appesa sulla parete nuda. Lui, Albus al centro, ancora senza camicia e gel nei capelli, e Lily sulla sinistra.
In un tempo, pensò, in cui James non era scappato, e Lily non era diventata la puttana di un ex Mangiamorte. Come avevano fatto, tutti e tre, a cambiare così tanto?
Quale scintilla, che catalizzatore, che cosa aveva innescato una mutazione così distruttiva nella cucciolata Weasley-Potter?
«Qualche volta, è esattamente la verità, mamma» mormorò James, sporgendosi verso di lei, e dandole un bacio sulla fronte.
Il bacio di Giuda?
«Niente di più».
 
 
Little Wonders
{Ed è tutto qui, niente di più}

 
 
«Hai sentito cosa ha combinato tuo cugino?» Cleo Nott ridacchiò, mettendo in mostra una fila di denti bianchi come perle.
Ne aveva persi un paio, l’estate prima, quando suo marito le aveva dato uno schiaffo così forte da farle cadere gli incisivi, imprimendole nella bocca l’anello con lo stemma di famiglia.
Rose Weasley alzò lo sguardo, con aria annoiata, mentre osservava criticamente la criniera leonina, che strabordava dalla coda in cui era stata costretta.
«Mio cugino chi?» domandò, maledicendo mentalmente la stupidità della sua compagna. «Sai, non siamo esattamente pochi, in famiglia…».
Cleo rise nuovamente: doveva essere proprio orgogliosa, di quei denti, pensò distrattamente Rose.
«Potter senior» trillò Cleo, quasi battendo le mani. «Non hai sentito? Pensavo che già sapessi tutto».
Rose non si diede pena di rispondere al commento della sua amica, ma continuò a scrutarsi nello specchio, quasi come se stesse cercando qualcosa – qualcuno?
«A quanto pare ha messo incinta una ragazza, ed è tornato qui… scappando come un codardo!».
Rose alzò un sopracciglio, di fronte all’ilarità di Cleo.
«Ah, già» osservò, laconica. «Non tutti sanno essere gentiluomini come tuo padre».
Cleo strinse le labbra, rendendole un’unica cicatrice sul viso olivastro.
Theodore Nott, l’anno precedente, aveva dato scandalo, cacciando di casa la moglie, per poi sposare la propria amante in seconde nozze.
«Rose, non prendertela con me solamente perché sei…».
La rossa lanciò un’occhiata di avvertimento, che palesemente Cleo non colse, o ignorò.
«Spaventata».
«Non sono spaventata» l’aria uscì dai denti come un sibilo. Rose si accorse di aver serrato le proprie mani sul legno scuro di un vecchio portagioie. «Io non ho mai paura».
«Comunque sarà sicuramente stata una puttana» il termine volgare sembrò stonare con il rossetto color malva di Cleo. «Tutte così, le amanti».
Rose, dal canto suo, finse di non cogliere la frecciatina, palesemente indirizzata verso l’ultimogenita del clan Weasley-Potter: Lily Luna aveva quasi l’età di Cleo, ed era la sua matrigna.
Lei l’aveva presa filosoficamente, ridendo da matti al pensiero della bellezza di Lily sprecata con Theodore Nott, che già aveva iniziato ad assumere le forme flaccide della vecchiaia.
In famiglia, era stato diverso. E anche nel resto del Mondo Magico: Lily Luna aveva tradito la causa dei suoi genitori, la causa del mondo, semplicemente innamorandosi di un Mangiamorte, figlio di Mangiamorte.
«Lo inviterai alla festa di fidanzamento?» Cleo la scosse per un braccio, distogliendola dai suoi pensieri.
Rose scrollò le spalle, indifferente. «Suppongo di doverlo fare» osservò. «Si tratta sempre di mio cugino».
L’ultima parola le fece un po’ storcere la bocca.
 
 
***
 
«Mamma, scusami, perché depositi la posta di Lily sul mio letto?» James Sirius agitò una busta color crema sotto il naso della madre. «Hai forse finito i tavoli?».
«No, tesoro, non è di Lily» osservò. «È arrivata stamattina, per te. È di Rose, finalmente lei e Scorpius hanno deciso di comunicarci la data del matrimonio».
James lasciò cadere la busta come se fosse stato scottato. Si costrinse a ridere, gettando la testa indietro con aria plateale.
«Zio Ron non ne sarà contento» osservò, scuotendo il capo.
Ginny ridacchiò, anche se per finta, mentre cercava di spiegarsi la tensione annidata nella mandibola del suo primogenito.
«Non me ne parlare» disse, alzando gli occhi al cielo. «Sembra quasi che Rose stia andando al patibolo».
«Credo che sposare il figlio di un Mangiamorte sia quasi la stessa cosa».
Sua madre non commentò, pensando che anche sua figlia, la sua bambina, era sposata con un Mangiamorte. Ed era vistosamente incinta di suo figlio.
«Andrai?» si limitò a domandare, stringendo le mani tra di loro. «Hermione mi ha detto che a Rose farebbe molto piacere. Posso farti trovare qualcosa che vada bene, o puoi scegliere da solo».
James nemmeno la guardò in faccia, forse temendo che sua madre fosse ancora in grado di comprenderlo, sebbene, alla fine, si fosse deciso a crescere.
«No, non andrò» disse. «E non pensarci nemmeno, a prendermi comunque un abito: usa quei Galeoni per comprare qualcosa per il bambino di Lily. Come qualche amuleto contro le maledizioni, ad esempio».
Ginny abbassò lo sguardo.
«James…».
Lui sospirò, forse pentendosi di quel tono duro usato.
«No, mamma» mormorò. «Mi dispiace tanto, ma non ho alcuna intenzione di andare».
Si trattenne dall’abbracciarla: sarebbe significato tornare bambino, e non poteva. Non più.
Crescere, in qualche modo, è anche il rifiuto di tornare indietro. E per quanto sua madre sembrasse stanca, provata, da Lily e le sue lettere, da Albus che non tornava a casa da chissà quante sere, sebbene abitasse nella casa di fianco, James non riuscì a darle conforto.
Sono i bambini che vengono abbracciati dalle mamme, non viceversa.
E, mentre sua madre tornava a sbirciare tra le poste di Lily, evitando accuratamente le Strillettere, James si domandò se non fosse il caso di chiederle scusa.
Ma non gli venivano le parole.
 
***
 
Hermione non avrebbe saputo dire quando sua figlia avesse iniziato a scolorire in quel modo: forse c’era un momento, un attimo, in cui Rose si era spezzata ed aveva iniziato ad usare ogni suo colore per rimanere tutta d’un pezzo.
O, forse, non era stata una rottura così netta, ma un processo, qualcosa che nel tempo era accaduta, e basta.
Inizialmente, e se ne sarebbe pentita mille volte, aveva attribuito a Scorpius Malfoy la causa di quel cambiamento. Aveva pensato che lui fosse la ripicca che Rose doveva al padre, fin dai suoi primi ricordi: a dodici anni, dopo una furiosa lite, sua figlia aveva urlato che non sposerò mai qualcuno come te, papà.
Ma come avrebbe potuto odiare, lei, Hermione Granger, qualcuno che non aveva colpa?
Perché Scorpius era anche più preoccupato di lei, mentre mescolava lo zucchero, che in realtà non aveva messo, nella sua tazza di tè.
«A volte, penso che le manchi qualcosa» mormorò Scorpius, con aria affranta. «A volte so che, anche se le sto dando tutto, il mio tutto non è abbastanza».
Hermione sorrise, cercando di rassicurarlo. Non gli disse che, a volte, anche lei pensava la medesima cosa.
«La proteggi da tutto, Scorpius» disse, conciliante. «A lei non succederà mai nulla di quello che è successo a Lily».
Ed era esattamente per quello, che Ron aveva pianto, nel momento in cui Rose gli aveva svelato l’identità del suo misterioso fidanzato. Non un’altra Lily, aveva detto. Non di nuovo.
Ma con Scorpius non c’erano mai state lettere, o maledizioni, Rose non aveva mai visto nulla di tutto ciò: lui non l’aveva mai permesso.
«Mia cugina dice che forse ha solamente paura» sorrise, amaramente. «Ma, davvero? Paura? Rose? Non credo abbia mai avuto paura in tutta la sua vita… credo che quasi le piacerebbe».
Scorpius scosse il capo, il biondo Malfoy lievemente mitigato dalla chioma più scura di Asteria Greengrass.
Per un momento, per un singolo istante, Hermione Granger pensò quasi che il figlio di Draco Malfoy avrebbe potuto scoppiare a piangere lì, seduto davanti a lei.
 
***
 
«Oh, ciao…» Lily strinse le labbra, in un’espressione quasi buffa, mentre continuava a tormentare la lunga gonna blu che indossava.
«Rose» la interruppe la cugina. «Siamo parenti. Ci conosciamo da più o meno una vita».
«Sì, sì, lo so!» strillò Lily Luna, stizzita. «Perché pensate tutti che non riesca a ricordare nulla?».
Rose alzò gli occhi al cielo, trattenendosi dallo sfogare tutta la sua irritazione sulla cugina.
«Perché, effettivamente, non ricordi quasi nulla, Lils» osservò. «Non che sia colpa tua, ma diciamo che è inevitabile».
Lily Luna sbuffò, mettendo su quell’adorabile broncio che le era valso il cuore di Theodore Nott. E l’odio eterno di Daphne Greengrass, e di sua figlia.
«Tu c’eri» suonò come un’accusa. «Non capisco perché ne parli così».
Rose rischiò di strozzarsi con il suo stesso respiro: capitava così raramente, che Lily ricordasse qualcosa dell’incidente. Quando succedeva, era come ricevere una pugnalata.
Sì, si disse mentalmente, lei c’era. Rose era lì mentre Lily frugava nel mucchio di lettere a lei indirizzate, alla ricerca di una busta spedita dal fratello.
Rose era lì mentre Lily apriva la busta sbagliata.
«Sono solo stanca, Lils» si giustificò, passando una mano nei capelli. Alcuni le rimasero tra le dita. «Lo sai, domani è solamente il primo di una sfilza di Grandi giorni».
È stata fortunata, avevano detto al San Mungo. Lily era stata fortunata perché aveva aperto un angolo soltanto di quella busta, prima che il mondo esplodesse.
Perché quella maledizione l’aveva presa solamente per un soffio, non cancellandola tutta in una volta, ma decidendo di divorarle la memoria giorno dopo giorno.
«Dici che potrei venire anche io, a vederti provare il vestito?» domandò Lily Luna, sorridendo dolcemente. «Magari potrei chiedere a Theo di portarmi».
Lily aveva giorni buoni e giorni cattivi: giorni in cui era perfettamente lucida, e giorni in cui bisognava quasi ricordarle di respirare.
Un giorno aveva quasi rischiato di uccidersi, e di uccidere il bambino che irrispettosamente le gonfiava quel corpo troppo esile, lanciandosi da una finestra, credendo di poter volare.
Per la prima volta dopo giorni, Rose sorrise.
«Mi farebbe piacere» sussurrò. «Come mi farebbe piacere se cambiassi idea sul matrimonio».
Rose aveva chiesto almeno dieci volte a Lily Luna di farle da damigella al suo matrimonio con Scorpius, sia in giorni buoni sia in giorni cattivi, e anche in uno che era stato pessimo.
Aveva sempre avuto una sola risposta.
«No, Rosie» Lily aveva un sorriso talmente malinconico che scioglieva il cuore. «Non ti metterei mai così in imbarazzo».
«Non mi metti mai in imbarazzo, Lil».
Era la cosa più vera che aveva pronunciato nell’ultima settimana. Ma Lily la guardava e sorrideva, con quel raro riflesso di consapevolezza negli occhi castani.
«Sono malata» mormorò, con aria affranta. «Non posso dirti di sì e rischiare, per quel giorno, di non ricordarmi cosa devo fare, dove devo andare. Io non farò più vergognare nessuno, di me».
 
***
 
Albus Severus Potter sbuffò, allentando la cravatta che gli cingeva il collo, come un cappio. Ancora non riusciva a comprendere perché Rose si ostinasse a organizzare la mensile riunione di famiglia proprio nella stanza più calda del Malfoy Manor.
Presumibilmente, lo faceva per mera opposizione al padre che, se avesse saputo, l’avrebbe sicuramente tagliata fuori dal testamento. Non solo dal suo, ma da quelli di tutta la famiglia.
«Allora» trillò la bionda Dominique, quasi battendo le mani. «Questione matrimonio: hai già deciso le damigelle?».
Rose alzò gli occhi al cielo, seguita da metà dei presenti. Lily Luna, seduta su una poltrona verde scuro, sussurrava qualcosa a una farfalla di carta, uscita dalla sua stessa bacchetta.
«Deciderò quando Lily si deciderà» osservò Rose, laconica. «O quando qualcuno riuscirà a farla decidere».
Lanciò una significativa occhiata ad Albus, che finse di non cogliere il sottinteso.
«Malfoy che ne pensa?» la domanda arrivò attutita, da dietro le spalle di Lily. «La vuole, Lily, a rovinare il suo giorno perfetto?».
«James!» strillò Lucy, la più piccola della nidiata di Percy, coprendosi la bocca con entrambe le mani. «Come puoi…».
James Sirius sorrise, sfoderando la sua migliore espressione irriverente. «Certo che posso» osservò. «Non mi sembra che nessuno me lo stia impedendo».
«Stai parlando di quello che sarà mio marito, Jem» osservò Rose, fredda. «Nel caso te lo fossi dimenticato».
James la guardò e, per un attimo, sembrò dimenticarsi degli sguardi dei suoi cugini.
«Lo so, Rose» mormorò. «Cerco di non dimenticarlo mai».
 
***
 
«Jem, scusami» Rose lo richiamò, sulla soglia della porta, con quel tono imperioso che, certamente, aveva appreso dalla madre. «Ti dispiace fermarti un attimo? Vorrei parlarti».
James Sirius si fermò, dandole deliberatamente le spalle.
«Cosa devi dirmi, di così importante?» sibilò. «Serve per caso un testimone di nozze al tuo futuro maritino dato che, come dire…? Dici che è gentile, definirlo “non propriamente amato”?».
«Non mi sta piacendo per nulla, il tuo comportamento, oggi».
James rise.
«Questo vuol dire che solitamente ti piace» si voltò. «E anche tanto».
«James!» lo richiamò Rose, premendo le labbra tra di loro, come per soffocare altre parole, talmente forte che sbiancarono.
Per diversi anni, James si era chiesto da chi l’avesse presa, Rose, quella bocca, le labbra ben disegnate ma talmente sottili che, in alcuni momenti, sparivano nella luce del giorno.
E anche un sorriso diveniva solamente l’ennesima, inutile, cicatrice.
«Andiamo, Rosie» disse lui, senza smettere quel suo eterno sorriso. «Che male c’è?».
C’è che io mi sposerò e tu diventerai padre, Jem, pensò. Ma non riuscì a dirlo a voce alta.
Forse, avrebbe significato ammetterlo non solo con sé stessa, ma anche con lui.
«Potremmo andar via di qui» osservò James, indicando fuori dalla porta con un cenno del capo. «Io l’ho già fatto, sai: in Romania, da zio Charlie. Lì ci si sente liberi». Lì nessuno sa chi siamo. «Potremmo…».
Ma Rose scosse il capo.
«No, Jem» disse, con calma serafica. «Io amo Scorpius. Lo voglio sposare. E non posso permetterti di rovinare tutto, ancora».
«Non ti metterei mai in imbarazzo, Rosie».
A lei mancò il respiro.
 
***
 
Lily Luna, seduta sul divano del salotto, i capelli rossi sulle spalle come una colata di sangue, sembrava ancora la bambina che era stata anni prima. Era qualcosa che il tempo, e la memoria, non riusciva a cancellare.
Suo fratello la guardava, cercando di anticiparne ogni bisogno. Ma Lily si limitava a sedere, composta, lo sguardo perso in una dimensione che sembrava conoscere soltanto lei.
«A volte vorrei essere te, Lils» mormorò James, sovrappensiero. «Magari dimenticare è la soluzione a ogni problema».
Ma sua sorella sembrò non riuscire nemmeno a udirlo. Muoveva le mani continuamente sulla sua gonna, disegnando ghirigori immaginari.
Trasalì, un momento, sfiorando il ventre che continuava ad arrotondarsi con l’incedere delle settimane.
«Lily?» la chiamò James, lievemente preoccupato. «Va tutto bene?».
Lei lo guardò, un lampo di lucidità negli occhi scuri. «Puoi dire a Rose che ho cambiato idea?» sussurrò. «Devi vedere com’è che si combatte».
«Sei sicura?» domandò suo fratello, posandole una mano sulla spalla.
Una mano di calli, di tagli, il segno di un morso di un cucciolo di drago tra le nocche e il polso.
«Nessuno si vergognerà più di me, Jem» disse. «Ormai ho deciso».
«Cos’hai deciso?».
Ma Lily non rispose. Aveva preso a canticchiare una vecchia canzoncina, forse rubata da sua madre, o dalla nonna.
«Lily?».
Ma già se n’era andata.
 
***
 
James pensò che era bellissima, anche se non l’avrebbe mai potuta avere. Pensò che era bellissima, e stanca, troppo pallida, forse malata. Rose?
L’avrebbe voluta chiamare, ma non ne ebbe la forza, mentre la osservava sfilare per la Tana con l’abito da sposa, tra gli applausi delle cugine.
«Sembri un po’ una mongolfiera, Rosie» sbottò, attirandosi contro lo sguardo indignato di sua madre.
«Te l’hanno mai detto che chi disprezza compra, Jem?» domandò Rose, sorridendo.
Aveva una collana al collo, un semplice ciondolo con uno smeraldo che riluceva pericolosamente vicino alla gola.
Rose lo sapeva, che le avevano già messo un collare?
«Pensavo che la merce difettosa si restituisse» rispose James. «O si buttasse via».
Lei rise, ma fu un suono strano, forzato.
«Ti piacerebbe, Jem. Ti piacerebbe».
 
***
 
Rose pensò che forse James era semplicemente stanco, e più irritabile del solito. Pensò che anche così, riusciva a farla tremare in ogni osso, in ogni nervo, anche senza dire nulla, anche senza fare nulla.
Avrebbe voluto impedirsi di fermarlo, di tirarlo per una manica, mentre cercava di defilarsi dalla mischia di cugini Weasley. James?
«Jem, per favore» non si accorse di quanto il suo tono di voce tradisse la stanchezza che le aveva ormai dipinto il volto, da giorni. «Puoi spiegarmi cosa c’è che non va?».
James Sirius rise così forte che, per un attimo, Rose temette che qualcuno potesse accorrere per vedere cosa ci fosse di così straordinariamente divertente.
«Si tratta del mio matrimonio» l’ultima parola suonò incerta, spezzata. «E io ho bisogno di te».
«Hai bisogno di me» ripeté James, atono. «Ma non nella maniera in cui vorrei io. Non nella maniera che vorresti anche tu».
«Non ti capisco, Jem» Rose finse di non aver udito le sue ultime parole. «Pensavo mi avresti appoggiata».
Lui sorrise e, per un attimo, Rose temette che avrebbe quasi potuto piangere, di fronte a quel sorriso: era una cicatrice che, quella sul polso, il morso del drago, non poteva nemmeno ambire a eguagliare. Faceva male anche solo guardarla.
«È solo... mi hai mandato l’invito, come per tutti gli altri. Da quando hai smesso di dirmi le cose?» James sospirò, le mani nei capelli. «Quando è stato che hai iniziato a trattenerti anche con me?».
«Ti ho sempre detto ogni cosa, lo sai». Anche ciò che non dovevo.
«Hai smesso di farlo» mormorò James. Nella tasca, la busta con l’invito al matrimonio di Rose sembrava quasi bruciare. «Pensavo che ti avrei trovata qui, come sempre. E invece…».
«E invece sono andata avanti» sibilò lei. «Non sono rimasta ad aspettarti. È questo?».
«Pensavo fossi ancora innamorata di me» lui allungò una mano, come per carezzarle il viso, ma non la raggiunse mai.
«Tu te ne sei andato, James. Da un giorno all’altro, senza dire una parola, senza degnarti di farmi sapere se, se e non quando, saresti tornato» ringhiò Rose. Con orrore, lui constatò che stava piangendo. «Cosa ti aspettavi?».
«Che tu rimanessi, Rose» rispose lui, glaciale. «Avremmo trovato il modo. Non volevo altro».
«Io avrei voluto che tu rimanessi, Jem. Ma le persone se ne vanno, ed è questo il problema».
Lui rise, squarciando il silenzio dove Rose avrebbe voluto rifugiarsi.
«No, Rosie. Il problema è che le persone tornano».
 
***
 
Aveva piovuto talmente tanto che, quando Rose era arrivata a casa dei suoi zii, i vestiti avevano iniziato a pesare quanto o più di lei. Probabilmente era così che era finita a indossare una vecchia maglia di James, e dei pantaloni di Albus, del periodo in cui sembrava crescere solamente in altezza, senza riuscire a mettere su un grammo.
Sotto la pioggia, nel giardino di casa Potter, Rose aveva trovato Lily che si esercitava a camminare con delle consunte scarpe a tacco alto, mano nella mano con suo fratello.
«Lily…» lo disse così piano che non pensò nemmeno che l’avrebbero udita, finché non vide Lily Luna correrle incontro, con le scarpe in mano e i piedi nudi sporchi di terra bagnata.
«Lo sapevo che avresti cambiato idea!» strillò, scuotendo la pioggia dai capelli, e abbracciando sua cugina. «Sono venuta appena ho saputo, Lils, grazie…».
«Non posso dimenticare tutto adesso» sorrise Lily, con lo stesso, doloroso, identico sorriso ironico di suo fratello James. «Sembrate tutti avere così bisogno di me… cosa fareste, se dovessi andarmene?».
«Lily, non dire così…» mormorò Rose, la gola gonfia di pianto. «Non puoi andartene in questo modo, lo sai».
Lily sorrise, dolcissima, e scosse il capo.
«Solo qualche mese, Rosie» mormorò, gli occhi sognanti. «Mi hanno detto che nemmeno il dolore è così eterno. Allora, che senso ha tutto questo?».
«Lily…».
«Non starò qui a guardarmi mentre scompaio». Lily sorrise e, per un attimo, sembrò sul punto di scoppiare a piangere. «Voglio soltanto che mi ricordi così, finché ancora ricordo. Finché so chi sono, che sono qui, che ci sono ancora: se smetto di ricordare, non esisto più, Rosie. E, un’esistenza vuota, che senso può avere?».
 
***
 
Per ore, James era rimasto sotto la pioggia scrosciante, in silenzio, seduto sull’erba umida. Quando Rose corse a farlo rientrare, l’acquazzone era diventato una pioggerellina lievissima, talmente affilata che chiunque avrebbe potuto usarla per recidersi una vena.
«James…» Rose lo scrollò per una spalla, e quasi urlò quando lui le afferrò il polso, trascinandola giù accanto a sé.
«Tu lo sapevi?» sussurrò. «Che Lily… Tu lo sapevi?».
Lei scosse il capo, senza parole, mentre James, suo cugino, scoppiava a piangere come mai aveva fatto.
Puoi dire di conoscere una persona, finché non l’hai mai vista piangere? Forse, lei, James non l’aveva mai compreso prima di quel momento, finché non si era spogliato del sarcasmo, dell’ironia, per piangere come un qualunque bambino.
«Non tornerò più, Rosie» mormorò, così piano che lei pensò fosse solamente tutto uno scherzo giocatole dalla paura. «Se Lily… se Lily se ne va, tornerò in Romania. Salirò su un drago: lassù, in alto, non si riesce a pensare» sorrise. «Cercherò di non scendere mai o, quantomeno, di non tornare mai più qui».
«Jem…» lei fece per dirgli che era stupido, e irrazionale, insensato. E non poteva farlo.
Ma lui la zittì con un singolo cenno.
«No, Rosie» sussurrò. «La mia vita sarà questo: o il cielo o la tomba, e forse un giorno coincideranno. L’unica cosa, l’unico motivo…».
«Non dirlo, ti prego» le uscì come un singhiozzo. «Jem, mi sposo tra due mesi, ti prego…».
«L’unico motivo per rimanere, sarebbe se tu decidessi di venire con me».
«Lo sai che non posso» la voce di Rose tremò, quasi impercettibilmente. «Nemmeno se volessi».
Lui sorrise.
«Ma tu lo vuoi, Rose» mormorò. «Certo che lo vuoi. E cosa facciamo, adesso?».
 
***
 
Scorpius lo capiva sempre, quando qualcosa la turbava: lo capiva e non domandava, ma aspettava che a Rose andasse di parlarne. E la sua attesa era logorante, perché la sua fidanzata sembrava quasi aver dimenticato come si fa a produrre un suono, una parola.
Nell’ultima settimana, Rose si era rinchiusa nel suo mutismo, fin quasi a non capire più nulla del mondo esterno. Aveva delegato ogni responsabilità sul suo matrimonio a Scorpius e Cleo, preferendo passare ore in camera sua, a scribacchiare su un vecchio quadernetto dalla copertina rossa.
Solo che era talmente sbiadita che, ormai, sembrava solamente un marrone opaco e graffiato dal tempo.
Se Scorpius fosse un po’ più coraggioso di quanto non lo sia mai stata Rose stessa, allora troverebbe la forza di aprire quel quaderno, e svelare i segreti che vi sono nascosti, in ogni pagina.
Scoprirebbe che Rose ha disegnato una piantina della metro di Londra, a matita, un po’ imprecisa e senza qualche linea. Che ha segnato gli orari dei treni per Edimburgo.
E che, nell’ultima pagina, ha scritto una lettera senza destinatario, che potrebbe essere come non essere per lui, e non l’ha ancora firmata.
 Ma Scorpius non avrà mai il coraggio, o il buonsenso, di guardare: sua madre, a sei anni, gli aveva insegnato che anche le donne, le mamme, e le mogli, hanno bisogno dei loro segreti.
Cose che gli uomini, i padri, i mariti, non riusciranno mai a comprendere pienamente.
In più, persisteva la sensazione che, se davvero avesse trovato il coraggio di sbirciare tra i pensieri di Rose, gli si sarebbe spezzato il cuore.
 
 
***
 
Rose, nello specchio, si domandò quand’era cambiata in quel modo: quando le si erano spenti i capelli, fino a sembrare ciocche di brace nascosta sotto una palata di cenere; quando le si era affilato il viso, lasciando gli occhi a vagare in una distesa di pelle che aderiva, come una pellicola colorata, alle ossa del cranio.
Quando sua madre aveva iniziato a manifestarle quella tenerezza quasi insensata, fuori luogo, mentre i mesi si coloravano d’attesa.
Hermione Granger non era mai stata una madre malleabile come lo era stata Audrey, moglie di Percy, o Fleur Delacour. Ma nemmeno si era mostrata così inflessibile da ignorare volutamente la sua primogenita.
Rose, nello specchio rotto, il giorno in cui aveva deciso di lanciargli contro la spazzola, quando aveva perso ogni speranza di far tornare a splendere i capelli, aveva trovato sua madre. Ne aveva visto le mani di una donna che, dopo chissà quanto tempo, riusciva a concedere tenerezza fine a sé stessa.
Hermione era stata inflessibile sui risultati, forse, sui comportamenti. Ma, finalmente, sembrava essere giunto il momento in cui ogni predica, ogni rimprovero, non era che l’ennesima cosa superflua.
Sembrava che le sue mani, da sempre legate alla bacchetta, alla polvere e alla guerra, potessero concedersi riposo e tenerezza sulla testa rossa di Rose.
«Tesoro, vuoi dirmi cosa ti sta succedendo?» sussurrò, sua madre, carezzandole il capo. «Se hai un problema, o non sei sicura, o…».
«Mamma» la voce di Rose suonò crepata di lacrime. E, per un attimo, lei stessa temette di dover davvero scoppiare a piangere. «Hai mai pensato di amare due persone?».
Hermione sorrise e, per la prima volta in tutta la sua vita, Rose se ne rese conto: che i genitori possono avere dei segreti, e sono solo i bambini a crederli immuni da ogni incertezza o turbamento, candidi come un’immacolata distesa di neve.
Anche quando non lo sono.
Rose ingoiò una domanda a cui, ne era certa, sua madre non avrebbe mai risposto. Chi, mamma?
«Lo pensi ancora?» disse, invece.
Dei suoi genitori, aveva sempre pensato che fosse Ron, quello a nascondere dubbi e incertezze: aveva mai avuto, Hermione Granger, un momento in cui non era mai stata totalmente sicura di qualcosa?
A quanto pare, sì. Anche i genitori hanno dubbi, rimorsi, difetti e pecche che i loro bambini cercano di non vedere. Anche quando crescono.
«Vedi, Rose» mormorò Hermione, senza smetterle di carezzarle il capo. «Forse si possono amare due persone ma, pensandoci, non le amerai mai allo stesso modo. Ce ne sarà sempre una che amerai di più».
«E se non sapessi qual è?» Rose si aggrappò al braccio di sua madre, accorgendosi solamente in quel momento che le tremavano le mani. «E se non sapessi come si fa a scegliere?».
«Lo puoi sapere solamente tu, cosa vuoi veramente» sussurrò Hermione. «Non lasciare mai che qualcun altro decida per te».
Rose guardò sua madre, cercando di dirle che aveva una risposta. Ma sarebbe stato mentire: pensò a Scorpius, a James, e non riuscì a capire quale fosse la cosa giusta da fare.
Pensò che forse era vero, che la vita portava sempre al bivio: da un lato, i muri di Malfoy Manor, Scorpius e il suo sorriso che mai si era liberato di alcune vestigia dell’infanzia.
Dall’altra, la patina di esistenza sregolata di James Sirius Potter. Il cielo, che può essere casa, tomba o entrambe.
Per la prima volta in vita sua, Rose si trovò a invidiare sua cugina Lily: lei aveva scelto, senza nemmeno provare rimorso, senza pensare alle conseguenze. Era stata felice di pagare, per pochi mesi di felicità.
Lily Luna non avrebbe mai dovuto scegliere. Semplicemente, aveva ottenuto quel poco che aveva desiderato.
 
 
***
 
Quel giorno, Lily non aveva fatto altro che chiedere la sua bacchetta, che i genitori le avevano tolto quando avevano iniziato a nutrire la consapevolezza che non le sarebbe più servita, né avrebbe saputo usarla con piena consapevolezza.
Aveva iniziato a domandarla nel momento in cui l’avevano fasciata di tessuto color pervinca per iniziare a cucirle il vestito da damigella d’onore.
L’aveva chiesa a sua madre, a suo padre, ai suoi fratelli, a Rose. Nessuno l’aveva ascoltata.
James Sirius era corso via appena lei aveva iniziato a piangere, come una bambina.
Quando era rientrato, era rimasta solo Rose, a raccogliere i campioni di tessuto, nascondendoli nelle viscere della sua borsa, allargata da un provvidenziale colpo di bacchetta.
«Vuoi vedere una cosa?».
Sorrise, nel vedere che sua cugina aveva fatto cadere a terra una decina di ritagli di seta. Le tremavano le mani.
Rose alzò lo sguardo, e lui quasi si stupì di quanto sembrasse stanca, e provata, ancora più degli ultimi giorni. Nemmeno rispose, si limitò a seguirlo, posando i piedi sulla sua ombra.
In camera sua, James aveva preparato uno zaino nero e uno appena più piccolo.
«Mi basta una parola» disse, indicando lo zainetto. «Una soltanto, Rosie, e ce ne andiamo da qui».
E dove andiamo? Avrebbe voluto domandargli. Come farai a convincermi ogni giorno, Jem?
Si rese conto che forse era quello, il problema. Aveva bisogno di essere convinta, non di scegliere, ed era un sentimento talmente stupido e infantile che quasi rise.
«So che farai la scelta giusta» mormorò James, avvolgendola in un abbraccio inaspettatamente dolce. «So che verrai con me».
Lei pensò che, in quel momento, James le aveva tolto quell’unica cosa che aveva tentato di tenere per sé. La capacità di sbagliare.
Tutto qui, si disse. O prendo un treno e me ne vado di qui, o lui prenderà me – dicono che sia un dolore che non passa. Passerà?
Passerà Jem che ride e sceglie per me?
«Io non voglio fuggire» mormorò, sistemando nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Ma non potremmo nemmeno rimanere» mormorò James, carezzandole il viso. «La vita è una puttana, Rosie. Anzi, è anche peggio di così: è una puttana che non puoi imbrogliare».
«Pensavo fossi bravo, a imbrogliare le prostitute».
Il sorriso di Rose sembrava quasi inciso con un rasoio, nella carne, nei muscoli, aperto con le dita per mostrare i denti.
«Andiamo, Rose» sussurrò lui, chinandosi per baciarla. «Non puoi non scegliere me».
Lei non ebbe la forza di scostarsi.
Se l’errore è colpa del libero arbitrio, si chiese, perché continuano a permetterci di scegliere?1  
 
 
***
 
Camera sua, vista da adulta, sembrava profumare di nostalgia. Rose non sapeva nemmeno se entrare, se frugare nella pila di vecchi vestiti, se aprire il cassetto della scrivania alla ricerca di foto, o bigliettini.
Si sentiva quasi come se avesse dovuto chiedersi il permesso, per violare il tempio dell’adolescente che era stata.
Quando si chiuse la porta alle spalle, finalmente, dopo giorni che aveva passato a fuggire anche soltanto dal rimbombo dei suoi stessi pensieri, si sentì al sicuro.
Si avvinò alla scrivania, doveva aveva lasciato un vecchio tema di Pozioni ancora da terminare, anni prima, quando aveva deciso che, su quella sedia non ci si sarebbe seduta mai più.
Quando su quella sedia, il capo chino sulla pergamena, qualcuno l’aveva sorpresa: James aveva imparato che è così che si riconosce una Dea. Quando la vedi in quell’esatto momento in cui crede di essere celata allo sguardo altrui.
Forse, l’aveva amata da quell’istante. Rose qualche volta se lo chiedeva, da dove era cominciato tutto, e non riusciva a darsi una risposta.
Lei lo amava, James?
Aveva il terrore anche solo di ammettere con sé stessa che fosse possibile, un mondo dove avrebbe potuto amarlo con piena consapevolezza, alla luce del sole.
Ma lo amava?
Pensò che, sì, sicuramente lo amava nel senso fisico del termine. Era sempre stato così.
Era come se ci fosse stata una sorta di attrazione magnetica, come tra poli opposti, tra i due. Qualcosa di talmente forte che, prescinderne, era insensato, inattuabile, impossibile.
Forse era vero che è il libero arbitrio a spingersi anche oltre dove l’intelletto riesce ad arrivare, creando la possibilità di errore. Ma, sbagliato o no che fosse, con lui Rose si era sentita al sicuro.
E Scorpius, Scorpius lo amava?
Con la data del matrimonio che si avvicinava sempre di più, Rose sapeva quanto fosse sbagliato porsi questa domanda. Quanto fosse doloroso ricordare che Scorpius le aveva detto di amarla mentre lei piangeva e, di quelle lacrime, lui non aveva mai ricevuto motivazione.
Erano perché James era caduto in un breve ed intenso flirt con Mei Chang.
Ma, a Scorpius, non l’aveva mai detto. Non ne aveva mai avuto il coraggio.
Quindi lo amava?
La sua unica certezza era che c’era stato, doveva esserci stato per forza, in cui aveva quantomeno creduto di sì.
O, forse, lo aveva amato per davvero.
 
 
***
 
Quando entrò in camera di Lily, che Theodore Nott aveva cercato di arredare come la camera che aveva a casa Potter, per non farla confondere, Rose la trovò ancora intenta a esercitarsi a camminare sui tacchi.
Le si strinse il cuore e, per un attimo, faticò a trovare le parole.
«Lils» sussurrò, pianissimo. «Possiamo parlare?».
Lily Luna si voltò, il viso arrossato, come se si fosse concentrata su qualcosa troppo a lungo, e le corse incontro.
«Rose!» strillò, abbracciandola. «Sei venuta a giocare con me?».
C’erano giorni in cui Lily credeva di non essere mai cresciuta: erano i giorni peggiori. Si ammantava di un’innocenza che faceva a pugni con il ventre vistosamente gonfio, che strillava contro le forme da adulta. E che faceva piangere.
Tutta la figura di Lily, corpo e mente, mente soprattutto, faceva venire voglia di dire alla vita che, sì, era la peggiore tra le puttane.
«Sì, Lil, sì» mormorò Rose, gli occhi pieni di lacrime. «Giochiamo insieme, ti va? Se vuoi ti cerco un altro paio di scarpe e possiamo fare le signore insieme!».
Lily annuì, genuinamente felice. La tirò a sedersi sul suo letto, battendo le mani.
«A che giochiamo oggi?» si guardò attorno. «Stai qui fino a tardi? Dai, lo dico a mamma e dormi qui».
«Sì, resto qui. Resto quanto vuoi».
«Fantastico!» strillò Lily. «Oh… ma perché piangi?».
Perché le persone se ne vanno, Lily pensò. Perché, a volte, vorrei andare via anche io: prendere un treno. Salirci sopra o andarci, sotto, non c’è molta differenza. Prenderlo e non tornare.
Anche la terra può essere casa o tomba, non solo il cielo.
«Non so che fare, Lils» sussurrò Rose, piangendo sulla spalla della cugina. «Non so dove andare».
«Ma tu sei Rose» osservò Lily. «Tu sai sempre cosa fare».
«Non questa volta».
«E avrai sempre un posto dove andare» disse, Lily Luna, ignorandola. «Perché, anche quando non ti vorrà nessuno, potrai venire da me».
Ma tu non ci sarai per sempre, Lily. L’hai detto anche tu, che un giorno sparirai: polvere alla polvere.
«Non devi piangere, Rosie. Non è così che le cose si sistemano».
 
 
***
 
 Quando Scorpius Malfoy bussò a casa Potter, all’ormai ex Prescelto quasi venne un colpo, rischiando così di far riuscire il rampollo Malfoy anche dove Voldemort aveva fallito.
«Signor Potter» Scorpius si esibì in un cordiale cenno del capo. «Vorrei parlare con suo figlio, se fosse possibile».
«Albus?» domandò Harry, recuperando l’abituale contegno. «Lo vado a…».
«No» lo interruppe Scorpius. «Vorrei parlare con James».
 
 
***
 
Quando James tornò in camera sua, aveva un piccolo taglietto sotto l’occhio.
«Per le mutande di Merlino, Jem, che ti è successo?» disse Albus, cercando di non ridacchiare di fronte al fratello che, livido, si lanciava sul divano.
«Tu che ci fai qui?» latrò James. «Non vieni mai, a casa, dovevi tornare adesso?».
Albus Severus non si scompose minimamente, e si limitò a scrollare le spalle.
«Avevo tempo» osservò. «Quindi, che è successo? Qualche ragazza si è affilata gli artigli su di te?».
«Scorpius Malfoy» . Suonò come un ringhio. «Mi ha tirato un pugno».
A quel punto, Albus non riuscì a trattenersi, e scoppiò a ridere.
 
 
***
 
James.
Scorpius.
Jem.
Scorpius,
non so se esisteranno mai abbastanza parole per dirti quanto mi dispiaccia. In tutta la mia vita, non sono mai stata una persona che fugge: forse, qualche problema l’ho ignorato, ma mai come adesso ho avuto il bisogno di scappare da qualcosa. O da qualcuno.
È che mi hanno detto che la vita, in qualche modo, è un eterno bivio. E io sono arrivata al punto in cui non so più com’è che si fa a scegliere.
Qualunque strada prendessi, finirei per sbagliare. Perché un Babbano, circa quattro secoli fa, ha detto che si sbaglia così: scegliendo anche in quei campi dove l’intelletto non riesce a deliberare nulla di certo.
Non so scegliere alla cieca, non so scegliere senza dire addio a qualcuno.
E, Scorp, te lo giuro: avevo già dato quell’addio. L’anno in cui James è partito, gli ho detto addio con la consapevolezza che, quando sarebbe tornato, saremmo stati anche meno che estranei.
Il problema, però, è che le persone tornano. Quando meno te lo aspetti.
Le persone tornano nel momento esatto in cui inizi a pensare che potresti esistere indipendentemente da loro, che potresti vivere una vita che non le comprende.
È che non so cosa sia giusto fare, Scorp, non so cosa devo fare. Non sono Lily: io non lo so, com’è che si combatte.
Sono innamorata e non so di chi, non so perché. Vorrei solamente che tu imparassi a perdonarmi: non subito, ma per gradi, finché non ti sentirai pronto a dire che potrei anche tornare.
Mi dispiace così tanto.
R.
 
***
 
La stazione sembrava avvolta in una coperta di nebbia, talmente densa che perfino i rumori sembravano attutiti.
Rose guardò il suo biglietto, e istintivamente sorrise: siamo qui, pensò. Se è vero che la vita è un treno, non mi resta che provare a salirci, o buttarmici sotto.
Le rotaie stridevano in lontananza.
 
 
***
 
Little Wonders
{Ed è tutto qui, piccoli istanti che scorrono così}
 
Theodore Nott aveva una presa rassicurante, sui bambini appena nati: suo figlio, un fagotto minuscolo e con le unghie come minuscole conchiglie, non piangeva mai. Nemmeno quando sentiva la mancanza della madre.
Forse, i neonati riescono a percepire le cose con molta più chiarezza degli adulti: Jem Nott non aveva mai pianto come pianse il giorno in cui tumularono sua madre nella cripta di famiglia, insieme a un Mangiamorte e a qualche avvizzito Purosangue d’altri tempi, e nemmeno le braccia di suo padre gli furono di conforto.
Alla fine, Lily Luna era riuscita a volare fuori dal mondo: nemmeno se ne era resa conto, era stato un attimo. Il giorno in cui Rose si sarebbe dovuta sposare, prima che decidesse di prendere un treno, Lily era in uno dei momenti brutti.
E James Sirius si era distratto per un solo istante: sua sorella giocava a fare la farfalla, con il figlio che sonnecchiava, allattato da poco, nella sua culla.
Jem, qualche volta, ancora aveva il dubbio che Lily fosse stata perfettamente lucida, in quel momento.
Che si fosse lanciata, giù dalla finestra, di proposito. Prima di sparire nel labirinto che era la sua mente, piena di specchi, dove ogni cosa era velata di irrealtà, senza che nulla fosse certo o anche solo probabile.
Al funerale, era lui quello che piangeva di più: tra qualche giorno sarebbe tornato in Romania, nel suo cielo, che è casa e tomba silenziosa.
Theodore Nott aveva invitato tutti, ma nella marea di teste rosse Weasley, Rose era la grande assente. James avrebbe voluto avere la forza di cercarla con lo sguardo, di chiederle di andar via e non tornare.
O anche di piangere, e farsi consolare.
Ma lei non c’era, era una sedia vuota tra Jem e Albus.
Scorpius Malfoy, con la sua usuale delicatezza, aveva scelto le retrovie, con la cugina Cleo. In piedi, silenzioso, si era costretto a non pensare che Lily Luna sarebbe dovuta essere la damigella di Rose al loro matrimonio.
Aveva mai smesso di aspettarla?
«Andiamo via?» Cleo Nott tirò suo cugino per la manica, imperiosa.
E Scorpius si disse che, se Rose fosse tornata, lui non avrebbe fatto altro che amarla ancora di più. Anche partendo dalla ferita che James le aveva lasciato.
Si voltò solo per un attimo, verso quella marea di bacchette levate per Lily Luna Potter. Nell’ombra, gli sembrò di scorgere una chioma rossa, leonina. Scosse il capo.
Eppure, e forse era impazzito anche lui, gli parve di sentire una mano che sfiorava la sua, solamente per un attimo.
Rose?
Scorpius si fermò, sfilando il suo braccio dalla mano di Cleo. Istintivamente, sorrise.
   
 
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