Lasciò di fretta la piccola e unica prigione sull'isola, passando dall'aria fresca e umida delle celle a quella secca e affannosa dell'esterno. Era mezzogiorno e la processione per il funerale di suo padre sarebbe cominciata solo più tardi, prima dell'alba. Il caldo era opprimente e nessuno si sarebbe sognato di marciare con il sole dell'Egeo che batte sulla sua testa e un morto in mano.
Vagava per le strade di Psittalea, evitando quelle più popolate - non che fosse difficile, su un isola con appena mille abitanti. Dopo la morte di suo padre gli era stato proibito di allontanarsi dalla reggia, per paura di essere anche lui preso di mira da congiure e assassinii. Gli avevano assegnato anche delle guardie del corpo - due nerboruti della villaggio con grossi muscoli e poco cervello - ma faceva di tutto per evadere la loro vigile guardia.
Fortunatamente loro erano tanto entusiasti del loro nuovo impiego quanto lui lo era di essere tenuto sotto controllo da due paesani che puzzavano di capra, dunque anche oggi era sgattaiolato fuori dalla sua camera, dirigendosi a piedi nudi verso la prigione, con un sottile velo bianco in testa per proteggersi dal sole e non farsi riconoscere, e qualche moneta nel caso dovesse convincere la guardia a farlo entrare.
E così aveva fatto per gli ultimi due giorni. Era il terzo giorno dei riti funerari del re, e la mattina seguente, dopo la processione, Glice sarebbe stato condannato per alto tradimento e lapidato. Athanasiade non era superstizioso né credulo quanto i suoi compaesani, che si facevano spaventare da assurdi presagi e indovini di strada, ma la notte dell'omicidio di suo padre - mentre il pugnale di Glice penetrava tra le costole del re e lui dormiva nel suo letto due stanze accanto - aveva sognato il corpo di Glice, coperto da lividi e sangue, prima ancora che fosse morto, che lo fissava con occhi bianchi.
Così aveva provato inutilmente a ricevere il suo perdono, spaventato dalla possibilità di essere perseguitato dal suo spirito. Non ci credeva nelle Erinni, ma in Glice sì.
Respirò profondamente l'aria salmastra, a occhi chiusi, lasciando che la brezza marina gli sfregasse le guance, compiacendosi dell'aria fresca dopo così tanto tempo chiuso nella sua stanza. Davanti a lui, l'Egeo bagnava con furia le coste dell'isola di Salamina, la più vicina a Psittalea. Nel pieno dell'estate, il mare sembrava finto, un velo di seta che sventolava nel vento, battendo ferocemente contro gli scogli grigi in lontananza, e accarezzando le spiagge bianche sotto i suoi piedi. Oh, quanto sarebbero piaciute a Glice queste similitudini.
Affondò le dita dei piedi nella sabbia rovente per svegliarsi e riprese a camminare verso la reggia. Aveva a disposizione mezz'ora per tornare nella sua stanza e pranzare.