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Autore: carlottad87    11/02/2017    1 recensioni
Sullo sfondo di una Bologna segnata da una serie di omicidi di irrisolti, Teodora scopre dentro di sè un potere unico che le aprirà le porte di un mondo completamente nuovo e fantastico, ma anche pericoloso e fatto di violenza.
Teodora, giovane universitaria ventenne, imparerà presto che tutto quello che ha sempre saputo su sé stessa non è altro che una bugia e che dovrà trovare il coraggio di portare a termine il compito che una forza superiore le ha affidato.
L'amore impossibile per un uomo tanto più grande di lei, così attraente e al tempo stesso così spaventoso, sarà l'unico mezzo per scoprire sé stessa o non farà che allontanarla dal suo destino?
"Il terzo cadavere che la donna vedeva in vita sua, dopo quello di suo nonno morto per un cancro al colon e di suo marito che aveva avuto un infarto qualche anno prima, le sembrò molto più spaventoso dei primi due. La ragazza, che dimostrava poco più di vent’anni, non aveva addosso la bruttezza della malattia, del dolore e della vecchiaia; la sua vita era stata spezzata senza preavviso, e la sua bellezza era abominevole e contro natura."
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1.
 
Marta e Teodora sedevano l’una di fianco all’altra con i libri aperti davanti.
La luce di quel pomeriggio di fine inverno entrava dalle enormi vetrate dell’Archiginnasio, la grande biblioteca costruita nel ‘500, disegnando strani riflessi sui tavoli di legno.
Marta stava tentando, senza grande successo, di decifrare un grafico a pagina 515 del suo libro di economia aziendale, assolutamente certa di aver sbagliato strada nella vita e di avere davanti a sé un futuro da senza-tetto.
Teodora, invece, fissava distratta il suo blocco degli appunti che stava riempiendo di piccoli disegni, con l’ipod nelle orecchie si sentiva momentaneamente ispirata. Alberi e fatine in un prato sotto il cielo stellato, strane farfalle e una luna enorme si intrecciavano a parole scritte sovrappensiero: per un momento le mie braccia si fecero ali, ed io corsi sulla schiena del vento.
Non era riuscita a dormire nemmeno quella notte e si chiedeva se fosse a causa dello stress per gli esami o perché ancora non le era venuto il ciclo.
Si portava addosso una strana sensazione di malessere che non riusciva a spiegarsi, sentendosi tutta scombussolata come se le stesse per venire l’influenza.
Lasciando perdere la sua opera d’arte improvvisata si voltò sbadigliando verso Marta, che ancora ferma alla stessa pagina di mezz’ora prima aveva definitivamente assunto un colore verdastro, sintomatico di pura disperazione.
Teodora non poté fare a meno di sorridere e si tolse le cuffie dalle orecchie per poterle parlare.
Aveva bisogno di sfogarsi e Marta era la sua migliore amica.
Le due si conoscevano fin dal primo anno di liceo, era stato amore a prima vista il loro: Marta le si era seduta vicina il primo giorno di scuola, aveva preso la copia di Cent’anni di solitudine che lei si era portata dietro come coperta di Linus e aveva dichiarato perentoria che era il più bel libro che fosse mai stato scritto. In trenta secondi conquistò il cuore di Teodora, che considerava il buon gusto in letteratura il più grande pregio di una persona.
Marta era alta, snella, i capelli scurissimi e corti, più lunghi e sfilati sul davanti erano tagliati come andava di moda. Era sicura di se, spigliata e totalmente consapevole della sua bellezza: riusciva ad attirare facilmente gli sguardi degli altri e adorava farlo.
Lei, invece, si era sempre considerata diversa, anomala, porsi al centro dell’attenzione la faceva sentire a disagio, come se tutti potessero vedere le stranezze di se stessa che l’avevano sempre resa nervosa.
Teodora era stato anche il nome di sua madre, e questa era l’unica cosa che, insieme ai lunghi e foltissimi capelli castani, di quel colore così ricco e particolare, le aveva lasciato di lei quando era morta.
In quel periodo aveva ricominciato a fare quegli strani sogni, come quando era bambina, ed era arrivata alla conclusione che forse non riusciva a dormire perché aveva paura di farlo.
“Sai, ho sognato di nuovo mia madre la notte scorsa… mi capita spesso ultimamente..”
Marta alzo la testa dal libro e aggrottò le sopracciglia
“Che tipo di sogni sono? Come quelli che facevi da piccola? “
le chiese sussurrando per non disturbare i ragazzi che studiavano nei tavoli vicini al loro.
“Non so… non me li ricordo bene quelli… ma nemmeno questi effettivamente, mi sveglio solo con la certezza di aver visto mia madre, è una cosa strana”
L’amica continuò a mordicchiare tranquillamente il tappo della sua penna blu, sgranando i grandi occhi scuri con aria leggermente più interessata.
“Era un bel sogno almeno? “
Aveva parlato più volte a Marta del periodo in cui, quando aveva circa tre o quattro anni e sua madre era appena morta, si svegliava urlando tutte le notti e non riusciva a smettere di piangere per ore. Sua zia aveva pure pensato di mandarla da uno psicologo, ma poi per fortuna gli incubi erano finiti e lei aveva ripreso a dormire tranquillamente.
“non lo so…mi sveglio sempre tutta sudata e non ho più voglia di riaddormentarmi.”
Si mosse nervosa sulla panca dove era seduta, si chiese se faceva bene a parlarne con Marta, ma di lei si fidava e provò a continuare il discorso.
“Sai, in questo periodo mi stanno capitando un sacco di cose assurde. Non capisco che cosa mi succede…”
Lei la fissava incuriosita, passandosi un unghia smaltata di rosso acceso sul labbro inferiore.
 “In che senso?che tipo di cose?”
Teodora guardò l’amica negli occhi con le guance un po’ arrossate
“Te lo dico solo se giuri che non mi prendi per scema ok? Giura che non ridi!”
Lei sorrise ed incrociò le dita “Giuro!”
“Un gatto mi segue….”
Marta la fissò interdetta.
“Un gatto ti segue?”
Nel silenzio Teodora si rese conto che la sua dichiarazione non era suonata strabiliante come aveva desiderato. L’amica aveva assunto l’aria divertita di chi è sicuro di essere la vittima di uno scherzo ma non ha ancora capito bene come.
“E che cosa te lo fa credere?” le labbra di Marta erano leggermente piegate verso l’alto, in un sorrisetto ironico.
“Ecco lo sapevo che non avrei dovuto dirtelo!” disse alzando notevolmente la voce,tanto che cinque o sei paia di occhi curiosi si girarono verso di loro. Lei abbassò il tono e tornò a bisbigliare verso la ragazza.
“Fammi finire prima di credere che stia dicendo stupidaggini…ovvio che se ti dico solo così non ha senso…”
Marta annui e le fece cenno col viso di continuare, non togliendosi però dalla faccia quel mezzo sorriso che stava infastidendo tanto Teodora.
“allora… è una settimana che me lo trovo ovunque,  prima era davanti alla porta di casa, poi ero in Via Zamboni a lezione ed era in Piazza Verdi… fermo che mi fissava!”
Marta giocherellava con il piccolo pupazzetto attaccato per decorazione all’astuccio delle penne, comprato a Berlino l’estate prima.
“Ma sei sicura fosse lo stesso? Magari è un gatto semplicemente molto simile…”
“No sono sicura…ieri notte mi sono alzata per andare in bagno, e l’ho visto fermo sull’albero di fronte alla mia finestra… mi sono presa un colpo”
Marta la guardava perplessa
“Forse si è affezionato e ti segue perché ti vede come la sua nuova padrona, che ne so…”
Teodora sbuffò.
“Ma non si avvicina mai! Rimane sempre lontano, e mi guarda… poi sono sicura sia sempre lo stesso, è completamente grigio e con il pelo lunghissimo, non ne avevo mai visti così…”
Marta non sembrava particolarmente impressionata e Teodora si accorse che probabilmente all’amica era sfuggito il punto del suo discorso, provò quindi ad essere più chiara, per farle capire che cosa la stesse sconvolgendo tanto in quel periodo.
“Non è solo la storia del gatto…ma mi stanno succedendo un sacco di cose assurde, pensa che ieri stavo sistemando la camera e.. “
Marta la interruppe prima che potesse finire la frase.
 “Ok, questo si che mi sconvolge….se sistemi la tua camera, il mondo sta seriamente girando al contrario!” la ragazza si mise a ridere a bassa voce divertita e si sporse per farle il solletico.
“Dai fammi finire! Non è questo che volevo dire!” disse lei scansandosi leggermente di lato con nessuna intenzione di partecipare all’ilarità dell’amica.
“Stavo sistemando anche il balcone, dove ci sono tutti i vasi di piante, poi sono uscita un attimo dalla camera perché dovevo dire una cosa a mia zia … quando sono tornata i fiori erano tutti sbocciati!”
“Forse non te ne eri accorta prima…. “
“No ti giuro che prima non c’erano! E poi è pieno inverno! come è possibile che siano fioriti in trenta secondi?”
L’altra ora era decisamente confusa e questo era evidente da come fissava l’amica, tentando di scoprire dove stesse l’imbroglio.
“Probabilmente il riscaldamento di camera tua era troppo alto, ha fatto l’effetto di una serra e sono sbocciati prima del tempo..”
“In trenta secondi? E poi erano sul balcone non dentro la camera”
Marta la guardo in silenzio per quasi un minuto poi si strinse nelle spalle, quasi nervosa.
“Cosa vuoi che ti dica, che la fatina della primavera è arrivata da te in anticipo sulla tabella di marcia stagionale?”
Teodora strinse le labbra e si rese conto che sarebbe potuta andare avanti con il racconto ma tanto lei non le avrebbe comunque creduto. Lasciò quindi perdere tutta la parte sugli oggetti che cambiavano posizione senza motivo, sui giocattoli di quando era piccola che erano riapparsi dopo anni e soprattutto sugli strani sogni che faceva di notte, perché non era vero che al risveglio non si ricordava più nulla.
Al mattino il sogno era ancora lì, forte e spaventoso come quello della notte prima, e della notte prima ancora.
“Sarò solo un po’ stressata, gli esami e tutto il resto… probabilmente ho solo bisogno di rilassarmi”
Marta parve sollevata dal cambio di direzione della conversazione, attribuire qualsiasi cosa allo stress era un’ottima soluzione che riportava tutto sul piano della normalità.
“Ah! Ma non ti ho ancora raccontato di ieri! Sono uscita di nuovo con Alex!”
La ragazza si perse nel lungo racconto del secondo appuntamento con Alessandro, descrivendole nei particolari come lui era vestito e quanto fosse stato carino ad offrirle l’aperitivo, ma d'altronde questo era il minimo quando avevi l’onore di uscire con lei.
Teodora si chiese se questa finalmente sarebbe stata la volta buona ma era più propensa a pensare che il povero Alex avrebbe fatto la fine di tutti gli altri, scalzato dal podio con l’arrivo di un nuovo pretendente più interessante di lui.
Pensò che se fosse nata uomo non avrebbe mai voluto innamorarsi di Marta, come donna però trovava le sue innumerevoli avventure amorose molto divertenti.
Era come avere la sua soap opera preferita a disposizione in ogni momento.
Mentre ascoltava quanto all’amica fosse piaciuto il posto dove Alex l’aveva portata, l’arredamento era decisamente raffinato e non se lo sarebbe mai aspettato da lui, Teodora si perse ad osservare la variegata popolazione dell’Archiginnasio.
I ragazzi nel tavolo di fianco al loro sembravano estremamente concentrati su enormi volumi di biologia, probabilmente vista la grandezza dei libri di testo erano studenti di medicina, in realtà però uno stava leggendo il giornale tenendoselo sulle ginocchia, l’altro invece scriveva un Sms.
Le ragazze erano tutte estremamente ben vestite e cariche di accessori costosi, alcune tiravano fuori le penne da eleganti astucci di Luis Vuitton, altre sfoggiavano collane e braccialetti di Tiffany coordinati.
Mentre uno dei bibliotecari le passò davanti, mettendo in mostra un paio di crocks viola, psichedeliche scarpe da ospedale, Teodora si mise involontariamente a pensare a suo padre.
Ricordarlo fa male e ti fa perdere tempo, si ripeteva tutte le volte che le capitava, ma spesso le succedeva che il suo viso, la sua voce e il suo modo di parlare facessero capolino da quelli di un'altra persona.
Così, in maniera incontrollata, una fitta dolorosa alla bocca dello stomaco le faceva notare quanto forse avrebbe avuto bisogno di lui.
Non poteva dire che le facesse mancare nulla, ma il trovarsi a 500 km di distanza da lei, almeno dal punto di vista affettivo, complicava un poco le cose.
Da quando sua madre era morta suo padre si era come spento.
La ragazza non trovava altre parole per descrivere quanto lui fosse cambiato, diventando qualcuno che non riconosceva più, che non riusciva nemmeno a chiamare papà.
Teodora era molto piccola quando aveva perso la mamma, ma per qualche ragione si ricordava bene come erano i giorni prima che questo avvenisse e di quanto fosse stato diverso suo padre.
La persona triste e grigia che vedeva tre o quattro volte ogni anno e che due volte al mese la chiamava non aveva nulla a che fare con la persona che lui era stato prima di quella tragedia.
Se lo ricordava solare, sempre in movimento capace di portarle all’improvviso in spiaggia, anche in pieno inverno, solo perché gli era venuta voglia di vedere il mare.
Ma forse si sbagliava, la sua testa voleva farle credere che lui prima fosse stato diverso: spesso pensava che fosse solo la sua immaginazione, in fin dei conti era solo una bambina quando se ne era andato.
Teodora ricordava anche l’amore che lo legava a sua madre, sembrava che lei fosse per lui il sole della sua galassia tutta personale.
Forse quel giorno di più di quindici anni prima era morto anche lui in quell’ospedale, solo che non se ne era ancora accorto nessuno, a parte sua figlia, che ora per questo lo odiava.
Ma odiava soprattutto se stessa per soffrirne ancora così tanto.
Una lacrima calda le rotolò lentamente sul viso riportandola alla realtà, e Teodora si accorse di qualcosa che prima non aveva notato.
Una piccola farfalla rossa, di un porpora luminoso e scintillante, era entrata da non si sa dove e svolazzava indisturbata per tutta la sala.
Le sue ali sembravano fatte di mille sfumature diverse, quando se la trovò più vicina si rese conto che andavano dal giallo, all’arancione fino al violetto più accesso, come se fossero della stessa costituzione del fuoco.
Quella farfalla tanto particolare percorse in lungo e in largo tutto lo spazio a disposizione, sfiorando le teste degli studenti chini sui libri senza che però nessuno di loro sembrasse rendersene conto.
Teodora non poté fare a meno di seguirla con lo sguardo per quella che le parve un eternità, chiedendosi come fosse possibile che nessuno vedesse una cosa tanto singolare.
Quando il piccolo insetto si avvicino al bancone dei bibliotecari la ragazza incrociò lo sguardo di una delle donne che lavorava all’Archiginnasio. La vedeva tutti i giorni ma non aveva mai fatto mai veramente caso a lei. Era piccola di statura, di si e no cinquant’anni, con i capelli di un biondo poco naturale tagliati a caschetto e dei bellissimi e luminosi occhi grigi.
Non appena i loro sguardi si incontrarono, la farfalla le passò estremamente vicino alla spalla destra, la donna per una frazione di secondo la guardò poi si voltò velocemente lasciando Teodora a chiedersi che cosa fosse successo.
Vedeva anche lei la farfalla rossa che ora le volava tanto vicina? Perché stava fissando proprio lei in mezzo alla cinquantina di studenti che si trovavano in quella sala?
Marta le sfiorò il braccio chiedendo la sua attenzione su quello che stava raccontando.
“Allora dici che dovrei chiamarlo io stasera? O devo tirarmela aspettando che sia lui a farlo?”
Teodora si volto verso di lei con l’intenzione di chiederle se anche lei si era accorta di quello che stava succedendo ma in quel momento vide che la farfalla era sparita.
Guardò ovunque tra i tavoli e sul soffitto ma non ne era rimasta traccia.
“Chiamalo tu, fino ad ora è stato lui a fare sempre il primo passo ora tocca te…”
Rispose distratta all’amica, tirando fuori dal suo repertorio la prima frase che le venne in mente. Marta annui soddisfatta
“Si mi sa che hai ragione… però non gli chiedo di uscire un'altra volta, gli dico solo che mi ha fatto piacere vederlo ieri…cioè non voglio mica che creda che sia cotta di lui no?”
Teodora annui, tentando di sembrare il più possibile interessata a quello che l’amica diceva, poi con addosso una strana sensazione di intorpidimento decise che forse era meglio tornarsene a casa.
Non sarebbe di certo riuscita a studiare nulla in quelle condizioni, chiuse il blocco degli appunti e “Storia dell’antico Egitto” di Grimal che teneva aperto davanti.
Salutò l’amica velocemente perché aveva voglia di uscire in fretta dalla biblioteca, non riuscendo a scrollarsi di dosso la strana sensazione che qualcuno la stesse osservando.
Recuperò le sue cose nell’armadietto all’entrata e si infilò di nuovo l’i-pod nelle orecchie, aveva bisogno dell’accompagnamento musicale giusto per il ritorno.
Il cielo era incredibilmente limpido e l’aria profumava leggermente di fiori, Teodora se ne stupì perché non c’erano ne parchi ne giardini nelle vicinanze, ma pensò che era un segno inconfutabile che stesse finalmente arrivando la primavera.
Aspirò a fondo e sorrise tentando di dimenticare l’ansia che le si era appiccicata addosso nelle ultime ore.
Con “Mr Brightside” dei The Killers a farle da sottofondo si diresse a passo spedito verso un piccolo supermercato del centro, lì vicino.
Sua zia le aveva chiesto di comprare altro latte prima di rientrare, ne prese due cartoni, aggiungendo al tutto un pacco di biscotti dietetici e una confezione di yogurt magri alla frutta.
Odiava essere sempre a dieta, ma era convinta di non poterne fare a meno.
Teodora viveva con sua zia Vittoria, che era la sorella gemella della sua mamma.
Abitavano in un grande appartamento vicino a Porta San Mamolo, al quarto piano di una palazzina costruita nei primi anni del ‘900.
La casa era molto fresca e luminosa, profumava di pulito e dava su un giardino interno,  dalle finestre che davano sulla strada, invece, si aveva la vista di un vecchio platano alto più di cinque metri.
Teodora adorava quell’albero: la luce verdastra che, filtrata dalle sue foglie, inondava la casa la faceva sentire come se abitasse in un bosco.
La ragazza salì le scale con lentezza, le girava un po’ la testa e si stava decisamente convincendo di covare un’influenza. Perfetto, proprio quello che le mancava.
Sua zia era al lavoro e sarebbe tornata per cena, aveva il resto del pomeriggio per se e non vedeva l’ora di mettersi in tuta ed infilarsi sotto le coperte.
Lasciò le converse beige all’ingresso, per certe cose sua zia aveva un ordine quasi orientale, e, prima di dirigersi verso la sua camera, fece tappa in cucina per fare merenda.
Mise il latte e gli yogurt in frigorifero poi i biscotti nello scaffale in alto a sinistra della credenza. Dopo un attimo di indecisione si convinse che quel giorno aveva decisamente bisogno di una dose extra di zucchero e che, per una volta, trasgredire non avrebbe fatto di certo grossi danni.
Afferrò un cucchiaio dal manico lilla ed uno dei budini al cioccolato e nocciola che sua zia mangiava ogni giorno a colazione. Dio benedica il cioccolato, pensò, uscendo soddisfatta dalla stanza.
Il corridoio era tappezzato di fotografie scattate nel corso degli anni, i cui soggetti però non erano mai cambiati: lei e sua zia al mare, lei e sua zia in vacanza in Messico, lei e sua zia a Disney World. Erano loro due in tutte le foto.
Vittoria era stata ed era ancora una donna estremamente bella: negli anni non aveva perso quella bellezza un po’ eterea, con i lineamenti che ricordavano una bambola di porcellana, che era stata il tratto distintivo anche di sua madre.
Da che Teodora aveva memoria sua zia aveva sempre tenuto i capelli corti, tingendoli di una tonalità più scura del loro colore naturale, non toglieva mai una fedina d’argento che i suoi genitori avevano regalato a lei e a sua sorella per la cresima e adorava vestirsi in maniera colorata e femminile.
Vittoria non si era mai sposata, molti anni prima aveva lasciato il fidanzato con cui stava fin dall’adolescenza ed inspiegabilmente non aveva amato più nessuno.
Aveva preso Teodora con se quando aveva quattro anni, lei che era una bambina triste che si svegliava urlando tutte le notti e non riusciva a mangiare, che parlava da sola e aveva paura di tutto, soprattutto del buio.
Francesco Giordani, il padre di Teodora, se ne era andato pochi mesi dopo la morte della moglie, uscendo per fare delle commissioni di lavoro aveva lasciato la bimba a Vittoria per il pomeriggio e poi non era più tornato.
Lo avevano cercato per giorni, ma lui non aveva mai risposto ne a casa ne al cellulare, infine, poco prima che si decidessero a chiamare la polizia aveva lasciato un messaggio nella segreteria della cognata dicendole che stava bene ma che non voleva più occuparsi di Teodora.
Quella bambina ere troppo simile a sua madre, troppo difficile da gestire: troppo, troppo aveva continuato a ripetere come in una cantilena e sua zia aveva capito che faceva sul serio e che non sarebbe tornato.
Non le avrebbe mai fatto mancare nulla, questo no, ma preferiva leccarsi le ferite da solo, come un animale malato e irresponsabile che si isola dagli altri per guarire, voleva costruirsi una nuova vita e ricominciare tutto da capo.
Ne Vittoria ne, soprattutto, Teodora glielo avevano mai perdonato.
Si chiuse la porta della sua camera alle spalle, respirò a pieni polmoni l’odore tanto familiare di vaniglia e lavanda delle candele profumate che accendeva ogni volta che era in casa e si senti finalmente tranquilla e rilassata.
Non si poteva certo dire che Teodora fosse una persona ordinata, provava a rimettere a posto ogni cosa dopo averla usata, come le ricordava sempre sua zia, ma la realtà era che il più delle volte se ne dimenticava.
Sopra la scrivania si ammucchiavano decine di romanzi che non trovavano più spazio sugli scaffali, mischiandosi disordinatamente con i libri dell’università, fogli da disegno, fotografie e ritagli di giornale.
Sul pavimento teneva da sempre un tappeto blu con ricami dalle mille sfumature, che ricordavano tanto le onde del mare, e dove da piccola giocava, facendo prima finta di essere una bellissima sirenetta poi un coraggioso pirata.
La parete di fianco al suo letto, ricoperto da una trapunta fiorita gialla e viola che lei adorava, era completamente tappezzata di fotografie del cielo, scattate nel corso degli anni, in tutti i posti in cui era stata.
I suoi cieli, come li chiamava, la rendevano automaticamente serena tutte le volte che li guardava, poteva immaginare quando voleva di essere in ognuno di quei luoghi e anche in quelli che ancora non aveva visitato: si sentiva libera e piena di una gioia irrazionale.
Accese lo stereo con il Cd dei Beatles di sua zia inserito, e, dopo essersi infilata la felpa più larga e comoda che potesse trovare, finì il la sua piccola trasgressione al cioccolato e si sdraiò sul letto coprendosi con il piumone.
Si distese su un fianco, tenendo un braccio sotto il cuscino e avvicinando le ginocchia al petto perché in nessun altra posizione sarebbe riuscita a dormire.
Hey Jude begin,You're waiting for someone to perform with“ cantava Paul McCartney e Teodora, cullata da quelle parole che trovava così dolci, pian piano si addormentò.
Sognò di nuovo sua madre, tramite uno dei pochi ricordi che aveva di lei.
Teodora avrà avuto si e no tre anni, poco prima che lei morisse, stava disegnando sul pavimento dell’ingresso, con i fogli e i pennarelli tutti sparsi su quel bellissimo tappeto con girasoli che avevano nella vecchia casa.
Sua mamma si asciugava i capelli nel bagno tenendoli rovesciati in avanti, lasciando che sfiorassero quasi il pavimento. L’aria calda del phon li faceva vorticare in una soffice onda di sfumature marroni, e, con la luce del sole che illuminava la casa dalla finestra aperta, sembravano quasi una fiamma scura.
Di scatto alzò la testa e la chioma le ricadde asciutta per tutta la schiena, come una strana pianta rampicante che le dava un aspetto magico, come da sirena.
Teodora era felice, e sapeva che mentre le si stava avvicinando lo era anche sua madre.
Le accarezzò la testa con una mano mentre con l’altra si appoggiava per sedersi vicino a lei sul tappeto. Pensò che era bellissima come probabilmente lei non sarebbe mai stata.
Nel momento in cui però, a gambe incrociate, Teodora se al trovò di fronte si accorse con orrore che il suo vestito si stava lentamente macchiando di rosso, come se qualcuno gli avesse rovesciato addosso un secchio di vernice.
Le vide i polsi e la gola, completamente squarciati, da cui sgorgavano litri di sangue scuro, i tagli erano a forma di mezzelune, e sembravano tre piccoli e grotteschi sorrisi. Urlò, e la voce gracchiante e ovattata che le venne fuori, non era quella di una bambina ma quella di un adulta.
Teodora si alzò a sedere di scatto, con l’urlo che le moriva in gola un'altra volta, come in tutte le altre occasioni in cui aveva fatto lo stesso sogno.
Si sentiva ancora sporca del sangue della madre che dal corpo martoriato le era sgorgato addosso. Si diresse d’istinto verso lo specchio nascosto in una delle ante dell’armadio.
Il sogno era stato solo un sogno, ma nel suo corpo c’era decisamente qualcosa che non andava. Come se stesse per venirle l’influenza le facevano male tutte le articolazioni, era pallida e profonde occhiaia violacee le segnavano il viso.
No, non stava affatto bene.
Teodora ripensò alla madre e si chiese perché facesse in continuazione quel sogno orrendo. D’altronde, come le avevano raccontato suo padre e sua zia, lei era morta di cancro in ospedale.
Si ricordava bene il tappeto con i girasoli che avevano nella casa dove vivevano quando era piccola, come allo stesso modo era impressa nella sua memoria la luce tutta particolare che entrava dalle finestre, di una strana sfumatura rosata perché filtrata dalle tende preferite della sua mamma.
La ragazza si domandò perché la sua testa le facesse vedere quella scena mai accaduta con tanta insistenza.
Era come se aggiungesse ad uno sfondo reale particolari ed avvenimenti del tutto inventati. Forse stava diventando pazza. Fantastico.
Specchiandosi si rese conto di quanto quell’immagine riflessa fosse lontana da come avrebbe desiderato essere. Teodora non si era mai piaciuta.
Aveva smesso di crescere in terza media ed ora raggiungeva a fatica il metro e sessanta.
Non era tanto snella e tantomeno slanciata ed era come se il suo corpo avesse deciso di non maturare di pari passo con la sua testa.
Truccarsi non le serviva più di tanto, per questo motivo aveva lasciato perdere anni prima il tentativo di assomigliare alle sue coetanee.
Preferiva rimanere un po’ anonima anche nel modo di vestire, perché non gli era mai piaciuto attirare l’attenzione degli altri su di se, odiava sentirsi osservata.
Marta era il suo esatto opposto sia fisicamente che caratterialmente.
Teodora, profondamente cosciente di non avere lo stesso successo con gli altri e la capacità di relazionarsi con loro dell’amica spesso desiderava essere come lei.
Fu riportata alla realtà dal suono delle chiavi di sua zia che aprivano la porta d’ingresso.
Vittoria era tornata dal lavoro e lei fu attirata in cucina dall’odore delle pizze che aveva portato. La ragazza si rese conto che aveva dormito molto più a lungo di quello che credeva, fuori era buio pesto ed era già ora di cena.
“Ciao tesoro” la salutò la zia dandole un bacio sulla fronte “Sei calda, hai la febbre?”
Teodora si strinse nelle spalle mentre prendeva le posate dalla credenza per apparecchiare la tavola.
“No non credo, mi sento solo un po’ strana perché ho dormito tutto il pomeriggio”
Vittoria strinse gli occhi in quell’espressione di cui Teodora conosceva ogni segreto (mi devo preoccupare? Mi sto già preoccupando!)  e di cui preferiva evitare ogni conseguenza.
“Tranquilla tata, ero solo stanca perché la notte scorsa non ho dormito bene, tutto qui, sto benissimo” continuo lei sorridendo e la zia sembrò rasserenarsi un pochino.
In quei giorni la donna si comportava in maniera insolita, era sempre nervosa e taciturna, quando di solito era la persona più vivace e solare che si potesse immaginare.
Teodora le aveva già chiesto spiegazioni più volte ma lei aveva sempre negato, giustificandosi dicendo che lavorava troppo e che avrebbe dovuto prendersi una vacanza.
Mangiarono la pizza in silenzio, la zia era persa in chissà quali pensieri, Teodora invece, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di malessere che le aveva lasciato il sogno di quel pomeriggio. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma la morte di sua madre era un tabù in casa loro, e non si tirava mai fuori l’argomento.
Dopo quello che era successo, Vittoria aveva tagliato i lunghi capelli castani, che da sempre teneva come quelli della sorella, e ne aveva cambiato il colore.
Aveva tolto tutte le foto che la ritraevano con la gemella, lasciandone solo una che teneva sul comodino della sua camera da letto, in una spessa cornice d’argento, vicino ad una più piccola di Teodora bambina con in testa un lenzuolo, nel periodo in cui diceva a tutti che sarebbe diventata un profeta.
Sua madre e sua zia adolescenti, già bellissime nei loro quindici anni, si tenevano per mano sedute su un’altalena, coi capelli che a tutte e due cascavano lunghissimi sulla schiena.
Teodora guardava qualcosa che non era stato catturato nell’inquadratura insieme a loro, che probabilmente l’aveva distratta qualche secondo prima dello scatto, Vittoria, invece, sorrideva dolcemente alla sorella, dandole tutta la sua attenzione.
Quando era bambina Teodora prendeva di nascosto quella foto e, sdraiata sotto il lettone della zia, la guardava per ore, chiedendosi che cosa sua madre stesse pensando, che cosa stesse guardando, quali fossero stati i suoi desideri in quel preciso momento.
Mai una volta aveva confuso Vittoria e Teodora, aveva sempre saputo quale fosse sua madre, che aveva qualcosa di diverso dalla gemella e, anche se non avrebbe saputo spiegare che cosa, la rendeva speciale.
Anche una parte di sua zia doveva essere scomparsa quel giorno, quella che aveva condiviso fino a quel momento con sua sorella e che ora era stata seppellita chissà dove per essere dimenticata.
A volte pensava che era stata una fortuna che sua madre fosse morta quando lei era ancora così piccola. Se fosse successo dopo avrebbe avuto il tempo di innamorarsene tanto quanto avevano fatto tutti quelli che l’avevano conosciuta. Il cuore le si sarebbe così spezzato a metà come quello della tata e di suo padre: il suo era solo stato trafitto da tanti spilloni, come una piccola bambola vodoo, e chissà magari non avrebbe mai più funzionato bene.
Si era nascosta sotto al letto di sua zia per anni, tutte le volte che era in casa da sola, e ogni tanto lo faceva ancora. Si portava dietro una torcia elettrica e leggeva un libro, altre volte scribacchiava poesie sul legno delle assi o su foglietti che poi perdeva in giro per casa.
 
Lei era il sole, e non esisteva la paura.
Poi è morta, e tutti hanno cominciato ad affogare.
Io mi sono tuffata, ma non sono affondata come loro.
Per me è impossibile, perché non ho mai imparato a respirare.
 
Vittoria si alzò e cominciò a sparecchiare la tavola, poi si fermò, con i piatti in mano, dando le spalle a Teodora.
“Mi ha chiamato tuo padre questa mattina”
A Teodora si strinse lo stomaco improvvisamente
“Che cosa voleva?”
“Mi ha chiesto se stavi bene e se avevi bisogno di qualcosa”
“Non abbiamo bisogno di altri soldi!”
Rispose di scatto Teodora, senza regolare il suo tono di voce tanto da far sembrare quello che diceva quasi un urlo.
“Non arrabbiarti, vuole solo rendersi utile immagino”
Teodora senti una rabbia dolorosa montargli dentro al corpo.
“Si renderebbe più utile chiamando me e parlando con me, anche se non è ne natale ne Pasqua!”
Vittoria non rispose e cominciò a lavare i piatti nervosamente
“ lo vedi che non gliene frega assolutamente nulla di me? L’ho sentito tre volte in tre mesi e solo per chiedermi se avevo bisogno di soldi!”
La zia non riusciva a controbattere e si limitava a stringere convulsamente le stoviglie sporche di detersivo. Questo non fece altro che innervosire ulteriormente Teodora, che irrazionalmente, percepiva la cosa come se lei lo stesse giustificando.
“Puoi dire qualcosa per favore?“ gridò esasperata la ragazza  “che non sia “poverino vuole rendersi utile”.”
L’altra si girò di scatto bagnando il pavimento con gocce di acqua insaponata.
“non sto affatto dicendo che faccia bene! Sai benissimo che cosa io pensi di lui e del fatto che se ne sia andato, semplicemente non possiamo andare avanti così ad insultarlo! E’ fatto così, non aspettarti niente da lui!”
Teodora si senti invadere da una tristezza disarmante, non sapeva cosa rispondere e due grosse lacrime le scivolarono silenziose lungo le guance.
Abbassando il viso verso il pavimento queste precipitarono e le bagnarono le dita dei piedi scalzi. Serrò i pugni che cominciarono a tremare per la rabbia che le esplodeva dentro.
Senza guardare sua zia in viso non riuscì a trattenersi da urlare ancora:
“Non me ne frega niente se è fatto così! Mi fa schifo e lo detesto! La prossima volta che ti chiama digli che mi sono buttata da un ponte, così che smetta di telefonarmi e si metta il cuore in pace!”
Vittoria apri la bocca come se volesse controbattere ma non le uscirono le parole, il lampadario e le sedie nella stanza cominciarono a tremare rumorosamente.
Teodora senza accorgersi di nulla era corsa in camera sua chiudendo con forza la porta, lasciando sua zia in cucina, dove tutto si muoveva e sbatteva senza una ragione.
Un piatto che ancora era rimasto sul tavolo si frantumò sul pavimento macchiandolo dei resti della pizza che avevano mangiato, tre bicchieri caddero dagli scaffali più in alto della credenza, tutte le ante e gli sportelli si aprivano e si chiudevano ritmicamente.
Dopo qualche minuto i mobili animati da chissà quale strana forza si fermarono, e la donna si accasciò letteralmente sulla sedia a lei più vicina.
Si strinse le tempie con mani ed emise un lungo sospiro.
 
   
 
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