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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    03/06/2009    7 recensioni
Bella convive con la matrigna che la costringe a una vita di duro lavoro. Edward è la promessa nazionale del baseball con un sogno segreto a tutti. Si innamorano e iniziano a frequentarsi segretamente. Tutto va bene, finché Bella non si stanca dei segreti ed Edward è costretto a scegliere tra l'amore e l'amicizia. Riusciranno alla fine a stare insieme?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Storia Di Un Amore  

Capitolo Due: Promessa

Dopo essermi liberata dalle lacrime mi apprestai a preparare la camera alla mia sorellastra Kelly, di appena quindici anni ma già estremamente irritante. Jennifer l’aveva fatta rinchiudere in un collegio, incapace di badare a una figlia troppo piccola, già all’età di otto anni, ovvero dal momento in cui mio padre ci lasciò. Irritata scesi al piano di sotto, in quella che un tempo era la mia stanza. Quando mio padre ci lasciò a causa di un cancro venni trasferita dalla mia matrigna alla soffitta, disposta solo di una finestra con davanti una grossa quercia che mi riparava dal sole e dagli occhi indiscreti. Mentre spolveravo i mobili mi arrivò un messaggio sul cellulare. Improvvisamente agitata lo lessi.

‘Mi dispiace per prima, non avevo scelta… Perdonami…’ Edward, pensai dolcemente. Sapevo bene che tutta quella segretezza era in parte causa mia: Jennifer non doveva assolutamente sapere che frequentavo Edward Cullen, altrimenti mi avrebbe segregata in casa a vita. Odiava Edward Cullen tanto quanto suo padre Carlisle, dopo che quest’ultimo si rifiutò di avere una relazione con lei. Il dottor Cullen si infuriò tantissimo con lei, ma nonostante tutto non fu lui a proibire al figlio di frequentarmi – per lo meno pubblicamente – : era una sua decisione…

Stremata finii di mettere a posto la stanza e raggiunsi la mia stanza, chiudendomi dentro a chiave. Mi sdraiai sul letto e prima che potessi accorgermene caddi nel mondo dei sogni.

 

Ero a scuola. I lunghi corridoi scolastici si stavano man mano svuotando: tutti accorrevano a una delle tante partite di baseball della scuola. Per quanto mi riguardava avrei voluto vedere la partita ma l’idea di essere circondata da tutti i ragazzi della scuola non mi attirava affatto, però ci avrei tenuto a vedere almeno un pezzo di partita. Assicurandomi che nessuno mi seguisse uscii nel cortile e attraversando il prato rinsecchito raggiunsi il casotto degli attrezzi posto in cima ad una collinetta in rilievo – utilizzato massimo una volta ogni quattro mesi per falciare l’erba quando questa diveniva troppo lunga. Mi richiusi la porta verniciata di verde alle spalle e raggiunsi la scala in legno. Facendo attenzione a non scivolare a terra riuscii a raggiungere il tetto della struttura, ma appena sollevai lo sguardo rimasi impietrita. Una figura era accovacciata sul muretto e fissava verso il campo da baseball, perfettamente visibile da quella posizione. Preferii voltarmi e tornare indietro, ma la voce della persona mi immobilizzò.

“Ehi, che ci fai qui?” Mi voltai lentamente. Il suono melodioso della voce mi fece perdere per un momento la cognizione del tempo. Un ragazzo a dir poco perfetto mi osservava incuriosito. La brezza leggera accarezzava e scompigliava dolcemente i suoi capelli bronzei con riflessi rossicci, le sopracciglia erano corrugate in una espressione confusa e gli occhi… Beh, gli occhi erano di un verde talmente intenso e profondo che avrei potuto perdermi dentro essi. Tutto questo aveva un nome, ed io lo conoscevo bene: Edward Cullen.

“Ecco…io…” Balbettai, dalla sua espressione non dovevo piacergli.

“Sei qui per portarmi alla partita non è vero?! Ho già detto che non voglio giocare! Può prendere Tyler il mio posto…” Corrugai le sopracciglia. Cosa dovevo dirgli?

“Ehm…va bene… Non so di cosa stai parlando, comunque va bene…” Inarcò le sopracciglia, ma le sue labbra si incurvarono in un sorriso.

“Quindi non sei una cheerleader?” Domandò evidentemente sorpreso.

“Ti sembro una cheerleader?!” Chiesi schifata. Quello sì che era un insulto bello e buono!

“A giudicare dalla tua faccia direi di no…” Ammise alzandosi dal muretto.

“Allora piacere, sono Edward.” Mi porse la mano, che indecisa strinsi. Sentii una leggera scossa e come scottata ritirai la mano.

“Bella, piacere…” Sorrisi timidamente. Solo allora notai i suoi vestiti: una camicia bianca e un paio di jeans scuri. Quindi era vero: non voleva giocare a baseball. Evitai di chiedergli conferma, data la sua reazione di poco prima.

“Come mai sei venuta qui, Bella?” Sussultai quando pronunciò il mio nome.

“Beh…diciamo che ero venuta qui per stare un po’ da sola e per vedere la partita…” Mi guardò preoccupato.

“Ti do fastidio? Se vuoi me ne vado…” Scossi immediatamente il capo con forza, arrossendo.

“No, no, resta pure, se vuoi me ne vado via io…” Sorrise.

“Non ti preoccupare, mi fa piacere la tua compagnia.” Arrossii.

“Come fai a dirlo? Ci conosciamo da un paio di minuti… Chi ti dice che non sono una delle tante che ti viene dietro?” Oddio, ma cosa stavo dicendo?!

Sorrise saccente.

“Perché altrimenti non avresti tentato di andartene di nascosto e ti saresti avvicinata a me, invece che allontanarti sempre di più…” In quel momento mi accorsi di essere arrivata a una passo dalla botola che portava al piano di sotto.

Arrossii nuovamente e abbassai lo sguardo.

“Perché non resti a vedere la partita con me?” Mi sorrise, facendo battere ancora di più il mio cuore impazzito. Se avessi parlato di certo avrei balbettato, perciò annuii solamente.

Edward si accomodò nuovamente sul muretto, facendomi segno di raggiungerlo. Per tutto il resto della partita parlammo in continuazione, e scoprii parecchie cose di lui. Sebbene volessi tenere un minimo di segretezza, ogni cosa con lui mi usciva spontanea, incontrollata. E irrimediabilmente da quel giorno iniziò una fase che mai avrei pensato di passare: la fase dell’innamoramento.

 

Mi risvegliai intontita, mentre il rumore assordante delle urla della mia matrigna risuonava nella mia testa. I colpi alla porta mi costrinsero ad alzarmi dal letto. Un capogiro mi prese alla sprovvista, facendomi cadere a terra e sbattere il braccio contro il comodino. Una fitta all’avambraccio mi fece bruciare gli occhi. Barcollante mi rialzai da terra e raggiunsi la porta, chiusa a chiave. Davanti a me Jennifer mi osservava severa.

“Devi preparare la cena! Questa sera inoltre Mike verrà a farci visita, quindi vedi di darti una sistemata!” Lanciò uno sguardo accigliata alla mia stanza e poi sparì giù per le scale.

Newton sarebbe venuto a trovarci… Un moto di irritazione prese il sopravvento e sbattei un pugno contro il muro. Brutta scelta. Le nocche mi si arrossarono, sbucciandosi.

Mi accasciai a terra, mentre alcune lacrime presero il sopravvento.

Perché non potevo avere una vita come tutte le altre ragazze? Oltre ad avere una vita da inferno mi ero pure innamorata del ragazzo più sbagliato e allo stesso tempo perfetto dell’universo! Mi rialzai da terra, scacciando le lacrime dalle gote arrossate. Basta piangere, mi dissi. Scesi al piano di sotto, mentre ripensavo al sogno di poco prima. Avevo nuovamente sognato il giorno in cui incontrai Edward, il giorno in cui tutto iniziò. Sebbene fossi dovuta correre a casa appena finita la partita eravamo riusciti a scambiarci i numeri di telefono. Da quel giorno ogni sera passavamo ore intere a mandarci messaggi, e talvolta mi telefonava, specialmente quando intuiva che il mio umore era a terra.

Appena finii di cenare lavai i piatti e corsi nella mia stanza, afferrando il cellulare. Un messaggio.

‘Che ne dici di vederci?’ Il mio cuore sussultò. Era impazzito? Voleva uscire con me in pubblico?

Gli risposi: ‘Non è più un problema farci vedere in pubblico?’ Inviai. Aspettai impaziente la sua risposta, che non tardò ad arrivare.

‘Sì, infatti io intendevo adesso…’ Come adesso? Inarcai un sopracciglio e mi apprestai a rispondergli ma un colpo alla finestra mi costrinse a voltarmi.

Per poco non mi venne un infarto: Edward era seduto a cavallo di un grosso ramo della quercia, all’altezza della mia finestra.

Il suo sorriso sghembo mi tolse il respiro per alcuni secondi. Corsi alla finestra.

“Edward,” bisbigliai – se Jennifer ci avesse visti saremmo finiti entrambi nei guai – “Cosa stai facendo?” Spalancai la finestra, facendomi da parte per farlo entrare. Con un agile balzo atterrò nella mia stanza.

“Vengo a trovarti.” Disse, come se fosse la cosa più normale del mondo entrare da una finestra dopo essersi arrampicato su un albero a chissà quanti metri di altezza.

Richiusi la finestra.

“Quindi è questo il tuo piccolo regno…” Disse guardandosi intorno curioso.

“Già…” Ammisi in imbarazzo. Nessuno era mai entrato nella mia stanza.

Si voltò a guardarmi, un tenue rossore tradiva la sua apparente disinvoltura. Dovetti ammettere che quando arrossiva diventava ancora più tenero e bello.

“Che stavi facendo?” Mi chiese cercando di rompere quel silenzio imbarazzante.

“Niente, ho appena finito di mangiare e sono venuta in camera…”

“Mmm…” Si voltò ad osservare nuovamente la mia stanza.

“Tu invece? Niente allenamenti questa sera?” Sapevo benissimo che non li aveva ma non trovavo altro da chiedergli. Mi lanciò un’occhiata nervosa.

“No… Non ho ancora trovato il modo di dire alla squadra che voglio abbandonare…” Ammise mentre un’ombra di tristezza oscurò il suo viso. Mi accomodai a gambe incrociate sul letto, facendogli segno di sedersi accanto a me.

“Hai paura di deluderli…” Non era una domanda, ma una supposizione.

“Sì, soprattutto Jacob… – mi rivolse un’occhiata nervosa quando pronunciò il nome del suo migliore amico – Non hai idea di quante volte ogni giorno mi parli di quanto sia emozionato all’idea di entrare in una vera squadra di baseball insieme a me…” Gli accarezzai un braccio, facendo scivolare il mio indice lungo tutto l’avambraccio. Mi piaceva quel tocco. “Ogni volta che cerco di parlargli seriamente tira di nuovo in ballo questa storia, e tutta la mia determinazione sparisce…” Fermo la mia mano, risalendo con gli occhi ai suoi, puntati verso il fogliame della quercia.

Dopo un attimo che mi sembrò eterno i suoi occhi saettarono ai miei, guardandomi intensamente.

“Bella…Ti giuro che prima o poi riuscirò a dirgli la verità… Te lo prometto…” Nonostante le sue parole, lessi nei suoi occhi una grande indecisione. La sua mano sfiorò la mia guancia, imporporata.

“Bella io…” Sussurrò. In quel momento il bussare improvviso alla porta mi fece alzare in piedi. Edward si staccò velocemente da me, correndo alla finestra.

“Ci vediamo a scuola…” Sussurrò, poi lo vidi nascondersi nel fogliame della quercia e infine raggiungere terra. Sollevata corsi ad aprire la porta.

Mike Newton si presentò davanti a me con in mano un mazzo di rose rosse. Sgranai gli occhi.

“Mike…ciao…” Balbettai esterrefatta. Ma ben presto allo stupore si sostituì la rabbia.

Mi sorrise sgargiante.

“Ciao Bella! Vedo che ti ho sorpreso! Sai, sono passato davanti al fioraio e ho pensato…” Lo interruppi bruscamente.

“Vattene via Mike.” Digrignai i denti. A causa sua Edward è dovuto scappare a gambe levate per non farmi correre rischi. Newton mi guardò stupito.

“Ma…Bells, cosa c’è che non va?” Forse se non mi avesse chiamata Bells avrebbe ancora potuto salvarsi dalla mia furia, ma non sopportai oltre. Gli chiusi la porta in faccia con un botto sordo e la chiusi a chiave.

Nessuno doveva permettersi di usare quel soprannome con me. Nessuno. Tranne lui: mio padre.

I ricordi della mia infanzia iniziarono a perseguitarmi e alla fine mi abbandonai sul letto in lacrime, cadendo in un sonno profondo.

   
 
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