Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    19/02/2017    3 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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-Mia cara moglie! A cosa dobbiamo l’onore della vostra presenza?- esclamò ridendo sguaiatamente Alvise, visibilmente ubriaco, scostando in malo modo una donnicciola mezza nuda che gli stava seduta sulle ginocchia grassocce. Anna, entrata in quel momento nel salone, lo freddò con uno sguardo. - Suvvia, come siete noiosa, Anna! Non siete capace di divertirvi!- continuò lui tracannando un altro po’ di vino.

 -Alvise, questo scempio deve finire! Fuori da casa mia questa gentaglia! - urlò infuriata la marchesa. I musicisti si fermarono di colpo, tutti gli invitati si girarono stupefatti per osservare la scena: un litigio tra marito e moglie era un intrattenimento ancor migliore dei soliti sollazzi, sapevano poi che la marchesa era una donna molto strana, una pazza, come andava dicendo sempre il marchese Radicati, loro compagno di bevute.

- Che cosa ho sentito?! - Alvise si era alzato dal divano a stento e barcollando si stava avvicinando ad Anna con aria minacciosa. - Casa tua? Questa non è più casa tua, mia cara, ma semmai casa nostra. Fino a prova contraria sono io qui il padrone, in quanto tuo legittimo consorte, fino al rientro di tuo fratello -

- State passando il limite, Alvise, non vi permetterò…- Alvise, malgrado la sua mole e la sua goffaggine, era riuscito con un balzo ad afferrare il braccio di Anna che si stendeva minaccioso verso di lui: glielo strinse tanto forte da farle male. - Lasciatemi! Mi state facendo male! Lasciatemi! - esclamò sempre più alterata la marchesa.

- Suvvia, Alvise, lasciate in pace la vostra splendida moglie- ghignò mellifluo il barone di Monforte, assiduo frequentatore dei bagordi organizzati dall’amico -Lasciatela stare, non roviniamo una così piacevole serata. Che sarebbe ancor più piacevole se la marchesa si unisse a noi- proseguì ammiccando in modo equivoco ad Anna.  - Ma sì, ma sì, il barone non ha tutti i torti, fermatevi insieme a noi, marchesa! - si aggiunse un altro nobile invitato.  - E sia! - convenne Alvise lasciando il braccio della moglie e ridendo sonoramente - miei cari amici, non voglio rovinarvi questa bella festa! Con mia moglie farò i conti in privato! -. Anna fece per andarsene, quando il barone le si avvicinò sussurrandole all’orecchio - Ve ne andate così, mia bella marchesa? - Anna lo guardò disgustata e scappò via, rifugiandosi nella sua stanza. 

Era decisamente stanca di suo marito, dei suoi comportamenti disgustosi, ma soprattutto dei suoi amici debosciati e di tutte quelle donne di malaffare che invadevano il suo palazzo quasi ogni sera ormai. Quelle stanze dove era cresciuta, dove erano custoditi i ricordi della sua famiglia, una famiglia della più antica nobiltà dai costumi morali irreprensibili, fedele alla corona e impeccabile sotto ogni punto di vista. Non poteva sopportare che ora quella residenza, un tempo sobria e pudica, fosse diventata un bordello per nobili depravati, a causa di quel marito così indolente e allo stesso tempo così vizioso. Si stese sul letto, riflettendo sulla sua vita infelice.

Ricordava come fosse ieri il giorno in cui Antonio le aveva detto che non si sarebbero più sposati. Fu una coltellata in pieno petto per lei, alle parole del giovane corse via, nascondendosi nelle più recondite stanze del palazzo, senza nemmeno ribattere nulla. Che cosa avrebbe potuto dire, d’altronde? Accusarlo? Insultarlo? Gridargli addosso tutto il suo dolore e la sua umiliazione? No, non sarebbe servito a nulla, lui non avrebbe mai cambiato idea. Scappò per non doverlo più guardare negli occhi, scappò per non mostrargli il suo dolore, il suo pianto, scappò per conservare il suo onore, l’onore di una giovane della migliore società del tempo, di onesti costumi e di straordinaria bellezza. Avrebbe sicuramente trovato altri mille pretendenti, migliori di lui, si diceva per consolarsi. E allora lui avrebbe capito lo sbaglio, si sarebbe pentito, sarebbe tornato da lei, ma allora lei gli avrebbe chiuso la porta in faccia: -troppo tardi-. Era così scossa che non volle nemmeno ascoltare le sue spiegazioni, non volle sapere nemmeno chi fosse quest’altra che aveva preso il suo posto nel cuore del suo Antonio: certo doveva essere chissà quale principessa, duchessa di nobilissima stirpe, di incredibile fascino e valore. Non avrebbe mai immaginato che la sua rivale fosse un’umile servetta, bella sì ma piuttosto sciupata, scialba, senza alcuna dote particolare se non appunto la sua umiltà e la sua dolcezza. Un essere insignificante, insomma, come, secondo lei, le serve che alla tenuta si prendevano cura della casa, l’aiutavano a vestirsi e a pettinarsi, persone che lei, contessa di sangue nobile, non aveva mai degnato nemmeno di uno sguardo, figuriamoci di una parola di ringraziamento.

Erano passati due mesi da quel terribile giorno di primavera quando venne a sapere tutta la verità circa il nuovo amore di Antonio e le loro imminenti nozze. Venne a sapere anche che lui avrebbe perso tutto: titolo, terre, denaro, l’affetto di suo padre, che non si sarebbe più ripreso da un tal colpo e l’avrebbe diseredato. La duchessa era morta l’anno prima e non aveva dovuto assistere alla rovinosa decisione del figlio, fortunatamente per lei. Anna si disse che Antonio era diventato pazzo, o forse lo era sempre stato, ma lei, accecata dall’amore per lui, non se n’era mai accorta. Ora invece lo capiva bene, capiva che forse per lei era stata una fortuna non sposarlo, che si sarebbe potuta accasare meglio con qualche nobile giovanotto meno idealista e più concreto, che non l’avrebbe certo abbandonata per correre dietro alle sue strampalate idee di giustizia e uguaglianza, ma avrebbe dedicato tutto sé stesso a renderla felice e a garantirle una vita agiata con tutti gli onori. Anna si diceva così, ma non ci credeva troppo nemmeno lei; fingeva di crederci per non mostrarsi sempre in lacrime davanti a suoi genitori, a suo fratello, alla servitù; le lacrime -e quante ne sparse!- le riservava ai momenti di solitudine nella sua stanza, senza che dal di fuori trapelasse nulla del suo intimo struggimento. 

E così un anno dopo, quando ormai lo scandalo dell’amore ancillare di Antonio aveva cessato di essere sulla bocca di tutti, Anna trovò uno sposo, o meglio, ad Anna trovarono uno sposo. Suo padre era ormai molto malato, sapeva che non sarebbe vissuto a lungo e quindi, prima di morire, voleva accasare la figlia maggiore, in quanto l’altro figlio, appena diciassettenne, non avrebbe potuto prendere in mano l’amministrazione della tenuta. Così, nonostante il parere contrario della moglie, decise che Anna avrebbe sposato Alvise Radicati marchese di Magliano, un uomo più anziano di lei, ma di antico casato e ricco possidente terriero. Anna non si oppose a questo matrimonio, anzi, colse l’occasione per vendicarsi di Antonio, volle che la cosa fosse annunciata ai quattro venti e proprio lei, per sua inclinazione così schiva, volle che fosse dato un ricevimento nuziale tanto fastoso che tutta la nobiltà della regione sarebbe accorsa e avrebbe parlato per mesi della festa a palazzo Ristori. Lo sposo, che sulle prime si era dimostrato cortese e galante, poco dopo fece emergere la propria natura di dissoluto, vizioso e scialacquatore di denaro, tuttavia non per questo Anna diede pubblicamente segni di insofferenza, anzi, orgogliosa com’era, ostentava la buona riuscita del suo matrimonio persino davanti agli occhi dubbiosi di sua madre.

 Com’era stata stupida, si diceva quella notte, a fingere così per tutto quel tempo! A che cosa le era servito? A mantenere la sua dignità o piuttosto a perderla, visto che tutti nella capitale e nel contado erano al corrente dei tradimenti, delle gozzoviglie e dei debiti di gioco del marito?  Ma lei non aveva mai mostrato nemmeno un piccolo segnale di cedimento, almeno fino quando non si erano trasferiti a Rivombrosa, in assenza di suo fratello, e Alvise non aveva mostrato il minimo rispetto, non solo nei confronti di sua moglie di sua figlia, ma nemmeno della famiglia dei Ristori, a cui quella residenza era da sempre appartenuta. Anna era terribilmente stanca, ma sapeva anche che non aveva alcuna via d’uscita, aveva ormai legato per sempre il proprio destino a quello di quell’uomo disgustoso.

 

Mentre era assorta in tali angoscianti pensieri, sentì bussare con forza alla porta. Esitò. Bussarono ancora. Un fulmineo pensiero si affacciò alla mente di Anna: e se Antonio fosse morto? Se avesse chiesto di lei? Se stesse male?  A bussare poteva essere Elisa, o qualcun altro della servitù. Ansiosa, si alzò svelta dal letto legandosi in vita la vestaglia e corse alla porta. Non era Elisa, non era qualcuno che veniva a portarle notizie di Antonio. Era suo marito Alvise: gli occhi porcini rossi e stravolti, il fiato che sapeva di alcol, la parrucca scompigliata sul cranio calvo, si appoggiava allo stipite per non cadere.

-Allora, mogliettina, che vi è preso questa sera?- Alvise entrò chiudendo la porta. Anna arretrò spaventata. - Lo sapevo, siete gelosa! - e scoppiò in una delle sue risate cavernose. - Ma non dovete esserlo, mia cara, io desidero solo voi- esclamò cercando di afferrarla per la vita e trascinarla verso di sé. Voleva abusare di lei. -Lasciatemi, Alvise, siete ubriaco, lasciatemi, mio Dio! - gridava Anna cercando di divincolarsi dalla sua stretta. Ma lui le era addosso e l’avrebbe certamente sopraffatta, Anna tentò un ultimo segno di insubordinazione e gli sputò in faccia, mostrando tutto il suo immenso disprezzo, tutta la rabbia accumulata in centinaia di serate come quella.

- Che cosa hai fatto? Lurida puttana che non sei altro! Sputare addosso al proprio marito! - sbraitò il marchese, detergendosi lo sputo dalla faccia con la manica della camicia -Te la farò pagare!- continuò raggiungendo Anna. La gettò sul letto e, schiacciandola con il suo notevole peso, cercava di soffocarla stringendole la gola. - Puttana, puttana che non sei altro! - continuava a gridare, mente Anna, paonazza per la mancanza di ossigeno, non sarebbe riuscita a resistere a lungo.

-Alvise, mio caro, dove siete? Tornate, vi prego, senza di voi non ci si diverte! Dove siete?- la voce cristallina di Betta, l’amante prediletta di Alvise, risuonava nel corridoio. Al che il marchese allentò la presa, si alzò a fatica dal corpo di Anna esclamando: - Betta, Betta, mio tesoro, sto arrivando!  - e si avviò trotterellando verso la porta. - Con te non ho finito! - minacciò Anna, e uscì incontro a Betta. Anna finalmente poté respirare, fece lunghi respiri finché si riprese dal tentato soffocamento. Non appena riuscì ad alzarsi, corse nella stanza di Emilia, vi entrò, prese in braccio la figlia addormentata e la portò nella sua stanza, chiudendo attentamente a chiave e collocando un mobile davanti alla porta. Una volta stesa a letto, trasse un sospiro di sollievo. Il peggio era passato, lei ed Emilia erano al sicuro. Era certa, però, che quella situazione non poteva essere sopportata ancora a lungo.

   
 
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