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Autore: Itsamess    22/02/2017    2 recensioni
[Heronstairs]

Il Nephilim sfoderò uno di quei sorrisi sghembi a cui Jem, anche dopo anni, evidentemente non si era ancora del tutto abituato, dal momento che ne restava affascinato come davanti alla prima nevicata di Dicembre - in entrambe le situazioni, un brivido gli correva rapido lungo la spina dorsale.
Arrossendo a quel pensiero, distolse lo sguardo dal parabatai, nonostante quel sorriso non fosse stato rivolto a nessuno in particolare e comunque non a lui.


Will intanto non si era accorto di nulla, impegnato com'era a declamare i suoi tanti pregi con ostentata nonchalance: «Sono maestro in molte cose... Nel girare per le vie di Londra, nel ballare la quadriglia, nell'arte giapponese di disporre i fiori e nell'imbrogliare ai mimi... Ma nessuno si è mai sognato di chiamarmi Magister, purtroppo… Anche se mi meriterei questo appellativo, essendo praticamente perfetto sotto ogni aspetto!»


Jem scorse Jessamine alzare gli occhi al cielo: Will poteva possedere molte virtù, ma di certo la modestia non era una di quelle.

Ovvero quattro volte in cui Will Herondale donò al mondo un assaggio dei suoi talenti ed una in cui ebbe bisogno dell'aiuto di Jem Carstairs.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Carstairs, William Herondale
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Metodi alternativi di far passare il raffreddore al tuo parabatai

 
E così fai tu,
 che nascondi piano la tosse e il cuore nella stessa mano,
arrivi tu e sai chi sono
 

«Non farlo affaticare troppo, hai capito?» si era raccomandata di nuovo Charlotte, scandendo una per una le parole. Nonostante non fosse molto alta, aveva comunque preferito chinarsi ai piedi di Will, in modo tale da poterlo guardare dritto negli occhi ed essere così sicura che avesse compreso la gravità della situazione.
«Mi fido di te... Non stancare Jem, niente battute o scherzi stupidi- non stasera, d'accordo?»

«D’accordo» aveva risposto il ragazzo, distogliendo lo sguardo in quello che la donna aveva considerato un gesto di esasperazione e che era invece un misero tentativo di non scoppiare a piangere davanti a lei. La verità era che lo destabilizzava vedere Charlotte con gli occhi lucidi, lei che di solito aveva sempre tutto sotto controllo. Di notti così ce n'erano già state tante, troppe, eppure Will non l'aveva mai vista tanto preoccupata. Al solo pensiero di poter perdere l’amico, il ragazzo avvertì una lancinante fitta al cuore. O meglio, sopra al cuore. La runa parabatai pulsava debolmente sotto al colletto della sua camicia da notte.
 
«Bravo ragazzo»
Charlotte tentò di dargli una carezza sulla testa, ma Will la schivò prontamente neanche si trattasse di una lama angelica. Le manifestazioni d’affetto continuavano a metterlo a disagio - questo gli anni non erano riusciti a cambiarlo. Con un sospiro, raccolse il vassoio che aveva temporaneamente poggiato a terra e lo consegnò tra le mani del ragazzo, indugiando un istante prima di lasciarglielo per timore che facesse cadere, e poi si congedò con un sorriso carico di apprensione.
 
Will la seguì con lo sguardo finché non la vide scomparire dietro all’angolo, poi tornò a fissare la porta della camera di Jem.
 
Si era trovato davanti a quella porta centinaia di volte, eppure non ricordava di aver mai effettivamente bussato, perché le entrate ad effetto riescono meglio quando sono a sorpresa
Will era abituato a piombare nella stanza del parabatai nelle ore più disparate, incurante delle regole della buona educazione e senza farsi annunciare da nient’altro che una battuta pungente, ma quella sera aveva promesso a Charlotte di comportarsi bene, quindi si schiarì la voce e domandò: «Posso entrare?»
 
Senza neanche aspettare una vera e propria risposta dall’interno, diede una forte spallata alla porta e in un istante si ritrovò in mezzo della camera, con un vassoio pericolante in mano e un’espressione di cupa sorpresa dipinta sul volto.
 
Il parabatai era steso sul letto, ma Will dovette fare uno sforzo di immaginazione per vederlo perché era talmente pallido da confondersi con le lenzuola.
Jem era pelle bianca su stoffa bianca.
Le ombre bluastre sotto agli occhi, traccia di sonni agitati, aggiungevano qualche anno al suo viso solitamente puro e infantile. I capelli sembravano ancora più chiari del solito e a malapena si vedevano sul candore del cuscino.
 
In quattro anni di amicizia, Will non lo aveva mai visto in quelle condizioni e nemmeno la sua fervida fantasia aveva mai concepito un'immagine del genere. Charlotte ed Henry preferivano parlare delle salute di Jem a bassa voce e a porte chiuse, dispensando ben informazioni a riguardo. Le frequenti visite dei Fratelli Silenti avvenivano nel cuore della notte e Sophie si lasciava sfuggire solo qualche occasionale invocazione alla pietà dell'Angelo quando parlava di Jem. A causa della loro giovane età, lui e Jessamine avevano avuto solo vaghe notizie di tossi e febbri alte, eppure la malattia dell’amico non era mai stata tenuta nascosta. Will ricordava fin troppo bene che una delle prime cose che gli aveva detto Jem era stato che soffriva di una malattia incurabile e mortale, come se avesse voluto avvertirlo di non affezionarglisi troppo. Di tutta risposta, lui era diventato il suo parabatai, concedendosi il lusso di provare affetto per qualcuno senza temerne le conseguenze: Jem sarebbe morto comunque, indipendentemente dalla maledizione che colpiva chiunque provasse un briciolo di affetto per William Herondale.
 
Però ora che davvero la possibilità che Jem se ne andasse diveniva realtà, Will avvertiva solo un senso di vuoto e dolore.
E di certo la camera del parabatai non gli rendeva le cose più facili.
Un vaso di fiori pieno di margherite selvatiche era l’unica cosa a rendere la stanza meno ospedaliera e più familiare, perché per il resto tutto parlava di sofferenza e notti insonni. C’era una tinozza ai piedi del letto piena di cubetti di ghiaccio ed asciugamani puliti sul ripiano della toeletta. Sul comodino si trovava una scatola che Will pensò essere una cassetta del pronto soccorso, anche se pareva particolarmente lussuosa, con quel suo legno scuro e lucido e la decorazione orientale sul coperchio. I cuscini erano stati disposti come a creare una montagna sulla quale Jem si era stancamente appoggiato, con gli occhi semichiusi e le braccia distese lungo i fianchi.
 
Sembrava fare una fatica enorme per riuscire a pronunciare sommessamente anche poche parole, perché si fermava spesso a fare profondi respiri.
«Will… speravo in una… tua visita»
 
«Sono venuto a vedere come stavi» dichiarò l'altro, anche solo per riempire tutto quel silenzio. Silenzio significava sentire solo il battito del proprio cuore rimbombargli nelle orecchie, intervallato soltanto dal difficoltoso respiro di Jem. Erano suoni troppo terribili perché Will potesse sopportarli. «E ti ho portato la cena»

«È un pensiero davvero gentile da parte tua… ma non ho molta fame» rispose Jem, mentre nascondeva in fretta un fazzoletto macchiato di rosso sotto al cuscino.
Non abbastanza in fretta, però.

Il sangue sulla stoffa era di un rosso vivido come quello degli abiti da cerimonia e infinitamente meno festoso. La sua sola vista bastò a far tornare in mente a Will tutti i romanzi che aveva letto in cui i protagonisti erano malati di tisi: La Signora delle Camelie, Germinie Lacertaux, I Miserabili, La Traviata
Ricordò che la tisi era generalmente chiamata la malattia romantica, perché si credeva che morire di tubercolosi concedesse al malato una sensibilità nascosta e Will si domandò se era per questo che Jem era sempre così attento e buono con tutti. Probabilmente lo sarebbe stato comunque, e non c’era bisogno di morire per dimostrarlo. Non così giovane. Sedici anni a malapena compiuti.
 
«Non morire, per favore» disse impulsivamente, prima di potersi rendere conto della stupidità delle proprie parole.
 
«Faccio del mio meglio» gli sorrise debolmente Jem.

«Il tuo meglio non è abbastanza, allora!» sbottò, incapace di trattenersi. Odiava quella situazione, odiava vedere il parabatai in quel letto, odiava la maledizione che lo condannava a veder soffrire tutti quelli che commettevano l'errore di volergli bene. E Jem- Jem doveva volergliene davvero, visto come era ridotto.
«Scusami. Scusa, è che-  non è giusto» mormorò poi a denti stretti. «Non è giusto. Non dovresti essere tu, a morire… Tu sei buono. Sei la persona migliore che conosca»

«Will Herondale in vena di complimenti! Ed ecco che arrivano le allucinazioni!» scherzò Jem accennando un sorriso sofferto, subito soffocato da un accesso di tosse. Riprese il fazzoletto da sotto al cuscino, scusandosi con lo sguardo con Will come se gli dispiacesse dovergli infliggere uno spettacolo tanto pietoso. Solo quando finalmente si fu calmato sembrò accorgersi che l’amico stava mantenendo una distanza di sicurezza e gli fece segno di avvicinarsi al letto.

Il parabatai appoggiò il vassoio sul comodino, a fianco ad un cero bianco e sottile e ormai quasi completamente consumato. «Ti ho portato del posset. Non te l’ho preparato io, non temere. È stata Agatha. Ricordo che mia madre me lo faceva sempre quando avevo l'influenza...»

«Non è influenza» lo fermò Jem.
Il tono di voce deciso sembrò stonare con la debolezza del suo corpo.

«Lo so» rispose Will, le labbra serrate in una linea bianca «Volevo solo vedere se avevi il coraggio di dirmelo in faccia»

Quasi a dargli ragione e a dimostrargli che non possedeva tale coraggio, Jem distolse lo sguardo da lui. Rimase in silenzio per un tempo indefinitamente lungo, tanto che Will si chiese se non avesse esagerato con le domande: forse Jem non era ancora pronto a confessargli la verità e lui aveva sbagliato ad insistere.

Stava per andarsene quando il parabatai improvvisamente parlò, gli occhi ancora fissi sul pavimento:«Non sono stato sincero con te, Will. Nessuno qui all'Istituto lo è stato. Charlotte ha mentito per me, Henry ha mentito per me, Sophie ha mentito per me… e mi dispiace. Non avrei mai voluto tenerti nascosta la verità. Ma se l'ho fatto è stato solo e soltanto per paura di perderti»

«Che stai dicendo? Niente potrebbe cambiare le cose fra noi»

«Questo sì»

«Almeno lascia che sia io a decidere» replicò Will con dolce fermezza, sedendosi su un lato del letto per abbassarsi e guardare l'amico negli occhi. «Allora, che cosa c'è? Puoi dirmelo. Qualsiasi cosa sia successa nel tuo passato, io sarò dalla tua parte, di qualunque malattia si tratti… a parte la sifilide demoniaca. Giuro che se è quella-»

Jem alzò gli occhi al cielo.
«Non è sifilide demoniaca»

«Ok» rispose Will,  con un tono vagamente deluso «Allora, cosa c'è? »

Le parole fluirono dalle sue labbra come il fiotto di sangue da una ferita, dolorose ma impossibili da fermare, perché una volta iniziato a raccontare Jem aveva intenzione di arrivare fino in fondo. Aveva mantenuto quel segreto fin troppo a lungo e tacerlo a Will, che considerava l’altra metà di se stesso, era stato più difficile del previsto. Era stato un po’ come mentirsi allo specchio. Jem strinse i pugni sulla stoffa del lenzuolo e raccontò tutto, dall’attacco del demone e i disperati tentativi fatti dai suoi genitori per mantenerlo in vita, alla decisione di trasferirsi a Londra, alle crisi di astinenza mascherate da semplici raffreddori.

Alla fine del racconto, non aggiunse nessuna preghiera o giustificazione, ben sapendo che non ce ne potevano essere. Rimase in silenzio, contando mentalmente i secondi che avrebbe impiegato Will prima di iniziare a trattarlo diversamente e domandandosi se nei suoi occhi sarebbe prevalsa la compassione o il disprezzo, tuttavia l'espressione sul volto del parabatai rimase la stessa di quando era entrato nella stanza, eccezion fatta per un sorriso sghembo.

«Alla fine è una fortuna che tu non abbia l'influenza, non dovrai berti questo orribile e triste posset»
Così dicendo afferrò senza troppa grazia la ciotola e ne versò teatralmente il contenuto nel vaso di fiori che era appoggiato sul comodino. 
 
«Perché… perché fai tutto questo?» chiese Jem accigliato.

A Will sembrava piuttosto ovvio.
«Mi piace avvelenare le piante..?»

«No, intendo perché fai tutto questo per me. Dopo quello che ti ho raccontato non ti biasimerei se provassi disprezzo. O peggio, pietà. Tu non sai che cosa significhi sentirsi un peso per tutti quanti qui all’Istituto, un disonore per i Nephilim... Charlotte ha fatto tanto per me accogliendomi lo stesso, ma ogni volta che Sophie mi rimbocca le coperte o Henry manda a chiamare i Fratelli Silenti… leggo nei loro occhi soltanto compassione. E ogni volta che devo andare a prendere altro yin fen mi sento cosi sporco e colpevole-»

«Potrei andare a comprartelo io-» lo interruppe Will, prendendogli la mano. Era pallida e sudata, ma familiare. Tutto del parabatai lo era, come la disposizione dei mobili in una casa in cui abbiamo vissuto per anni. «Non sarebbe un problema per me. Anzi, mi daresti una scusa per girare i quartieri più malfamati di Londra»

«Non sei tenuto a farlo-»

«Lo so. Ma voglio farlo lo stesso...»
 Will si guardò intorno alla ricerca di un briciolo di normalità in una stanza in cui non ce n’era, dove c’erano solo dolore e sofferenza e bende e fazzoletti macchiati di sangue.
«Possiamo comunque giocare, ti va? Mimi? Una volta ho provato a giocarci con i Fratelli Silenti ma sai com'è, mi leggevano sempre nel pensiero!»
 
Jem, che in Cina aveva passato interi pomeriggi fra origami e aquiloni in carta di riso, ebbe bisogno di farsi spiegare le regole. A dire il vero erano piuttosto semplici, perché una persona doveva far capire all’altra che cosa stava pensando solo ed esclusivamente a gesti, senza parole o suoni. Sembrava il gioco perfetto per lui e Will, dal momento che le parole fra loro non erano mai davvero servite. Si capivano benissimo solo con uno sguardo. 

Fece salire Will sul letto, scostando le gambe per ritagliare spazio anche per lui, e chiedendogli di scusarlo in anticipo se non avrebbe giocato al meglio, perché si sentiva un po’ debole. Con un sorriso beffardo Will lo rassicurò dicendogli che tanto avrebbe perso in ogni caso, perché nessuno, sulla faccia della Terra e nelle dimensioni demoniache, aveva mai battuto Will Herondale, maestro nell'imbrogliare al gioco dei mimi.
 
«Che l’Angelo mi aiuti, allora!” rispose Jem, fingendosi spaventato «Comincia tu»

«Ok, è facilissima!»
Will incassò un po' la testa nelle spalle e strinse gli occhi assumendo un'aria minacciosa. Piegò le braccia e le strinse al busto, come se stesse sciando. Ma sciatore non era la risposta esatta, né nessun altro tentativo di Jem.

«Mi arrendo» sospirò «Che personaggio eri?»

«Un’anatra pronta all’attacco»
 
«Cosa?»
Jem ormai conosceva l'inglese come una seconda lingua, ma credette di aver capito male. Will non poteva davvero  aver mimato un'anatra.
 
«Hai presente, no? Quegli uccelli selvaggi e pericolosi…»
 
«Non sembri per niente un’anatra!»
 
«Lo prenderò come un complimento! Ok, ne ho in mente un’altra!»

Jem non indovinò nemmeno quell’imitazione, e neppure quella successiva, perché Will sembrava scegliere apposta oggetti e azioni impossibili da mimare come Amleto e Stregaluce senza impegnarsi particolarmente a renderli riconoscibili. Quando raggiunsero il punteggio di 5 a 0, Will ridendo dichiarò conclusa la partita. «Ma non dire che non ti avevo avvertito, Ti ho detto che ero un maestro nell’imbrogliare ai mimi»

«Pensavo intendessi dire che eri molto esperto, invece sei talmente scarso che è impossibile capire cosa stai mimando!»

«In guerra e nei mimi tutto è concesso» sentenziò Will con la solennità con cui di solito citava Shakespeare.

«Per favore, concedimi una rivincita»

«Ok, soltanto una. Poi mi prometti di andare a dormire? Se Charlotte viene a sapere che ti ho tenuto sveglio fino a quest'ora mi mette in punizione per il resto della vita»

«Promesso» acconsentì Jem, che in effetti iniziava a riavvertire la stanchezza. «Ok, ce l’ho. Due parole. Non è difficile. Anzi, direi che è abbastanza ovvio»

Will osservò il parabatai.
Jem non stava facendo niente di particolare. Sembrava se stesso, semplicemente, con i suoi capelli argentei spettinati sopra alla montagna di cuscini e gli occhi buoni. Will per un attimo pensò che le due parole fossero Jem Carstairs, ma poi rammentò che dopo il turno di Amleto Jem aveva proibito di mimare nomi propri.
Eppure il parabatai restava immobile, lo sguardo fisso su di lui, un lieve sorriso ad incurvargli le labbra pallide.

«Non lo so, mi arrendo. Sei un mimo peggiore di me. E poi stai semplicemente immobile, non vale così»

«Dai, sono solo due parole! E credo anche che possano essere due delle tue parole preferite, almeno se messe insieme»

«Sifilide demoniaca?» abbozzò Will, con gli occhi che brillavano.

Jem scosse la testa.
«Ti amo»
 
Ti amo.
Lo aveva detto con naturalezza, come se non si fosse trattato di parole ma di un respiro lasciato andare. I pugni di Will si chiusero sulla stoffa del lenzuolo. « No» disse,  mordendosi il labbro con forza «No. Non è vero. Dici così perché sei sotto l'effetto di quella tua droga… È un delirio legato allo yin fen»

«Non sono mai stato più lucido in vita mia. Io ti amo, Will»

«Basta. Smettila di dirlo»

«Ti amo. Ti amo. Ti am-»

Anche nei giorni seguenti, Will non riuscì mai a capire se lo fece per zittire Jem o per accontentarlo o semplicemente perché lo desiderava con tanta violenza da non sapersi trattenere: gli prese il viso fra le mani e gli diede un bacio urgente e disperato, mentre lacrime di rabbia gli rigavano il volto e il dolce sapore dello yin fen gli stuzzicava la lingua, sigillando con le proprie labbra, avide di quelle dell'altro, quello che era il suo più grande peccato.





 
Angolo dell'autrice

Questo angolo autrice inizia con una citazione cinematografica che probabilmente non coglierà nessuno, ma che esprime esattamente cosa provo:in Pretty Princess, una giovane Anne Hataway chiede scusa al ragazzo che le piace facendogli recapitare a casa una pizza con sopra degli Smarties che creano la parola SORRY
Ecco, se conoscessi i vostri indirizzi - come una stalker o quantomeno un'aspirante postina - un manderei una ad ognuno di voi. 
Scusate per questo enorme ritardo nell'aggiornare, per il prossimo - e ultimo - prometto di non lasciar passare più di un paio di settimane.
Un ringraziamento a chiunque abbia letto e seguito fin qui (in particolare a fandomsunite, kikichan85, AMidsummerNightmare, Kalisi_81 e flowermoon, perchè hanno lasciato recensioni dolcissime a cui ho risposto terribilmente tardi. Per voi doppia pizza)
Spero che questo penultimo capitolo vi sia piaciuto - finalmente un po' di Heronstairs kisses! - e vi lascio un paio di note:
-In realtà in inglese Will dice di essere un maestro in "lying at charades". Le sciarade sono giochi di enigmistica per cui si deve far indovinare una parola che è composta da due diversi elementi fornendo indizi su di essi. Tipo "ciocco" + "latino" compone "cioccolatino". Era un gioco molto in auge nei salotti Sette-Ottocenteschi, per questo Will lo conosce così bene. Nella traduzione italiana, quando incontra Tessa, si definisce "un maestro nel barare al gioco dei mimi", per cui mi sono tenuta fedele alla versione che conoscevo.
- Il posset, come ci viene ricordato da Sophie nelle Origini, è una bevanda servita calda a base di latte, vino e spezie non mi stupisce che Will l'abbia versata in un vaso
- Lo scambio di battute "Due delle tue parole preferite, almeno se messe insieme" e "Sifilide demoniaca" è tratto dal terzo libro delle Origini, La Principessa
(Jem:“Sfortunatamente, temo tu debba rimandare per un po’ il tuo piano per uccidere tua sorella. Gabriel Lightwood è qui, al pieno di sotto, e io ho due parole per te. Due delle tue parole preferite, almeno se messe insieme.” 
“Completo sempliciotto?” domandò Will. “Inutile villano?”
Jem ghignò. “Sifilide demoniaca.”). 
Qui, surprise surprise, le due parole sono ti e amo. Un po' più romantiche di sifilide demoniaca, a mio parere.

Adesso è davvero tutto.
Ancora grazie a chiunque abbia letto fin qui e un abbraccio fino all'ultimo capitolo

Itsamess
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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