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Autore: Emily Doe    12/04/2005    16 recensioni
I tempi di Hogwarts per i nostri eroi sono terminati, la guerra infuria ed un particolare incontro tra Hermione e qualcuno che non vedeva da molto, molto tempo, potrebbe cambiare le sorti di tutti. Perché nessuno ha mai capito... e non potrà mai esserci qualcosa di più difficile.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Capitolo 8° “Dolorosamente patinato”

La testa era tremendamente pesante e sentiva le gambe e le braccia non poco indolenzite, tuttavia, dopo circa tre mesi di incubi, per la prima volta aveva dormito bene. Dire che avesse fatto un brutto sogno sarebbe stato sbagliato, perché così non era stato; dire che non avesse sognato affatto sarebbe stato cadere in un altro errore, ma anche dire che fosse stata vittima di un dolce e bel sogno sarebbe stato ambiguo, perché Hermione Granger non ricordava tutto con esattezza. O meglio, con esattezza sì – anche troppo – ma qualcosa continuava a sfuggirle, ogni volta che allungava il pallido braccio e distendeva le dita su quel globo argenteo e luccicante che sembrava rappresentare la chiarezza totale – che tanto sarebbe stata utile nelle sue idee -, questa sfuggiva sempre più in là, sempre più in là, dispettosamente; quasi a farlo apposta, ogni volta Hermione le era sempre più vicina, la poteva sentire sempre più sua, ma appena si arrivava al momento critico del contatto, la sfera schizzava lontano dalla sua portata e lei, stanca, non riusciva a raggiungerla. E così perdeva la sfida. Ma quella notte… quella notte, per la prima volta, era riuscita a sfiorarla, aveva toccato con mano – anche se fuggevolmente – la sua consistenza incerta, fatta di morbidezza e durezza, di tepore ed una sfumatura di brezza gelida, una consistenza fatta di dolcezza ed amarezza. La verità. Le era stata così vicina che quasi le era sembrato di non respirare più, e probabilmente per la tensione e la concentrazione aveva realmente smesso di respirare per qualche secondo. Le era stata così vicina che i suoi occhi si erano inspiegabilmente fatti lucidi per l’emozione, le era stata così vicina che tutte le sue altre percezioni erano state annullate. Le era stata così vicina che le era parso che il velo opaco, ricoprente la sua visuale da troppi anni, ormai, si fosse scostato di un poco; quello stesso velo opaco che avvolgeva la sua vita impedendole una visione chiara ed oggettiva, quella visione puramente razionale che lei tanto amava e tanto aveva amato, quello stesso odiato velo che la catapultava in un mondo, in un universo a lei alieno, fatto di emozioni palpitanti, di sentimenti così forti da fare quasi paura, da mozzare il fiato, da lasciare completamente, totalmente smarriti. Ma era durato tutto poco: un semplice soffio di vita tra le sue dita leggere ed emozionate; la sfera argentea aveva prodotto solo quello, sfuggendole ancora una volta. Ed allora il velo si era lentamente, dolcemente richiuso. Odiava. Lo odiava. Odiava quel velo, lo detestava con tutto il suo essere, odiava specialmente quel suo chiudersi dolcemente – terribile ipocrisia in confronto alle reazioni tutt’altro dolci che in lei poteva suscitare: aveva sempre detestato non essere perfettamente padrona di una situazione, aveva sempre odiato non poter avere in mano le redini di una situazione, figuriamoci della sua! Ed ora… ora trovarsi immersa fino al collo – o forse anche oltre – in quella strana atmosfera velata in cui la mente pensava una cosa ed il cuore ne faceva un’altra, in cui l’istinto sembrava prevalere sulla ragione – cosa impensabile per una ragazza dello stampo di Hermione Granger. Impossibile. O no? - le faceva paura. Non era quella paura che ti fa battere velocissimo il cuore, che ti gela il sangue nelle vene, che ti fa venire la pelle d’oca su tutta la superficie del corpo e ti lancia, impietosa, una gelida scarica di adrenalina su per la spina dorsale. Era tutt’altra paura. Era una paura più profonda, più radicata, una paura capace non di mozzarti il respiro del tutto, ma di attutirtelo quasi completamente, in modo che tu possa ancora fare uso di una piccola parte di aria e possa disperatamente renderti conto di quanto la normalità ti stia mancando, di quando vorresti respirare come tutte quelle altre persone che vedi camminare sulla tua strada, che vedi sorridere alle stesse persone cui sorridi tu, ogni santissimo giorno. È una paura subdola e tenebrosa, che ti lascia quel misero soffio vitale semplicemente perché tu possa renderti amaramente conto di quanto lei possa pesare su di te, sulle tue spalle; è quella paura che fa sì che non il gelo, ma il ghiaccio vero e proprio ti avvolga del tutto schiacciandoti, comprimendoti, rendendo insensibile qualsiasi parte del tuo misero corpo di umano, che nulla può nei suoi confronti. E questa era la cosa che più la spaventava: effettivamente Hermione nulla poteva contro la paura. La paura era radicata nel suo cuore, nel suo animo e nella sua mente, dipendeva quasi essenzialmente ed unicamente da lei. Se non imparava a combatterla, come poteva sperare che si attenuasse almeno di poco? Che scomparisse, poi, era una barzelletta. Quella paura, una volta che ti ha attanagliato, ti lascia una tremenda sensazione dentro: non potrai mai più essere felice. Hermione sapeva perfettamente di doverla combattere. Ma come fai a combattere qualcosa che non vedi veramente? Qualcosa che non capisci? E questa sua paura incomprensibile derivava proprio dalla mancata comprensione della sua realtà. A Hermione oramai sfuggiva il controllo dei propri sentimenti e degli avvenimenti che, imperterriti, seguitavano a susseguirsi implacabili attorno a lei; a Hermione era sfuggita quella comprensione perfetta e precisa della sua vita che da sempre aveva avuto.
E questo la terrorizzava.
Ancora una volta, quella notte, il globo argenteo tanto ambito – ormai era un desiderio quasi febbrile quello di prenderlo e capire finalmente tutto – le era scivolato tra le mani, nel vero senso della parola, dietro le sue palpebre chiuse, dietro la finta ed in ogni caso precaria protezione di una coperta soffice e calda. Eppure quella notte qualcosa era cambiato: era riuscita a sfiorarla per la prima volta. Anche se dopo era scivolato su di lei, facendole quasi ricadere delle ciocche di capelli sul viso, quel velo. E tutto era tornato dolorosamente patinato.
Un ricordo nitido ma non propriamente comprensibile di quella notte: un paio di occhi grigio tempesta, un viso dalla carnagione diafana, qualche sottile filo di capelli di un colore così chiaro da sembrare quasi etereo, di un biondo dal pallore lunare e, più che ogni altra cosa, delle labbra. Delle labbra sulle sue. Avevano avuto un tocco gentile e delicato, che tuttavia non aveva saputo trattenere un qualcosa di deciso. Risultato: una sensazione di ferma dolcezza. E quell’ultimo sguardo, proprio mentre la sua vista cominciava ad appannarsi per effetto dell’incantesimo – possibile che avesse sempre e comunque una visione distorta di quello che le accadeva? -, quello sguardo… quello sguardo era stato, ancora una volta, uno sguardo nuovo, che Hermione in lui non aveva mai visto. Qualche parola dalla roca dolcezza poco prima del contatto, poi una sensazione di tepore e di leggera sicurezza aveva turbinato in ogni sua cellula fino a che una spaventata consapevolezza l’aveva indotta a pensare: perché? Ma più che la razionalità poté la dolcezza.
Hermione aveva chiuso gli occhi, l’ultima cosa di cui si era resa conto erano state ancora quelle labbra non prepotenti ma neppure servizievoli, non galanti ma neppure brutali. Un bacio comunque casto.
Eppure non era riuscita a chiedersi perché.
Quel velo persisteva. E vedeva ancora tutto dolorosamente patinato, anche e soprattutto in quella pseudo-certezza: Draco Malfoy l’aveva baciata.
Strizzò gli occhi debolmente, prima di aprirli su di un mondo a lei non familiare: non c’era il suo lampadario di legno appeso al soffitto, quello che aveva preso con Ron e Harry durante il viaggio che avevano fatto appena un anno prima; non c’era la sua amata finestra, sulla sinistra, dalla quale, ogni mattina, un sottile raggio di sole si faceva largo tra le sottili tendine bianche fino a colpirle delicatamente il collo, lasciandole una sensazione come di calda carezza; non c’era il suo comodino alla sua destra, ma un mobile bianco, lineare, semplice ed informale. Anzi, decisamente da ospedale. Batté le palpebre una, due volte, poi una terza: decisamente un ospedale. Appoggiò tutto il proprio peso su di un gomito sollevando il torace, fece per sollevarsi a sedere quando la visione di qualcosa, o meglio, qualcuno poggiato sul bordo del letto di fianco al suo, la fece bloccare.

*** *** ***

Dannazione!
Correva disperatamente per quel vicolo buio che sembrava senza fine, tenendosi con una mano il naso grondante di sangue e stringendo nell’altra la propria bacchetta.
Ironico notare come la sua vita fosse una corsa continua.
Il cuore martellava violentemente nel petto mentre il giovane dai capelli biondi svoltava un angolo, sperando con tutto se stesso che quei maledettissimi Auror non lo avessero già rintracciato – erano capaci di fare di tutto. Si lasciò cadere di spalle contro il duro e freddo muro mattonato, la mano che aveva fino ad allora tenuta premuta sul naso, abbandonò la sua postazione e scivolò lentamente davanti ai suoi occhi: impregnata di sangue.
Tsk.
Tese le orecchie, i muscoli indolenziti ma vigili, e pronti a scattare nuovamente: nessun rumore. A quanto pareva gli Auror avevano rinunciato a seguirlo, forse si era Smaterializzato appena in tempo.
Il sangue risaltava, scarlatto, sulla pelle pallida della sua mano.
Storse la bocca infastidito più che altro per i ricordi non propriamente piacevoli che quell’immagine gli avrebbe sicuramente ricordato – se non ora, più tardi. Più tardi, quando meno te lo aspetti, quando tutto è più doloroso e meno facilmente sopportabile –, che per il comunque acuto e stordente dolore che avvertiva nel centro esatto del suo viso. Sollevò l’altra mano, quella che stringeva ancora convulsamente la bacchetta magica, e si maledisse come non mai per non aver mai prestato attenzione a tutte le volte in cui Madama Chips, a Hogwarts, aveva sistemato qualche osso a qualcuno. Se solo l’avesse degnata di una semplice occhiata o di cinque dei suoi preziosi, preziosissimi minuti, allora quel dolore sarebbe scomparso – più o meno. Forse avrebbe potuto fare qualcosa, ma… no. Lui non era Hermione Granger, non lo era mai stato.
Socchiuse gli occhi per la sensazione fastidiosa che il dolore stava avendo sulle sue cellule cerebrali: si sentiva leggermente stordito. Forse era per via dei pugni che aveva incassato – vergognosamente, avrebbe potuto difendersi molto meglio se solo non fosse stato colto in un momento di debolezza: prima regola di Draco Malfoy: non amare. Mai più… tzè! Se solo fosse riuscito… se solo avesse potuto proteggerla… e se solo quella notte non fosse caduto nella trappola, nessuno sarebbe scomparso per causa sua, nessuno. Lui non poteva permetterselo. Non poteva permettersi di amare qualcuno. Era totalmente, inevitabilmente fuori discussione. – o forse era per via dello Schiantesimo che gli era stato lanciato. Forse, anzi, sicuramente anche a causa del fatto che quando aveva incontrato Granger non era nelle migliori condizioni…
… forse era per tutto questo, forse era per qualcos’altro, fatto sta che gli tornarono in mente le giornate a Hogwarts.
Ancora quella maschera…
Quando indossava ancora quella maschera pesante e raccapricciante sul proprio volto. Quando si doveva circondare di persone scelte da qualcun altro. Quando poteva solamente invidiare da lontano chi poteva liberamente scegliere di essere qualcosa che lui avrebbe voluto poter essere, ma che non avrebbe mai potuto, legato, vinto com’era dalle catene gelide e quasi taglienti del suo cognome.
Ma che faccio? Mi metto a pensare a quella stupida scuola?
Le aule di Hogwarts, i professori… Piton, quell’arpia della McGranitt… le noiosissime spiegazioni, Weasley che si cacciava nei guai, Potter che si lagnava perché veniva continuamente preso di mira – che fosse afflitto da complessi di persecuzione? – da qualcosa o qualcuno… ed una mano alzata. Una petulante, infastidente, odiosamente saccente mano alzata. Non aveva mai avuto bisogno di abbassare i propri freddi – e nascostamente tristi – occhi grigi o anche solo alzarli dall’oggetto che stava precedentemente fissando, per scoprire che si trattava della geniale ed acida Hermione Granger, il piccolo genio di Grifondoro. Non ne avrebbe avuto bisogno, perché sapeva che si trattava di lei, eppure lo aveva fatto. Più volte si era sorpreso a voltare lo sguardo verso di lei – che avrebbe dovuto essere sua acerrima nemica in quanto alleata di Harry Potter, l’Eroe -, usando come schermo protettivo, come scusa, il fatto che avesse alzato la mano; usando come difesa all’apparenza incrollabile, dietro ogni superficialità indecisa e traballante, il prenderla in giro per qualsiasi cosa. Quando in realtà aveva voluto degnarla di uno sguardo. Perché lui sapeva, aveva cominciato a capire da molto, molto tempo. Lo sapeva che in fondo loro due non erano poi così differenti.
Così terribilmente opposti per molte cose, così irrimediabilmente uguali per altre.
All’improvviso scosse il capo con forza, stringendo gli occhi: no. Non poteva. Se l’era ripromesso. Non avrebbe mai, mai più amato qualcuno, non poteva più rischiare che qualcun altro scomparisse a causa sua.
Cosa mi è saltato in mente di fare?
Il fatto era che quando si trovava in sua presenza, non sapeva non pensare a quanto fossero simili e differenti al tempo stesso – cosa che li univa come non mai, perché gli opposti si attraggono, ma i simili spesso si comprendono -, non sapeva non pensare a quanto fosse diverso essere finalmente guardato non come un Mangiamorte, non come il figlio di Lucius Malfoy, ma come un ragazzo per così dire qualsiasi – di lì ad essere definito ‘un ragazzo qualsiasi’ ce ne passava, oh, eccome se ce ne passava!. Quando era con lei quella tiepida sensazione di comprensione cancellava con ardente impeto la paura di essere solo per sempre – come era sempre stato da quando non aveva potuto fare nulla, per lei… se solo avesse capito cosa aveva intenzione di fare suo ‘padre’, se solo fosse tornato poco prima… -. E nonostante il suo cinismo e l’apparente autocontrollo impeccabile, totale, Draco Malfoy doveva ammettere, perlomeno con se stesso, che Hermione Granger, per la prima volta nella sua vita, faceva sì che le sue azioni, i suoi pensieri e, peggio che mai, i suoi sentimenti non fossero sotto il suo completo controllo – da quando aveva iniziato a sentire qualcosa nel suo cuore? Da quando quel cuore, che egli aveva sempre ritenuto ormai troppo piccolo per le frequenti delusioni, troppo crepato dai troppi dolori per poter provare pienamente un qualsiasi sentimento, si rivelava capace di battere così forte da far quasi male? Perché dopo tanto tempo, da quando con fatica era riuscito ad estraniarsi da ogni qualsiasi sentimento per difendere il proprio Io in un freddo, impassibile vetro protettivo - vetro tuttavia opaco, che non lasciava trasparire ciò che era ed era veramente stato, un vetro che filtrava tutto come dolorosamente patinato -, perché proprio allora aveva sentito quasi il preciso istante in cui il suo cuore aveva preso a scandire quel ritmo regolare e profondo?
Nell’esatto istante di quel bacio.
Aveva iniziato ad intiepidirsi da quando aveva notato uno sguardo differente nei profondi occhi della ragazza, però…
… io l’ho quasi sentito fisicamente, è stato in quel momento… in quel preciso istante…
Quando le loro labbra si erano appena sfiorate.
Non va bene. Non va affatto bene.
Evitò accuratamente di osservare anche solo di sfuggita la propria mano ricoperta di sangue ed inspirò profondamente, mentre avvertiva il freddo della notte avvolgerlo come una fredda, strana coperta, contrastante con il calore che aveva appena ricordato.
Non poteva andare così. Ma cosa poteva fare? Come poteva reagire?
Come poteva impedire a Hermione Granger di impossessarsi dolcemente ma inesorabilmente – e probabilmente anche involontariamente – delle sue azioni e delle sue reazioni?
Non accadrà mai più.

*** *** ***

Bastò quel semplice movimento a metterlo all’erta: il ragazzo spalancò i grandi occhi celesti, e con uno scatto nervoso sollevò il capo dagli arruffati capelli rossi, né corti né lunghi; la osservò intontito per qualche attimo fino a quando la luce nei suoi occhi cambiò, dischiuse le labbra pallide per la stanchezza e fece quello che a Hermione parve uno splendido sorriso.
“Hermione!”
La ragazza notò le occhiaie scure sotto i suoi occhi ed il viso più pallido del solito.
“R-Ron? Ma cosa… cosa…?” balbettò disorientata mettendosi a sedere con il ragazzo che si alzava con un balzo e le sistemava i cuscini dietro la schiena – cosa che la imbarazzò non poco.
“Grazie al cielo ti sei svegliata! Temevo che quel verme ti avesse fatto un incantesimo, uno di quelli... di quelli che giusto lui e quei suoi luridi Mangiamorte possono utilizzare…”
Quel verme? Oh Dio, allora Ron ha visto Draco ieri notte!
“Avanti, Ron, non esagerare.” una voce proveniente dalla loro destra li fece voltare: Harry era in piedi sulla porta, poggiato con una spalla allo stipite ed un mezzo sorriso sulle labbra. Sembrava non aver dormito almeno quanto Ron non l’aveva fatto. “I Medimaghi ci hanno detto che sicuramente si trattava di un incantesimo innocuo, perché le pulsazioni e le onde cerebrali erano perfettamente nella norma. A sentirle raccontare da te, le cose sembrano sempre più catastrofiche ed angosciose.”
Hermione sorrise. Si sentiva stranamente felice nell’averli lì entrambi, tanto che si dimenticò del fatto che Ron sembrava aver visto Draco quella sera stessa.
“Harry!” esclamò con un sorriso.
Ron grugnì scherzosamente in risposta, fingendosi offeso, ed aprì le tende della stanza della ragazza, mentre Harry le si avvicinava e le poggiava un leggero bacio sulla guancia.
“Ben svegliata, Hermione. Penso di non averti mai vista dormire così tanto, sai?” ridacchiò, sedendosi accanto al suo letto. “Sicura di stare bene?”
“Benissimo.” confermò lei socchiudendo gli occhi beata, godendosi ancora il sorriso e la presenza dei suoi due migliori amici.
Ron, appoggiato di spalle alla finestra, li osservava sorridendo: era sempre stato così.
Hermione era sempre stata la loro migliore amica, ma con Harry aveva sempre avuto un rapporto differente da quello che, al contrario, aveva sempre avuto con lui. Con Harry, Hermione sembrava più sciolta; era sempre Harry a darle un innocuo bacio sulla guancia quando si rivedevano dopo tanto tempo ed era sempre Harry quello che Hermione abbracciava dopo una lunga vacanza o una pericolosa avventura in cui se l’erano scampata per il rotto della cuffia; Ron era sempre quello che veniva salutato con un sorriso impacciato. Per anni si era tormentato per questa situazione, senza voler ammettere neppure a se stesso il fatto che fosse terribilmente, tremendamente spaventato al solo pensiero che Hermione potesse essere innamorata di Harry. Un giorno, però, Harry stesso, notando questo suo stato d’animo – perché tutto quello che pensava riusciva sempre a trasparire al di fuori? – nonostante Ron negasse anche l’innegabile, gli aveva detto una frase che gli era rimasta impressa nella mente, marchiata a fuoco:
“Apri gli occhi, Ron. Hermione non guarda me come guarda te. Ma prova a fare un po’ d’attenzione a come guarda te, e poi pensa a come guarda me. Non puoi non accorgerti della differenza.”
All’inizio aveva pensato che Harry gli stesse stranamente tirando uno scherzo di cattivo gusto o che, comunque, si trattasse di una sua stupida impressione, da qualche tempo in là, tuttavia, si era sorpreso a ripensare a quella frase ancora più spesso di quanto non facesse in precedenza. E forse aveva anche sperato che. Sperato che. Sperato che potesse essere veramente così, che Harry non si sbagliasse. Ormai era abituato a quella differenza di trattamento, ma si era reso conto del fatto che, ultimamente, nonostante i litigi – era sempre così tremendamente infantile con lei! Perché non riusciva a crescere, nonostante se lo fosse posto come obiettivo principale? Forse perché gli faceva paura? Forse crescere gli faceva paura? – Hermione gli si fosse avvicinata. Per sfogarsi, quella sera in cui lui le aveva portato la camomilla, aveva scelto proprio Ron, l’amico pasticcione. E questo era solo un esempio, ma gli sembrava quasi che qualcosa fosse cambiato negli sguardi della Hermione che conosceva da quasi otto anni. Qualcosa che li avvicinava ma qualcos’altro che li aveva anche leggermente distanziati. C’era quel qualcosa che aveva notato già qualche tempo prima nei suoi occhi, quel qualcosa che non sapeva spiegarsi.
Che le fosse successo qualcosa di male?
“Vero, Ron?”
“Eh?” la voce di Harry lo fece tornare alla realtà. “Scusa, come hai detto?”
Harry e Hermione si fissarono brevemente, la ragazza ridacchiò.
“Lo vedi? Stavo appunto dicendo che non hai chiuso occhio per stare qui con lei, ti stavo facendo i complimenti e tu che fai per rovinare tutto? Dormi in piedi?”
“Oh, piantala Harry!” replicò il rosso ridendo e minacciando, con un rapido gesto del braccio, di tirargli un cuscino appena afferrato dal letto lì accanto.
“Ginny…” mormorò piano Hermione, ricordandosi solo allora dell’amica. “Dov’è Ginny?” chiese con un velo di preoccupazione dovuto neppure lei sapeva bene a cosa.
Harry si rabbuiò un poco.
Giusto. Lei non sa cos’è successo…
“Hermione, prima di dirti cos'è successo a Ginny…”
“Sta male? Che le è successo?” fece la ragazza castana allarmata, scostando rapidamente le coperte. “Parlate!”
“No, ecco… diciamo che adesso sta riposando nella stanza qui accanto…” mugolò Ron con gli occhi bassi, fissando un punto indefinito alla sua sinistra.
Hermione sembrò ben poco tranquillizzata da tali parole.
“Ginny… Ginny è in ospedale?”
“Calmati, Herm. Sta solo dormendo, i medici hanno detto che dobbiamo aspettare il suo risveglio. Per ora non è nulla di grave.” le rispose Harry, poggiandole una mano sul braccio per placarla.
“Che vuol dire ‘per ora’? Io… io… io non capisco!”
“Prima di spiegarti tutto...” proseguì Harry con sguardo cupo che fece venire un brivido alla ragazza. “prima di spiegarti tutto, devi dirci cos’è successo stanotte, Hermione.”
Oh.
Giusto. Io e Draco.
Draco…
E… e adesso?


*** *** ***

Dove… dove sono finita?
Voltò lentamente il capo a destra, poi a sinistra; batté perplessa le palpebre, ma quel che vedeva – o meglio, che non vedeva – proprio non ne voleva sapere di scomparire… forse proprio perché non era una sottospecie di illusione come lei stessa aveva intensamente sperato, forse proprio perché si trovava effettivamente in un luogo a lei sconosciuto e decisamente poco rassicurante. Tenebre dappertutto.
Lo confermava la fredda sensazione del contatto della nuda e gelida roccia sulle sue gambe nude dal ginocchio in giù, lo confermava quel pesante odore di umidità, muschio e terriccio… un attimo! Le sue gambe… nude dal ginocchio in giù?
Ginny abbassò tremante lo sguardo.
“Oh Dio,” mormorò spaventata.
Era sicura al cento per cento di aver indossato un paio di jeans proprio perché era appena stata all’allenamento con Hermione, eppure… eppure…
“Que-questa è la gonna della divisa di Hogwarts…” la sua voce si affievolì gradualmente, fino a spegnersi morbidamente nel silenzio umido di quella stanza completamente immersa nel buio pesto.
Uno strano sesto senso si impadronì di lei: sentiva di conoscere quella ‘stanza’ – o quello che era, viste le tenebre che l’attorniavano -, sentiva di esserci già stata. Sperando che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto di qualcuno dei suoi amici, si alzò in piedi, ma crollò nuovamente in ginocchio, scoprendo con un gemito di orrore misto a paura di non riuscire più a controllare le proprie gambe.
Ma che sta succedendo?
Un lento rumore di passi alla sua destra, un sibilo inquietante.
“Ci rivediamo, piccola Ginevra Weasley.”
Quella voce…
“Chi… chi sei?”
Così come la voce, i passi si avvicinavano sempre di più.
“Ma come,” fece. “mi hai già dimenticato?”
Ginny si sentì afferrare dal terrore più assoluto, un sentimento convulso che le strinse il petto mozzandole il respiro; senza sapere il perché si trovò a voler scappare, voler fuggire con tutta se stessa, come mai poteva aver voluto in vita sua – forse solo una volta, forse solo quella volta. Non potendo fare alcun affidamento sui propri arti inferiori – oramai gelidi ed immobili – si voltò e prese a trascinarsi disperatamente con le mani sulla pietra, strusciando dolorosamente le gambe quando invece del pavimento incontrò una superficie aguzza e tagliente, come quella delle rocce, degli scogli sui quali giocavano lei e Ron da piccini, quando la mamma ed il papà riuscivano a portarli per un giorno al mare. Strinse gli occhi ignorando il dolore e con un basso, roco gemito tentò di accelerare, finendo con le mani in una pozzanghera d’acqua sollevò qualche schizzo che la colpì gelido sulle gote.
“Ehi, piccola, non devi avere così tanta paura, sai?”
La ragazza tentò di avanzare, ma si trovò davanti ad un muro; piano piano anche il controllo sulle sue braccia si stava affievolendo. Con gli occhi lucidi si costrinse a non voltarsi, non voleva vedere il volto del possessore di quella voce stonata, stonata perché risultava ambiguamente dolce, quando nel profondo si avvertiva la presenza di qualcosa di cattivo, di perfido, di maligno, del male. Era un totale controsenso. Si costrinse a non voltarsi, non voleva vedere; dentro di lei, in ogni singola fibra del suo corpo, ancora il riflesso condizionato del fare attenzione a non fissare negli occhi – sempre attenta a non incrociare per errore lo sguardo di quell’orrenda creatura che si aggirava quasi indisturbata nel castello, il Basilisco -, dal tempo di quel suo orribile primo anno ad Hogwarts. Serrò le palpebre senza sapere cos'altro poter fare.
“Avanti, non fare così. Apri gli occhi, non sei curiosa di rivedermi?”
“No. No, lasciami stare… no…” Ginny mormorò in risposta parole tra di loro sconnesse.
Improvvisamente avvertì un tocco gelido e bruciante sulla guancia sinistra, che la costrinse ad alzare un poco il capo che aveva lasciato crollare tra le proprie scapole; le mani puntellate ancora nella pozza d’acqua. Un tocco così freddo da bruciare nel vero senso della parola.
“Su, fai la brava bambina, apri gli occhi.”
Le sue palpebre si alzarono contro la sua volontà e quella che vide riflessa nella pozza d’acqua, non fu la Ginny quasi diciottenne che era abituata a vedere.
“Oh mio Dio!” riuscì ad esclamare flebilmente.
Le restituì lo stesso sguardo terrificato una Ginny appena undicenne, una Ginny al suo primo anno alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, una Ginny che la ragazza non vedeva riflessa nello specchio da ormai sette lunghi, lunghissimi anni.

*** *** ***

Ginny! Ginny!
L’immagine prese a vorticare rapidamente, regalandole l’indesiderato senso di nausea che ora sentiva vivo come non mai in gola ed all’altezza della bocca dello stomaco.
Ginny, svegliati!
Si avvertì inspiegabilmente afferrare da miriadi di mani, bollenti se messe a confronto con la sua pelle dalla temperatura oramai bassa, troppo, troppo bassa. Cercò di portarsi le mani alle tempie e di gridare, gridare per la paura, la disperazione, il dolore, quel senso di sconvolgimento e, più forte degli altri, la sensazione che qualcuno stesse tentando di entrare nella sua testa, spaccandola in due metà perfette.
Ginny! Apri gli occhi, Gin! Siamo qui! Noi siamo qui!
Non riuscì, come previsto, a governare le proprie mani, così dischiuse le labbra con la ferma intenzione di gridare e dare sfogo a tutte quelle sensazioni sgradevoli che la colmavano fino all’orlo; avrebbe voluto semplicemente urlare con tutta se stessa senza curarsi di chi le stava attorno, straripando come un fiume in piena dalla terribile violenza, la violenza di quei sentimenti che tiranneggiavano dentro di lei, ma quello che udì fuoriuscire dalla sua bocca tremante fu un unico, orrendo, terrificante e lieve sibilo.
Per l’amor del cielo, fate qualcosa! Fate qualcosa!
Cominciò a tremare con violenza, nella sua mente vorticavano immagini di luoghi e persone; le orecchie fischiavano, sembrava non esistere più per lei né lo spazio né tanto meno il tempo, sembrava proiettata in un burrone senza fine in cui poteva solo precipitare in eterno, schiacciata da quella consapevolezza.
… Ginny ascoltami: sono qui. Sono qui con te.
Aveva freddo, così tanto freddo da non sentire più neppure il proprio viso. Era come un’entità senza corpo che ondeggiava nel vuoto, anzi, che veniva scaraventata sempre più in basso, sempre più in basso, verso l’incognito, verso una fine sconosciuta, ma che in ogni caso non prometteva nulla di buono. Sapeva solo di star tremando.
Una mano bollente sulla sua fronte.
Ginny. Guardami, apri gli occhi!
Conosceva quella voce, conosceva quel tocco. Così diversi da quelli che quell’essere le aveva fatto sperimentare poco prima. Conosceva quella persona, conosceva chi stava invocando disperatamente il suo nome, avvertiva la tensione nella sua voce. Si sentì investita del suo odore, nella confusione più totale un solo pensiero, un solo nome: Harry.
GINNY!

*** *** ***

“Mio Dio, ti prego, Ginny! Apri gli occhi! Guardami, apri gli occhi!”
La voce di Harry suonava disperata nella bianca stanza dell’ospedale, mentre i medici si affannavano attorno al letto della ragazza e Ron fissava la sorella come fosse un fantasma: gli occhi sbarrati, la bocca socchiusa, sembrava decisamente sconvolto.
“Gi-Ginny…” mormorava semplicemente.
Un medico alto e giovane scostò bruscamente Harry ponendo sul viso della paziente una mascherina per aiutarla a respirare – cosa che attualmente sembrava non star facendo; il ragazzo si scansò di poco, lasciando la mano di Ginny che aveva fino ad allora tenuta stretta.
Un’infermiera alzò lo sguardo verso il collega che era appena arrivato di corsa, collegando Ginny ad uno strano macchinario.
“Dottore,” esclamò l’infermiera, i suoi lunghi capelli castani dai riflessi rossastri ricordavano vagamente quelli di Ginny. Ron distolse lo sguardo. “la stiamo perdendo.”
Tutto sembrò rallentare a poco a poco. Harry vedeva i medici darsi da fare per tentare di salvarla, gli infermieri e le infermiere correre a destra e manca con una lentezza quasi esasperante; lo stesso Ron, che si era voltato di scatto, inorridito, stringendo violentemente i bordi d’acciaio del letto della sorella, si muoveva ad una velocità incredibilmente rilassata. Chiuse gli occhi ad una fitta di dolore intenso ed acceso che gli attraversò la testa.
Il ricordo di Ginny accarezzò lievemente la sua mente. Ginny che giocava con loro a palle di neve, nel giardino di Hogwarts, ad appena tredici anni; Ginny che parlava allegramente con Hermione a colazione… avrà avuto sì e no quindici anni; Ginny che distoglieva lo sguardo dai suoi occhi in quel giorno… quel giorno in cui si erano dovuti salutare poiché Harry e Ron avevano fatto il loro ingresso nella squadra degli Auror… Ginny che capitombola fuori dal caminetto acceso della casa che lui e Ron condividevano con Hermione; i loro sguardi che restano legati, intrecciati tra loro come due fili dorati sottilissimi. Ginny che gli sorride… Ginny che lo abbraccia. Quella stessa sera, poche ore prima. La consapevolezza del suo corpo esile e tremante, il suo calore, le sue lacrime.
Non poteva finire tutto così…
Aprì gli occhi e la osservò: quella non era la sua Ginny. La sua Ginny aveva gli occhi castani e non vitrei; la sua Ginny aveva la pelle rosea, non grigia come una statua di cera, immobile, senza vita; la sua Ginny aveva le labbra rosse, non livide. La sua Ginny era viva e con lei viveva tutto il suo mondo, il mondo di Harry.
Fatela tornare. Fatela tornare da me, ve ne prego!
Era come se avvertisse che l’essenza stessa di Ginny Weasley, la ragazza che lui aveva amato ed amava con tutto se stesso, si fosse allontanata dal suo corpo e fosse imprigionata da qualche parte, lontana da lui. Lui che aveva sempre potuto avvertire la sua presenza - erano sempre stati legati da quel sottilissimo filo dorato, così fragile a prima vista, ma anche così persistente -, lui che aveva sempre sentito Ginny dentro di sé, ora non la sentiva. Non riusciva più a sentirla.
“GINNY!” gridò, sapendo perfettamente che questo suo gesto non l’avrebbe salvata.
Eppure capì come potesse star sbagliando solamente quando la vide serrare e riaprire gli occhi un secondo dopo. Quegli occhi erano color nocciola. Quegli occhi erano dolci, allegri, anche un po’ timidi. Quelli erano gli occhi di Ginny. Quella era la ragazza che amava.
“… Ginny!” esclamò prendendole il viso tra le mani. Lei lo fissò assente per un paio di secondi, quando parve riconoscerlo aprì la bocca per dire qualcosa, ma perse conoscenza. “Ginny, no!”
Un infermiere lo allontanò dalla ragazza mentre il medico sistemava l’ago di una siringa nel braccio della paziente e controllava attentamente il monitor sul quale si stagliavano linee apparentemente senza senso: il battito del cuore di Ginny e le sue onde cerebrali. Dopo un periodo – troppo breve per aver causato danni, avrebbe assicurato poi il dottore – che sia a Harry che a Ron parve interminabile, il cuore della ragazza aveva ripreso a battere con un ritmo più o meno normale, e le sue onde cerebrali erano tornate a farsi vive su quello schermo scuro.
“Lasciami andare, cazzo!” imprecò Harry divincolandosi agilmente dalla stretta dell’infermiere – in fondo era pur sempre un Auror. “Calmati.” disse il dottore voltandosi lentamente, alle sue spalle Ron era più pallido di un cencio appena lavato. “Adesso è fuori pericolo. Ha solamente perso conoscenza dopo la crisi convulsiva, è normale, anzi, è un bene: ora il suo corpo potrà riposarsi e recuperare almeno in parte le energie perdute. Devi solo lasciarla riposare.”
Harry lasciò cadere le braccia, inerti, lungo i propri fianchi, e si sedette sfiancato sulla sedia accanto al comodino della ragazza che ora se ne stava immobile tra le candide lenzuola del letto. Ron si abbandonò sfinito contro un muro e scivolò lentamente in terra, portandosi le mani tra i capelli. Rimasero tutti in silenzio, compreso il dottore, finché le infermiere e gli infermieri, sistemati i macchinari attorno al capezzale della giovanissima paziente, uscirono dalla stanza. Il dottore prese una sedia e si sedette a sua volta.
“Cosa… cos'è successo?” chiese flebilmente Ron, ora di un colorito quasi verdastro. “Cos’è successo a mia sorella?”
Il giovane dottore inspirò, sembrava assorto.
“Vi dirò la verità,” disse. “era un bel po’ che non mi capitava un caso del genere. Ne ho visti un paio solamente in qualità di tirocinante e purtroppo il mio ‘insegnante’ è scomparso due anni fa…” fece una piccola pausa, Harry alzò lo sguardo verso di lui, si sentiva terribilmente sfibrato, svuotato di qualsiasi energia. “Mi avete detto che è stata attaccata, giusto? Da un Mangiamorte. A volte capita che persone che sono state molto vicine a Voi-Sapete-Chi possano essere facilmente controllate da lui… e tu lo sai bene, Harry.” fissò intensamente il giovane dagli occhi smeraldini e stanchi: lo conosceva sin da quando era entrato a far parte della squadra degli Auror tirocinanti e lui stesso sapeva di essere considerato il medico più bravo e più famoso tra tutti gli Auror della sua divisione, per questo si era sempre personalmente occupato di Harry Potter e dei suoi amici, sotto esplicita ed accorata richiesta di Albus Silente. “Però non vedo come possa accadere questo con lei. Insomma, i sintomi sono quelli: convulsioni, stato totale di assenza dell’anima, quasi come se un Dissennatore l’avesse risucchiata via, temperatura corporea quasi nulla e via dicendo. Eppure questa sera questa ragazza non ha avuto un contatto diretto con Voi-Sapete-Chi…”
Ron gemette sconsolato ed il medico lo osservò attentamente.
“C’è forse qualcosa che non so?” domandò.
Harry distolse lo sguardo ed osservò distrattamente la figura di Ginny nel letto, i suoi capelli color fiamma sparsi disordinatamente sul cuscino.
“Sì, c’è.” rispose cautamente. “Sette anni fa, Ginny è stata manovrata direttamente da Voldemort, a Hogwarts.”
Il medico annuì con lentezza e prese ad osservare anche lui la sagoma della giovane paziente.
“Al tempo degli attacchi del Basilisco…” mormorò tra sé e sé.
“Esatto.” confermò Harry, cupo. “Pensa… pensa che si stia avverando?”
Il dottore si voltò e lo osservò tristemente, senza dire nulla.
“Ciò di cui abbiamo sempre avuto paura si sta avverando, quindi… è così?”
“No…” sussurrò Ron.
“Ragazzi, io non posso dare nulla per certo, specialmente in una situazione così delicata… però, se volete che sia sincero fino alla fine, io… sì, penso che sia così. Penso che Ginny Weasley abbia dentro di sé una cicatrice. Una cicatrice diversa dalla tua, Harry, perché mentre tu sei il vero obiettivo di Voldemort, lei per quell’essere è solo un mezzo per arrivare a te. E mentre tu sei protetto da quell’amore di cui ti ha parlato Silente tanti anni fa, come tu stesso mi hai raccontato, l’amore di tua madre che è morta per salvarti… lei è totalmente priva di qualsiasi forma di difesa. Dentro di lei è rimasto qualcosa di latente da quel giorno, qualcosa che può costarle caro.”
Harry e Ron si scambiarono un’unica occhiata spaventata e demoralizzata.

*** *** ***

Hermione li fissò sconvolta, finito il racconto di come si fossero svolti i fatti.
Non poteva crederci. Non poteva essere.
“Voi… voi state scherzando, vero?”
“Credi veramente che potrei scherzare su di una faccenda del genere?”
Solo allora la ragazza si rese conto dell’amarezza nel sorriso di Harry, dell’inquietudine nei suoi occhi ed in quelli di Ron.
“Perché non le avete mai detto nulla? Perché non mi avete mai detto nulla? Era un nostro diritto, specialmente suo! Come avete potuto nasconderle la verità per tutti questi anni?”
“Calmati, Herm,” disse dolcemente Ron, sedendosi sul bordo del letto. “L’abbiamo saputo solo l’anno scorso…”
Hermione sembrò volerlo fulminare con lo sguardo. Solo l’anno scorso?” sibilò, i suoi occhi saettavano pericolosamente. “E vi sembra normale? Vi sembra corretto, per caso? Non pensate che Ginny si sarebbe potuta difendere meglio, nel caso avesse saputo tutta la verità? Non pensate che anche io avrei potuto dare una mano?”
“No.” rispose seccamente Harry, alzandosi ed avvicinandosi alla finestra dove poc’anzi era stato il suo migliore amico, che ora evitava accuratamente di incrociare lo sguardo di Hermione. “È stato meglio così. Innanzitutto tu non avresti potuto fare nulla, esattamente come non puoi fare nulla adesso, e poi sapevo, anzi, sapevamo che avresti reagito così.”
Hermione osservò costernata prima Ron, poi nuovamente Harry.
“Ma…”
“Credi che Ginny sarebbe vissuta serenamente se avesse avuto il terrore e la consapevolezza di essere costantemente in pericolo, di essere un varco aperto, per Voldemort, per raggiungere me? Credi veramente che sarebbe stata meglio tormentandosi per una cosa, di cui non sapevamo neppure la certezza, del genere? Credimi, Hermione, io ci sono passato e so per certo che non è affatto piacevole né tanto meno gratificante sapere che Voldemort può entrare in te mentre dormi, mentre non sei all’erta. E poi, come ti ho già detto, per Ginny è diverso. Ginny non ha avuto a che fare con lui ogni anno a Hogwarts, non l’ha mai incontrato da neonata, non è abituata come posso relativamente esserlo io. Ginny è più fragile e solo Dio sa quanto vorrei fare a cambio con lei, darle la mia ‘forza’…” e rise con aria di scherno verso se stesso. “Dio solo sa quanto vorrei che quel pezzo di merda la lasciasse stare e venisse a cercarmi direttamente. Dio solo sa quanto… quanto…” la sua voce si spezzò.
“Harry…” mormorò Hermione alzandosi – neppure Ron osò protestare per questa sua irresponsabile decisione, dopo l’agguato di quella notte – e raggiungendolo. “mi dispiace, probabilmente hai ragione tu. Hai ragione tu: io non so cosa si possa provare, e spero di non saperlo mai. Però sai quanto io abbia sempre cercato di esserti vicina. E sai anche che lo farò con Ginny, che è la mia migliore amica. Non ti stavo rimproverando, Harry, era solo… era solo che sono stata colta alla sprovvista.”
“Lo so,” rispose Harry, evitando che Hermione e Ron notassero i suoi occhi lucidi. “Lo so. Però è così difficile vedere i tuoi amici costantemente minacciati a causa tua…”
Sentì Hermione abbracciarlo da dietro e Ron poggiargli amichevolmente una mano sulla spalla.
“Sai come la pensiamo, Harry.” disse il ragazzo. “Tu non c’entri nulla.”
Harry decise di non replicare. Era troppo stanco.

*** *** ***

Ormai il sole tinteggiava le nuvole dei suoi raggi rossastri, dolci, contrastanti con l’atmosfera di quell’ospedale; ormai il globo infuocato cominciava, leggermente offuscato, ad inabissarsi oltre l’orizzonte, quando Ginny aprì piano piano gli occhi e vide Harry, seduto accanto a lei, osservare un punto che solo lui poteva vedere, oltre i vetri di quella finestra.
Cercò di fare mente locale: cos’era successo?
Ricordava solo quelle sgradevolissime sensazioni e la voce di Harry, il suo viso prima di svenire. Ma prima? Sentiva che prima era successo qualcosa, qualcosa di importante… ce l’aveva sulla punta della lingua, eppure non riusciva proprio a ricordare. Sapeva che era per strada e che c’era anche Hermione, ma non ricostruiva alcuna scena, né sembrava capire come Hermione potesse riguardare quei ricordi smarriti o in che modo li avesse influenzati.
Lentamente mosse una mano, e la percepì. Si sentì invadere da una sensazione assoluta di sollievo ed alzò una mano fino a toccare la guancia in cui quel gelo l’aveva bruciata: un segno rosato mostrava ancora l’ustione da freddo – che i Medimaghi avevano prontamente curato in modo che non ne rimanesse traccia – e numerosi tagli sulle sue gambe doloranti avvaloravano quella dimostrazione: non era stato un sogno.
Si voltò di lato osservando il profilo di Harry, chiedendosi se quello, invece, fosse un vero sogno. Quel movimento attirò l’attenzione del ragazzo dai folti e scarmigliati capelli corvini, che si voltò. Si fissarono in silenzio per qualche secondo, alla fine Harry si chinò e le diede un leggero bacio sulla fronte – ora calda -, lasciandola senza parole e rossa come un’aragosta, completamente dimentica del pallore che fino a poche ore prima aveva campeggiato sul suo dolce viso.
“Ciao.” disse semplicemente.
Aveva le occhiaie e sembrava distrutto.
Ginny allungò le braccia, gli cinse il collo e l’abbracciò, stringendolo a sé tra quelle lacrime di sfogo che sembravano finalmente fresche e confortanti.

*** *** ***

“Ho paura. Ho paura che Voldemort cerchi ancora di usarla come arma, di usarla per arrivare a me. Non mi perdonerei mai una cosa del genere.”
Hermione aveva sospirato preoccupata a queste parole di Harry.
“Stando a quel che ho capito, Ginny è quella che i Mangiamorte hanno definito ‘la Chiave’, perché può condurre a te per molteplici motivi: uno è il fatto che vive assieme a te. Il secondo è il fatto che è cresciuta bene o male assieme a te. Il terzo è il fatto che sa quanto tu le sia affezionato.”
Il ragazzo annuì.
“Ecco perché non volevamo assolutamente che rimanesse sola, ed ecco perché ci hanno attaccati, questo pomeriggio. L’ho notato subito, miravano a lei, non a me. Miravano a lei perché io so difendermi fisicamente e lei ancora no, quegli stronzi!”
“Cosa si può fare per lei?” domandò la ragazza castana, preoccupata.
Osservò Ron stropicciarsi stancamente un occhio prima di risponderle.
“Poco e niente. Dobbiamo solo evitare che Ginny entri in contatto con altri Mangiamorte, perché quando si trova in loro presenza, avvertendo l’essenza di Voldemort, quindi del male, si indebolisce ed è proprio quello che richiama l’attenzione di quel bastardo e che gli permette di vincere le difese di Gin per entrare nella sua mente.” espirò l’aria che aveva in corpo, trasmettendo una sensazione di depressione e demoralizzazione profonda. Hermione gli sfiorò una mano con la sua. “Possiamo solo starle vicini.”
“Ed è quello che faremo.” rispose fermamente Harry voltandosi verso i due, nei suoi occhi una determinazione senza pari.


*** *** ***

“Adesso, però, capisci perché è di fondamentale importanza che tu ci dica cosa sia successo questa sera.”
Hermione abbassò lo sguardo deglutendo lievemente.
“Ti abbiamo detto cos’è successo a Ginny proprio per questo, Hermione,” insistette Harry, cercando di incontrare lo sguardo della ragazza, senza alcun successo. “… per capire.”
“Io…”
Non posso mentir loro! Ma non posso nemmeno parlare di Draco! Non capirebbero mai…
“Cosa ci facevate voi due con Malfoy?”
“Ecco, io… ero scappata dopo la lite con Ron, e penso che Ginny mi avesse seguita. Non ricordo bene cosa sia successo, so solo che mi sono svegliata qui…”
“Logico: quello stronzo ti ha aggredita, poi ha aggredito Ginny e siamo arrivati noi. Chissà per quali loschi motivi girava da quelle parti! Quel bastardo, sicuramente è al servizio di…”
No!
I due giovani si voltarono verso Hermione, in piedi davanti a loro con i pungi stretti lungo i fianchi e gli occhi lucidi.
“Cosa?”
“Ho detto che non è così. Non potete pensare sempre che sia uno come suo padre semplicemente perché porta il suo stesso cognome, non potete. Che ne sapete di lui? Che ne sapete? Che ne sapete di quanta tristezza io abbia visto nei suoi occhi?”
“Hermione, sei solo tanto stanca…” mormorò Ron toccandole un braccio.
“No che non lo sono!” alzò la voce lei, scansando bruscamente l’amico. “Non potete far finta di niente! Tutte le volte, tutte le volte avete fatto così, anche con me! Non va bene far finta di nulla, e lo sapete. Vi dico che Malfoy non mi ha aggredita e… e sono sicura che non abbia aggredito neppure Ginny.”
“Hermione, l’ho visto io stesso puntarle la bacchetta contro.” replicò Harry.
“Io non posso assicurarvi niente, vi chiedo solo di fidarvi!”
“Come possiamo fidarci di un assassino?”
“Vi sto chiedendo di fidarvi di me!”
“Ma non capisco! Come…” Ron venne interrotto dal suo cercapersone che suonava, lo prese e dopo pochi secondi guardò i suoi due amici. “La squadra sta per partire alla ricerca di Malfoy, attualmente sospettato di nove omicidi. Chiedono il nostro aiuto.”
Hermione sbarrò gli occhi.
“No! No, non potete farlo! Se lo troveranno, lo uccideranno di sicuro, non gli crederanno mai! Lo consegneranno ai Dissennatori che eseguiranno su di lui il Bacio!”
“Herm,” disse Harry con voce strana. “io non so perché tu abbia cambiato idea riguardo Malfoy, né perché ti ostini tanto a volerlo difendere, ma non posso fare a meno di pensare che tu ti sia lasciata traviare dalle sue parole e dalla tua stanchezza. Non posso credere a ciò che dici, così come non posso rifiutare il mio appoggio e sostegno alla mia squadra. Mi dispiace, ma sappiamo quel che facciamo.”
La ragazza li vide correre via entrambi – poiché non era permesso Smaterializzarsi in un ospedale, altrimenti sarebbe potuto entrare chiunque.
No. Non sapevano assolutamente cosa stessero facendo.
Aveva ragione Draco, l’aveva sempre avuta: non sarebbe mai cambiato nulla.
Improvvisamente, così, come dal nulla, quel velo, questa volta pesante come non mai, le cadde addosso, non solo davanti agli occhi. Così come Harry e Ron vedevano Draco in un’ottica distorta ed opaca, così lei ora, fuggendo di nascosto dalla propria stanza, eludendo miracolosamente la sorveglianza, mossa da sentimenti così forti da gettarla nel panico, vedeva tutto, ancora una volta, dolorosamente patinato da quell’incomprensione che regnava tra tutti loro e, principalmente, in ognuno di loro, preso singolarmente. Quello che li faceva soffrire, tutti quanti.
Ma non avrebbe permesso che accadesse ancora, non avrebbe permesso che quello che era stato un gesto di fiducia verso qualcuno – quel bacio, ma non solo… quei suoi sguardi, le sue parole, l’aver confessato il fatto di non riuscire a piangere… di non saper piangere… l’esserle stato comunque vicino, a suo modo. E solo ora Hermione capiva che Draco Malfoy le era stato consapevolmente e volontariamente vicino. Lei avrebbe ricambiato. – fosse gettato al vento, svanisse nel nulla. Anche se sembrava difficile, anche se tutto sembrava ancora irrimediabilmente patinato, dolorosamente patinato.


   
 
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