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Autore: carlottad87    11/02/2017    1 recensioni
Sullo sfondo di una Bologna segnata da una serie di omicidi di irrisolti, Teodora scopre dentro di sè un potere unico che le aprirà le porte di un mondo completamente nuovo e fantastico, ma anche pericoloso e fatto di violenza.
Teodora, giovane universitaria ventenne, imparerà presto che tutto quello che ha sempre saputo su sé stessa non è altro che una bugia e che dovrà trovare il coraggio di portare a termine il compito che una forza superiore le ha affidato.
L'amore impossibile per un uomo tanto più grande di lei, così attraente e al tempo stesso così spaventoso, sarà l'unico mezzo per scoprire sé stessa o non farà che allontanarla dal suo destino?
"Il terzo cadavere che la donna vedeva in vita sua, dopo quello di suo nonno morto per un cancro al colon e di suo marito che aveva avuto un infarto qualche anno prima, le sembrò molto più spaventoso dei primi due. La ragazza, che dimostrava poco più di vent’anni, non aveva addosso la bruttezza della malattia, del dolore e della vecchiaia; la sua vita era stata spezzata senza preavviso, e la sua bellezza era abominevole e contro natura."
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.
 
La sensazione di spossatezza che aveva caratterizzato l’ultimo periodo si acuì incredibilmente nei giorni dopo quel sogno. Teodora si sentiva stanca, era sempre distratta e le pareva che un’influenza maligna avesse deciso di non esplodere mai dentro di lei, lasciandola per sempre in quella situazione di attesa e malessere. La mattina non riusciva ad alzarsi in orario, mangiava poco e aveva sempre la nausea, non ce la faceva a studiare e di conseguenza il malumore peggiorava alimentato dal senso di colpa. L’unica nota positiva era il suo aspetto, non si sapeva spiegare il motivo ma si rendeva conto che il suo corpo stava lentamente cambiando. Forse a causa della mancanza di appetito stava perdendo peso, i capelli le sembravano sempre più folti e luminosi, le gambe un po’ più lunghe, le braccia un po’ meno tornite. Si ritrovò a pensare più volte che era come se il suo corpo avesse deciso d’un tratto di crescere, recuperando tutti i passaggi che aveva lasciato indietro.
Seguiva svogliatamente le lezioni, non tenendo più nemmeno il conto delle stranezze che continuavano a succederle attorno: non erano più solo oggetti che si spostavano o giocattoli di quando era bambina che ricomparivano in giro ma una serie di inspiegabili eventi che le sconvolgevano le giornate.
L’aria si era fatta elettrica e carica di una strana energia, di aspettativa.
Due giorni dopo il sogno Teodora dormicchiava sul divano del salotto e si senti chiamare più volte da sua zia: si alzò e girò cercandola per tutta la casa prima di ricordarsi che la Tata non poteva esserci, non sarebbe infatti tornata dal lavoro prima delle sette. Sul tavolo della cucina trovò una foto di quando era bambina che non aveva mai visto: lei e sua madre, che indossava un costume intero azzurro e un cappello a tesa larga per proteggersi dal sole, si tenevano per mano davanti al mare. Teodora cominciò a tremare, prese la foto e corse in camera sua, dove la nascose in un cassetto della scrivania. 
Alcuni giorni dopo, mentre tornava a casa, trovò il gatto grigio che l’aspettava sul pianerottolo e la fissava con quei suoi grandi occhi gialli. Quando la vide arrivare si strusciò sulle sue gambe facendo le fusa, poi scappò via giù per le scale, lasciando una perplessa Teodora con il cuore che batteva all’impazzata.
La sera stessa stava guardando un film in tv mentre si metteva lo smalto sulle unghie dei piedi, quando tutto ad un tratto tutte le luci si spensero facendo sprofondare la casa nel buio più totale. Teodora si ritrovò con la boccetta di smalto in mano ed il cuore in gola, con la fastidiosissima sensazione che qualcuno la stesse osservando.
Una mano, che a Teodora parve quella di un bambino, le afferrò una spalla da dietro. La ragazza gridò, lasciando cadere la boccetta che rovesciò il suo contenuto sul pavimento.
Le luci e la televisione si riaccesero di colpo e lei si voltò di scatto. Dietro di lei non c’era nessuno.
Aveva costantemente paura che potesse succedere qualcosa di spaventoso, sobbalzava ad ogni rumore forte, quando una porta sbatteva o qualcuno sparava in televisione.
Una settimana dopo, un'altra ragazza venne trovata morta.
Il telegiornale disse che si chiamava Sara Cocchi, aveva occhi azzurri tremendamente dolci e nella foto che fecero vedere in televisione sorrideva mostrando molto le gengive. Qualcuno l’aveva portata in un vicolo vicino a Piazza Maggiore, l’aveva uccisa e dissanguata. Come l’altra ragazza che era stata trovata quasi un mese prima. Signore e Signori attenzione, ecco un serial killer.
Teodora si stava infilando le scarpe quando il servizio passò in televisione. Si scordò di colpo che aveva promesso a sua zia di andare a fare la spesa e si ritrovò a fissare lo schermo con una scarpa in mano per almeno mezzora, anche quando il telegiornale era già finito.
Sara aveva solo  20 anni. 
Passò il resto della serata a scribacchiare furiosamente poesie su un quaderno con delle margherite sulla copertina. Era l’unica cosa che la faceva sentire un po’ meglio quando il suo cuore correva così forte da scordarsi dei battiti; aveva cominciato da piccola e dato che funzionava non si era mai fermata. A volte strappava una delle pagine scritte, ne faceva un aeroplanino e lo lanciava fuori dalla finestra, altre volte le piagava e le nascondeva in giro per la casa. Non sapeva come si sarebbe sentita se qualcuno le avesse lette, al pensiero si vergognava parecchio, ma non poteva fare a meno di sparpagliarle un po' dappertutto.
 
Da qualche parte nel mondo c’è qualcuno che ti sopravvive,
ma continuerà tutto allo stesso modo domani?
I colori delle cose saranno gli stessi,
voglio che il fuoco mi bruci ancora le dita,
e la vita andrà avanti ancora senza che io ti abbia mai conosciuta,
non è un’enorme ingiustizia questa?
(Poi due righe cancellate)
Il sole è caduto, e il cielo si è fatto sangue,
ti rivedrò un giorno,
nei deserti fatti di buio.
Le cose cambiarono venerdì 16 marzo, durante quello che sarebbe stato ricordato da Teodora, per tutto il resto della sua vita, come “Quel Giorno”.
Di giorni che divennero perni fondamentali della sua esistenza, di quelli che segnarono un prima e un dopo nella lunga linea retta della sua vita, ce ne furono molti altri da quel momento in poi.
Ma quello fu il primo e richiamò tutti gli altri.
Teodora stava leggendo L'ombra dello Scorpione di Stephen King, dopo aver cenato davanti alla televisione e aver guardato due episodi dei Griffin ed uno di Sex and the City.
La tata avrebbe lavorato di nuovo fino a tardi e lei aveva deciso che forse sarebbe andata a dormire da Marta perché non aveva voglia di restare da sola.
Quando arrivò alla settima riga di pagina 254 il libro le cadde di mano.
Qualcosa le era schioccato nella testa, come se un elastico si fosse strappato dopo essere stato tirato troppo, le ultime parole che aveva letto ( il suo viso disfatto, il suo viso disfatto, il suo viso disfatto) continuavano a ripetersi nella sua mente, più e più volte.
Il gatto grigio era acciambellato in uno dei vasi di fiori sul suo balcone, quello con le primule viola, facendo le fusa rumorosamente.
I suoi occhi gialli le sembrarono così luminosi, quasi fosforescenti. Teodora si alzò in piedi e si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Si rese conto che non aveva voglia di fare nient'altro che non fosse fissare quei due grandi occhi dorati, che divennero in un secondo il perno dell'intera esistenza. Tutto intorno il mondo era diventato ovattato, fece due passi verso il balcone, poi si fermò perché non aveva la forza di fare altro.
il suo viso disfatto, come ha fatto a salire così in alto?, il suo viso disfatto, ma è troppo in alto, il suo viso disfatto, il suo viso disfatto
D'un tratto il micio inarcò la schiena e i peli gli si rizzarono. Miagolò forte e in un balzo tranquillo scomparve alla vista di Teodora. La realtà si era arricciata e nell'aria che si era fatta così pesante il gatto era sparito.
In quel momento esatto la volontà di Teodora si eclissò del tutto chissà dove, e il suo corpo prese a muoversi in totale indipendenza.
Si mise un paio di UGG marroni sopra i pantaloni della tuta grigi, prese le chiavi e si infilò la giacca mettendole in tasca.
Usci di casa e scese le scale, senza rendersi conto di quello che stava facendo si ritrovò in strada: il gatto grigio l'aspettava tranquillo davanti al portone del palazzo. Non appena la vide miagolò, le si strusciò sulle gambe e ricominciò a fare le fusa.
Poi si voltò deciso, mettendosi in cammino, e lei non poté fare a meno di seguirlo un'altra volta. Teodora gli stava dietro senza sapere dove la stesse portando: non aveva paura e non era curiosa, non sentiva assolutamente nulla, semplicemente camminava.
Scesero per Via San Mamolo verso i Viali, poi, con il gatto che trotterellava tranquillamente, si diressero verso il centro storico, passando attraverso Via D'Azeglio.
Il cielo era limpido e l'aria profumava di rose. Da quel giorno in poi Teodora avrebbe associato quell'odore ai momenti speciali della sua vita: non avrebbe però mai capito se fosse il profumo della sua felicità che le usciva dal corpo e si spandeva nell'aria, o se invece comparisse prima per avvertirla che stava per succedere qualcosa di bello.
Arrivati in via Farini girarono a destra e dopo qualche minuto si ritrovano in Piazza Cavour.
Tutta la realtà si era fatta luminosa, come se fosse costruita con la stessa pasta con cui si creano i sogni: le persone camminavano lasciandosi dietro strisce di luce e Teodora sentiva le loro voci mischiate ad altre. Il mondo stesso ora parlava, gli alberi gridavano rivolti al cielo, le pietre, le pareti sussurravano al suo passaggio, tutto era diventato rumore. Poi, i suoni si trasformavano in colori che danzavano davanti ai suoi occhi, in forme che non aveva mai visto prima, lettere di una lingua che non poteva capire.
La realtà le scorreva addosso, senza che lei si rendesse conto di cosa stesse succedendo e di dove stesse andando: semplicemente seguiva una forza che sentiva battere nel cuore, nei polmoni, in ogni parte del corpo.
Alberi e siepi circondavano la piccola piazza che si trovava a qualche decina di metri dall'Archiginnasio, la biblioteca dove Teodora si fermava a studiare quasi tutti i giorni, ed era il posto preferito da lei e Marta per pranzare quando c'era bel tempo.
Il gatto si fermò davanti al busto in bronzo di Cavour e in quel momento esatto Teodora senti un secondo scoppio nella testa: il mondo usci dalla nebbia che lo aveva avvolto e lei fu sbalzata lontano da quel sogno meraviglioso in cui camminava.
I contorni delle cose tornarono a farsi definiti e i pensieri le si affollarono rumorosamente nella testa: aveva paura ma allo stesso tempo era curiosa, le tremavano le mani e sentiva il cuore correrle furiosamente nel petto.
Il gatto miagolò rumorosamente e trotterellò verso una signora, seduta su una panchina li vicino, per poi saltarle in braccio.
La donna, vestita con un cardigan verde smeraldo e pantaloni di lana beige, aveva i capelli tagliati corti sulla nuca, bianchi e folti. La cosa che più colpiva di lei erano gli occhi, di un blu così profondo e lucente che Teodora non aveva mai visto su nessuno. Quelli erano gli occhi di chi ride spesso, di chi ha vissuto una vita lunga e felice e che ha visto tanto, in un modo che a molte persone è precluso. Definire la sua età era difficile: da una parte sembrava molto anziana, alcune rughe profonde le decoravano la fronte e gli angoli degli occhi, dall'altra invece, la sua espressione e lo sguardo la facevano sembrare una ragazzina, intrappolata in un corpo che non era il suo.
Teodora si sorprese a pensare quanto fosse curiosa di sentirla parlare, di sapere se la sua voce facesse sentire bene quanto guardarla negli occhi.
"Animali curiosi i gatti non trovi?"
disse lei con tono pacato, e Teodora non rimase delusa: la sua voce era calda e melodiosa, e le ricordava un po' quella della tata e di sua nonna, con cui aveva passato molti pomeriggi della sua infanzia.
"si trovano con un piede in ognuno dei due mondi, e quando stanno di qua il più delle volte sono disposti a darci una mano." continuò lei, sorridendo con le labbra e con lo sguardo.
"Come… io… chi è lei?"
La donna accarezzava il gatto grigio, che soddisfatto faceva le fusa rumorosamente.
"Bene, per prima cosa è il caso che mi presenti" disse, allargando il sorriso e mostrando denti bianchi e perfetti.
"Il mio nome è Adela" poi allungò il braccio, per stringerle la mano.
Teodora contraccambiò il gesto senza neanche pensare, e si accorse di quanto la sua pelle fosse calda e morbida. Quel tocco delicato la fece sentire bene e quindi sorrise a sua volta.
"Siediti qui di fianco a me, vuoi? dobbiamo parlare un po' noi due"
Teodora spostò il peso da un piede all'altro indecisa su cosa fare, alla fine era solo una signora anziana, che avrebbe potuto farle? forse non ci stava più tanto con la testa e si sentiva sola, forse voleva solo fare due chiacchiere..
ma cosa ci faccio io qui? come cavolo ci sono arrivata? e perché lei parla come se mi conoscesse?
Decise che in ogni caso sarebbe stato maleducato andarsene così, si sarebbe seduta e avrebbe ascoltato cosa aveva da dire. E poi nei film dell'orrore non è mai la dolce vecchietta a mangiare i bambini no? beh forse questo non valeva per Hansel e Gretel, ma quella era solo una favola e poi lei non era più una bambina.
"Ti starai chiedendo perché io ti abbia fatta venire qui, Teodora"
Teodora sobbalzò leggermente, si accorse che le guance le bruciavano, come se avesse la febbre.
"Come sai il mio nome? in che senso mi hai fatta venire qui, cosa vuol dire?"
"Con calma capirai tutto …" la donna si schiarì la voce e si aggiustò dietro le orecchie una ciocca dei suoi capelli bianchi.
"Immagino che ultimamente ti stiano capitando cose un po' strane, cose che non riesci proprio a comprendere e che ti fanno paura, sono sicura che anche il tuo corpo sta cambiando e tu non hai idea della ragione per cui succede. Ecco, io sono qui per spiegartene il motivo."
Lei sorrise in maniera ancora più dolce mentre Teodora sentiva il cuore batterle rumorosamente.
"tu sei una strega, i tuoi poteri stanno tornando e per questa ragione attiri un sacco di magia verso di te."
Una falena le volò a pochi centimetri dal viso, aveva le ali di un beige scuro e Teodora la vide dirigersi verso il buio dietro una siepe.
"Ha…io…Cosa?"
"Ovviamente lo sono anche io" la donna le strinse la mano destra che Teodora teneva chiusa a pugno sulle ginocchia.
Non sapeva come reagire, alzarsi e andarsene senza dire una parola, ridere e chiederle se era uno scherzo o semplicemente starla ad ascoltare per vedere dove voleva arrivare.
"E' davvero difficile trovare le parole giuste per cominciare… vedi il mondo è fatto in maniera diversa da come immagini, ci sono un sacco di cose nascoste sotto la superficie"
Teodora la guardava chiedendosi davvero che cosa ci facesse li e perché stesse ad ascoltare quello che diceva.                                                                    
Era la sua voce che, non sapeva spiegarsene il motivo, aveva qualcosa che le impediva di muoversi e andarsene.
"La magia è ovunque, ma non sempre ha voglia di farsi vedere. Tutto quello che hai sempre creduto essere impossibile, quello che popolava i tuoi libri di fiabe, ciò che avevi paura si nascondesse sotto il tuo letto di notte… tutto esiste e tu hai la capacità di poterlo vedere. Sei nata diversa Teodora"
Teodora abbassò lo sguardo e lasciò scivolare i lunghi capelli davanti agli occhi, le guance le bruciavano più che mai.
"Lo so che non mi credi, ma devi avere pazienza ed ascoltarmi fino alla fine: il mondo è governato da forze così antiche, così potenti, noi la chiamiamo la Madre, la Dea… ma in realtà lei ha tanti nomi, tanti quanti i popoli del mondo"
Adela rimase in silenzio per qualche secondo poi si abbassò e raccolse da terra due foglie verdi di ginkgo biloba. Le teneva nella mano destra sul palmo, rivolto verso l'alto.
Improvvisamente qualcosa nell'aria cambiò, un'onda di elettricità si propagò da Adela verso Teodora, a cui venne la pelle d'oca sulle braccia.
Le due foglie, muovendosi da sole, si unirono al centro, poi, come una piccola farfalla dalle ali a forma di cuore si alzarono in volo.
Teodora fissava quel piccolo prodigio incantata. Le mani le scivolarono ai lati del corpo ed era sicura che, se si fosse guardata da fuori, sarebbe sembrata uno di quei personaggi dei cartoni animati a cui per lo stupore si disarticolava la mandibola.
D'un tratto le ali della farfalla presero fuoco, ma lei continuò a svolazzare in giro come se niente fosse: le ali di fiamma divennero da rosse prima viola, poi blu, fino a polverizzarsi e scomparire in un soffio di vento.
Teodora si alzò di scatto dalla panchina, fissando allibita la signora che continuava a sorridere felice.
"Non hai idea di quello che sarai in grado di fare… e noi ti insegneremo tutto quello che devi sapere"
Aveva la gola secca e non poteva fare a meno di spostare il peso da un piede all'altro.
"ma se tu, cioè se io sono… perché me lo vieni a dire solo ora?"
Si accorse che senza volere stava ansimando e si era conficcata le unghie nei palmi delle mani, strette in un pungo.
"Ecco, a questo proposito la faccenda è un po' complicata…" la donna sospirò, e una luce scura le attraversò gli occhi.
“Prima di tutto non possiamo rischiare che gli esseri umani ci scoprano. Non ne nascono tante di noi, e se in famiglia c’è solo una strega, e non ha nessuno vicino che possa aiutarla, tenerle bloccati i poteri impedisce che venga scoperta quando ancora non è in grado di controllarli.. Inoltre il nostro mondo è pericoloso Teodora, una strega bambina è molto più vulnerabile che un’adulta, ci sono un sacco di creature che muoiono dalla voglia di farci del male…”
Teodora spostò nuovamente il peso da un piede all’altro, indecisa su cosa fare.
Creature che vogliono farci del male? Ma di cosa parla?
Poi si sedette un’altra volta vicino ad Adela.
“Che tipo di creature?”
Adela accarezzava il gatto con sguardo perso, distratta da chissà quale pensiero.
“Incubi, coboldi… i vampiri soprattutto.”
Incubi? vampiri? è pazza, pazza, pazza!
Oddio… ma quelle foglie? come te le spieghi quelle?
I lunghi capelli mossi le coprirono nuovamente il viso, nascondendo il fiume caotico di pensieri contrastanti che scorreva nella sua testa.
"Senti di questo parleremo meglio più avanti, ora devi già digerire un sacco di informazioni"
Adela le prese nuovamente la mano e Teodora si rese conto che la cosa la faceva sentire davvero bene, come se quel contatto potesse magicamente calmarla e farla sentire a suo agio.
"Oggi è il 16 Marzo, fra 4 giorni sarà l'equinozio di primavera, è il giorno in cui ti torneranno i poteri."
Teodora si voltò verso di lei, spostandosi i capelli dal viso con una mano, pensò che di quel passo le sue guance avrebbero preso fuoco.
"Vieni qui alle otto martedì prossimo, ti porteremo dove è tradizione che si compia la cerimonia per il risveglio dei tuoi poteri, così potrai conoscere tutte le altre streghe della congrega."
"ma io non credo che… cioè ho un sacco di domande da farti, io davvero non capisco come sia possibile..."
"Lo so che sei confusa adesso, e ci sarà tempo per rispondere a tutte le tue domande, davvero."
Poi sospirò e si avvicinò ancora di più a Teodora, questo la fece sentire meglio.
"Vedi quando sono nata io erano tempi diversi, non ci bloccavano ancore i poteri. Io sono cresciuta sapendo quello che ero… Capisco cosa significhi per te scoprire tutto questo da un momento all'altro, immagino come ti possa sentire."
"Quanti anni ha lei?"
La donna sorrise, sistemandosi di nuovo una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Abbastanza, mia cara, abbastanza. Diciamo che ho visto e fatto parecchie cose nella mia vita.."
"Ma quelli come te, cioè come noi, quanto viviamo?"
Lei rise, e il suono della sua voce era così caldo e piacevole da ascoltare che Teodora senza accorgersene sorrise a sua volta.
"Beh questo dipende da ognuna di noi, se abbiamo un buon motivo per restare a questo mondo la nostra vita può essere davvero molto lunga"
poi a Teodora parve che il suo sguardo si rabbuiasse un poco.
“Potremmo anche vivere per sempre volessimo”
Teodora soppesò per qualche secondo quelle parole, chiedendosi quanti anni potesse avere Adela sulle spalle, quanti decenni, secoli forse?
L’idea che potessero vivere per sempre le parve assurda, e si chiese se stesse scherzando.
"Le streghe sono solo donne? o ci si sono uomini che possono fare le stesse cose?"
E la donna rise ancora, sgranando quei bellissimi occhi da ragazzina.
"Ma certo che no, che cosa buffa da dire… gli uomini non potrebbero mai capire cosa significa, le streghe possono essere solo donne. Vedi il nostro corpo è un tramite cosciente della magia, lei fluisce attraverso di noi, siamo modellate per lei. Le donne sono fatte apposta per questo, un giorno vedrai ne capirai il motivo"
"Ha…ok, certo… "
La falena di prima volava vicino ad un lampione che illuminava di giallo quel piccolo angolo di giardino in cui si trovavano: attratta dalla luce continuava a sbatterci contro, come se ci vedesse talmente poco da credere che quello fosse il sole.
"Ma se io decidessi di non venire martedì prossimo, ecco si, che cosa accadrebbe?"
"Non cambierebbe nulla, i tuoi poteri tornerebbero comunque come è giusto che sia, solo in maniera un po' più faticosa. Tu sei come una stanza che è stata costruita per accogliere la Magia: ora la porta di ingresso è sbarrata, ma noi possiamo fare in modo che venga aperta e che tutto vada come deve andare. Altrimenti verrà sfondata e la Magia entrerebbe lo stesso. Tu sei quello che sei, non c'è modo di cambiare le cose"
Teodora giocava con una ciocca di capelli, attorcigliandosela tra le dita: lo faceva tutte le volte in cui era agitata e aveva bisogno di tranquillizzarsi. Tentava di analizzare in maniera obiettiva tutte le informazioni che le erano state date quella sera, ma davvero non riusciva a gestire la confusione che si era creata nella sua testa.
Adela abbassò lo sguardo, accarezzando dietro le orecchie il gatto acciambellato sulle sue gambe.
"Sei così uguale a tua madre, anche lei giocherellava con i capelli a quel modo"
Teodora si voltò di scatto verso dei lei, col cuore che le batteva di colpo all'impazzata.
"Tu conoscevi mia madre?"
"Certo, anche lei era una strega. Mi ricordo perfettamente il giorno in cui ci incontrammo e le dissi le stesse cose che sto dicendo a te ora."
"Ma io non…come è possibile che non ne sapessi nulla?"
Disse Teodora alzando di molto il tono della sua voce.
"Beh credo che questo dipenda dal fatto che tu e tua madre siete le uniche streghe nate nella tua famiglia da molte generazioni. Probabilmente se ci fosse stata un’altra strega ora non saremmo qui. Sai la Magia funziona in maniera strana, non passa di madre in figlia, di generazione in generazione. Sceglie lei in chi manifestarsi, in completa autonomia."
Teodora appoggiò la schiena alla panchina e si voltò di nuovo verso il lampione su cui la falena continuava a sbattere senza sosta. Ed ecco qualcos'altro di sua madre che non sapeva, un altro pezzo di lei che si era perso per sempre. L'immagine che si era fatta di lei, il puzzle di particolari che aveva messo insieme negli anni per ricreare quella donna sconosciuta si distrusse di colpo: un altro spillone le venne conficcato dolorosamente nel cuore.
"Lei com'era? mia madre dico.."
Teodora teneva le mani strette in un pugno. Adela la guardò socchiudendo un po' gli occhi, poi le mise una mano sulla spalla, che in quel momento tremava un pochino.
"Oh lei era adorabile. Era così luminosa, ti rendeva felice solo starle vicino"
Lo sguardo le si fece triste e gli occhi le divennero bui.
"Io non so molto di lei, mia zia non ne parla volentieri…"
"E' comprensibile, mia cara, è comprensibile" Disse lei, e a Teodora sembrò una risposta data da chi sta pensando ad altro.
Poi si voltò nuovamente verso di lei.
“Abbiamo fatto giurare ai tuoi di non dirtelo fino a che non fossi cresciuta, ma credo che ora tu lo debba sapere. Tua madre è stata uccisa da un vampiro, tuo padre l’ha trovata dissanguata in casa vostra quando avevi tre anni.”
Teodora si aggrappo con le mani al ferro della panchina, tanto forte che le divennero bianche le nocche. Un forte senso di nausea le si diffuse dallo stomaco alla gola e gli occhi cominciarono a pizzicarle.
“Che cosa? Non è vero! Lei è morta di cancro!”
“Noi non possiamo morire di cancro Teodora” rispose Adela seria.
“Ma mia zia…lei mi ha sempre detto che era malata!”
“Lo so, abbiamo fatto promettere a lei e a tuo padre di non dirti nulla. Non era il caso che lo sapessi prima del tempo.”
Teodora allentò un po’ la presa delle mani sulla panchina, e senti lacrime calde che le scivolavano sulle guance. Era arrabbiata, triste e confusa nello stesso tempo.
Mi hanno sempre mentito. Il sogno era vero, è morta su quel tappeto e io l’ho vista. Voglio vomitare.
“Non prendertela con tua zia, non potevi saperlo prima di oggi.”
Teodora annuì senza dire nulla, poi si strinse nelle spalle e si asciugò le guance con il polsino della felpa.
“Perché proprio lei? Che cosa aveva fatto?”
“Ah, non credo ci sia una ragione, semplicemente un vampiro l’ha trovata e l’ha presa di sorpresa… Lo abbiamo cercato a lungo, per vendicarci, ma non siamo mai riuscite a trovarlo. Ad ogni modo ne abbiamo uccisi parecchi al posto suo.”
Teodora sospirò rumorosamente, non riusciva a rielaborare tutte le informazioni che le erano state date così velocemente, così di sorpresa.
Il gatto si stiracchiò, inarcando la schiena, poi saltò giù e si voltò verso Adela.
La donna lo guardò e si passò due volte le mani sulle gambe, poi, con un movimento molto fluido per una donna della sua età, si alzò dalla panchina.
Teodora capì che stava andando via e si rese conto che aveva bisogno di altro tempo con lei, aveva una miriade di domande da farle e le sembrò che quel distacco fosse troppo veloce.
Adela si voltò verso di lei e le sorrise di nuovo, in quel modo così dolce e caldo, che la fece sentire bene, riuscendo a calmarla.
"Ora devo andare, mi dispiace non poter restare di più ora. Ma ci sarà tempo per parlare, e per rispondere a tutte le tue domande." 
Si sistemò sulla spalla una borsa di pelle marrone che fino a quel momento era rimasta appoggiata al suo fianco, sulla panchina.
"Ti aspetteremo qui alle otto martedì prossimo, sii puntuale"
Teodora aprì la bocca per dire che ancora non sapeva se sarebbe venuta martedì, che ancora non sapeva se le credeva, che ancora aveva bisogno di farle domande e che voleva sapere di più su sua madre, ma le usci solo un incerto:
"ha… si ok…"
Lei annui, sorrise felice e si voltò. Il gatto le trotterellava davanti e lei lo seguì con passo tranquillo versò l'uscita di piazza Cavour, in realtà più un giardino che una piazza, incastrata nel mezzo dei palazzi antichi del centro storico. Teodora pensò nuovamente quanto il suo modo di muoversi la facesse sembrare molto più giovane di quanto invece mostrasse il suo corpo.
La ragazza rimase seduta su quella panchina a lungo, osservando il vento che muoveva le foglie delle siepi, anche dopo che Adela era scomparsa dalla sua vista.
 
Quella notte dormì solo due ore.
Era arrivata a casa alle dieci e cinque, mezz'ora prima che sua zia Vittoria tornasse dal turno in ospedale.
Quando la senti rientrare era sdraiata sul letto con la tv accesa, ma non la stava guardando veramente, si era persa da tutt'altra parte: si girò verso il muro e si copri la testa con il piumone leggero. Non voleva parlarle, voleva che lei pensasse che si fosse già addormentata.
Se le avesse parlato la tata avrebbe capito subito che c'era qualcosa che non andava e davvero in quel momento non aveva le forze per uno dei suoi soliti interrogatori. Dopo quello che aveva scoperto quella sera non voleva parlare con chi le aveva tenuto nascosto così tanto, per così tanto tempo.
La zia entrò in camera e quando vide che dormiva recuperò il telecomando e spense la televisione, si avvicinò al letto e sistemò il piumone scoprendole la testa. Lo faceva spesso e Teodora era convinta che avesse paura potesse soffocare nel sonno, come i neonati.
E pensare che l'aveva presa con se che aveva già quattro anni, quando possibilità di questo tipo erano già scomparse da tempo.
Nelle due ore in cui non fissò i cieli sulla parete di fianco al suo letto, in particolare un tramonto in Messico del colore del fuoco, sognò sua madre.
Come tutte le altre volte fu un sogno spaventoso.
   
 
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