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Autore: Violet Tyrell    25/02/2017    0 recensioni
"Cosa sappiamo di questo nostro nemico?" si affretto a chiedere il mago, prendendo posto attorno al tavolo rotondo, trovando la poltrona particolarmente invitante in quel momento per riprendere parte delle energie. Anche i tre colleghi non avevano un aspetto particolarmente ordinato, ma era anche normale. Di fronte a lui, separato solo dal tavolo, c'era proprio Salzar, il più disinteressato da quello che mostrava, ai lati erano invece sedute Helga - con ancora la veste sporca di sangue e fango - e Rowena, anche lei non al meglio. Tutti però perfettamente lucidi.
Storia a quattro mani (Violet e Lisa ) - ambientata ai tempi dei Fondatori, particolarmente incentrata sui figli di Salazar Slytherin personaggi originali) e un grosso segreto.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I fondatori, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Lys



La giovane figlia di lady Hufflepuff si tolse l’indice dalla bocca: sua madre glielo diceva sempre di smetterla di rosicchiarsi le unghie, anche ora che non era più una bambina. Anche se a volte Lys le rispondeva con uno sbuffo scocciato, per niente in linea con il loro rango, sapeva che Helga aveva ragione, ma non poteva farci niente: quando era nervosa non riusciva a controllarsi. E di essere nervosa in quel periodo ne aveva ben d’onde.
Non riusciva a smettere di pensare al mago che aveva attaccato Hogwarts con le sue creature magiche. Lei non era stata presente, era rimasta a occuparsi di un giovane mago malato portatole neanche un’ora prima da Augustus, ma aveva sentito il castello tremare fin dalle fondamenta, quello che doveva essere un edificio inespugnabile. Il suo cuore si era lanciato in una corsa forsennata, pungolato più dall’incertezza su quanto stava avvenendo che da una reale paura, ma poi Lys aveva visto con i suoi occhi ciò che era accaduto. Aveva visto la parete squarciata, il corridoio che dava sul nulla, e persino i corpi degli studenti che avevano perso la vita: aveva dovuto aiutare sua madre a ricomporre le loro salme prima di spedirle alle famiglie. L’ansia provata dalla giovane strega era stata enorme, così come la sua pena, ma era davvero una persona così orribile se si era sentita pure sollevata? Sollevata di non riconoscere tra quei volti delle persone a lei vicine. Sua madre stava bene, così anche la sua amica Bloem Slytherin… e Augustus naturalmente. Nei giorni di calma Lys poteva anche mentire a se stessa e fingere che incrociare casualmente il mago sul suo cammino non le facesse piacere, ma quando si era trovata faccia a faccia con la paura e con la morte non aveva potuto più raccontarsi falsità: il suo cuore aveva provato un guizzo quando si era accertata che al ragazzo non era successo niente.
“Andiamo, Lys, coraggio.”
La voce calma, ma decisa di sua madre la strappò dai suoi pensieri; subito le mani della ragazza iniziarono a riordinare le pergamene che aveva consultato fino a quel momento.
C’era davvero tanto da fare; il mago del Nord che aveva attaccato la scuola si era ritirato, ma questo non significava che tutti loro fossero al sicuro. Avevano corso un grande pericolo, e ora dovevano trovarlo per assicurarsi che non facesse più del male a nessuno di loro. A quello scopo si erano mobilitati tutti i maghi più potenti del regno, tra cui i Fondatori stessi, con i loro aiutanti e con la loro prole.
Di fianco a Lys, sua sorella Aerie, di poco più piccola, annuì come a confermarle che stavano facendo la cosa giusta. Dall’altro lato Augustus – e qui le viscere di Lys si annodarono – ricambiò il suo sorriso.



Eskil



Il mago calcava con decisione il pavimento della sua stanza; i suoi stivali avevano percorso quell’area così tante volte che c’era da stupirsi che non vi avessero lasciato un solco.
Non riusciva a crederci. Non riusciva semplicemente a crederci.
Sapeva che prima o poi per ognuno di loro sarebbe giunto il momento di lasciare il maniero in mezzo alle paludi, la casa paterna in cui erano cresciuti, per sposarsi e iniziare una vita diversa. Sapeva anche che sarebbe stato naturalmente lord Slytherin a decidere il futuro dei suoi figli, e che lo avrebbe fatto per il meglio, per dare lustro alla loro nobile casata. Eppure quando gli giunse all’orecchio la notizia che sua sorella si sarebbe sposata di lì a poco, si sentì mancare l’aria.
In teoria era stato preparato al colpo, in realtà si ritrovò inerme come un neonato. In fondo, anche se solo di due anni, era lui il maggiore; si era convinto così che Salazar avrebbe pianificato dapprima le sue nozze, poi quelle di Bloem. Si era convinto che per Bloem avrebbe potuto aspettare. E invece no.


Era strano a dirsi, forse, ma non per lui: sua sorella era l’unica persona a cui si sentisse profondamente legato. Non c’era nessun altro al mondo che per lui avesse contato tanto; anche prima, quando Alyssa era viva. Nutriva un sentimento tenero nei confronti della giovane, ma sua sorella era stata qualcosa di più, un legame irripetibile, quasi gemellare. Eskil sentiva che c’era qualcosa a legarli, qualcosa che non avrebbe potuto condividere con nessun altro. Erano cresciuti insieme, vivendo gomito a gomito ogni giornata, prima al maniero, poi a Hogwarts. Avevano condiviso ogni momento, ogni esperienza, ogni pensiero. Ma non era solo quello.
Bloem conosceva Eskil come nessun altro e viceversa; a volte il mago ancora si stupiva di realizzare come la sorella riuscisse ad anticiparlo prima ancora che esternasse le sue riflessioni. Si comprendevano al volo, era più di una semplice sintonia: Eskil sapeva che Bloem conosceva gli anfratti più reconditi del suo cuore, luoghi inesplorati persino per lui stesso.
Ora però la ragazza si sarebbe sposata e lo avrebbe lasciato. Non avrebbero più condiviso ogni momento, ogni pensiero.


A Eskil non importava che Bloem sposasse lord Gryffindor o un altro, perché l’identità del marito non avrebbe cambiato le cose: gliel’avrebbero comunque portata via. Doveva sforzarsi di essere razionale, convincersi che era nel normale evolversi delle cose, ma non ci riusciva. Al momento tutto ciò che riusciva a provare era un ribollente senso di disfatta, un dolore quasi fisico, come se gli avessero strappato un arto o un’altra parte di se stesso.
Il mago rimuginò molto, ma alla fine si decise ad affrontare suo padre. Per dire cosa, ancora non lo sapeva; normalmente Eskil non aveva un simile ardire, ma ora era troppo sconvolto per realizzare che sarebbe stato assolutamente impensabile anche solo azzardarsi a contestare lord Salazar. Ma i suoi piedi si muovevano da soli: lo portarono fuori dalla sua stanza, giù per la scalinata di pietra, verso il luogo in cui sapeva che avrebbe trovato il genitore. I suoi pensieri erano un groviglio di lana, una matassa intricata che sembrava impossibile da districare. Eppure, trovandosi faccia a faccia con Salazar, avrebbe dovuto provarci.


Ma, inaspettatamente, fu lo stesso signore del castello ad andare incontro al figlio, gli occhi infossati sotto la fronte aggrottata.
“Padre?” chiese Eskil, fermandosi di botto.
“Si tratta di Bloem” annunciò il mago con voce severa. “È scomparsa.”



Bloem




La strega strinse le ginocchia intorno ai fianchi muscolosi di Tata, stando attenta a non intralciare il movimento delle sue ali. Le dita erano serrate intorno alla striscia di cuoio delle briglie e gli occhi lacrimavano a causa del vento. Represse un brivido; la stagione non era rigida, ma a quell’altitudine e alla velocità di volo del cavallo alato era normale sentire freddo, anche se Bloem si era avvolta in un pesante mantello da viaggio.
“Da brava, Tata, non manca molto” disse la ragazza oltre il sibilo del vento. Come se fosse stata capace di intenderla, la creatura magica le rispose con un nitrito.
Le redini si mossero appena: Bloem indusse l’animale a scendere al disotto degli sbuffi di nubi che oscuravano il cielo notturno, in modo da avere una migliore visione di ciò che si trovava dabbasso. Il buio della notte tingeva ogni cosa d’inchiostro, ma era ancora possibile distinguere i contorni di un boschetto e la traccia di un sentiero.


 Orientarsi dall’altro era molto più facile e Bloem, che non aveva mai viaggiato da sola prima di allora, non aveva troppe difficoltà a seguire le indicazioni della mappa che aveva fissato alla sella. Stando a quella, era entrata nelle terre di Lord Gryffindor già da qualche miglio.

Con un altro guizzo della muscolatura agile, Tata si spinse in avanti, fendendo l’aria con il muso. Dopo un po’, anche la strega se ne accorse: sulla linea dell’orizzonte era sorto un grumo, una piccola macchia più nera del paesaggio circostante. Doveva trattarsi del castello del suo futuro sposo.
Nel pensare a Godric Gryffindor in quei termini, sentì un sapore amaro invaderle la lingua.


Proseguì in volo per qualche altro miglio ancora; adesso il grande edificio di pietra non era più solo una macchia, ma appariva come una costruzione in cui erano visibili le torri, le guglie e il ponte levatoio. Sicuramente doveva essere protetto da numerosi incantesimi, come del resto accadeva per il maniero Slytherin, così Bloem reputò più prudente far atterrare Tata e proseguire per l’ultimo tratto a terra. Quattro zoccoli duri come diamante urtarono il terreno coperto di arbusti e la ragazza dovette tenersi saldamente per non cadere. Con un colpetto affettuoso sul collo, incoraggiò la cavalla a proseguire.
Lì in basso non era più affascinante che in aria, sospesi. In mezzo alle nubi la notte aveva un aspetto diverso, Bloem si sentiva più padrona della situazione, ma lì? Non conosceva i luoghi, non vi era mai stata, e il pensiero che di lì a qualche mese avrebbe dovuto trascorrervi ogni giorno della sua vita non migliorava certo il suo umore.


Non succederà. Sono qui per far cambiare idea a lord Godric, si disse, aggrottando appena la fronte. Doveva farcela, e poi sarebbe potuta tornare a casa sua.
Tra le fronde qualcosa si mosse e Bloem si irrigidì sulla sella. Era più del semplice fruscio del vento, ne era sicura, però non sapeva dire se il suono fosse stato prodotto da un animale, un uomo o una creatura magica.
Tese le orecchie in attesa di registrare il ripetersi di quello stesso suono, ma tornò il silenzio. La strega si morse il labbro inferiore, poteva essersi ingannata? Forse era solo la suggestione.
Diede un’altra piccola pacca a Tata per indurla ad avanzare e il cavallo impiegò un istante prima di rimettersi in movimento. Poi, quando Bloem si stava lasciando invadere pian piano dalla sicurezza di essersi immaginata tutto, il suono si ripeté e questa volta Tata si bloccò come se si fosse trasformata in una statua si sale.
La strega si voltò verso il punto da cui proveniva il rumore e i suoi occhi, stretti in due fessure, iniziarono a setacciare il folto dei cespugli e le fronde degli alberi.
Cinque dita argentate apparvero una dopo l’altra, flessuose come danzatrici iniziarono a disegnare piccoli cerchi invisibili nell’aria. Si avvolsero intorno ad alcuni rami, poi li spostarono come una tenda, svelando sotto lo sguardo di Bloem una figura longilinea, i cui contorni erano difficilmente distinguibili nella penombra, con lunghi capelli aurei che le arrivavano fino alla vita.
La donna inclinò appena il capo, come se si fosse accorta in quel momento della presenza di qualcun altro in quella foresta. La giovane figlia di Salazar restò dov’era, troppo meravigliata per aprire bocca e porle una qualsiasi domanda; la creatura tinta di luce lunare ammiccò – o forse fu solo un’impressione della ragazza – per poi sparire nuovamente tra gli alberi.


Bloem sbatté le palpebre, chiedendosi chi fosse e perché si aggirasse nei pressi di Godric’s Hollow. Il bosco tornò silenzioso e, alla fine, non le restò che proseguire. Continuò a farsi molte domande su quella donna silenziosa, ma ben presto la sua mente venne ingombrata di nuovo dai consueti pensieri: suo padre, Godric e il matrimonio. Di tanto in tanto controllava la mappa per essere sicura della direzione presa, ma quando gli alberi si diradavano bastava sollevare gli occhi sulle torri del castello.
Mancava poco, la strega ne era ormai certa, quando altri rumori bizzarri risuonarono tutt’intorno a lei, sicuramente fuori posto a quell’ora. Questa volta si trattò di voci maschili, che Bloem giudicò non essere poi così vicine. Poteva trattarsi di uomini di Godric, ma dopo quella strana apparizione di qualche minuto prima non sapeva proprio cosa pensare.
Strinse le dita intorno alle redini e spronò Tata: aveva fretta di arrivare al castello senza altri contrattempi. Il cavallo iniziò a macinare con gli zoccoli il terreno sotto di lei mentre i ramoscelli e le fronde frustavano le braccia della strega coperte dal mantello; quando il sentiero piegò tra gli alberi, poco ci mancò che Bloem non finisse addosso a un altro cavaliere.


“Guarda dove…” iniziò a borbottare tra i denti mente strattonava le redini di Tata, i cui zoccoli scavarono due piccoli solchi nel terreno.
Il cavaliere in questione montava a sua volta un altro cavallo alato, probabilmente un Granio, e anche lui si stava dando da fare per governarlo. Indossava un mantello che nella penombra poteva essere rosso scuro o marrone, fermato sotto al mento da un fermaglio lucente a forma di…
“Lord Gryffindor!” balbettò Bloem, sollevando gli occhi sul volto dell’uomo.
Senza il cappuccio calato sul capo, la sua identità era inequivocabile. I capelli scuri e leggermente ondulati scendevano fino alle spalle, incorniciando un volto maturo dal mento pronunciato coperto da barba ispida e corta. Godric Gryffindor impiegò qualche istante in più per riconoscere nella fanciulla che si trovava di fronte la sua futura moglie.
“Lady Bloem” esclamò sorpreso, smontando dal Granio. “Cosa ci fate qui? Non ho ricevuto alcun gufo da vostro padre…”


Bastò poco perché Godric intuisse la verità. Il suo sguardo indugiò un attimo sulle vesti da viaggio di Bloem, sulle tenebre circostanti, e non ci volle molto per capire che Salazar non aveva mandato alcun gufo ad annunciare l’arrivo di sua figlia.
“Cosa ci fate qui?” ripeté allora, questa volta aggrottando la fronte e assumendo un cipiglio che la ragazza gli aveva visto riservare ai suoi studenti.
Attorcigliò le redini di Tata intorno alle sue mani guantate, tanto per prendere tempo. Si sentiva ribollire per il senso di ingiustizia accumulato nel corso della giornata, ma forse non era il caso di iniziare una conversazione inveendo contro quello stupido matrimonio.
Mentre selezionava le parole che le sembravano più adatte per iniziare, si accorse d’improvviso che non erano soli. All’inizio non vide nulla, provò solo una sensazione pungente alla base della nuca. Poi, quando si voltò istintivamente, rivide la donna opalescente che aveva già incontrato nel bosco. Questa volta Bloem non ebbe dubbi, le ammiccò, ma subito dopo passò a volgere la sua attenzione a Godric.
Avanzava silenziosamente, senza smuovere il tappetto di foglie sotto ai suoi piedi, quasi fosse incorporea. Quando fu più vicina, Bloem ebbe modo di notare che i suoi capelli sembravano intessuti di fili d’oro, la veste era leggera e candida come la sua carnagione, stretta intorno alla vita da una cintura di cuoio, ornata da alcune rune.
La stessa strega dovette notare che quella donna era di incredibile bellezza: nel suo aspetto non c’era una sola imperfezione.


Le ciglia, lunghe e setose, frangiavano degli occhi come di una cerva, il naso era sottile e diritto e le labbra rosee svelarono due file di denti perfetti quando si schiusero per lasciare sfuggire dei sussurri, delle parole. Bloem non capì cosa voleva dire, ma riconobbe le sonorità di quella lingua: la donna parlava in norreno.

Si voltò verso Godric, chiedendosi se almeno lui avesse inteso il senso di quel discorso, ma si fermò quando si accorse che il mago non la guardava. I suoi occhi non erano che per la donna argentea che avanzava verso di lui; era così preso da quella visione che aveva lasciato andare le redini del suo Granio forse senza nemmeno accorgersene.
“Lord Godric…” provò a chiamarlo, ma l’uomo non diede segno di averla nemmeno sentita. Protese una mano verso la donna, come se toccarla fosse il più grande desiderio della sua anima


“Lord Godric!” ripeté, questa volta con la voce più alta di un’ottava.
La donna argentea si voltò verso di lei. Aveva l’aria annoiata, ma c’era qualcosa di inquietante in quei lineamenti ora che Bloem se la trovava di fronte: non vedeva più la bellezza perfetta di un attimo prima, era come osservare uno specchio d’acqua con delle increspature che ne deturpavano la superficie. Gli occhi della creatura divennero due tizzoni ardenti, le labbra erano piegate in un ghigno malevolo e i capelli, non più lucidi e ben pettinati, erano arruffati e stopposi. Protese le mani di fronte a lei, nella direzione in cui si trovava Bloem, e prima che questa potesse mettere mano alla bacchetta infilata alla cintura, esplose dai palmi due palle di fuoco. L’aria si riempì delle urla stridenti della Veela, oltre che dell’odore di bruciato.
Da qualche parte, Bloem sentì Godric gridare, ma le sue orecchie erano riempite dai nitriti di dolore di Tata. Si ritrovò carponi: colpito dalla Veela, il cavallo alato si era imbizzarrito ed era franato al suolo, trascinando con sé la sua padrona. La strega aveva battuto i palmi e un fianco, una gamba le doleva e sentiva bruciore dove con ogni probabilità aveva riportato dei graffi.
Sentì altre voci, altri richiami: la radura si animò immediatamente e, anche se la cortina di fumo che la avvolgeva le impediva di distinguere ogni cosa, ebbe delle fugaci visioni di altre zampe, altre ali e altri mantelli rossi. Una mano emerse tra le ombre, tesa verso di lei, e Bloem non ebbe altra scelta che afferrarla. Apparteneva a lord Gryffindor: non aveva più l’espressione svagata di qualche istante prima, al contrario il suo viso appariva contratto e concentrato.


Il mago l’aiutò ad alzarsi: aveva ripreso le redini del suo cavallo alato e stava cercando di aiutare Bloem a montare in sella.
“No!” si oppose lei con voce alterata. “La mia cavalla!”
Si voltò, cercando Tata con lo sguardo, ma Godric la trattenne per le spalle.
“È ferita, ma la guarirò. I miei uomini la porteranno al castello, tu vieni con me.”
Il tono risoluto del Fondatore non ammetteva repliche. Bloem gli rivolse uno sguardo supplichevole, che lui non diede segno di notare perché si era già rivolto a un altro mago. Alla sua destra apparve un giovane – non poteva avere più di vent’anni – con i capelli biondi appiattiti sulla fronte e una cotta di maglia dorata sotto il mantello rosso.
“Frederich, sai cosa fare” disse Godric rivolgendogli un cenno di intesa.
Il ragazzo annuì e abbassò il capo reverente, poi si voltò e sparì di nuovo.
Questa volta Bloem lasciò che lord Gryffindor la adagiasse sulla sella del suo cavallo. Mentre il Fondatore prendeva posto dietro di lei e spronava il suo animale, lei si voltò per osservare la scena oltre la sua spalla. Il manipolo di cavalieri si era stretto intorno a Tata; alcuni uomini avevano afferrato e imprigionato la Veela, che rivolgeva loro insulti in norreno, ma Frederich si era accovacciato accanto a Tata. Una mano muoveva la bacchetta, mentre l’altra era adagiata sul suo muso in una carezza.
   
 
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