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Autore: Aching heart    19/02/2017    1 recensioni
Quattro anni, quattro spettacoli diversi, stessa compagnia teatrale, stesso service.
Due ragazzi che si incontrano una volta sola all’anno e un’intesa speciale.
Perché a volte l’amore rimane in attesa per anni prima di sbocciare.
Dall'ultimo capitolo:
«Oh, la tua giacca. Tieni» e fece per togliersela, ma lui la fermò.
«Non importa, tienila tu. Così avrò una scusa per rivederti».
Lei sorrise e lo ringraziò. Si augurarono la buona notte – o buona mattina, da come uno voleva leggere l’orologio – e ancora una volta sembrò che Tessa dovette entrare dentro casa, tanto che l’altro si voltò e cominciò a incamminarsi, ma poi lei cambiò nuovamente idea.
«Andrea?» lo chiamò. Lui fece appena in tempo a voltarsi che lei si era già precipitata indietro, di nuovo fra le sue braccia. «Non hai bisogno di una scusa per rivedermi» gli disse prima di baciarlo nuovamente.
Lui fece uno dei suoi sorrisi obliqui. «Speravo che lo dicessi».
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Quarto anno – Sogno di una notte di mezz’estate

 
Anche quell’anno lo spettacolo si sarebbe tenuto nella piazza del paese, durante la serata d’apertura del Summer Festival. Si poteva dire che ormai la compagnia “Gli amici del caffè” (nome nato per caso, da uno scherzo che Tessa ricordava ancora) fosse di casa lì e che avesse un proprio pubblico affezionato, oltre che una certa fama. Spesso Tessa e Maria erano state fermate per strada o al supermercato da vecchiette e signore che le avevano riconosciute dagli spettacoli degli anni precedenti e che si complimentavano con loro.
L’aspettativa per quella sera era abbastanza alta, testimone il pubblico che si era radunato numeroso ad un’ora prima dello spettacolo. Le sedie di plastica erano quasi tutte occupate, e presto anche il resto della piazza sarebbe stato riempito da gente in piedi. Tessa era abbastanza sicura, passando in rassegna i volti degli spettatori, che ci fosse anche parecchia gente che non aveva mai visto e che doveva venire dai paesi vicini.
Negli anni passati il palco, prima che iniziasse lo spettacolo, era sempre stato lasciato tranquillamente aperto alla vista degli spettatori, perché la scenografia nelle loro rappresentazioni era un aspetto marginale, curata solo il minimo necessario; anzi, costituiva quasi un intrattenimento per il pubblico, che vedendola poteva giocare a immaginare ciò che sarebbe stato portato in scena. Quella sera, invece, Mina aveva fatto chiudere il sipario, lasciando crescere la curiosità e l’aspettativa per quello che, era certa, sarebbe stato il trionfo della compagnia. Era giunto il tanto atteso momento: avrebbero finalmente portato in scena Sogno di una notte di mezz’estate.
Quell’anno Mina doveva aver ritenuto di avere sufficienti membri, fra i nuovi iscritti e gli amici teatranti che era riuscita a coinvolgere. Peccato solo che quell’occasione fosse giunta proprio quando lei non c’era, pensò Tessa con amarezza.
Chissà come si dovevano sentire i suoi amici dietro le quinte, sapendo di stare per rappresentare un’opera meravigliosa del più grande autore teatrale di tutti i tempi, un’opera che tutti loro avevano sperato di riuscire a realizzare. Se le cose fossero state come negli anni precedenti, Tessa lo avrebbe saputo. Ma nulla rimane mai come era prima, e lei quell’anno si ritrovava nel pubblico. Che strano essere dall’altra parte.
In quel momento sarebbe dovuta essere con Maria, Antonio e tutti gli altri, in un costume da fanciulla greca, a sclerare con i suoi compagni per l’agitazione e l’eccitazione dello spettacolo, a scherzare insieme a loro per esorcizzare la paura che qualcosa potesse andare storto, la paura di non essere all’altezza. Invece sedeva sola su una sedia di plastica, stringendosi nel cardigan leggero che era insufficiente a ripararla dal vento implacabile e insolito di quella serata di agosto, a fissare un palco celato da cortine nere. E a immaginare, immaginare cosa stavano facendo in quel momento i suoi – non più – compagni attori. Senza di lei.
Era strano, era come guardare un film conosciuto, familiare, che all’improvviso cominciava a cambiare sotto i suoi occhi e terminava in maniera diversa da quella che ricordava, mentre gli altri non si rendevano conto della differenza. Lei si sentiva così: disorientata, confusa, e circondata da gente che non sapeva, che non poteva capire. 
Sperò di non incontrare nessuno che conoscesse, quella sera, nessuno che le chiedesse perché non stavolta non fosse sul palco. Anche perché non avrebbe saputo cosa rispondere se non una bugia. Perché in realtà una ragione, una vera, non c’era.
Fino ad un paio di mesi prima, Tessa non sapeva neanche che ci sarebbe stato, uno spettacolo. Le era sembrato insolito non ricevere il consueto messaggio di Mina, a settembre, per darle appuntamento a casa sua insieme agli altri per discutere del nuovo progetto. Aveva provato a controllare il loro gruppo su Facebook, dove in genere venivano pubblicati gli avvisi, ma anche lì tutto taceva. Si era detta che forse avrebbero cominciato più tardi, quell’anno. Poi era arrivato ottobre, e dopo novembre, e ancora Tessa non aveva ricevuto nessuna notizia. Si era chiesta se non fosse il caso di contattare la regista e chiederle informazioni, ma non voleva risultare ansiosa o pedante come spesso temeva di essere. Aveva pensato che se ci fossero state novità Mina l’avrebbe avvisata, come aveva sempre fatto, e che se nulla era stato detto finora significava semplicemente che non c’era nulla da dire.
Col senno di poi, avrebbe fatto meglio a preoccuparsi di meno di disturbare o irritare la regista, e a mettere da parte la sua tendenza a credere che le cose fossero sempre così semplici come apparivano, che non nascondessero doppi significati e intrichi alle spalle di chiunque. 
Poi Tessa non ci aveva più pensato: era arrivata al temuto quinto anno, l’anno dell’esame di maturità. Se gli anni precedenti erano stati duri e carichi di lavoro – non che lei fosse esattamente costante e puntuale nello studio –, quello sarebbe stato letteralmente un inferno. E lo fu già dai primi mesi, andando a peggiorare, e lo fu davvero fino alla fine. Non solo per il quantitativo di lavoro, ma anche per le rivalità che si erano esacerbate allo stremo fra i compagni di classe, per l’ansia che pendeva su di lei come una spada di Damocle, per la grande responsabilità di dover fare una scelta decisiva per il proprio futuro. Tessa non ricordava di aver mai litigato con i suoi genitori come in quell’anno, né di essersi mai sentita più stanca.
Perciò in un certo senso le aveva fatto comodo che non ci fosse nessuno spettacolo, anche se forse le avrebbe fatto bene, l’avrebbe aiutata a distrarsi. Ne avrebbe sentito la mancanza, se ne avesse avuto il tempo. Ma il liceo classico poteva essere un vero schiacciasassi in materia di hobby e tempo libero, e spesso a fine settimana Tessa non aveva neanche la forza e la voglia di incontrare i propri amici. 
La mancanza l’aveva sentita dopo, quando tutto era finito e lei aveva avuto il suo diploma, quando la scelta era già stata fatta. Quando aveva avuto a disposizione intere giornate estive da riempire con tutto ciò di cui si era privata durante l’anno, e allora aveva ripensato ai vecchi tempi, quando luglio era il mese più fervente per le prove – e insieme alle prove venivano le risate, le chiacchiere, gli scherzi, le foto stupide, i legami. Adesso si sentiva sola, privata di quella famiglia. 
E poi aveva saputo. Aveva visto una locandina. “Gli amici del caffè presentano Sogno di una notte di mezz’estate”. E il suo cuore si era stretto paurosamente. 
Si era sentita così tradita, così messa da parte… 
«Credevo che stasera avremmo assistito ad una commedia», disse una voce maschile strappandola dalle sue spiacevoli riflessioni, «ma dalla tua espressione, sembri prepararti ad una tragedia».
Lei riconobbe la voce e sorrise, anche se fu un sorriso dolceamaro. «Non saprei. Tradimento, segreti, personaggi imperfetti – che non sapresti definire amici o nemici… sembrerebbero esserci tutti i presupposti per una tragedia».
Il ragazzo si sedette di fianco a lei, in uno dei posti miracolosamente ancora liberi. «Potrei aver bisogno di aiuto nel districarmi in questa nuova versione, allora. Ti dispiace se ti faccio compagnia?»
Tessa sorrise di nuovo, questa volta in maniera più naturale e sincera. «Per nulla». 
Dopo un momento di silenzio, Occhi Azzurri (perché di lui si trattava) riprese a parlare. «Pare che nessuno dei due sia stato più fortunato, quest’anno», alludendo alla loro vecchia battuta. Una battuta che riportò Tessa indietro ad un momento in cui tutto sembrava perfetto e che sembrava la promessa di qualcosa di ancora più bello. Come erano cambiate le cose!
«Già. Oh, hanno preparato la commedia che desideravo, sicuro, solo…»
«Solo, senza di te» terminò per lei, cercando di essere delicato. Lei annuì. 
«E tu? Non vai a preparare gli attori questa sera?»
«Ho cambiato lavoro, a dire il vero. Già da un po’. Essere un aiutante tecnico non è mai stata la mia ambizione, sai» le mormorò come in confidenza quando vide la sua faccia sorpresa. «Era solo un secondo lavoro, per arrotondare».
«E allora qual è la tua ambizione?» chiese lei protendendosi verso di lui.
«Forse non mi crederesti se te lo dicessi. Oppure penseresti che è una cosa ridicola».
«Mettimi alla prova. Non lo saprai se non me lo dirai».
«La mia vera passione è la terra. Coltivarla, curarla, e veder crescere ciò che ho seminato con fatica e con impegno».
«Non mi sembra per nulla ridicolo. È insolito, però. Un ragazzo così giovane attratto dalla fatica e dal duro lavoro, da un mestiere così trascurato e anche un po’ ingrato». Tuttavia non poteva dire di essere del tutto sorpresa: fin dalla prima volta che l’aveva visto aveva capito che era abituato a lavorare duramente e all’aperto, dalla sua pelle scurita dal sole, dalle sue braccia forti, dalle sue mani ruvide e callose.
«Non è un mestiere facile» concesse il ragazzo. «Per questo preferisco pensarci più come ad una passione che come ad un lavoro. Fino all’anno scorso ero solo un bracciante qualunque, e dovevo lavorare anche per il service di Sergio, ma poi sono stato assunto nella Tenuta Chiurlia».
«Quella vicino al mare? Ci sono stata, una volta. È un bel posto».
«È bello lavorarci, e mi dà anche un minimo di stabilità. Tu, invece? Perché non sei su quel palco?»
«Questa è una bella domanda, e vorrei avere quanto te una risposta».
Vedendo che non capiva ma che non accennava a desistere, Tessa cercò di spiegargli in breve la storia, glissando sui propri sentimenti personali e cercando di esporre la vicenda nella maniera più neutrale possibile.
«E la tua amica, quella con cui sei sempre insieme, non ti ha avvisata?»
«Maria? No, non ne abbiamo mai parlato… ma è stato un anno molto intenso, ci siamo viste poco rispetto al solito. Andiamo… andavamo in scuole diverse. E non ci è mai capitato di parlarne. Io non le ho mai chiesto niente perché ero certa che non ci fosse nessuno spettacolo, e lei… forse non sapeva come prendere il discorso, forse aveva paura che ci rimanessi male».
«Ci sei rimasta male lo stesso, però, anche se cerchi di non darlo a vedere» disse lui, con un’espressione comprensiva. «Va bene così, sai? Anche io mi sentirei deluso e tradito al tuo posto».
Tessa rimase colpita dal fatto che lui avesse trovato esattamente le parole giuste, perché lei si sentiva proprio così: delusa e tradita. Dopo qualche attimo di riflessione esternò un pensiero che aveva da un po’. «È strano, siamo qui a parlare come se ci conoscessimo da sempre, eppure non sappiamo nemmeno i nostri nomi».
«A dire la verità, io so il tuo. Del resto sei stata presentata dopo ogni spettacolo per tre anni, Tessa». Era solo una sua impressione, oppure aveva pronunciato il suo nome con particolare attenzione? Era solo lei a immaginarselo, o la sua voce si era abbassata quando l’aveva detto? 
«Io però non so il tuo» ammise lei. 
«Mi chiamo Andrea». 
Andrea. Un bel nome. Classico, forse un po’ troppo diffuso, ma dal fascino intramontabile. 
«Allora, visto che non ci siamo mai ufficialmente presentati, piacere di conoscerti, Andrea». 
Lui prese la mano che gli aveva teso con gentilezza, ma con una stretta comunque decisa. «Il piacere è mio, Tessa».
Per un istante rimasero a guardarsi negli occhi, come se riuscissero a scorgervi qualcosa che non poteva essere detto a parole, ma poi sentirono il fischio di un microfono e una voce amplificata, e quella specie di connessione fu spezzata. Si voltarono entrambi verso il palco, ritraendo le rispettive mani, mentre Mina si accingeva a presentare la commedia.
Fu strano, per Tessa: la vedeva sul palco e non sapeva con che occhi guardarla. Era stata lei a lasciarla fuori dal progetto, di proposito. Non vi erano altre spiegazioni; non era una commedia degli errori, quella, era la vita. Non ci sarebbe stato nessun malinteso da chiarire, alla fine, nessun equivoco risolto che avrebbe riportato le cose a come erano prima. 
 
Tessa scoprì che alla pièce originale erano stati apportati molti tagli – comprensibile, era pur sempre un’opera troppo lunga e complessa per un pubblico da piazza di un Summer Festival –, e che anche il numero dei personaggi era stato ridotto – ma allora non avrebbero potuto portarla in scena quando anche lei era nella compagnia? 
O forse era lei il problema? Aveva fatto qualcosa che involontariamente aveva offeso Mina o qualcuno degli attori? Sapeva di essersi sempre comportata bene, non era nella sua natura essere maleducata o scortese, e poi che motivo avrebbe avuto? Si trovava fra persone a cui voleva bene, con cui si trovava bene… forse qualche suo gesto, qualche sua parola erano stati male interpretati… ma la strada dell’autoaccusa era una strada pericolosa, e Tessa si costrinse a non continuare a percorrerla. 
Cercò di godersi lo spettacolo, di concentrarsi sul lato puramente artistico della faccenda, come se non fosse stata la sua ex compagnia, quella. Come se fosse stata una persona qualunque. 
Apprezzò alcuni cambiamenti alla trama, i costumi, la scenografia… ma non poté dire lo stesso di alcune scelte in fatto di attori. Sentì ghiacciarsi dentro quando vide entrare Sonia nei panni di Ermia – Ermia, la sua preferita, quella che lei avrebbe dovuto impersonare – e rovinare il personaggio fin dalla prima battuta – cinque parole, cinque dannatissime parole, ma dette con un piattume tale…
Ogni momento in cui lei fu sulla scena fu fiele per Tessa. Non riusciva a credere che non avessero trovato nessun’altra per quella parte, chiunque sarebbe stato migliore rispetto a Sonia, che alternava la totale mancanza di sentimento ad un’espressività forzata, con un’intonazione infantile e palesemente falsa che toglieva ogni magia ad un’opera che doveva esserne pervasa. 
Sentì il proprio cuore accelerare man mano che la sua scena preferita si avvicinava, conscia che sarebbe stata rovinata e temendo ciò che avrebbe sentito.
Sventura! Chi è troppo in alto non può legarsi a chi è in basso.
Avrebbe potuto fare di peggio? 
Dispetto! Chi è troppo vecchio non può unirsi a chi è giovane.

Intanto Tessa non si era accorta di star mimando anche lei parola per parola le battute di Ermia, che conosceva a memoria, con gli occhi lucidi fissi sulla scena, e gli occhi di Andrea fissi su di lei.
Inferno! Scegliere l’amore con gli occhi degli altri.

In quel momento percepì lo sguardo del ragazzo e si girò a incontrarlo. Si vedeva chiaramente che era curioso, ma lei scosse la testa come a volergli dire che non era nulla, e poi ritornò a seguire. 
Andava detto che per il resto la commedia era brillante. Maria era semplicemente perfetta come Titania e anche tutti gli altri erano bravi. Se Tessa si sforzava di non prestare troppa attenzione a Sonia e al martellante pensiero “avrei potuto essere là in mezzo”, poteva anche dire di starsi godendo la serata. Fu lieta però della pausa del primo atto: stava incominciando ad avere fame e anche un po’ di mal di testa, a furia di rimuginare e cercare di concentrarsi per seguire lo spettacolo.
«Interessante finora, no?» fu il commento di Andrea prima di alzarsi dalla sedia di plastica. «Io ho una fame da lupi, vado a prendere un panino al chioschetto. Ti va di farmi compagnia?» 
«Sicuro» rispose lei. «Ma promettimi di non guardarmi mentre mangio, è uno spettacolo imbarazzante». 
«Ah, no, adesso mi hai messo la curiosità!» 
«A tuo rischio e pericolo» rise lei.
Presero i panini e ritornarono ai loro posti, parlando del più e del meno. Fu abbastanza divertente: Andrea era quasi uno sconosciuto, ma nelle occasioni in cui si erano parlati avevano costruito un’intesa tale che Tessa si trovava molto più a suo agio con lui che con persone che conosceva da anni. Sentiva di potersi comportare con scioltezza, ridere con la sua risata naturale, stile strega, fare i salti mortali per riuscire a mangiare il suo panino pieno di salse senza sporcarsi, e sfoggiare il suo insolito sense of humor senza preoccuparsi di dover essere divertente per forza. Apprezzava davvero la sua compagnia e voleva sinceramente saperne di più su di lui, ora che finalmente poteva parlarci per più di due minuti.
Quando cominciò il secondo atto Tessa si voltò a malincuore: non voleva smettere di parlare con Andrea. 
 
Solo quando dovette battere le mani realizzò che lo spettacolo era finito. Doveva essere sincera: non aveva prestato granché attenzione al secondo atto, era stata distratta dal suo vicino. Spesso entrambi si erano girati a guardarsi, sorridendo senza un motivo, e le loro mani si erano come danzate intorno, avvicinandosi e ritraendosi, finché non si erano sfiorate e poi intrecciate. E Tessa aveva avuto per tutto il tempo la consapevolezza di quella mano calda nella sua, della presenza magnetica del ragazzo accanto a sé… era come se tutto ciò l’avesse riempita di adrenalina, rendendole difficile stare ferma e prestare attenzione alla commedia. 
Ma, alla sua conclusione, i due ragazzi dovettero separare le loro mani per applaudire. Poi venne il momento dei ringraziamenti, e dopo un ultimo scroscio di applausi tutti cominciarono ad alzarsi. 
 «Peccato che sia finita, eh?» le chiese Andrea.
«Mah, non saprei dirti, se devo essere sincera. Maria è stata grande, anche Antonio, ma per il resto...»
«Oh, ma io non intendevo per la recita in sé» ribatté lui ammiccando, e Tessa rispose arrossendo. «Quindi… è il Summer Festival, no? È tardi, ma potremmo andare un po’ in giro per la fiera, se ti va. Stare ancora un po’ insieme» propose.
«Io, uhm… dovrei salutare gli attori, a dire il vero». L’espressione di Andrea si fece da speranzosa a rassegnata. Pensava che fosse una scusa per liberarsi di lui? «Ti va di accompagnarmi? E poi possiamo andare a farci quel giro». A quelle parole Tessa lo vide rianimarsi, non senza divertirsi un po’. 
«Certo. E poi non sarebbe carino non fare un salto dietro le quinte. È dove ci siamo conosciuti».
«E dove abbiamo continuato a incontrarci. Effettivamente è l’unico posto in cui ci siamo mai visti, prima di stasera» continuò Tessa mentre si incamminavano. 
«Ah, la magia del teatro» sospirò Andrea con aria scherzosamente sognante.
«Non sono proprio sicura che sia questo ciò che si intenda, ma penso che possiamo ampliare la definizione» rispose lei, stando al gioco. E… oddio, stava flirtando? Quello si poteva definire flirtare?
«È come quella leggenda cinese, quella del filo rosso. A quanto pare siamo due persone che sono destinate a incontrarsi». Andrea la guardò negli occhi.
«A quanto pare» rispose lei con un filo di voce, a malapena rendendosi conto di stare parlando, presa dallo sguardo dell’altro.
Ci sono momenti e momenti. I primi sono privi di significato, scorrono gli uni sugli altri come granelli di sabbia in una clessidra, che contano solo quando sono ammucchiati tutti insieme. Ma i secondi hanno tutto un altro peso. Sono attimi infiniti, in cui il tempo si dilata, forse smette di scorrere, forse cessa di esistere. Li puoi sentire, quei momenti, li avverti come una tensione nello stomaco, come una pressione intorno al cuore, come un’elettricità nell’aria.
Ecco, quello era uno di quei momenti.
Tessa avvertiva impalpabilmente quello che sarebbe accaduto, come quando un bicchiere ti sfugge di mano e sai come conseguenza automatica che si romperà al suolo. Trattenne il respiro e aspettò l’impatto – che sarebbe stato morbido – ma non avvenne nulla, perché il momento passò, scivolò dal cono superiore della clessidra a quello inferiore dopo aver danzato in bilico sull’orlo dell’imbuto, infranto dalla voce entusiasta di Maria che la chiamava.
«Tessa, sei venuta!»
I due ragazzi si allontanarono – quando si erano avvicinati così tanto? – e Tessa sorrise un po’ frastornata alla sua amica.
«Non mi sarei persa la tua Titania per nulla al mondo» le rispose, abbracciandola forte. «Complimenti, sei stata bravissima».
«Grazie! Oddio, ero così agitata prima di iniziare, mi tremavano le ginocchia e non sapevo neanche se sarei riuscita a stare in piedi sul palco. Sembravo te al nostro primo spettacolo». Maria continuò a parlare quasi senza prendere fiato, elencandole tutte le parti in cui credeva di aver toppato e quelle invece in cui sapeva di aver dato il meglio, con un brillio negli occhi ed un’eccitazione post-spettacolo che Tessa conosceva bene. La lasciò parlare e la guardò con un sorriso un po’ affettuoso e un po’ malinconico. Solo dopo un po’ Maria si accorse di chi accompagnava la sua amica.
«Oh, ciao. Voi due siete venuti insieme?» chiese con la sua migliore espressione da volpe.
«No, a dire il vero ci siamo solo...»
«...incontrati» dissero all’unisono. Si guardarono.
«Come ogni anno» aggiunse Andrea.
«Mh-mh» annuì Maria, guardando divertita dall’una all’altro. Poi prese Tessa per mano e la trascinò con sé. «Devi venire a salutare gli altri, saranno felicissimi di vederti. Si erano chiesti dove fossi finita».
«Davvero?» commentò lei a voce non abbastanza alta da essere udita.
Come Maria aveva detto, tutti la salutarono con un caloroso abbraccio e con un sorriso sincero, persino Sonia. La sommersero letteralmente di domande, radunati intorno a lei. Tessa rispose frettolosamente a tutti, distribuendo complimenti tanto a chi aveva recitato quanto a chi si era occupato dei costumi e della scenografia, e apprezzando l’essere di nuovo in compagnia dei suoi amici teatranti, anche se per pochi momenti. 
«Ma perché ci hai abbandonati quest’anno?» chiese Angela, la costumista, e con la sua aria da mamma volpe degna pari di Maria, riuscì a far suonare quella domanda contemporaneamente noncurante, scherzosa e come un rimprovero.
Tessa aprì la bocca non sapendo neanche lei cosa avrebbe detto, ma prima che potesse parlare, Mina – avvicinatasi improvvisamente e silenziosamente – rispose per lei.
«A dire il vero quella è stata colpa mia» disse sbrigativamente e con un gesto della mano che voleva esprimere noncuranza. Come se fosse tutto a posto. «Sapevo che Tessa avrebbe avuto l’esame di maturità quest’anno. E il liceo classico non è facile, così non ti ho detto nulla, non volevo distrarti dallo studio».
Anche Maria aveva affrontato la maturità come lei, ma nessuno lo fece notare. Anche gli altri anni Tessa aveva frequentato il liceo classico e aveva sempre trovato il tempo per la compagnia teatrale, ma non lo disse. Annuì come se si fosse bevuta quella scusa, anche se la sua espressione diceva chiaramente il contrario, e nessuno commentò. Forse un’altra persona avrebbe ribadito come stavano le cose, forse un’altra persona avrebbe almeno risposto con una battuta sarcastica – scherzando scherzando sai quante volte ho detto la verità! – ma Tessa era Tessa, non era la persona che riusciva a trovare una risposta pungente ed efficace quando era delusa. Era la ragazza a volte troppo timida anche solo per far sentire la propria voce, e benché si odiasse per questo, era quella che era. E si sentiva stanca di tutta quella faccenda, dopo esservisi arrovellata per mesi e per tutta la serata. Perciò lasciò semplicemente perdere, e fece di tutto per tornare da Andrea il prima possibile. 
Si sentì sollevata quando lo trovò ancora lì dove lei e Maria lo avevano lasciato. Aveva temuto che se ne fosse andato, o che fosse sparito nel nulla, proprio come un sogno di una notte di mezza estate.
 «Scusami, davvero, non volevo sparire così a lungo. È che non li vedevo da tanto tempo e...» sospirò. «Grazie di essere rimasto».
Lui alzò un sopracciglio. «Credevi che me ne sarei andato?»
«Lo so, sciocco, non è vero? Del resto abbiamo un… appuntamento?» le uscì come una domanda.
Andrea annuì, facendola sorridere di sollievo. «Quello e… credevi che sarebbero bastati dieci minuti di attesa per farmi desistere? In fondo, ho aspettato per quattro anni».
 
Mentre giravano per le strade disseminate di bancarelle si tennero per mano senza neanche rendersene conto, continuando a parlare di sé come avevano fatto durante lo spettacolo. Rimasero insieme incuranti del tempo che passava, rimasero anche quando si fece ancora più freddo e Andrea avvolse Tessa nella propria giacca, rimasero finché non furono le uniche persone per strada a parte i venditori ambulanti che mettevano a posto la propria roba, smontando gli stand. Loro due semplicemente non se ne accorsero, assorbiti nella loro bolla fuori dal mondo. Del resto era la prima vera occasione che avevano per stare insieme in quattro anni, ed entrambi se la volevano godere fino in fondo.
Alla fine però dovettero ritornare alla realtà e riconoscere che era arrivato il momento di separarsi. Andrea accompagnò Tessa sotto casa sua. 
«Ok, io sono arrivata» sospirò lei. «Non avevo realizzato che avessimo fatto così tardi» disse guardando l’orario sul cellulare.
«Quando sei con me il tempo vola» scherzò lui, me neanche troppo.
«Hai proprio ragione, ma credo che domani a volare saranno improperi da parte dei miei per essere tornata a casa quest’ora».
«Allora dovremmo fare in modo che ne sia valsa la pena, non credi?»
«Andrea, per il tempo che abbiamo passato insieme, per me ne è valsa la pena».
«Voglio solo assicurarmi che sia così» mormorò avvicinandosi. 
Tessa sentì il suo respiro solleticarle la pelle, vide come a rallentatore le sue mani carezzarla distrattamente e poi poggiarsi sulle sue guance. A quel punto le venne naturale protendersi in avanti e abbassare le palpebre, e da quel momenti non vide più, sentì: sentì la morbidezza delle labbra di Andrea sulle sue, sentì il respiro che veniva trattenuto, sentì una mano spostarsi dalla sua guancia al suo collo. All’inizio fu solo uno sfiorarsi di labbra, ma Tessa voleva di più. Perciò portò le mani sul petto di Andrea, afferrando e stringendo la sua maglia, come aggrappandosi a lui, e aprì le labbra in un invito ad approfondire quel bacio. La risposta del ragazzo non si fece attendere, e presto il semplice contatto divenne un gioco di lingue e respiri spezzati e braccia che cingevano corpi, stringendosi sempre di più.
Quando si separarono, sorridevano entrambi.
«Allora io vado» disse lei, ancora per metà nell’abbraccio di Andrea.
«Mh-mh» mormorò lui, ma intanto le tracciava il profilo con la punta del naso.
Alla fine riuscirono a separarsi, e Tessa a voltarsi per infilare le chiavi nella serratura, ma poi si ricordò di una cosa.
«Oh, la tua giacca. Tieni» e fece per togliersela, ma lui la fermò.
«Non importa, tienila tu. Così avrò una scusa per rivederti».
Lei sorrise e lo ringraziò. Si augurarono la buona notte – o buona mattina, da come uno voleva leggere l’orologio – e ancora una volta sembrò che Tessa dovette entrare dentro casa, tanto che l’altro si voltò e cominciò a incamminarsi, ma poi lei cambiò nuovamente idea.
«Andrea?» lo chiamò. Lui fece appena in tempo a voltarsi che lei si era già precipitata indietro, di nuovo fra le sue braccia. «Non hai bisogno di una scusa per rivedermi» gli disse prima di baciarlo nuovamente. 
Lui fece uno dei suoi sorrisi obliqui. «Speravo che lo dicessi».




Angolo Autrice: Ok, sono in un ritardo piuttosto imbarazzante, considerando che è febbraio e avrei dovuto mettere questo capitolo ad agosto. Ma, ehi, meglio tardi che mai, no? A mia discolpa posso solo dire che questo è stato il capitolo più difficile da scrivere per me, dal momento che molti dei sentimenti della protagonista li ho provati sulla mia pelle. E' stato il capitolo più personale e che più mi ha sfiancato emotivamente, e forse è stato meglio che io l'abbia abbandonato per poi riprenderlo a mente fredda, dopo aver affrontato dei cambiamenti importanti. All'inizio non riuscivo nemmeno a far ingranare le cose fra Andrea e Tessa, ma a distanza di mesi scrivere di loro due mi è risultato facile e scorrevole come non avrei mai sospettato. 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto quanto alla fine è piaciuto a me. Questa è la prima volta che riesco a concludere una storia a capitoli! *Suona l'Alleluja*
E qui apro una piccola parentesi, perché evidentemente ho un problema con le cose concluse. Quando ho iniziato a scrivere questa storia ne avevo in mente altre simili, incentrate sullo stesso tema: un amore che aspetta prima di sbocciare, vivendo solo di piccoli e fugaci incontri fra i protagonisti. Avevo in mente di farne una serie, ma rileggendo il regolamento di EFP ho visto che sarebbe più corretto creare una raccolta di one-shots. Quindi ho pensato di continuare a pubblicare qui, trasformando questa storia da mini-long a raccolta. Tutto questo per dire che per ora metterò l'avvertimento "Conclusa", ma quando avrò pronti i nuovi capitoli continuerò ad aggiornare, per cui se siete interessati non togliete questa storia dalle seguite. Oppure, se avete qualcosa in contrario, magari perché vi è piaciuta questa mini-long ma non avete intenzione di leggere altro di mio e preferireste che pubblicassi le altre storie separatamente, non esitate a farmelo sapere. 
Detto questo, ringrazio roncatella per aver inserito questa storia fra le preferite e Dreamy99Eli12 e martamurgia per averla inserita fra le seguite. Grazie per essere giunte fin qui; se aveste voglia di lasciare una recensione mi fareste felicissima.
Un bacio!
   
 
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