Vě č ancora appoggiato al muro, quando Cesco spegne
la cicca.
- Intendi continuare quel messaggio?- domanda il
primo.
Cesco lo guarda.
- Forse- risponde. E sorride.
Sa anche sorridere,
Cesco.
Non č solo malinconico,
dunque.
Sorride.
Pensa a
lei.
E sorride.
Cesco spedisce quel semplice “come va”, per poi tornare
all’interno.
Salgono le scale, i due, ritornando nella stanza
disordinata.
Sting suona ancora. Non l’hanno
spento.
- Mi dai una mano, ora?- chiede
Vě.
- Ancora con quei modelli armonici? Quante volte
devo dirti di no?-.
- Mica per farli, Cesco. Mi serve solo il tuo
accendino-.
Cesco ride.
- E no, il fuoco lo appicco io, alla
matematica-.
L’odio per la matematica sembrano condividerlo,
dopo tutto.
Forse, č fin troppo razionale anche per
Vě.
O forse si sta solo conformando a Cesco, per il
benessere d’entrambi.
- Intendi dirglielo?- domanda, poi,
Vě.
Cesco sorride di nuovo.
- Ovvio-.
- Ovvio ma non ora?-.
- Ovvio. Glielo dirň- risponde
Cesco.
E Vě comprende, finalmente, che
Cesco da tanto peso alle parole.
Con dire, intende
dire.
Non
scrivere.
Ma le cose prendono pieghe strane, nella
realtŕ.
Al di fuori dei documenti di word e dei fogli di
carta.
Al di fuori delle tastiere, della grafite e
dell’inchiostro.
Caratteri di cristalli liquidi, su un
display.
Ma Cesco ne č felice
comunque.
Vě č
sollevato.
Ed io son entrambe le
cose.
S.