Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Pinzu97    10/02/2017    0 recensioni
Non c'è più niente che ci può salvare da noi stessi e dal destino che decidiamo di affrontare....a meno che non abbiate un gatto.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2. Alza la voce ma non farti sentire

 
Quel pomeriggio non l’avevo visto e neanche le due settimane successive: finalmente ha deciso di scomparire per sempre dalla mia vita.
Vado in cucina e mi scaldo del thè.
Oggi è la giornata giusta per andare al rifugio dei disagiati.
Mia madre è fuori con delle amiche e la principessina si incontra di nascosto con un tizio molto snob: mi ha pregato affinché non lo dicessi alla mamma.
Bevo velocemente la tazza di thè, mi vesto ed esco.
Fuori il tempo è grigio, ma fortunatamente non piove.
Einstein mi guarda dalla finestra mentre mi allontano: quel gatto ha qualcosa di strano.
Percorro velocemente i tre chilometri che mi separano da quell’edificio e finalmente entro.
Non ci sono porte: solo rifugi in cartone, coperte, rimasugli di cibo, bottiglie e scale incomplete.
Salgo al sesto piano saltando agilmente le parti delle scale franate: sembra quasi di fare parkour!
“Alex!” mi accoglie un grido di gioia.
Anthony mi corre incontro e mi sorride.
“Finalmente! È da troppo tempo che manchi. Marte iniziava a dubitare che saresti tornata”.
Guardo il ragazzino e noto che ha una cicatrice sotto l’occhio.
“Che hai fatto?” chiedo un po’ imbarazzata; non voglio che pensi che sono un’ impicciona.
“Oh niente di che mi sono azzuffato con uno più grande” risponde ridendo.
Anthony ha la capacità di essere sempre positivo pure nelle pessime condizioni, quindi non riesco ad immaginarlo in una zuffa…deve esserci sotto qualcos’ altro.
“Marte!” urlo salutando il vecchio arrotolato in tre coperte.
“Oh piccolina sei tornata! Ho una storia per te” mi risponde con la sua voce rauca.
Mi avvicino e mi siedo per terra vicino a lui.
“Che ne dici di fare un po’ di fuoco?” aggiunge.
Mi alzo e aiuto Anthony a dar fuoco a degli stecchi in un barile.
“Bene ragazzi, questa è la storia di una creatura che vive al di là di questa terra. Una creatura che è racchiusa nei nostri pensieri e che ci culla in ogni istante!” inizia il vecchio Marte.
La storia è davvero intrigante ed  in alcuni punti sembra che Marte parli di un’esperienza che ha davvero vissuto.
La creatura di cui parla non ha un vero nome, dice che ognuno la definisce come vuole.
Dice che la creatura è in pericolo perché l’odio si è impossessato della maggior parte delle persone e non c’è più spazio per questa creatura che addolcisce il cuore.
E così si conclude la storia.
“Marte tu concludi le tue storie sempre in modo ambiguo. Cioè non si capisce mai come finiscano realmente!” ribatte scherzosamente Anthony.
Ma Marte non risponde, fissa un punto dietro le mie spalle così mi volto anche io e rimango a bocca aperta: non voglio crederci!
“Ciao Alexandra” dice.
Non capisco cosa ci faccia lui qui.
“Marte dobbiamo andare” aggiunge.
Fisso quegli occhi color miele che alla luce del fuoco sono ancora più caldi, ma sempre perfidi.
Il vecchio si alza.
“scusami ma chi sei?” chiede Anthony confuso.
Anche io non capisco.
Insomma come fa a conoscere Marte? Io non ho mai visto quello stalker da queste parti.
“Tranquilli ragazzi. Qui finisce la storia, sta a voi trovare un finale. Ora devo andare” risponde.
“Marte dove stai andando?” chiedo preoccupata.
“Non t’immischiare in cose che non ti riguardano” dice lo sconosciuto.
Non riesco a fidarmi di lui: ogni volta che appare succede qualcosa di brutto.
Mi alzo e gli corro incontro fino a buttarlo per terra con tutto il peso del mio corpo.
Lo afferro per il colletto della felpa.
“Tu non darmi ordini stronzo!” urlo.
Marte e Anthony ci osservano.
“Toglimi le mani di dosso ragazzina!” urla ribaltando la situazione per poi alzarsi e tirare in piedi anche me afferrandomi per i polsi.
I nostri sguardi s’incrociano e l’odio scorre profondo.
“Tu non porti Marte proprio da nessuna parte!” urlo.
E lui non fa altro che sospirare scocciato.
“Alex. Vieni qui” interviene Layla.
Non avevo notato ci fosse anche lei.
“No!!” ribatto.
“Alex devi venire qua da me. Lascia andare Marte. Samuel è un amico” ripete la donna dai capelli nero corvino.
Mi volto verso di lei. Sembra che tutti mi siano contro: io voglio solo proteggere il mio amico.
Marte mi si avvicina e mi abbraccia: “Alex, piccola, tu devi finire questa storia capito? Ora devo andare. Ti ricorderò sempre!” mi sussurra all’orecchio e mi stringe in un forte abbraccio.
Rimango immobile mentre lo stalker di nome Samuel e Marte si allontanano nel buio del palazzo.
Il tempo è fermo. Il silenzio è assordante.
Io non so raccontare le storie. Io non voglio e non posso finire la storia di Marte.
Io non saprei neanche se salvare quella creatura o farla morire nell’oscurità.
Ma sono io ora che mi sento avvolta nell’oscurità.
“Ora dovete andare” dice Layla risvegliandomi dai miei pensieri.
Io ed Anthony ci guardiamo.
Scendiamo insieme le scale, in silenzio, senza niente da dirci, o forse troppo di cui parlare per farlo realmente.
Una volta fuori dal palazzo Anthony sussurra “Ma che cosa è successo?”.
Anche lui è sconvolto come me. Non riusciamo a capire.
“Dici che domani rivedremo Marte?” mi chiede.
“Io…io non credo lo rivedremo più” ribatto.
Mi sembra quasi di rivivere la scomparsa di mio padre.
Le lacrime chiedono di uscire, ma la mia forza di volontà è più forte.
“Anthony devo andare” dico e gli sorrido.
Voglio che almeno lui sia tranquillo e non pensi a ciò che è successo oggi.
M’incammino velocemente a casa: la pioggia inizia a cadere prepotente.
Appena entro in casa le urla di mia madre si fanno sentire.
“Alexandra Irving!!! Dove diavolo sei stata? Ti ricordo che tu sei in punizione e non puoi uscire!”.
Sbuffo e decido di non degnarla di alcuna risposta.
“Signorina mi aspetto che tu mi risponda!” mi urla in faccia bloccandomi l’accesso alla mia camera.
“Dove diavolo mi pare!” le urlo di rimando “non ho dieci anni. So badare a me stessa!”.
Non finisco la frase che la sua mano si posa forte sulla mia guancia dandomi una forte sensazione di dolore.
“Ancora una volta e ti sbatto fuori da questa casa!” sibila.
Entro in camera e sbatto la porta.
È solo una megera. Non capisce niente! Io la odio!!!!
Stavolta niente mi trattiene dal piangere.
Voglio mio padre: mi manca troppo.
Einstein mi si avvicina ed inizia a leccare le mie lacrime salate.
Il suo gesto è così dolce che mi viene voglia di sorridere: lo prendo in braccio ed inizio a coccolarlo e mi addormento con lui tra le mie braccia.
 
 
             *************************************************************************
Oggi si terrà l’assemblea scolastica dove si affronteranno le quattro squadre di basket delle diverse scuole.
Io amo il basket, intendiamoci, ma i giocatori della nostra scuola sono dei veri gorilla insensibili che non fanno altro che creare problemi.
Inoltre una delle cheerleader tanto amate sarà quell’oca di Samantah, quindi sto supplicando mia madre di lasciarmi a casa, ma non c’è scusa che tenga.
Indosso i jeans neri, la canotta azzurra e sopra la felpa nera di mio padre.
Saluto Einstein lasciandogli una ciottola di croccantini sul tappeto ed esco.
Fuori c’è il sole: un po’ pallido, ma pur sempre luminoso.
Ricordo quando con papà nelle giornate di sole si andava fuori città, al lago e pescavamo fino a quando non tramontava e allora iniziavamo a montare le tende per campeggiare e lui mi raccontava quelle storie….storie simili a quelle che raccontava Marte.
Persa nei miei pensieri vado a sbattere contro qualcuno rimbalzando a terra.
“Scusami!” mi sento dire.
Alzo lo sguardo massaggiandomi il fondo schiena.
“Scusami…scusami tu. Io, ecco io non..” ma non mi lascia finire che mi porge la mano e mi aiuta ad alzarmi.
“Non ti ho mai vista da queste parti” dice e sorride.
Mi sento un’idiota. Neanche riesco a parlare!
“Io..io frequento l’ Arcadia” ribatto.
“Oh, allora per oggi saremo avversari” e sorride di nuovo.
In quel momento non capisco ma riflettendoci sopra realizzo che è il giorno dell’assemblea.
Quindi lui è un giocatore di una delle altre tre scuole.
“Senti ho la macchina qui parcheggiata. Vuoi uno strappo?” mi chiede.
Acconsento e rimango sbalordita a vedere quella cavolo di Jaguar nera lucida davanti ai miei occhi.
“Ehm si un po’ appariscente” scherza, notando la mia faccia.
“Ehm no, questa non è appariscente. Questa è fantastica, magnifica, potente!” urlo io emozionata.
“Dai sali!” dice ridendo.
Arriviamo a scuola in meno di dieci minuti: i più lunghi ed imbarazzanti della mia vita.
Lui continua a farmi domande ed io non faccio altro che stare zitta e muovere la testa per accennare ad un si o ad un no.
“Se ti chiedo il nome dici che mi farai sentire la tua voce?” scherza scendendo dall’auto.
“Alexandra Irving” dico.
“Oh la sorella di Annabelle! Siete così diverse!” risponde subito.
“Conosci mia sorella?” domando confusa.
“Certo siamo a scuola insieme e lei parla sempre di te. Ma ti credevo più strana e brutta per come ti descriveva” e si mette a ridere.
È così bello il suo sorriso: cioè, tutto di lui è bello.
“Beh si, non ho un buon rapporto con la mia sorellastra ahah” ribatto.
Chissà cosa dice quella principessina di me nella sua scuola.
“Quindi tu sei della scuola privata Franklin” continuo e lui annuisce.
Lo osservo: capelli corvini, occhi verdi, alto e muscoloso e un sorriso da 3.000.000 di dollari.
Ma cosa sto pensando? Insomma basta con questi pensieri da ragazzina in calore!
“Grazie del passaggio ora devo andare” dico cercando di fuggire da quella situazione imbarazzante.
“Oh si, però -mi afferra per un braccio- che ne dici di aspettarmi all’uscita?”.
“Mh ho da fare mi dispiace” e scappo.
Sono convinta che le mie orecchie stiano fumando da quanto sono calde.
Inspira, espira.
Ok, tutto passato.
Devo entrare!
“Alex!!!” mi corre incontro Michelle.
“Che ne dici di andare a fumare una sigaretta?” propone.
Andiamo sul retro della scuola e ci mettiamo a fumare e a parlare del week end.
Niente di particolare da entrambi i fronti.
Ma veniamo subito interrotte: “Scusami, potresti lasciarmi solo con Alexandra?” chiede a Michelle una voce ben nota.
La mia migliore amica neanche ribatte ma spegne la sigaretta, mi fa l’occhiolino e entra dentro.
“Ridammi il gatto” continua.
“Mi hai rotto con questa storia. Quel gatto è mio si chiama Einstein e tu non lo tocchi!” ribatto scorbutica.
Quel tizio, Samuel, mi fa venire un diavolo per capello ogni volta che ci parlo.
“Certo che si chiama Einstein, come altro volevi chiamarlo?!” urla di rimando.
“Che intendi?” chiedo sconcertata.
“Si chiama Einstein è il suo nome da quando è nato e nessuno glielo ha mai cambiato. Ma tu c’ hai capito qualcosa di quel gatto? Perché sembra tu sia ignara di ogni cosa. Ma dov’è finito tuo padre?” risponde.
Io rimango un attimo basita.
Einstein? Tutti? Sapere cosa?
“non osare nominare mio padre. È morto e tu non lo conosci neanche!” urlo per poi voltarmi e andarmene, ma lui mi blocca l’accesso alla porta.
“Che vuoi dire che è morto?” domanda.
Incontro i suoi occhi: colgo una nota di sconcerto, di preoccupazione.
“Levati. Io non voglio parlarne con te!” sussurro.
Si fa subito da parte e sento il suo sguardo sulle mie spalle.
“Stagli lontana” sono le ultime parole che gli sento dire prima di sparire.
Io non lo capisco. Io non lo sopporto. Perché ce l’ha tanto con me e con quel gatto?
Il pensiero di incontrarlo ovunque è fisso e sono spaventata: lui è veramente uno stalker.
Devo stargli lontana, ma una domanda mi ronza in testa: come fa a conoscere mio padre?
Con questi pensieri mi avvio verso la palestra.
Luci, brillantini, cartelloni, facce pitturate regnano quel luogo.
Il silenzio è completamente schiacciato dalle varie urla, dalla musica e dai cori.
Guardo verso le cheerleader: ovviamente Samantah è lì tra loro.
“Alex vieni ho trovato posto vicino al campo!” mi prende per un braccio Michelle.
“Allora con quel tipo?” mi sussurra all’orecchio per poi farmi l’occhiolino.
Penso che sulla mia faccia si sia dipinta un’espressione di disgusto: “lascia perdere quello è fuori di testa!”.
Vengo interrotta dal suono di una tromba da stadio che annuncia l’inizio della partita.
Per tutto il tempo guardo Michelle esultare ad ogni canestro fatto dalla nostra scuola: insomma, io non la capisco.
Lei odia tutta quella gente eppure esulta per loro.
Capirei ci fossero gli Knicks in campo!
Finalmente c’è un po’ di pausa, durante la quale le cheerleader fanno ondeggiare i loro fondoschiena.
Me ne esco dalla palestra per andare a prendere un po’ d’acqua, ma rimango bloccata all’inizio del corridoio con la bocca spalancata.
Davanti a me sta arrivando il ragazzo che mi ha dato un passaggio insieme ai suoi compagni di squadra.
Vorrei tanto nascondermi, ma ormai mi hanno già vista, anzi, lui sta proprio venendo verso di me!!!
“Ciao…Alexandra giusto?” mi dice.
Io annuisco senza riuscire a spiaccicare neanche una parola, ma insomma che mi prende?!?
“Beh spero mi guarderai giocare!” mi dice per poi passarmi la sua mano tra i capelli e superare la porta.
Sono proprio una stupida: insomma, potevo dire qualcosa.
Che stupida!
Corro velocemente a prendere la bottiglietta d’acqua e torno in palestra, proprio nel momento in cui i giocatori dell’Arcadia e quelli della Franklin iniziano a giocare.
Incrocio lo sguardo di Michelle che mi fa segno di sbrigarmi.
La raggiungo e stavolta rimango più attenta alla partita: lo vedo sudato correre con tanta bravura verso il canestro e centrarlo perfettamente.
Sembra un Dio disceso in terra!
“Terra chiama Alexandra! Amica mia stai sbavando!” mi deride Michelle.
Io le tiro una spallata affettuosa.
“Allora il capitano della Franklin ti fa battere il cuore?” domanda ammiccando con lo sguardo.
Non posso mostrarmi così vulnerabile: è solo uno sconosciuto!
“Ma chi? Ahaha quel ragazzo? Nah non è il mio tipo…troppo…troppo..” ma non riesco a continuare.
“Si..troppo figo” conclude la mia migliore amica ridendo.
“Quanto sei stupida!” ribatto.
Alla fine della partita vedo quel ragazzo raggiungere le cheerleader della sua scuola e prenderne una tra le braccia, sollevarla e baciarla: avevano vinto.
“oh-oh. Hai sbagliato preda Alex, mi sa che dovrai cercartene un altro!” continua a ridere la mia migliore amica.
“Ma la finisci?!” ribatto scocciata.
Era da immaginarselo che un ragazzo talmente bello fosse fidanzato.
E in più quella tipa somigliava così tanto a Samantah nell’ atteggiamento e anche nel fisico.
Ma esiste una cheerleader simpatica a questo mondo?!?
Sbuffo e mi avvio fuori per fumare una sigaretta.
Dopo pochi minuti la preside mi si presenta davanti con una faccia alquanto arrabbiata.
“Alexandra Irving, non so se noti i vari cartelli che indicano quanto sia vietato fumare nel cortile interno. Ora sbrigati ragazzina, hai una palestra da pulire!” mi ordina.
Possibile che non riesca ad avere dieci minuti di pausa?
Torno dentro e, quando tutti sono usciti dalla palestra, mi avvio verso lo sgabuzzino per prendere il necessario.
Stavolta sono da sola: nessuna bidella a controllare il mio lavoro.
Il silenzio di quel luogo è più assordante del baccano precedente.
Vorrei urlare al mondo quanto faccia schifo. Vorrei urlare a quel Dio di ridarmi mio padre.
E vorrei davvero essere lasciata in pace.
Ma quelle urla non sono altro che una piccola brezza nella mia mente; un sospiro in quel silenzio assordante.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Pinzu97