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Autore: Montana    21/02/2017    1 recensioni
Inghilterra, 1914.
La Grande Guerra sta cominciando a scuotere l'Europa, e i suoi venti di distruzione e paura arrivano fino alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Newt Scamander vorrebbe solo occuparsi di bestie magiche.
Leta Lestrange ha progetti bizzarri e nessuno scrupolo.
Amelia Prewett farebbe qualunque cosa per non vedere i suoi amici soffrire.
Esperimenti contro natura, una storia d'amore, l'emblematica lealtà degli Hufflepuff.
E una sola, grande domanda: cos'è successo a Newt Scamander?
Genere: Azione, Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Lestrange, Newt Scamandro, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Newt Scamander's Saga'
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XII
 
Dove tutto si rompe
 
16 Gennaio 1915
Hogwarts, scale
Sera
 
Newt era senza parole: Amy si stava davvero dimenticando di lui.
Era passata una settimana da quando aveva trovato la valigia magica, una settimana in cui le aveva chiesto ripetutamente di studiare insieme Incantesimi per cercare di capire come la valigia funzionasse, ma lei continuava a chiedergli di rimandare. C’era sempre qualcos’altro da fare, un altro compito da preparare, un incontro con i professori cui partecipare, una lettera da spedire a casa e perché no, un Graham Collins con cui chiacchierare, passeggiare, mangiare, studiare. Per carità, Newt era felicissimo che l’amica stesse dando una possibilità al Gryffindor, e lui gli stava davvero molto simpatico, ma trovava scorretto e incredibile che improvvisamente nella vita di Amy non ci fosse più spazio per lui.
Insomma, era così condizionato dalle parole di Leta da non ricordarsi che sotto stress Amy dava il meglio di sé dal punto di vista accademico, ma il peggio da quello personale. Quando avevano sostenuto i GUFO due anni prima non aveva parlato con nessuno per quasi un mese, e Newt l’aveva dovuta seguire passo per passo perché mangiasse qualcosa e non diventasse parte integrante dei tavoli della biblioteca.
Quel pomeriggio le aveva chiesto di raggiungerlo nel dormitorio dopo le lezioni, quando tutti sarebbero stati in Sala Comune, per farle finalmente vedere la valigia. L’aveva aspettata per più di un’ora, ma lei ovviamente non era mai arrivata; se n’era dimenticata, certamente.
Così, per sublimare l’irritazione (non gli andava di chiamarla “rabbia”, non gli piacevano i sentimenti così forti) che provava, era andato a fare una passeggiata per il castello, forse sperando di incontrarla per ricordarle garbatamente l’impegno che avevano.
Stava camminando da ore e non l’aveva ancora incontrata. Proprio quando cominciava a valutare l’idea di dar retta al suo stomaco brontolante e scendere per cena, s’imbatté in Leta che scendeva dal settimo piano.
«Ciao Newton!» Lo salutò, un po’ stupita di trovarlo lì.
«Ehi.» Rispose lui, atono.
«Cosa ci fai qui a quest’ora? Non dovresti essere a cena?»
«S-stavo giusto p-pensando di a-andarci. Tu vieni?»
Lei scrollò le spalle «Mangiare è sopravvalutato, andrò in Sala Comune a fare il tema di Pozioni.»
«A-allora ti a-accompagno.»
Non avevano sceso neanche una rampa di scale che Newt si fermò, con un sospiro affranto «I-in effetti non ho m-molta voglia di ehm, andare a c-cena. P-puoi stare u-un po’ qui c-con me?»
Lei annuì, sempre più perplessa, e si sedettero sugli scalini di pietra.
«È successo qualcosa?» chiese lei dopo qualche minuto di silenzio.
«Ho t-trovato una c-cosa f-fantastica dove m-mettere le mie c-creature» iniziò lui, prendendola molto alla lontana «E v-volevo farla vedere ad A-Amy, ma lei si è d-dimenticata. È g-già un po’ che s-si dimentica di m-me.»
«In che senso?»
«L-lei è s-sempre assente, s-si dimentica le c-cose che d-dobbiamo fare c-come se ci f-fosse q-qualcuno di più importante, s-sempre. E n-non dire che m-me l’avevi detto, p-perché s-sono sicuro che una s-spiegazione l-logica debba esserci.» aggiunse, vedendola aprire bocca.
«Non volevo dire questo, Newton. Anzi, non sai quanto sono dispiaciuta nel vedere che il mio aver ragione ti causa tanto dolore. Mi dispiace vedere che sei davvero come me, dopotutto.»
«C-come te?»
«Sì. Vedi Newton, nessuno dei due si è ambientato veramente a scuola. Ti trovi spesso da solo, no? Come se nessuno ti ascoltasse? Beh, è quello che succede a me da sette anni; il tuo problema è che sei finito nella Casa dei buoni e caritatevoli, quindi era ovvio che avresti trovato qualcuno che cercasse di prendersi cura di te. Ma Amelia non ti ha mai veramente capito, non è così?»
Newt si trovò ad annuire, perplesso, come se qualcuno stesse muovendo la testa al posto suo.
«L’unica capace di capirti davvero in questa scuola… sono io.» concluse lei, in poco più di un soffio.
Per qualche secondo, loro e tutto quanto c’era attorno rimasero immobile, senza un filo d’aria, senza un rumore, senza un respiro. Poi, tutto precipitò.
 
La verità era che Amelia Prewett aveva sempre provato qualcosa per Newt Scamander. Platonico, ovviamente, ma qualcosa c’era sempre stato.
Probabilmente c’era dalla prima volta che l’aveva visto, piccolo goffo e balbettante nella Sala Comune di Hufflepuff, anche se se n’era resa conto solo l’anno seguente, quando si era spontaneamente messa fra lui e un gruppo di Slytherin che lo maltrattavano, salvandolo ma diventando il nuovo bersaglio di quei bulli; si era fatto ancora più evidente al terzo anno, con l’arrivo di Leta Lestrange nelle loro vite, la Slytherin che aveva ammaliato Newt con la sua lingua biforcuta; quando poi al quarto anno Amy si era perdutamente innamorata di un Gryffindor di tre anni più grande che in realtà voleva solo usarla per farsi un nome e vendicarsi di Ignatius (che era stato nella stessa Casa e l’aveva a suo parere ingiustamente escluso dalla squadra di Quidditch) e Newt l’aveva salvata all’ultimo secondo dal rimetterci la faccia e anche qualcos’altro, aveva stabilito che per lei non ci sarebbe mai stato nessuno come Newt. E, forse in maniera infantile, pensava che anche per lui fosse lo stesso.
Fu per questo motivo che quando salendo le scale per il settimo piano se lo trovò davanti impegnato a baciare Leta Lestrange si sentì come se tutta Hogwarts le fosse crollata addosso.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime mentre cercava disperatamente di capire cosa fare: non poteva salire, né farsi trovare lì come una stupida. Non poteva nemmeno scendere e andare a cena come se nulla fosse, anche perché le si era completamente chiuso lo stomaco. Non poteva nemmeno andare nella sua Sala Comune, perché prima o poi anche Newt ci sarebbe tornato e lei non voleva vederlo.
Come in trance, a viso basso perché nessuno vedesse le lacrime nei suoi occhi, seguì i suoi piedi potarla fino all’ultimo posto che a mente lucida avrebbe scelto: la torre di Gryffindor.
«Signorina Prewett, che piacere averla qui! Parola d’ordine?» le chiese gioviale la Signora Grassa, che si ricordava di lei dal quarto anno.
Amy rimase zitta, perché non conosceva la parola d’ordine, ma fortunatamente proprio in quel momento dal ritratto uscirono due ragazzini del Terzo.
«Caposcuola Prewett! Cosa ci fa qui?»
«Io, ehm, cerco il vostro Caposcuola per discutere di faccende da Caposcuola. Sapete dove posso trovarlo?»
«Sì, è nella sua stanza, è rientrato poco fa dalla cena. Salga quelle scale e poi in fondo al corridoio.»
«Grazie mille.»
La porta della camera da Caposcuola di Collins era uguale alla sua, di legno massiccio con una piccola targa dorata con scritto il suo nome. Amy passò qualche minuto ad osservarla, intimorita perché non sapeva cosa fare né perché i suoi piedi l’avessero condotta fin lì, poi prese un bel respiro e bussò.
«Te l’ho già detto, Weasley, non puoi sostituire… Amy?» Collins s’interruppe e la guardò preoccupato «Cosa ci fai qui? Va tutto bene?»
Per tutta risposta, lei scoppiò a piangere.
 
Newt era assurdamente felice. Felice come quando aveva addomesticato il suo primo ippogrifo, come quando aveva ricevuto la lettera di Hogwarts, come alla festa per la sua maggiore età, come quando Cline gli aveva dato il permesso di andare nella Foresta Proibita. Leta l’aveva baciato, ed era stato bellissimo. Ora doveva solo dirlo ad Amy e gioire insieme a lei.
Per prima cosa la andò a cercare in Sala Grande, ma era tardi, ai lunghi tavoli non erano rimasti che pochi studenti ritardatari e lei non era tra questi. Corse allora fino alla Sala Comune, ed era talmente euforico che quasi sbagliò la sequenza di suoni sul coperchio del barile, ma nonostante la maggior parte degli Hufflepuff dal primo al settimo anno fosse lì lei non c’era.
Si avvicinò al primo gruppetto che vide «S-scusate, a-avete visto A-Amelia?»
«La Caposcuola Prewett? Non credo sia scesa a cena, l’ultima volta che l’ho vista era in Biblioteca, oggi pomeriggio.»
«Oh, g-grazie mille.»
Fermamente deciso ad aspettarla, dovunque si fosse cacciata, si sedette su una poltrona vicino al camino e si servì di qualche biscotto al miele.
La aspettò per ore, mentre la Sala Comune si faceva sempre più vuota e solitaria, ma lei non arrivò. Quando rimase da solo nella stanza semibuia, con nel cuore un senso di frustrazione mai provato prima si alzò e andò in camera sua, pur sapendo che non avrebbe probabilmente chiuso occhio.
 
17 Gennaio 1915
Torre di Gryffindor
Stanza del Caposcuola Collins
Mattina

Quando Amy si svegliò si sentì perplessa, perché non ricordava affatto di essersi addormentata. Aveva la testa pesante come un macigno e lo stomaco dolorosamente vuoto; c’era qualcosa che non andava.
Il letto, forse era quello. Era il suo solito letto, ma sembrava avere un profumo diverso, buono e familiare, ma non il solito. Se solo si fosse ricordata dove lo aveva già sentito…
La realizzazione le trafisse il cervello come un colpo di pugnale, facendole sbarrare di colpo gli occhi, che si mossero rapidi per la stanza alla ricerca di un segno che le dicesse che stava sbagliando, ma attorno a sé vide solo i colori della sua disfatta: rosso e oro al posto del solito giallo e nero. Le sfuggì un gemito affranto.
«Buongiorno.» disse una voce dal fondo del letto. Si alzò sui gomiti e vide Collins, seduto sulla poltrona, che la guardava con un po’ di apprensione. Con un altro gemito ricadde sul cuscino e strinse gli occhi, sperando che tutto attorno a lei scomparisse, o che il letto la inghiottisse.
«Come va?» continuò imperterrito il Gryffindor.
Cercava di dissimulare il più possibile, ma era davvero preoccupato per lei; la sera prima era scoppiata a piangere sulla soglia della sua camera, aveva balbettato qualcosa su Scamander e la Lestrange tra i singhiozzi e poi gli era crollata addormentata tra le braccia. Non aveva avuto il cuore, né il desiderio, di svegliarla per mandarla via, quindi l’aveva lasciata a dormire nel suo letto e si era accomodato sulla poltrona. Sentendo che non gli rispondeva, si alzò dolorosamente dal suo scomodo giaciglio per andare a sedersi sul bordo del letto. Sorrise, vedendola nel più profondo stadio di negazione mai visto.
«Non credo che chiudere gli occhi possa funzionare.»
«Voglio scomparire.» rispose lei, facendolo ridere.
«Me ne andrei, se potessi, ma è la mia camera nel caso ti fosse sfuggito.»
«Non mi è sfuggito. Hai dormito con me? Dimmi di no, ti prego.»
«No, sono un gentiluomo. Ho dormito su quella scomodissima poltrona tutta la notte, quindi ora puoi farmi un po’ di spazio così mi siedo sul letto?»
«Va bene. Cos’è successo?» chiese lei, mettendosi a sedere.
«In realtà dovresti dirmelo tu: sei arrivata qui, ti sei messa a piangere dicendo qualcosa su Newton e Leta Lestrange e poi ti sei addormentata.»
«Si sono baciati. Li ho visti.» disse lei, atona.
«Avevi detto di non provare nulla per lui.» rispose Graham, non riuscendo ad evitare una nota di disappunto nella voce.
Lei affondò il viso fra le mani «È una cosa complicata, va bene? E ho avuto una reazione esagerata perché sono sotto stress, ma non è questo il problema nell’immediato. Il problema…»
«Forse per me anche questo è un problema!» sbottò Graham.
«Allora prometto che ti spiegherò tutto dopo… maledizione, le lezioni! Che ore sono? Devo andare!»
«Prewett, è domenica.»
«Oh. Beh, ancora meglio. Prometto che ti spiegherò tutto dopo aver parlato con Newt.» disse lei scostando le coperte per alzarsi.
«Di cosa gli vuoi parlare esattamente?»
«Di Leta. È il mio migliore amico e devo metterlo in guardia, anche se dopo quello che è successo dovrebbe sapere bene anche lui che Leta non è una buona scelta.»
«Questo mi ricorda che mi devi raccontare anche quella cosa. Sei sicura che sia una buona idea, comunque?»
«Ogni cosa a suo tempo e sì, ne sono sicura. Secondo te posso uscire senza che nessuno mi veda?»
«Direi di sì, non ho mai visto nessun Gryffindor scendere a colazione prima delle 11 di domenica mattina. A questo proposito, credo che tornerò a dormire. Quando hai risolto con Newton, mandami pure a chiamare.»
Lei annuì, una mano già sulla maniglia, poi si fermò «E, Collins… grazie.»
«Sempre a vostro servizio, madamigella.» rispose lui con un sorriso.
 
Hogwarts, sotterranei di Hufflepuff
Mattina
 
Quando aprì la porta della Sala Comune e si trovò davanti Amy, Newt pensò che forse alla fine sarebbe andato tutto bene.
«Amy! È da ieri che ti cerco!» disse abbracciandola di slancio. Cercò di non pensare alla debolezza con cui ricambiò la stretta, né alla strana espressione che aveva sul viso «Devo dirti una cosa.» aggiunse poi, gli occhi brillanti per l’emozione.
«Va bene, ma prima possiamo mangiare qualcosa? Non ho cenato e comincio a sentire il vuoto allo stomaco.»
«Certo, in effetti neanch’io ho cenato ieri. Cucine o Sala Grande?»
«Meglio le cucine.»
Dopo una buona colazione, mentre l’amica finiva il suo the Newton sganciò la bomba «Ho baciato leta.»
L’esplosione parve però rivoltarglisi contro quando Amy prontamente rispose «Lo so, vi ho visti.»
«C-come ci hai visti?»
«Stavo salendo le scale per il settimo piano e voi eravate in mezzo alla rampa, sarebbe stato difficile non vedervi.»
Newton sentì le guance prendere fuoco ma cercò di far finta di niente «E perché non hai detto niente?» chiese, rendendosi conto solo dopo della stupidità della domanda.
Amy infatti lo guardò perplessa «Non… non me la sono sentita, direi. Però, Newt, adesso devo dirti qualcosa.»
«Cosa?»
«Non credo sia una buona idea.»
La temperatura parve scendere di dieci gradi.
«Beh, o-ovviamente c-cercherò di farlo in luoghi meno pubblici, d’ora in poi.» cercò di scherzare lui.
«Intendo la cosa in sé, Newt. Anzi, la persona in sé.»
«Cos’hai contro Leta?»
«A parte che è pazza e ci ha quasi lasciati morire?»
«Ti ha chiesto scusa!»
«Oh, scusami se non l’ho presa molto sul serio! Ma davvero non capisci?»
«No, sei tu che non capisci me!»
Amy era esterrefatta «Come scusa? Stai insinuando che lei ti conosce meglio di me?»
«Sì!»
«Sei il mio migliore amico! Da sette anni!»
«Non è vero, sono un poveretto che hai deciso di prendere sotto la tua ala per proteggermi, ma appena c’è qualcosa di più interessante da fare mi lasci solo!»
«Ma cosa stai dicendo?! Te le ha dette lei…»
«Dov’eri ieri sera? Dove sei stata in tutti questi giorni, quando ti chiedevo di incontrarci perché dovevo dirti delle cose?»
«Sto studiando, Newt! Passo le giornate in classe o in biblioteca, pensavo lo sapessi! Mi dimentico del mondo quando studio!»
Nella mente di Newt quelle parole fecero scattare una sirena d’allarme, come una voce che gli diceva di smetterla finché, che tutto poteva ancora risolversi per il meglio. Ma fu la collera, per la prima volta, a prendere il sopravvento «Dov’eri ieri sera?» gridò.
«Da Collins. Ero da Collins, va bene? Avevo bisogno di parlare con qualcuno.»
«Non ero io il tuo migliore amico?»
«Non potevo parlarne con te, Newt. Ma adesso ascoltami, per favore…»
«No.» disse lui lapidario, alzandosi «Visto che non mi parli, ho smesso di ascoltarti. Cercati un altro animaletto da salvare.» aggiunse, senza guardarla, e uscì dalla cucina.
Amy rimase qualche minuto a fissare la porta, raggelata, poi appoggiò il viso sul tavolo e rimase lì, troppo distrutta persino per piangere.
  
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