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Autore: Carme93    22/02/2017    1 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo trentesimo
 
Un bambino fuori dal normale
 
 
«James, concentrati!» lo rimproverò il professor Williams.
 
«Non ci riesco! Ci provi lei!» sbottò il ragazzo, ma distolse subito gli occhi alla sua occhiata severa. «Scusi, signore» si affrettò ad aggiungere.
 
«Se non ti concentri, possiamo finire qui. Non ha senso continuare».
 
James non replicò immediatamente, ma si prese qualche secondo per raccogliere le idee. Era a malapena un’ora che si esercitava con l’Incanto Patronus, ma senza alcun successo. Era il tipo a cui piaceva raggiungere subito i suoi obiettivi, quindi già il fatto di non esserci riuscito lo innervosiva. In più era sempre teso in quei giorni e non riusciva a star tranquillo. Tra i G.U.F.O. sempre più vicini (da come ne parlavano gli insegnanti sembrava che avrebbero dovuto affrontarli il giorno seguente e non fra due mesi) e la mancanza di notizie di Louis l’avevano reso cupo e nervoso. Scattava per un non nulla, proprio come aveva fatto pochi secondi prima. Peccato che professori come la Shafiq non avevano la stesse pazienza di Williams. O meglio nemmeno quest’ultimo era troppo paziente, ma ormai aveva imparato a conoscere le sue reazioni e non le prendeva più semplicemente come maleducazione, per quanto non le approvasse.
 
«Vorrei riprovare, signore» disse.
 
Williams annuì. «Una volta sola. Poi è meglio che tu vada a riposare».
 
«Sì, signore».
 
«Mi raccomando: cerca di visualizzare un ricordo veramente felice. Non qualcosa di banale».
 
James si concentrò e chiuse gli occhi alla ricerca del ricordo giusto. Il rimprovero del professore non era stato fuori luogo: stupidamente aveva rievocato ricordi sì felici ma anche estremamente superficiali. Impiegò qualche minuto per trovare il ricordo che gli suscitasse il giusto calore e si diede del cretino per non averci pensato all’istante. Aprì gli occhi di scatto e strinse la bacchetta con determinazione. «Exspecto Patronum!» pronunciò mentre l’immagine di Benedetta sotto il vischio diveniva sempre nitida. Una nebbiolina argentea fuoriuscì dalla sua bacchetta, ma con sua grande delusione non prese alcuna forma e in pochissimi secondi si dissolse.
 
«Perché?».
 
«Magari la prossima volta non smettere di concentrarti e non restare a bocca aperta» sbuffò Williams contrariato. «Vattene, a letto».
 
James fece per obbedire, poi si ricordò della promessa che i compagni gli avevano strappato. «Professore, potrei chiederle una cosa? A nome dei miei compagni di classe, ma anche di altri anni?».
 
Williams si accigliò, ma annuì.
 
Il ragazzo non aveva alcuna speranza che il professore avrebbe acconsentito, ma aveva promesso. Maledetta la sua linguaccia! «Non c’è alcun modo per convincerla a riaprire il Club dei Duellanti?».
 
«No. Ed è inutile che insisti. Non cambierò idea e soprattutto la Preside non ne vuole più sentire parlare. Buonanotte, James» rispose Williams in tono terribilmente definitivo.
 
*
 
 
 
«Sono due settimane che stai lavorando a questa pozione. Dovresti essere già a buon punto» sibilò Bellatrix Selwyn. La sua voce tremò per l’ira a stento repressa. «Credi di poterti prenderti gioco di me, ragazzino?».
 
Louis tremò nel sentire la bacchetta premergli sul collo.
 
«Ha commesso un errore e abbiamo dovuto ricominciare daccapo» lo difese Lumacorno.
 
«Zitto, vecchio. Nessuno ti ha dato il permesso di parlare!» intervenne Thomas Rosier colpendolo con un manrovescio.
 
«Sei ridicolo, Horace Lumacorno» infierì Bellatrix colpendolo con il tacco della sua scarpa. «Non illuderti, piccolo Corvonero. Quest’uomo ti difende solo in grazia del cognome che porti. In caso contrario si preoccuperebbe solo della sua pelle. Ha sempre agito a convenienza. Schifoso, ipocrita. Prima baciava le sottane di Albus Silente e poi quelle di Minerva McGranitt».
 
«Bello, il tuo Ordine di Merlino» rincarò Rosier.
 
«Ora ti insegnerò a obbedirmi prontamente» sussurrò Bellatrix all’orecchio di Louis. Il ragazzino rabbrividì sentendo la sua voce fredda e crudele. Rosier mise un piede sul petto di Lumacorno ancora a terra, con il chiaro intento di non farlo muovere.
 
«Crucio!» sibilò Bellatrix con cattiveria.
 
Louis urlò come mai aveva fatto in vita sua. Gli sembrò che migliaia di aghi infuocati li penetrassero nella pelle e le ossa andare in frantumi. Non si rese neanche conto che la donna aveva smesso di torturarlo, anzi quasi non seppe spiegarsi come era arrivato a terra tanto la sua mente era annebbiata dal dolore. Respirando appena, focalizzò a malapena il pavimento polveroso su cui era caduto. Non era minimamente riuscito a sopportare il dolore come il primo giorno aveva fatto il professore di Pozioni.
 
«Thomas, falli portare nelle segrete. Sono sicura che domani Louis sarà molto più collaborativo».
 
«Sì, mia signora».
 
Louis non oppose la minima resistenza. Non ne aveva la forza. Quando uno dei mercemaghi lo riportò in cella, era già svenuto.
 
*
 
«Ciao, papà» disse timidamente Frank. Non era mai un buon segno essere convocato dal proprio Direttore, secondo alcuni suoi compagni; tuttavia sapeva perfettamente perché il padre l’aveva chiamato. E ciò non lo tranquillizzava di certo.
Neville, comunque, non sembrava arrabbiato quando alzò lo sguardo su di lui.
 
«Ciao, Frank. Tutto ok?» chiese.
 
Se c’era una cosa che Frank odiava era mentire, ma ancor di più al padre. «Sono stanco» ammise allora.
 
«Vedo» replicò palesemente preoccupato Neville.
«D’altronde si stanno avvicinando gli esami finali e sono consapevole che vi chiediamo sempre di più».
 
Frank annuì, ma non disse nulla.
 
«Frank, che cosa c’è? Sei preoccupato per qualcosa? Lo sai, che con me puoi parlare».
 
Il ragazzino annuì.
 
«E allora perché non mi hai detto nulla di Pozioni? Ha dovuto parlarmene il professor Mcmillan».
 
Frank considerò che non lo stava rimproverando e ancora una volta ringraziò il cielo di avere un padre così. Era più preoccupato del fatto che lui non se l’era sentita di raccontarglielo. Chinò il capo, mentre i ricordi delle ultime due settimane li ricadevano sulle spalle. Avrebbe preferito che il padre fosse arrabbiato. Pozioni non era l’unica cosa che gli aveva nascosto. L’aveva evitato apposta per non mentirgli, ma adesso era arrivato il momento della verità e si disse che era stato stupido a non dirgli una cosa alla volta.
 
«Non è solo quello» borbottò.
 
«Prego?».
 
Alzò il viso e notò lo sguardo perplesso del padre.
 
«Non ti ho nascosto solo i votacci in Pozioni. Ho fatto un disastro in Astronomia e Difesa. Sono calato in Trasfigurazione e Teddy mi ha rimproverato più volte per la mia distrazione. Mi sono dimenticato di consegnare i compiti di Antiche Rune e sono arrivato in ritardo alla lezione di Incantesimi…».
 
«Altro?» chiese Neville sorpreso.
 
«Ehm hai corretto l’ultimo tema?».
«No» sospirò Neville. «Perché?».
 
«L’ho un po’ raffazzonato».
 
Neville si alzò e si avvicinò a lui. «Che succede, Frank? C’è qualcosa che ti turba? Non è da te tutto ciò. Perché non me ne hai parlato prima e hai aspettato che ti chiamassi io?».
 
Il ragazzino si fissò le mani, non sapendo da dove iniziare. «Non sono turbato» disse alla fine. «Al contrario, è un periodo fantastico». Esaltante, sarebbe stato ancora più appropriato. Suo padre corrugò la fronte. «Mi prendi in giro?».
 
«No. Io… Non hai parlato con la professoressa Dawson ultimamente?» domandò alla fine.
 
«Io e la professoressa Dawson non parliamo molto. Ci conosciamo a malapena da qualche mese. Che avrebbe dovuto dirmi? Hai problemi anche in Storia della Magia?».
 
«Ho il massimo dei voti in Storia della Magia. La professoressa mi ha permesso addirittura di seguire delle lezioni extra in biblioteca con i ragazzi del settimo anno. È stato molto interessante. Ci ha spiegato come fare una ricerca storica. Mi sono trovato tanto bene che mi ha proposto di seguire alcune lezioni con quelli del settimo» disse Frank, sussurrando l’ultima parte.
 
«Cosa? Hai fatto lezione con quelli del settimo anno?».
 
Suo padre non sembrava molto felice. «La professoressa è contenta, perché mi sono mostrato all’altezza degli altri ragazzi. Mi sono impegnato molto» aggiunse in fretta. Perché non era felice per lui? Avrebbe dovuto esserne fiero!
 
«Quanto tempo hai impiegato per essere allo stesso livello di ragazzi che hanno quasi quattro anni di istruzione più di te?» chiese seccato Neville.
 
Frank si fissò i piedi a disagio: suo padre era arrivato dritto al punto e non aveva sbagliato.
 
«Frank! Per Merlino, che cosa credi di dover affrontare i M.A.G.O. in Storia della Magia quest’anno?».
 
«La professoressa dice che ne sarei capace» bofonchiò in un vano tentativo di difesa. Aveva trascurato le altre materie.
 
«La professoressa lo sa che rischi di non superare gli altri esami studiando solo Storia?».
 
«No! Papà ti prego non le dire nulla! Mi vergognerei troppo!».
 
«Questo lo decido io. Non avrebbe dovuto prendere certe decisioni senza avvertire me che sono il Direttore di Grifondoro».
 
«Papà, ti prego! Recupererò tutto! Non le dire nulla!».
 
«D’ora in poi seguirai solo le lezioni del terzo anno! È chiaro?».
 
«Sì, certo ma…».
 
«Quale ma, Frank?».
 
«Il prossimo fine settimana a Hogsmeade la professoressa presenterà ai ragazzi del settimo anno Jeremy Edwards, un insegnante dell’Accademia di Studi Storici di Londra. Ti prego, posso andarci?».
 
Neville sembrò rifletterci per un attimo. «Vedremo. Voglio che recuperi Pozioni e le altre materie, e che riprendi a fare in compiti come si deve. Rifarai il tema che ti ho assegnato l’ultima volta. Naturalmente prenderai il voto che ti meriti con quello che già mi hai consegnato. Se non lo farai, niente Hogsmeade questa volta».
 
Frank lo fissò sorpreso, ma poi annuì e chinò il capo. Aveva ragione lui. Suo padre gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo. «Odio essere severo con voi, lo sai vero? So che adori la storia, ma ogni cosa al suo tempo, va bene?».
 
«Sì, papà» sospirò, poi lo abbracciò di slancio cercando conforto per una situazione in cui si era ficcato da solo.
 
*
«Lily» sussurrò palesemente spaventata Gabriella.
 
«Che c’è?» chiese la ragazzina che procedeva con gli occhi incollati a una rivista di Quidditch.
 
«Credo che abbiamo un problema» replicò Alice.
 
«Direi più di uno» commentò Elisabeth.
 
Lily chiuse la rivista e tentò di capire. Un gruppo di Serpeverde le aveva circondate. S’irritò e sbottò: «Sono loro ad avere un problema. Nessuno si mette contro le Malandrine» sbottò. «Che diavolo volete?» aggiunse poi rivolta ai Serpeverde.
 
«Vendicarci. Tu padre ha arrestato il mio. Se ne pentirà» disse Vincent Goyle.
 
«Questa sì che è bella! E sarai tu a fallo pentire?» ribatté Lily estraendo la bacchetta.
 
«Naturalmente, siete in grado di attaccarci solo quando siete di più! Vigliacchi!» rincarò Alice.
 
Le Malandrine riconobbero solo Goyle e i suoi compari, Moran e Mcnair. Gli altri erano più grandi o più piccoli.
 
«Goyle, non sei in grado di affrontarmi da solo?» lo provocò Lily.
 
«Vuoi un duello tra maghi?» rispose a tono Goyle.
 
«Non ho certo paura di te».
 
«Bene, allora il mio secondo è Mcnair».
 
«Non adesso, però. Ora vogliamo divertirci anche noi» intervenne un ragazzino biondo. Lily costatò che doveva essere del primo anno.
Le ragazzine non poterono dire chi aveva iniziato a lanciare incantesimi, ma loro non si tirarono indietro. Non era facile: erano il doppio di loro e Gabriella, terrorizzata, in un primo momento non aveva reagito. Lily disarmò Goyle e gli saltò addosso, compendolo con un destro sul naso.
 
«Stupeficium! Lily, per Merlino, guardati le spalle» la richiamò Alice.
 
«Sì, sì» ribatté tranquilla, poi con un sorriso pericoloso puntò la bacchetta contro il suo avversario. «Mangialumache!».
 
«Sta arrivando Sawyer!» urlò un ragazzo sui tredici anni.
 
Vili Serpi, avevano messo il palo! pensò Lily contrariata. I loro avversari si diedero confusamente alla fuga e le quattro Grifondoro, per nulla desiderose di dare alcuna spiegazione all’antipatico Custode, li imitarono. Tirarono un sospiro di sollievo solo quando il quadro della Signora Grassa si fu chiuso alle loro spalle. Gabriella scoppiò in lacrime per dar sfogo alla tensione e scappò nella loro stanza. Alice ed Elisabeth la seguirono, ma Lily fu fermata da James.
 
«Che hai combinato?» le chiese il fratello maggiore con tono accusatorio.
 
«Che vuoi? Hai preso il posto di fratello responsabile di Al?».
 
«Che volete da me?» chiese il ragazzo sentendosi interpellato. Probabilmente aveva visto James chiamare la sorella e si era avvicinato anche lui.
 
Lily sbuffò quando anche lui si unì alla conversazione.
 
«Stavo chiedendo a Lily che cosa hanno combinato questa volta le Malandrine» spiegò James serio.
 
«Lily! Ti avevamo detto di star tranquilla! Mamma e papà te l’hanno ripetuto un milione di volte nelle loro lettere! Non credi che abbiamo già abbastanza preoccupazioni?» s’irritò Albus.
 
«Non è colpa mia stavolta, va bene?» replicò arrabbiata la ragazzina.
 
«Ah, no?» disse James. Entrambi i fratelli avevano un’espressione scettica dipinta in volto.
 
«No!» sbottò Lily e poi li raccontò cos’era accaduto.
 
«Spero che vomiterà lumache per un bel po’, quel piccolo verme!» inveì James.
 
«Ora ti riconosco» borbottò Lily.
 
«Siete state bravissime!» disse James orgoglioso di come la sorellina si era battuta. «Ciò non toglie che loro erano troppi. Questo non va bene…».
 
«Erano in quattro, Jamie» gli fece notare Albus, che si era incupito durante il racconto ma non aveva pronunciato alcun commento in merito. «Papà si è raccomandato di non andare in giro da soli. Ma in quattro! Come potremmo fare? Non possiamo stare sempre tutti appicciati…». Il tono del ragazzo era meditabondo.
 
«Basterebbe solo che potessimo comunicare rapidamente tra di noi. Lily non poteva chiamare aiuto».
 
«Gli specchi di zio George?» domandò Albus.
 
«Non sono sufficienti! Hanno un breve raggio d’azione».
 
«E che vuoi fare?».
 
«Non lo so» ribatté frustrato James, cominciando a camminare avanti e indietro. «Ma pensaci: se Louis avesse avuto un modo per comunicare, non saremmo qui senza sue notizie!».
 
*
 
«Emmanuel?» sussurrò Frank. Gli era stato detto di parlare con il Serpeverde senza attirare troppo l’attenzione. Così aveva deciso di sedersi casualmente vicino a lui durante Antiche Rune. Se qualcuno li avesse visti in questo momento avrebbe pensato solo a un innocuo scambio di battute. Roxi aveva fatto in modo che tutti i ragazzi del terzo anno facessero un tentativo con le rune. Tutti tranne i Serpeverde. Avevano deciso di non coinvolgere direttamente Lucy perché tendenzialmente inaffidabile. Alla fine avevano pensato che l’unico a cui potevano rivolgersi con un ampio margine di sicurezza era proprio Emmanuel Shafiq. L’ultima cosa che, però, Frank voleva era far richiamare entrambi della professoressa Spinnet. Non aveva scelta però. Emmanuel sollevò gli occhi dalla versione che era stata assegnato loro per esercitarsi. «Che c’è?».
 
«Tocca queste» replicò semplicemente Frank, mettendogli tra le mani le due rune rimaste. Il Serpeverde sobbalzò urtando il banco. Entrambi percepirono lo sguardo della professoressa e si affrettarono a tornare alle loro versioni.
 
«Che scherzo è Frank?» borbottò dopo un po’ Emmanuel, sembrava infastidito.
 
«Di che parli?» sussurrò Frank.
 
«Mi sono scottato la mano! È uno dei Tiri Vispi Weasley? Che ti ho fatto?».
 
Frank si prese il tempo di tradurre una frase e poi rispose: «Non è uno scherzo, purtroppo. Quale delle due ti ha bruciato?».
 
«Ur. Che significa che non è uno scherzo?» disse Emmanuel rigirandosi le rune tra le mani. Entrambi ormai avevano abbandonato la traduzione.
 
«Indica la fortezza. Non ti posso spiegare qui perc-».
 
«Shafiq! Paciock! Che state facendo?».
 
I due ragazzi alzarono gli occhi sull’insegnante e non riuscirono a evitare di assumere un’aria colpevole.
 
«Ci scusi professoressa, ci eravamo distratti un attimo» replicò immediatamente Emmanuel.
 
«Con che cosa stavate giocando?».
 
Frank sbiancò ed Emmanuel istintivamente fece per nascondere le rune, ma la professoressa lo bloccò. «Shafiq» disse eloquentemente.
 
«Non è nulla, professoressa» tentò Emmanuel.
 
«Consegnamela qualunque cosa essa sia» disse con un tono che non ammetteva repliche la Spinett. Emmanuel obbedì. La donna osservò vagamente sorpresa le rune di terracotta. «Rimettetevi a lavoro. Non vorrei dover dividere i miei studenti migliori».
 
«Mi uccideranno» sussurrò Frank terrorizzato.
 
«Mi dispiace, non sapevo che fare. Sono così importanti?».
 
«Ti spiego dopo» sussurrò Frank e si rimise a tradurre prima che l’insegnante piombasse di nuovo su di loro.
 
*
 
«Paciock, ti vuole tuo padre nel suo ufficio» gli annunciò Mary Anne Parker uno dei Prefetti di Grifondoro.
Il ragazzino si voltò verso Roxi e Gretel che ricambiarono sorprese la sua occhiata.
 
«E ora che hai fatto?» disse la prima.
 
«Nulla. Sto studiando tutte le materie e non ho più fatto lezione con i ragazzi del settimo anno».
 
«Non ti resta che scoprirlo» disse Gretel facendo spallucce.
 
«Vero! Poi non hai nulla da temere se non hai fatto nulla. A meno che non c’entri la storia delle rune» buttò lì Roxi. Frank sentì lo stomaco contorcersi. Non replicò e si avviò immediatamente fuori dalla Sala Comune. Non era possibile che suo padre lo convocasse solo per quello. Non gliene aveva parlato, è vero, ma era accaduto solo quella mattina e poi James aveva detto che si sarebbe occupato personalmente di recuperare le rune e quindi non si era voluto muovere senza sapere che cosa il ragazzo avesse in mente. Fuori dall’ufficio del padre, però, incrociò Emmanuel e non ebbe più dubbi.
 
«Perché tuo padre mi ha convocato?» chiese Emmanuel preoccupato. Dopotutto non era normale essere convocati dal Direttore di un’altra Casa, a meno che non fosse successo qualcosa a lezione per giustificare una simile azione. E Frank era sicuro che il Serpeverde non avesse fatto nulla di male durante l’ultima lezione di Erbologia.
 
«Credo che c’entrino le rune» soffiò e bussò prima che potesse replicare in un qualunque modo. Dopo aver avuto il permesso di entrare, comprese che la situazione era peggiore di quanto avesse creduto. Nell’ufficio con suo padre c’erano la Preside e la professoressa Spinett.
 
«Buonasera» mormorano quasi all’unisono, palesemente intimoriti.
 
«Ragazzi, queste dove le avete prese?» chiese la Preside senza perdere tempo. Li stava mostrando le due rune di terracotta.
«Non sono vostre, vero?».
 
Emmanuel non poté fare a meno di fissare Frank, che, però, non aveva idea di come rispondere. Albus gli aveva raccomandato di non raccontare niente a nessuno. Aveva combinato un bel guaio.
 
«Frank? Perché non rispondi?» lo esortò suo padre, ma il ragazzino non sapeva proprio come comportarsi.
 
«La professoressa Spinnet mi ha riferito di avervele sequestrate questa mattina» aggiunse la Preside in attesa di una risposta. «Non avete nulla da dire?». I due ragazzini continuarono a tacere. «Si tratta di oggetti magici antichi e potenti. Io pretendo di sapere dove le avete prese» ripeté allora la Preside con maggior severità nella voce.
 
«Ragazzi, non si tratta di un gioco in caso contrario ve le avrei restituite quando me le avete chieste alla fine della lezione» disse la professoressa Spinnet preoccupata.
 
«Potrebbero essere pericolose» rincarò Neville.
 
«Non sono pericolose» ribatté Frank comprendendo di non poter rimanere in silenzio in eterno. «Professoressa McGranitt sono come la runa che ho trovato alla fine dell’anno scorso nel cassetto di Tosca Tassorosso».
 
La Preside aggrottò la fronte e il ragazzino era certo che non avesse dimenticato. «Non è possibile» dichiarò alla fine dopo averci riflettuto. «Ricordo perfettamente quella runa. Non ho percepito alcun potenziale magico. In caso contrario non te l’avrei lasciata con tanta leggerezza».
 
Ancora una volta Frank non rispose: avrebbe dovuto dirle che le avevano attivate loro? Poi avrebbe voluto sapere anche il perché. Non poteva raccontarle tutto senza conoscere il parere degli altri e in quella situazione non poteva nemmeno interpellarli.
 
«Shafiq non hai nulla da dire?». La McGranitt tentò di avere delle risposte da Emmanuel, il quale non aveva ancora ricevuto le spiegazioni richieste al compagno. Frank lo vide esitare e mentalmente lo ringraziò comprendendo la sua paura di comprometterlo. Alla fine il Serpeverde rispose: «No, professoressa».
 
La Preside si irritò e li minacciò: «Rimarremo qui finché non avrete risposto alle nostre domande!».
 
Frank decise d’istinto, si tolse la runa che portava sempre con sé al polso e la porse alla Preside. «Ora anche questa ha potenziale magico». Era inutile star lì, era il momento della verità. In fondo di Minerva McGranitt ci si poteva fidare, così come di suo padre. Per quanto ne sapeva anche la professoressa Spinett aveva fatto parte dell’Esercito di Silente ai tempi della Scuola e aveva combattuto nella battaglia finale. La professoressa osservò la runa con attenzione e tutti attesero in silenzio che parlasse.
 
«Com’è possibile?» chiese semplicemente.
 
«Il loro potere è stato riattivato. Ur è di Emmanuel».
 
«Che significa è stato riattivato?» insisté la Preside.
«Non ho capito perfettamente» ammise Frank. «Sono state riattivate con un complesso incantesimo di Aritmanzia».
 
«Paciock hai intenzione di parlar chiaro?» si spazientì la professoressa.
 
«In realtà zio Harry aveva detto di non parlarne con troppe persone» borbottò in risposta. «E gli altri sono sicuri che chi non doveva sapere sa già troppo».
 
«Con Harry Potter me la vedo io, non può pasticciare nella mia Scuola senza il mio permesso! Chi sono gli altri? E di cosa non dovete parlare? E chi è che sa troppo?» chiese la Preside ponendo domande chiare e coincise, a cui, era evidente, si aspettava risposte altrettanto chiare e coincise.
 
Frank boccheggiò, ma non voleva capitolare facendo i nomi dei suoi amici. Anche se non credeva che avessero infranto alcuna regola, in fondo il professor Williams aveva assistito all’incantesimo che aveva riattivato le rune. Sapeva quasi tutto, ma non era sicuro di poterlo chiamare in causa. Era un professore della Scuola, ma contemporaneamente seguiva ancora le direttive del Capitano degli Auror senza avvertire la Preside. Inoltre una voce di corridoio voleva che la McGranitt si fosse arrabbiata molto quando Williams e Solo-Io-So-L ’Ovvio avevano duellato, per giunta di fronte agli studenti, e stesse meditando se licenziarli o meno. Naturalmente erano solo voci, ma sotto gli occhi di tutti era che i due insegnanti non si rivolgessero più la parola. Era un bravo professore, anche se alle volte un po’ troppo severo, e non voleva metterlo nei guai.
 
«Non lo so chi siano quelli che sanno troppo. Neanche gli altri lo sanno. Al massimo hanno qualche sospetto» borbottò iniziando dalla domanda più facile. In quel momento qualcuno bussò alla porta.
 
«Avanti» disse Neville.
 
«Buonasera a tutti» disse Maximillian Williams. Il giovane insegnante con un colpo d’occhio comprese tutta la scena e sospirò. Si avvicinò ai ragazzi e li pose una mano sulla spalla.
 
«Maxi, ti dispiacerebbe tornare più tardi? Ho bisogno di risolvere una questione con i ragazzi» disse gentilmente Neville, credendo che il collega gli volesse parlare di cose scolastiche. Frank, però, non si sorprese quando lo vide scuotere leggermente la testa. James gli aveva detto tutto. «Temo che dobbiamo discutere della stessa questione».
 
«Professore, lei sa qualcosa delle rune sequestrate ai due ragazzi?» domandò severa la Preside.
 
«Sì, ne sono stato messo al corrente» ammise il professore.
 
«Mi dia una spiegazione» ordinò la McGranitt.
 
«Quest’estate il Capitano Potter ha scoperto che esiste una Profezia, che coinvolgeva sicuramente uno dei figli e altri undici ragazzi. Il signor Potter si impegnato molto fino a ora per trovare proprio questi ultimi. Tentando in ogni modo di non far trapelare troppo la cosa. Il Capitano stesso non ha reso la sua scoperta pubblica. Nonostante ciò temiamo che qualcosa sia giunta alle orecchie sbagliate».
 
«Mi dispiace» borbottò Frank. «Ho pensato che se avessi mostrato le rune a Emmanuel in classe, nessuno avrebbe potuto sospettare».
 
«Non ti preoccupare» replicò semplicemente Williams.
 
Neville e la Spinnet era trasecolati. Il primo non smetteva di fissare il figlio con espressione terrorizzata. Non conosceva il contenuto della Profezia, ma aveva chiaramente compreso che Frank era coinvolto e tanto bastava.
 
«Quale dei due Potter?» chiese la Preside.
 
«Mi riferivo ad Albus, ma sono coinvolti entrambi».
 
«Perché i Potter sono sempre in mezzo alla tempesta?» sospirò la professoressa. «Spiegatemi ogni cosa per bene».
 
Williams lasciò che fosse Frank a raccontare e s’intromise solo per precisare qualcosa.
 
«Professor Williams lei ha praticamente complottato con degli studenti senza dirmi nulla. Si rende conto che potrei buttarla fuori per questo?» chiese la Preside dopo aver riflettuto a lungo. Emmanuel e Frank si irrigidirono di fronte alla minaccia e fissarono il loro professore. Nessuno dei due aveva, però, argomenti da opporre per difenderlo. Non per quanto riguardava quella questione almeno.
 
«Perfettamente, Preside» rispose a testa alta Williams.
 
«L’ultima runa di chi è?».
 
«Ancora non lo sappiamo, professoressa» rispose Frank.
 
«Allora scopritelo, a questo punto è meglio conoscere i nomi di tutti i Dodici così potremmo tenervi d’occhio. Il compito è suo professor Williams. Neville, professoressa Spinnet non fate parola con nessuno di quanto avete udito questa sera. Neanche con i vostri colleghi» ordinò la McGranitt e poi consegnò le rune ai rispettivi proprietari. Frank prese in custodia anche quella senza padrone. «Mi raccomando siate prudenti» disse loro. Prima di lasciare l’ufficio si rivolse a Williams. «La tengo d’occhio e riferisca al suo Capitano di venire da me al più presto. Mi sentirà».
 
*
 
«Mi dispiace, ragazzi» mormorò Frank dopo aver raccontato agli altri quanto era accaduto quella sera.
 
«Non fa niente» replicò Albus. «Avremmo dovuto capire da un pezzo che alla McGranitt non si può tenere nulla nascosto».
 
«Ha occhi dappertutto» borbottò Roxi.
 
«In un certo senso stavolta è stata la Spinnet a scoperchiare ogni cosa» commentò, invece, Rose.
 
«Non capirò mai che cosa hai contro di lei» disse Jonathan fissandola curioso.
 
«Lei ha sposato l’uomo della mia vita» dichiarò seria la quindicenne, suscitando le risate degli altri. Rose si indignò.
 
«Sul serio, Rosie, quando Oliver Baston si accorgerà di te fammi un fischio» disse Roxi ridendo.
 
«E poi non è così carino» aggiunse Dorcas e Virginia annuì al suo fianco.
 
«Voi non capite nulla di ragazzi! Il vostro giudizio non è valido».
 
«Parliamo di cose serie?» disse stranamente irritato Scorpius.
 
«Geloso?» lo pungolò Cassy.
 
«Io e di chi?».
 
«Smettetela» intervenne James. Tutti si zittirono. «Non credete che abbiamo cose più importanti su cui discutere?».
 
«Ha parlato quello maturo!» ribatté Rose.
 
«Mi avete accettato come vostro capo» disse freddamente James.
 
«Jamie, che hai?».
 
«VI SEMBRA NORMALE DISCUTERE SE OLIVER BASTON È O NON È BELLO CON TUTTO QUELLO CHE STA SUCCEDENDO!?» gridò James in risposta. «Smettetela di dire idiozie e ascoltatemi bene. Vi avevo chiesto di riflettere su uno modo con cui comunicare in modo rapido ed efficace qualora avessimo bisogno di aiuto. L’avete fatto?».
 
«Sì» rispose Virginia. «Io e Albus abbiamo pensato di creare dei falsi galeoni simili a quelli utilizzati in passato dall’Esercito di Silente».
 
«Faremo in modo di poter scriverci sopra qualcosa in più oltre la data e l’ora di un incontro» aggiunse Albus.
 
«Ne siete capaci? Ricordo che zio Ron e papà insistono sempre che zia Hermione in quel caso ha usato un incantesimo livello M.A.G.O. Come che si chiama?» replicò James.
 
«Incanto Proteus. È molto complesso, ma possiamo farcela» rispose Albus.
 
«Voi non siete zia Hermione!» disse James infastidito.
 
«Se hai un diavolo per capello, datti una calmata. A nessuno di noi piace questa situazione e tu stai diventando pesante» sbottò Albus.
 
«Io dico di provarci» s’inserì Rose. Anche gli altri furono d’accordo.
 
«Ce ne possiamo andare?» chiese Cassy.
 
«No, un momento. Io vi devo ancora la mia storia» dichiarò Jonathan.
 
I ragazzi lo fissarono chi perplesso chi sbalordito.
 
«Non sei costretto» disse Albus.
 
«È giusto così. Per chi non lo sapesse o non l’avesse ancora capito: io sono un lupo mannaro». Un silenzio teso seguì le sue parole. James, Emmanuel, Roxi, Frank e Brian lo fissarono con occhi sgranati. «I Dodici devono fidarsi tra loro o il gruppo non sopravvivrà» disse serio, poi, siccome, nessuno dava segno di voler dire nulla, continuò: «È accaduto quando avevo sette anni. Io e la mia famiglia eravamo in vacanza in Scozia. Avevamo deciso di campeggiare in una foresta. I miei si erano raccomandati con me e mia sorella di non allontanarci dalla tenda e dal fuoco. In un momento di distrazione dei miei genitori ho visto uno scoiattolo e ho voluto seguirlo. Mia sorella mi ha visto ed è venuta con me. Il lupo mannaro ci ha presi alla sprovvista. Non sapevamo difenderci, eravamo troppo piccoli. Mi ha morso. Mia sorella mi ha tirato via però… non so. forse mi avrebbe mangiato direttamente… Mel era solo una bambina, ma mi ha trascinato lontano dal lupo e ha urlato tanto che i miei l’hanno sentita… Mio padre ha rallentato il lupo con un incantesimo, poi si è smaterializzato con me in braccio. Non ricordo nient’altro se non che mi sono svegliato al San Mungo dopo molti giorni. Credo che mia madre si sia smaterializzata nel nostro stesso momento. Mel non vuole nemmeno sentire parlare di lupi» raccontò Jonathan, tenendo gli occhi fissi a terra.
 
Nessuno osò commentare. Albus osservò l’amico e vide che le sue guance erano umide. Non vi era nulla di straordinario nel suo racconto, ma questo lo rendeva ancora più inquietante.
 
*
 
«Louis, sei pronto?».
 
Il ragazzino annuì concentrato e il professor Lumacorno terminò la complessa operazione. Vi furono delle scintille e i due si ritrassero.
 
«Siamo quasi alla fine» dichiarò Louis. «Signore, posso farle una domanda adesso?».
 
Lumacorno sembrò sorpreso, ma acconsentì. «Tutto quello che vuoi Louis, ormai non ha molta importanza: appena consegneremo la pietra filosofale a quella donna, non le serviremo più».
 
Il ragazzino non commentò, ma si limitò a chiedere in modo diretto: «Perché ce l’ha con lei? C’è qualcosa di vero nelle sue parole, signore?».
 
«Tu che cosa ne pensi?» replicò l’uomo dopo aver esitato qualche secondo.
 
«Sono confuso. Le sue lusinghe mi attirano, anche se percepisco falsità nascosta».
 
«Le lusinghe piacciono a tutti. Io non credo di aver mai ostacolato il talento di nessuno, anzi. Devo ammettere di non aver mai incoraggiato la Selwyn quando è stata mia allieva, al contrario ero sempre molto aspro con lei. Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato in lei, ragionava come la madre le aveva insegnato a fare: non conosceva autorità o valore che non fosse legato alla purezza del sangue. Io, però, avevo già commesso un grave errore e non l’avrei mai più ripetuto. Ti assicuro che ho provato a ragionare e parlare con lei, ma è stato inutile. Ora sta ottenendo la sua vendetta. Colpisce chi è migliore di lei e non si rende conto che ogni omicidio che compie la rende più fredda e disumana. Non si può fare più nulla per lei. Inoltre non era realmente così brava in Pozioni. Ho avuto allievi decisamente migliori di lei».
 
Louis rimuginò sulle sue parole, ma non ebbe il tempo di dire nulla che la porta del laboratorio fu spalancata dalla Signora Oscura in persona.
 
*
 
«Signori e signore, benvenuti alla prima finale del Torneo di Quidditch tra Scuole» gridò Alexander Parker nel megafono magico.
«Tassorosso contro Beauxbatons. Forza, ragazzi! Dimostrate di non essere dei mollaccioni!». Gran parte del pubblico rise, tranne i tifosi giallo neri che iniziarono a fischiare a urlare insulti non comprensibili nel tumulto generale al Corvonero. Jack strinse i denti a bordo campo, ma ghignò vedendo Paciock chinarsi verso il ragazzino e rimproverarlo palesemente. Cercò con gli occhi il suo Direttore e vide che a braccia incrociate fissava con un cipiglio poco rassicurante il Corvonero. Meglio, Parker aveva decisamente una lingua troppo lunga. Come poi Parker fosse riuscito a prendere il posto di Zabini come cronista non gli era molto chiaro, a meno che i docenti non avessero sparato che un Corvonero sarebbe stato più imparziale di un Tassorosso. Se era così, allora si erano sbagliati di grosso. Distolse lo sguardo dalla scena e si concentrò sulla partita che stava per iniziare. Si erano allenati molto e potevano farcela.
 
«Pronto, Jack?» lo chiamò il Capitano Albert Abbott.
 
«Certo». Dopo aver affrontato Durmstrang, non sarebbe stato un problema avere la meglio su Beauxbatons. Potevano benissimo fare una bella figura. Albert annuì e poi strinse la spalla ad Arthur. Il ragazzino era molto teso. La professoressa Jones fece loro segno di entrare in campo. Abbott strinse la mano al Capitano avversario e pochi secondi dopo erano tutti in volo.
La partita era iniziata e Tassorosso non si sarebbe fatta sfuggire tanta gloria. Non questa volta.
 
*
 
«Sei stato bravissimo, Louis» disse con voce suadente Bellatrix Selwyn. «Sei un ragazzo geniale. Sei pronto a unirti al mio esercito? Sarai uno dei miei migliori uomini. Devi solo concludere e consegnarmi la pietra…».
 
«No, basta così. Non lo travierai!» strillò Lumacorno. Colpì con una mano tutte le ampolle e gettò una manciata di una sostanza, che Louis non riconobbe, sul loro lavoro. Un fumo improvviso si sollevò dall’ampolla di vetro opaco. Lumacorno spinse dietro di sé il ragazzino e si gettò sulla Selwyn prima che potesse smettere di tossire e riprendere il controllo della situazione. Fulmineamente le strappò la bacchetta di mano. Con il fiato corto pronunciò degli incantesimi a bassa voce, dopo aver legato la donna.  «Ho tolto l’incantesimo antismaterializzazione dalla villa» disse Lumacorno a Louis proprio mentre un gruppo di Neomangiamorte faceva irruzione nella stanza. L’anziano capì che era stato tutto inutile, non sarebbe mai riuscito a smaterializzarsi con il bambino. Aveva condannato entrambi. I Neomangiamorte liberarono la loro signora e si scagliarono su di lui. Louis impotente comprese che quello che aveva visto in quelle settimane non era nulla: quegli uomini sapevano essere molto crudeli, più di quanto si potesse mai immaginare. Non potendone più decise di reagire. Non facevano caso a lui. Nell’armadio delle scorte trovò subito ciò avrebbe potuto servirli. Prese una fiala e vi mescolò dentro nitrato di potassio, zolfo e carbone. «Aguamenti» sussurrò. Con un altro incantesimo asciugò l’impasto e lo buttò dentro una pergamena, che poi arrotolò grossolanamente. «Incendio» concluse accendendo i lambi della pergamena stessa. Infine la lanciò contro i Neomangiamorte. Lo scoppiò lo stordì, ma ferì i Neomangiamorte. Non rimase a guardarli urlare, scattò in avanti, approfittando che la Selwyn sembrava svenuta e molti uomini si stava preoccupando per lei, prese la prima bacchetta che scorse a terra e prese un braccio di Lumacorno. Il professore aveva il volto insanguinato e anche altre ferite disseminate per tutto il corpo. Non gli sembrava che respirasse, ma non poteva preoccuparsene in quel momento. Tentò di concentrarsi. Aveva seguito di nascosto alcune lezioni di Materializzazione dei ragazzi del sesto anno. Pensò a Hogwarts. L’antico castello balenò nella sua mente con forza. Gli mancava, ma fece comunque fatica a non sovrapporre le immagini della Tana o di Villa Conchiglia. Voleva tornare a casa. Sospirò e girò su se stesso doveva farcela. Ora o mai più.
 
«Che stai facendo?» gridò uno dei Neomangiamorte.
 
Louis mantenne la concentrazione anche quando sentì un dolore lancinante alla gamba. Capì di avercela fatta, sentendo come uno strappo e un forte desiderio di vomitare. «Hogwarts, Hogwarts, Hogwarts…» continuò a ripetersi per un tempo che gli parve infinito.
 
*
«Attenzione, Weasley ha visto il boccino! Eccolo che scende in picchiata!» strillò Parker.
 
Jack si voltò verso il Cercatore e sorrise. Stavano per vincere. All’improvviso percepì una strana sensazione, come se l’aria circostante fosse attraversata da una scossa elettrica. Si girò di scatto verso la tribuna degli insegnanti. Erano inquieti. Strinse il manico della sua scopa con forza. Che stava succedendo? La Preside sembrava allarmata e anche quelli più vicini a lei. Si guardavano intorno, ma la McGranitt si mosse rapidamente verso le scale.
 
«E Weasley prende il boccino e… che sta facendo… oh, Merlino che sta succedendo?».
 
Alle parole di Parker Jack si girò così velocemente da farsi male al collo. Sgranò gli occhi e si precipitò a terra. Arthur era bocconi accanto al corpo del cugino. Come aveva fatto Louis Weasley a spezzare le barriere della Scuola? L’iniziale boato di giubilo dei ragazzi di Hogwarts si trasformò repentinamente in urla angosciate e spaventate.
 
«Spostati» disse Jack ad Arthur. Louis emetteva dei rantoli disperati. Si era spaccato un braccio e sanguinava copiosamente, ciò che attirò la sua attenzione, però, fu la ferita alla gamba. Non era normale. «Diffindo» sussurrò strappando la divisa già lacera. «Vulnera saneturvulnera saneturvulnera sanetur…». Lo ripeté più volte proprio come mesi prima aveva fatto Williams con lui.
 
«Ottimo lavoro» si sentì dire. Williams era dietro di lui. Istintivamente si spostò lasciando spazio a lui, alla Preside e a Paciock.
 
«Il dittamo, Neville. Dobbiamo rimarginare la ferita prima di portarlo in infermeria» disse concitata la Preside. Era completamente pallida in volto e le mani le tremarono mentre cosparse la ferita con il dittamo. «Portiamolo da Lux».
 
Quando lo misero su una barella, Louis respirava a stento. Jack fissò quello che in fondo era solo un bambino. Si sentì impotente. Maledetti bastardi pensò stringendo con forza i pugni. Dovevano pagarla cara. Come in incubo vide la McGranitt chinarsi sull’altro corpo steso sul prato. Un uomo molto anziano, insanguinato e immobile. La vide posargli posò dita sulla carotide e si voltarsi verso i professori che erano rimasti con lei: scosse la testa. Jack rimase scioccato quando vide lacrime solcare il suo volto. Non avrebbe mai voluto vederle. Distolse lo sguardo non potendo sopportare quella vista e cercò i suoi compagni: erano a poca distanza da lui. Arthur singhiozzava tra le braccia di Albert, che aveva un’espressione amara e determinata dipinta sul volto.
 
   
 
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