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Autore: _Tenshi89_    04/06/2009    1 recensioni
*Postato cap. 47!*
Per tanti anni mi sono detta che quella gente doveva morire. Per tanti anni mi ero giustificata dicendo che qualcuno doveva pur fermarli.
Balle. Tutte balle.
Io ero un’assassina.
Ero la più perfetta delle macchine per uccidere, in fondo. Un predatore micidiale.
Ho sempre avuto la pretesa di giudicare quella gente perché seguiva un folle ideale, ho sempre preteso di dire che loro erano la feccia, che io ero nel giusto. Era giusto per me vederli morire uno per uno, con il terrore marchiato per sempre nei loro occhi.
Se è vero quel che si dice, che l’ultima immagine vista in vita rimane per sempre impressa negli occhi, loro vedranno me per l’eternità.
Li uccisi tutti. Come loro avevano fatto con la mia famiglia; li avevo uccisi perché erano delle persone malvagie, avevano fatto soffrire tante persone innocenti. Avevo messo finalmente fine a quei massacri assurdi.
Erano i cattivi.
Ma io ero forse migliore di loro?

Gli errori si pagano, sempre.
Ma le conseguenze non sono sempre facili da affrontare...
Questa è la storia di Elian.
Una storia di odio, una storia di amore.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler!
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***















«E’ piuttosto tardi, credo dovremmo rientrare».
Bella, che nel frattempo si era alzata, annuì, andando verso Nessie e Jacob. La seguii a ruota, mentre diceva ai ragazzi che era ora di tornare a casa.
Jacob saltò in piedi, correndo via. Tornò dopo pochi secondi trasformato, e fece salire Nessie sulla sua schiena pelosa. I due ragazzi ci precedettero, mentre Bella gridava dietro di loro: «Ci vediamo a casa!».
A quel punto, Bella si voltò verso di me, sorridendo appena: «Te la senti di tornare a casa?».
Casa.
I Cullen erano la mia casa, la mia famiglia. Erano tutto quello che mi rimaneva.
Si, era proprio ora di tornare a casa.
«Non mi hai ancora detto come hai conosciuto Carlisle e gli altri», mi disse Bella, mentre prendevamo a correre.
Sorrisi. «Bè, all’epoca in cui ho iniziato a vagabondare conoscevo Carlisle solamente di nome, effettivamente non avevo idea di chi fosse», le dissi. «Quando i Volturi mi fecero chiaramente capire che il loro unico interesse era avere accesso al mio potere, me ne andai seduta stante. Il problema era che non sapevo dove andare».
È stata dura realizzare davvero che ero rimasta sola. Mi ero aggrappata all’utopica possibilità di tornare con Vincent; non avevo mai pensato nemmeno per un secondo che lui non sarebbe tornato.
«Toltomi Vincent, ero sola al mondo. Non avevo famiglia, non avevo amici. So che la maggior parte dei vampiri vive isolato, da nomade, e difficilmente riesce a resistere a lungo in un clan, ma per me era diverso. Io ero abituata a stare sempre con qualcuno, non ero mai stata sola, e la cosa mi terrorizzava. Ma non avevo altra scelta.
In quel periodo, che durò qualche decina d’anni, mi abituai a vivere in solitudine, da nomade. Mi è capitato di incontrare altri vampiri, ma non mi fidavo di nessuno, con il risultato che finii per isolarmi completamente da tutto il resto del mondo.
Bella, quel periodo è stato molto difficile per me, anche perché abbandonai la strada della vita vegetariana, e iniziai a bere sangue umano. Non vado particolarmente fiera di quel periodo della mia vita», dissi con una smorfia, «ma mi è servito, e molto. Mi ha fatto capire cosa non volevo assolutamente diventare. La solitudine, Bella, per me era la più grande delle disgrazie, la peggiore delle malattie, ma imparai a conviverci. Placavo la sofferenza che avevo dentro nutrendomi di sangue umano. Non che servisse poi a molto, visto che dopo ogni battuta di caccia mi sentivo un vero schifo, perché avevo la perenne sensazione di stare tradendo tutto quello per cui ero rinata. Vivevo con dei fantasmi, con l’ombra di quello che avevo fatto sempre dietro alle spalle, sguazzavo in uno stato di perenne disperazione che non mi abbandonava mai.
Eppure, è stato proprio in quel periodo che ho capito molte cose di me; la solitudine ti obbliga a guardarti dentro, a capire cosa c’è che non va, perché sei sola con te stessa. Prima di tutto, ho capito quello che non volevo diventare: non volevo continuare ad uccidere delle povere persone che non c’entravano niente.
Dopo, ho capito quello che, invece, era giusto fare, quello che sapevo mi avrebbe aiutata, così decisi di partire per l’America. E’ stato allora, lungo uno dei miei vagabondaggi, che ho conosciuto Carlisle. Bè, a dirti la verità, non so di preciso se sono stata io a trovare lui o lui a trovare me», dissi ridacchiando.
Bella aggrottò le sopracciglia. «Perché?».
«Di certo sai che Carlisle passò parecchi decenni in giro per l’Europa, in particolare in Italia», le dissi io. «Carlisle era molto conosciuto nel nostro mondo già all’epoca. Era un rivoluzionario, un anticonformista, e benché non fossero in molti quelli che condividevano il suo stile di vita (anzi, direi proprio nessuno, tolta la sottoscritta), era sicuramente rispettato. Un vero leader».
Bella scosse il capo, sorridendo. «Non avevo mai pensato a Carlisle in questi termini», disse, pensando alle mie parole.
Sorrisi. «Carlisle è un uomo straordinario. Il ruolo di padre di famiglia, di mentore, gli sta talmente bene che è facile dimenticarsi che, in fondo, lui è il capo di un clan, per quanto particolare, unito e legato da un profondo affetto.
La prima volta che ci incontrammo eravamo entrambi nei dintorni di Chicago, lui era appena arrivato in America. Io vivevo qui già da alcuni anni, ma evitavo accuratamente il centro abitato, uscivo dal mio nascondiglio molto raramente, rigorosamente di notte; quando non ero a caccia, mi mettevo a correre come una forsennata, correvo spesso fino alle prime luci dell’alba, mi aiutava a scaricare la tensione, a smettere di pensare per qualche ora. Durante una delle mie passeggiate notturne incontrai Carlisle, proprio mentre era a caccia. Quando lo vidi mi fermai, perché credevo non ci fossero altri vampiri in zona, e anche lui sembrava particolarmente sorpreso. Non capii chi era fino a quando non vidi il colore dei suoi occhi. Bè, effettivamente anche quando vidi che aveva gli occhi dorati non pensai subito che fosse proprio lui, ma comunque era il primo vampiro vegetariano che vedevo dopo molti anni, quindi puoi immaginare la mia sorpresa».
Sorpresa.
Che eufemismo.
Accennai un piccolo sorriso, che Bella mi restituì, fraintendendomi.
Ecco, non le avevo detto esattamente tutta la verità riguardo al mio primo incontro con Carlisle.
Certo, era vero che io non sapessi che lui era a Chicago, ma sapevo perfettamente che c’era un vampiro in città, e sapevo perfettamente che era vegetariano.
L’odore di un vampiro vegetariano è diverso da quello degli altri vampiri, quindi è facile distinguerlo da tutti gli altri.
La prima volta che sentii il suo odore ero in città, durante una caccia notturna.
Quasi mi prese un colpo; non sentivo l’odore di un vampiro vegetariano da secoli.
Da quando Vincent se n’era andato.
Non so cosa questo scatenò nella mia mente, ma per un breve, brevissimo istante pensai che fosse lui.
Sapevo che era una cosa assurda, che lui se n’era andato, che non poteva essere lui, ma una piccola parte della mia mente analizzò la follia di quel pensiero, e decise che non era poi così folle.
Io non l’avevo visto morire.
Forse era ancora vivo.
Razionalmente rigettavo quel pensiero, perché era talmente tanto assurdo, talmente tanto pazzesco da essere impensabile. Il vero problema era che si era accesa dentro di me una speranza, un qualcosa di talmente tanto radioso, vivo e luminoso, da essere insopportabile. Rassegnarsi alla sua morte aveva inaridito il mio spirito, e mi aveva reso insensibile oramai al dolore; la speranza che potesse non essere così aveva sfondato con la forza di un carro armato le convinzioni con le quali convivevo.
L’odore che avevo sentito aveva rischiarato il buio che avevo dentro, aveva acceso una piccola fiammella di speranza, che presto diventò una vera e propria ossessione, un incendio tale da bruciare il bozzolo dentro il quale mi ero riparata dal mondo esterno.
Arrivai sull’orlo della follia, uscivo tutte le notti per controllare che ci fosse ancora, ma non mi avvicinavo mai troppo al punto dove immaginavo si trovasse, quindi l’odore rimaneva confuso, e non riuscivo a distinguere se fosse davvero il suo.
Ero come impazzita. Avevo seguito il suo odore per tutte le strade della città, tenendomi sempre a debita distanza dalla fonte primaria, naturalmente, ma quella notte mi ero decisa finalmente a vedere chi fosse.
Probabilmente anche lui sapeva che c’era qualche altro vampiro in zona, perché sapevo anche io di non essere l’unica, ma io a quell’epoca mi nutrivo ancora di sangue umano, sebbene cercassi di mortificarmi il più possibile, andando a caccia molto di rado, lasciandomi soffocare dalla sete, divorare dal bisogno di sangue, per puro autolesionismo.
Anche lasciarmi andare a quella stupida e inutile speranza era un modo per farmi del male. Sapevo perfettamente che non poteva essere lui, altrimenti perché non mi aveva cercata?
Però, in fondo, ero stata io la causa delle sue sofferenze, ero stata solo una disgrazia per lui. Perché mai avrebbe dovuto cercarmi?
Una parte del mio cervello mi suggeriva che quello non era il suo odore, che conoscevo bene l’odore della sua pelle, e che quello che sentivo non era altrettanto buono come il suo. Ma, in fondo, erano passati molti anni, potevo anche averlo dimenticato, no?
Invece mi sbagliavo. Non avrei mai potuto dimenticare il suo odore, come mai avrei potuto dimenticare ogni singolo particolare della sua intera esistenza. Eppure nulla riusciva a spegnere quel piccolo scorcio di luce, la fiamma che brillava incurante nelle tenebre che avevo dentro, nonostante tutti i tentativi di soffocarla, di soffiarla via.
Ma gli occhi dei vampiri sono infallibili, esattamente come lo è il nostro olfatto.
La notte che lo vidi seppi all’istante che non poteva essere lui, che lui non era Vincent.
Quindi si, è decisamente un eufemismo usare la parola “sorpresa” per descrivere quello che provai in quel momento. Sinceramente, non credo esista qualche vocabolo che riesca a racchiudere tutto quello che accadde nell’istante in cui realizzai quella che poi, effettivamente, era una verità che conoscevo, visto che sapevo perfettamente che Vincent non c’era più, e che niente l’avrebbe riportato indietro. So solo che, all’improvviso, sentii una folata di vento gelido attraversarmi da parte a parte.
E tutto tornò ad essere buio.



***





Et voilaaaaaaaaaaaaaaà promessa mantenuta :)
Come ho preannunciato nel prologo di questa storia, per cercare di rimanere il più fedele possibile alla storia originale ho dovuto fare non pochi salti mortali, e questo capitolo può essere inteso come un triplo salto carpiato con doppio avvitamento a testa in giù (madonna mia ma che salto è?!?!); ecco, è un modo carino per dire che non mi ha reso la vita molto facile, perché non sapevo proprio come caspita farli incontrare… Non so come sia il risultato finale, spero di essere stata abbastanza realistica e convincente :)
Spero anche che sia lungo abbastanza da tenervi impegnati fino al prossimo capitolo… che posterò il prima possibile! Al prossimo post… un bacio grande a tuttiiiiiiiii :*





***





  
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