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Autore: carlottad87    11/02/2017    1 recensioni
Sullo sfondo di una Bologna segnata da una serie di omicidi di irrisolti, Teodora scopre dentro di sè un potere unico che le aprirà le porte di un mondo completamente nuovo e fantastico, ma anche pericoloso e fatto di violenza.
Teodora, giovane universitaria ventenne, imparerà presto che tutto quello che ha sempre saputo su sé stessa non è altro che una bugia e che dovrà trovare il coraggio di portare a termine il compito che una forza superiore le ha affidato.
L'amore impossibile per un uomo tanto più grande di lei, così attraente e al tempo stesso così spaventoso, sarà l'unico mezzo per scoprire sé stessa o non farà che allontanarla dal suo destino?
"Il terzo cadavere che la donna vedeva in vita sua, dopo quello di suo nonno morto per un cancro al colon e di suo marito che aveva avuto un infarto qualche anno prima, le sembrò molto più spaventoso dei primi due. La ragazza, che dimostrava poco più di vent’anni, non aveva addosso la bruttezza della malattia, del dolore e della vecchiaia; la sua vita era stata spezzata senza preavviso, e la sua bellezza era abominevole e contro natura."
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5.
 
Teodora si svegliò a mezzogiorno, con la lingua che sembrava fatta di carta vetrata e con un sapore dolciastro in bocca che le dava la nausea.
La testa le pulsava terribilmente e le palpebre si erano appiccicate tra loro perché non si era struccata prima di addormentarsi.
La notte precedente, subito prima di crollare in un sonno senza sogni, si era tolta vestito e collant e si era infilata sotto il piumone in biancheria intima, senza nemmeno togliersi gli orecchini e i due bracciali che indossava.
Le ci vollero cinque minuti buoni per decidere ad alzarsi, poi prese i pantaloni della tuta e una t-shirt verde da un cassetto.
Per prima cosa si lavò i denti, nel tentativo di cancellare il sapore di ruggine e marcio che sentiva in gola, evitando accuratamente di guardarsi allo specchio. Era sicura che il suo viso, tra trucco sbavato e capelli in modalità “nido-di-uccello”, fosse in condizioni pietose.
La seconda tappa fu la cucina, si era svegliata con lo stomaco che brontolava rumorosamente: versò una dose abbondante di cereali al cioccolato e nocciole in una tazza, inondandoli di latte parzialmente scremato. Mise sul fuoco una moca di caffè e mentre aspettava fosse pronto accese la tv e si sedette sul divano a mangiare.
Ripensò a quello che era successo la sera prima e senti lo stomaco contorcersi.
Aveva lasciato le sue amiche senza nemmeno avvertire per farsi accompagnare a casa da uno sconosciuto. Sconosciuto che avrebbe potuto stuprarla, farla a pezzi e gettarla in un vicolo per quanto nel sapeva.
Decisamente una scelta intelligente, Teodora: più invecchi più diventi furba.
Ricordò quando lei gli aveva fatto accostare la macchina per poter vomitare dietro ad un albero: si sentì avvampare le guance, chiuse gli occhi aggrottando le sopracciglia e si mise una mano sulla fronte.
Non si era mai vergognata tanto.
Versò il caffè in una tazza, in una quantità che sarebbe bastata per due persone, e ci mise dentro una dose doppia di dolcificante. Poi decise che i cereali non l’avevano saziata e, anche sapendo che si sarebbe sentita in colpa, cercò i biscotti ai cereali e cioccolato che la tata mangiava quando le veniva il ciclo e aveva bisogno di zuccheri.
Squillò il telefono e Teodora sobbalzò leggermente.
Prese il cordless dal tavolino basso davanti al divano e tolse l’audio al televisore.
“Pronto?”
“Teodora perché non rispondi al cellulare, saranno due ore che ti chiamo!”
Teodora sospirò, sua zia diventava paranoica quando la lasciava a casa da sola, pensava sempre che potesse succederle chissà che cosa, immaginandosi scenari drammatici che includevano quasi sempre stupratori e serial killer.
Bhe questa volta avrebbe potuto aver ragione furbacchiona.
Le ricordò la vocina fastidiosa nella sua testa.
“Scusami tata, mi sono appena svegliata, abbiamo fatto tardi ieri sera…”
Però il cellulare avresti dovuto sentirlo squillare non pensi? Avrebbe dovuto svegliarti…
Continuò la stessa vocina.
“Mi sono preoccupata da morire, potevi mandarmi un messaggio dicendomi che avevi fatto tardi ma che eri tornata a casa e stavi bene”
Teodora sbuffò e si passò di nuovo la mano sinistra sulla fronte.
“tata sono grande, non ho pensato che ti potessi preoccupare e poi i comuni mortali dormono la domenica mattina.”
Disse bruscamente, quasi subito però si pentì del tono che aveva usato.
“Non c’è bisogno di rispondermi così male. E’ normale che mi preoccupi poi, ho solo te..”
“Si scusa… ho solo un gran mal di testa, forse è il caso che torni a letto un altro po’, ti richiamo nel pomeriggio va bene? “
“va bene tesoro, ci sentiamo più tardi. Prenditi un aspirina ok?”
“Ok” poi ci pensò su e cambiando tono disse “Ti voglio bene tata”.
Tutto d’un tratto si era sentita in colpa per non dirglielo abbastanza spesso e prima di riattaccare, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco, si chiese quanto fosse necessario ripeterlo perché le persone continuassero a volersi bene.
Fu solo dopo essersi mangiata quattro dei biscotti di sua zia inzuppati nel caffè che la vocina nella sua testa si fece risentire.
Forse è il caso che controlli il cellulare, ci saranno le chiamate della tata e almeno un milione di Marta e le altre… è strano però che tu non l’abbia sentito squillare..
Le ci volle mezz’ora di ansiose ricerche per capire che la ragione per cui non lo aveva sentito era semplicemente perché il suo telefono non era dove doveva essere. Non lo trovò nella borsa che aveva usato la sera prima ne in nessun’altro luogo della casa dove le sarebbe potuto cadere.
“Ecco ora sono fregata”
Disse mentre si lasciava cadere pesantemente sul divano, si passò poi la mano destra tra i capelli sospirando. La zia non le avrebbe comprato un altro telefono tanto presto, e lei non aveva più abbastanza soldi da parte dai lavoretti che aveva fatto l’estate prima.
“Ma cazzo come ho fatto a perderlo?” esclamò guardando il soffitto “Sono proprio un idiota!”
 
Il resto della giornata passò lentamente: dopo aver deciso che non aveva le energie ne sopratutto la voglia di mettersi a studiare, con il computer sulla pancia si guardò gli ultimi tre episodi della sesta stagione di Game of Thrones, quelli che ancora non aveva visto.
Poi fece merenda, con un appetito che quel giorno sembrava insaziabile, e telefonò a Marta con il cordless di casa.
“Come hai potuto andartene senza dirci nulla, sono morta di paura, pensavo di avessero stuprata o chissà che cosa! sono incazzata nera, sappilo! Chi cavolo ti ha portata a casa poi? ”
Le urlò Marta nelle orecchie appena rispose alla telefonata, senza lasciarle il tempo di dirle nulla, nemmeno di scusarsi.
“E poi, ti pare che mi chiami alle cinque del pomeriggio? Sono stata in pensiero tutto il giorno, ti avrò cercata mille volte! stavo per venire da te a vedere se stavi bene!” continuò l’amica
“Lo so, davvero, mi sono comportata malissimo! Mi sento così in colpa, ma ero talmente ubriaca che sul momento mi sono scordata di avvertirvi che tornavo a casa…però sto bene, non mi è successo nulla!”
“Ma poteva succedere! Sei stata una cretina irresponsabile!”
Teodora si guardava i calzini a righe viola e bianche che indossava mentre annuiva con le labbra strette, come se l’altra potesse vederla e questo la convincesse di quanto fosse pentita dell’errore.
“E poi per quale motivo non rispondi al telefono?”
“Ha ecco… credo di averlo perso…”
Teodora senti l’amica sospirare rumorosamente e capì che si era rassegnata al corso degli eventi e per quel giorno avrebbe smesso di sgridarla.
“Ti presto il mio vecchio Iphone 5, ok? sei un tale disastro Teddy…”
“Già, la tata si arrabbierà da morire questa volta, era praticamente nuovo..”
“Ah, a proposito, ho la tua giacca”
Le due chiacchierarono per un'altra mezz’ora e Marta le raccontò tutto quello che si era persa della sera precedente: Cecilia aveva incontrato un ragazzo troppo carino che le aveva offerto da bere e Matilde ubriaca le aveva confessato che forse si era innamorata di Edoardo.
Quando riattaccò Teodora ripensò a Gregorio e arrossì senza volere.
Poi si chiese come fosse possibile che lei non si fosse mai innamorata di nessuno, tutti quelli con cui era uscita erano durati davvero poco: alcuni troppo noiosi, altri così diversi da lei, così ottusi.
Chissà come ci si sentiva ad essere innamorati, era vero che si vede tutto in maniera diversa? E poi, sapere di essere ricambiati doveva essere davvero la sensazione più bella del mondo…
Si sdraiò sul divano con l’intenzione di leggere “L’ombra dello scorpione”, voleva concludere il capitolo che aveva iniziato il giorno prima.
Non riuscì a finire nemmeno tre pagine che già dormiva, con il polso sinistro sulla fronte e il libro aperto sulla pancia.
 
Fu lo squillo del telefono a svegliarla, due ore dopo.
Teodora si alzò velocemente ed il libro le cadde per terra piegando alcune pagine verso l’interno.
Prese il cordless convinta che fosse ancora sua zia a chiamarla, conoscendo il suo dono di cercarla sempre nei momenti meno opportuni, in particolare quando era sotto la doccia o quando dormiva.
Poi però lesse il numero che lampeggiava sul display verde e si trovò a fissarlo stupita per qualche secondo: qualcuno la stava chiamando dal suo cellulare.
Dopo lo smarrimento iniziale, si rese conto che la spiegazione più probabile era che qualcuno estremamente onesto avesse trovato il suo Iphone e avesse cercato il numero di casa in rubrica per ritracciarla.
“Pronto” disse con un tono di voce più squillante di quanto avrebbe voluto.
“Sono sotto casa tua bambolina, ti ho riportato il telefono” rispose una voce profonda e fredda, che lei riconobbe subito.
Teodora usci sul balcone del salotto che dava sulla strada: sotto il cono di luce creato da un lampione Gregorio la guardava con un mezzo sorriso, appoggiato con la schiena alla portiera sinistra della sua macchina. Lei scorse la cover azzurra del suo cellulare, in parte coperta dai riccioli scuri che cadevano sulle orecchie e sulla nuca di lui.
“Scendi” continuò Gregorio, e Teodora non poté fare a meno di sobbalzare leggermente.
“Arrivo, dammi un minuto”
Riattaccò e si pentì di non aver detto altro. Forse avrebbe dovuto ringraziarlo subito per averle riportato il telefono, forse sarebbe stato più educato invitarlo a salire.
Corse in camera sua e si tolse velocemente il pantaloni della tuta e la t-shirt per sostituirli con leggings neri e una felpa. Poi si spazzolò i capelli e li legò in una coda alta, sperando che sembrassero puliti.
Prese le chiavi e si precipitò fuori di casa: fece tutto talmente in fretta che non si accorse del bicchiere sul tavolo della cucina che oscillava senza che nessuno lo avesse toccato e nemmeno delle due arance che dal cesto rotolavano silenziosamente e infine cadevano a terra.
 
“Ciao”disse lei mentre il portone d’ingresso si richiudeva alle sue spalle.
“Ciao” rispose lui, sempre sorridendo e con il sopracciglio destro leggermente inarcato.
Lei sentì un brivido correrle lungo la schiena, in lui c’era qualcosa di tremendamente pericoloso, selvaggio e violento, e Teodora si stupì di non essersene accorta prima.
I capelli gli incorniciavano il viso facendolo sembrare un leone scuro, gli occhi invece, sembravano un po’ folli, affamati.
“L’ho trovato sotto il sedile della macchina prima, continuava a squillare” lui allungò il braccio e le porse il telefono “Deve esserti caduto ieri sera”
“Grazie” disse Teodora con la voce stridula di prima, in questo caso ancora più acuta per via dell’imbarazzo, si sporse per prenderlo e ci mancò poco che non le scivolasse di mano.
Arrossì e si chiese come fosse possibile che ogni volta facesse la figura della cretina imbranata quando se lo trovava davanti.
Tranquilla, dopo aver vomitato dietro un albero tre minuti dopo esservi presentati non c’è nulla di peggio che tu possa fare..
“mi dispiace tu sia dovuto venire fino a qui, se mi avessi chiamata prima sarei passata io a prenderlo..”
“Non importa, ero di strada”
Teodora pensò che l’unico aggettivo che le veniva in mente per descrivere la sua voce era “buia”, esattamente come il resto di lui.
“Ti ho disturbata?”
chiese Gregorio, passandosi una mano tra i capelli che gli cadevano sulla fronte, come faceva sempre, avrebbe scoperto lei col tempo, quando era nervoso.
“No, non stavo facendo nulla, leggevo un po’ “
“Che cosa?”
Teodora lo guardò, stupita per la domanda che presupponeva l’inizio di una conversazione.
“Stephen King… L’ombra dello scorpione
“Ha, l’ho letto, mi piacciono i suoi libri”
Disse lui sorridendo, ma non con lo stesso ghigno di prima: a Teodora sembrò che gli occhi gli si illuminassero un pochino e arrossì mentre lo guardava.
“E’ il mio preferito, insieme ad It
continuò lei, felice per aver trovato qualcosa di cui Gregorio aveva voglia di parlare.
Il talismano lo hai letto?”
chiese poi lui, allungando leggermente la schiena verso di lei.
“No, avrei voluto però… vedi quello era uno dei preferiti di mia madre ma dopo che è morta, mia zia ha buttato la copia che avevamo in casa. Io non me la sono sentita di ricomprarlo…”
Mentre parlava Teodora si rese conto della facilità con cui aveva detto a uno sconosciuto della morte di sua madre, cosa di cui tendenzialmente faticava a parlare anche con le sue amiche.
Non è che la sua mancanza la facesse soffrire, in fin dei conti era morta quando era talmente piccola che ora si ricordava il suo viso solo perché era identico a quello della tata.
E ovviamente grazie a quei sogni.
In casa, però, parlarne era così proibito che con il tempo si era abituata a pensare che nessuno dovesse saperne nulla, che fosse qualcosa di talmente privato da non dover essere mai condiviso.
Gregorio si appoggiò nuovamente con la schiena alla macchina e a Teodora parve che volesse allontanarsi da lei.
“Mi dispiace”disse con una voce più fredda e roca di prima.
“figurati, è morta che io avevo tre anni…” poi smise di parlare perché non sapeva che altro dire, quante informazioni aggiungere. Abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle.
“Come è morta?”
“Cancro. Io però non mi ricordo nulla di quando si è ammalata o di quando era in ospedale… Ero troppo piccola”
Lui socchiuse gli occhi e contrasse la mascella.
“Se vuoi posso prestartelo io il libro” disse dopo qualche secondo di silenzio.
Lei lo guardò e sorrise, lui si passò ancora la mano sinistra tra i capelli.
“Grazie, mi farebbe piacere”
gli rispose, e si rese conto che stava quasi sussurrando.
“Bene, magari passo una delle prossime sere..”
Lei annuì e pensò che lui sembrasse un po’ a disagio.
“Ora devo andare, ho del lavoro da finire”
“Scusa ancora per il disturbo”
“Figurati” rispose lui, poi la guardò di nuovo negli occhi e il solito sorrisetto divertito riapparve. “Ti ho salvato il mio numero in rubrica.”
Poi salì in macchina e riparti senza dire altro. Teodora lo guardò andarsene chiedendosi perché, nuovamente, quei pochi minuti che aveva passato in sua compagnia la facessero sentire così come non si era mai sentita. Strinse il telefono nella mano destra.
Perché mi ha lasciato il suo numero?
Il suo modo di parlare, di muoversi, di guardarla attraverso quei incredibili occhi neri la rendevano ansiosa, confusa. Ecco che cosa voleva dire essere attratta da qualcuno: mentre gli stava vicino una parte di lei voleva toccarlo, sentire il suo odore, ma soprattutto voleva che lui provasse la stessa cosa nei suoi confronti.
 
Quando tornò in casa, notò subito le arance cadute dal tavolo della cucina e il bicchiere che si era ribaltato senza però rotolare a terra e rompersi.
L’acqua che conteneva ora sgocciolava macchiando il pavimento.
Teodora appoggiò la schiena alla parete, con le braccia lungo in fianchi.
Poi si accorse di un foglietto bianco sotto la gamba di una delle sedie, si chinò per raccoglierlo e vide che in realtà si trattava del retro di una fotografia. Girandola si rese conto che era quella di lei e sua madre in riva al mare che aveva trovato qualche giorno prima: la madre le teneva la mano e la guardava, Teodora sembrava invece rivolgere tutta la sua attenzione ad un secchiello rosso davanti a lei. I capelli della madre erano mossi dal vento e le coprivano in parte la guancia sinistra.
Teodora si ritrovò a fissarne le mille sfumature, calde e familiari, che ancora trasparivano dalla foto sbiadita dal tempo.
Dopo qualche secondo, o forse di più ma lei non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato, i capelli cominciarono a muoversi, come se una brezza del mondo reale fosse trapelata in quello catturato dalla fotografia. Lentamente anche tutto il resto cambiò di posizione, la piccola Teodora si liberò dalla stretta della madre e prese con entrambe le mani il secchiello, l’altra, invece, rivolse lo sguardo verso chi stava dietro la macchina e si spostò i capelli dal viso.
Si posò la mano sinistra sul petto, sopra al bordo del costume azzurro che indossava, poi, con un gesto fluido e aggraziato, tese il braccio destro davanti a se, con l’indice puntato. Teodora capi che non era rivolto a colui che aveva scattato la foto, forse suo padre, ma a lei stessa, che guardava quel piccolo frammento del suo passato da fuori.
Per lo stupore sobbalzò, la fotografia le cadde e scivolò silenziosamente sotto al tavolo.
Fu in quel momento che ripensò, per la prima volta quel giorno, all’anziana signora che le aveva sconvolto la vita qualche sera prima.
Sentì il cuore che le si contraeva nel petto e capì con certezza che il martedì successivo sarebbe andata a quello strano appuntamento.
Qualcosa dentro di lei sapeva che non avrebbe potuto evitarlo, che tutto non sarebbe mai più stato come prima in ogni caso.
Voleva la conferma che quello che Adela le aveva detto era vero, e si rese conto che ci sperava con tutta se stessa.
Sono una strega.
Si disse, con il cuore che le batteva forte.
Mia madre lo era e io sono come lei.
E a questo pensiero si senti pervadere da un’onda di gioia inaspettata e disarmante.
 
 
 
 
 
           
 
 
 
   
 
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