Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ellery    06/03/2017    1 recensioni
Francia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importante azione militare degli Alleati. Allo spietato capitano Weilman si contrappone il Maggiore Erwin Smith, altrettanto desideroso di ottenere informazioni; almen fino a che qualcosa non scatterà nella mente del giovane ufficiale, portando alla luce vecchi debiti e promesse.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero.
La ff, a più capitoli, si propone di partecipare alla Challenge AU indetta sul forum da Donnie TZ. Prompt: Historical AU! IIWW = seconda guerra mondiale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Farlan, Church, Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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29. Un mostro


Marzo 1942. Territorio occupato, Nord della Francia. Dintorni di Le Blanc.
 

Nanaba scoccò uno sguardo al cielo, dove fitte nubi preannunciavano pioggia. Un vento freddo frustava la vallata, costringendo la donna a nascondere il naso dietro una sciarpa di lana grezza. Strinse il cappotto color oliva, allacciandolo in vita, prima di tornare ad accucciarsi tra i cespugli. Le sentinelle al ponte avevano riferito d’aver scorto i camion tedeschi; erano soltanto cinque, proprio come annunciato dall’informatore il giorno precedente. Li avevano visti frenare bruscamente, squadrare la voragine con diffidenza e tornare indietro, piegando verso la via che conduceva nella gola. Quegli sciocchi avevano deciso di tentare comunque il passaggio, malgrado la strettoia ed il terreno sconnesso.

Si acquattò dietro un arbusto, osservando la strada sottostante attraverso i rami spinosi. Una quindicina di metri più in basso, la viuzza sterrata si snodava lungo le pareti della gola; per raggiungerla, le sarebbe bastato affrontare la ripida discesa a ginocchia flesse o strisciando tra i sassi e le sporgenze. Viceversa, salire sul crinale era più semplice: da entrambi i lati, i pendii divenivano più morbidi ed erbosi, offrendo migliori appigli; certo, niente che un veicolo potesse scalare, ma i piedi allenati dei soldati avrebbero potuto facilmente guadagnare la sommità delle colline. Non poteva permetterlo: se i soldati nemici li avessero raggiunti, li avrebbero costretti ad uno scontro in campo aperto, vanificando il loro vantaggio.

Poggiò l’indice sul grilletto del fucile, trattenendo il respiro al notare cinque sagome profilarsi all’orizzonte. Erano semplici camion militari, coperti da teloni verdastri e dalla carrozzeria infangata. Le buche sforzavano continuamente gli ammortizzatori, che producevano un fastidioso cigolio.

«Arrivano» sussurrò, scoccando una occhiata alla propria sinistra; Gabriel, Pascal e Pierre le regalarono un cenno d’assenso: erano pronti. Li scorse afferrare le micce e collegarle agli inneschi: le dita si muovevano sicure, senza alcun tentennamento. Lesse risolutezza sui volti; il loro compito era semplice, ma fondamentale: dovevano soltanto abbassare una leva e le mine sarebbero brillate immediatamente.

«Aspettate quando saranno a portata di tiro. Attendete il segnale del maggiore» un altro sguardo, questa volta oltre le spalle. Erwin si era appostato dietro un robusto masso. La capigliatura bionda sporgeva leggermente da un angolo, dando al sasso un aspetto buffo: pareva quasi che del grano avesse messo radici sulla roccia. Da quella posizione, tuttavia, non le era possibile scorgere il viso del tedesco: che cosa provava? Ansia? Delusione per quella Germania che si apprestava a tradire ancora una volta? Rimpianto per quei soldati che, di lì a poco, sarebbero saltati in aria, ennesime vittime di un’anima troppo nera per poter essere redenta? Scosse il capo, cercando di concentrarsi. I camion avanzavano velocemente, sobbalzando lungo lo sterrato.

«Tutto bene?» una voce la costrinse a voltarsi verso destra. Mike le aveva posato una mano sulla spalla, stringendo appena per confortarla.

«Sì» rispose soltanto, tornando a studiare la formazione «Dov’è l’Inglese?»

«Laggiù» suo marito le indicò un basso cespuglio, dietro cui si intravedeva una sagoma rannicchiata «Erwin avrebbe preferito che rimanesse alla cascina, ma… ha voluto raggiungerci a tutti i costi. Lo abbiamo confinato nelle retrovie»

«Perché?»

«È un pilota. Dubito che sappia come si combatte sulla terra ferma»

«È comunque un altro paio di braccia volenterose. Digli di avanzare, quando attaccheremo»

Un cenno d’assenso e nuovamente silenzio, rotto solo dal motore dei mezzi in avvicinamento. Il primo camion entrò nella gola, con uno scricchiolio assordante.
«Dovrebbero ricontrollare gli assi delle ruote» colse il bisbigliare sarcastico del compagno. Mosse una mano, intimandogli di tacere, mentre gli occhi chiari rimanevano incollati al percorso. Scrutò attentamente il retro della vettura: oltre il bordo del telo scuro si intravedevano le ginocchia e gli stivali dei soldati. Fu così anche per il secondo, mentre sul terzo notò chiaramente le casse delle munizioni. Schioccò due volte la lingua sul palato, richiamando l’attenzione del maggiore; mimò un tre con la mancina. Gli ultimi due mezzi ospitavano ancora truppe. Scosse il capo, incerta: erano in numero nettamente inferiore, rispetto ai nazisti. La loro unica possibilità era farli saltare e sperare che questo bastasse ad annientarli.

Fremette quando scorse il primo camion arrivare al limite della gola. Ancora qualche metro e l’avrebbe superata del tutto. Che diamine stavano aspettando?! Guardò freneticamente attorno a sé, cogliendo gli artificieri pronti, accanto a Smith: l’uomo teneva il pugno alzato e le iridi incollate alla testa del convoglio.

«Che sta facen…?»

Non riuscì a concludere la frase. Un boato squarciò l’aria del mattino, mentre il fuoco si sollevava dal terreno, incendiando rapidamente i telai, le ruote, le divise dei soldati. Una seconda esplosione e poi una ancora. Il fragore si propagò lungo tutta la vallata, rimbombando tra i pendii erbosi. Il terzo camion saltò in aria, bruciando rapidamente. Schegge metalliche volarono in ogni direzione, ferendo e mutilando. Al frastuono delle esplosioni seguirono le urla, lo sgomento ed il dolore: scorse un ufficiale gettarsi da un oltre le fiamme, trascinando un compagno senza una gamba. Il sangue scorreva lungo il terreno, arrivando a bagnare gli stivali di improvvisate torce, contorte dal dolore e dall’affanno. Altri due scoppi segnarono la fine degli ultimi camion e la scena si ripeté davanti ai suoi occhi: la benzina schizzò alta quando una lamiera frantumò il serbatoio; il carburante si incendiò, attaccandosi agli abiti dei tedeschi vicini. Il panico corse nella gola, accompagnato dalla morte inesorabile. Quegli uomini stavano ardendo come fiaccole o giacevano dissanguati; i pochi superstiti cercavano di soccorrere i feriti, tamponando le fiamme con i teli dei camion. Altri tentavano inutilmente di arrestare le emorragie. I volti di tutti erano bagnati dal terrore, dallo sgomento, mentre una sola domanda correva sulla bocca di tutti: perché? Chi aveva scelto per loro quella fine orribile? L’odore di carne bruciata si propagò nell’aria, accompagnandosi a quello della gomma fusa, della benzina ed al calore scoppiettante del fuoco.

Rannicchiato dietro uno pneumatico, un cadetto pregava silenziosamente, le mani tremanti giunte al petto.
«Mutti! Mutti!»
Non conosceva il tedesco, ma Mike si era sforzato di insegnarle qualche parola. Mamma! Mamma!

Colse una morsa serrarle lo stomaco; il fucile le cadde di mano, mentre gli occhi si rifiutavano di abbandonare la carneficina. I ribelli avevano aperto il fuoco: i proiettili calavano inesorabili sui sopravvissuti, mietendoli uno ad uno. Le urla raddoppiarono. Qualcuno cercò di rispondere ai colpi, ma inutilmente. Smith era in piedi e abbaiava ordini a destra ed a manca: gli uomini obbedivano prontamente, senza neppure chiedersi che stavano facendo. Quanto carisma possedeva un uomo del genere? E quanto poteva essere sporca la sua coscienza? Il sangue correva lungo le braccia robuste, arrivando a bagnare le dita sino alla punta; poteva quasi immaginarle tinte di scarlatto, impossibili da lavare. Non c’era redenzione per un’anima simile. Gliel’aveva inutilmente promessa, spacciandola per un perdono che non avrebbe conquistato neppure aiutando la loro causa. Tuttavia, non poteva addossare la colpa di quel macello ad un solo uomo: ne era complice anche lei. In fondo, lo aveva convinto – quasi obbligato – ad elaborare quel piano. Come aveva detto? Rimanere indifferenti non significava essere salvi. Al contrario, gli aveva rinfacciato Hannut finché Erwin non aveva ceduto. Aveva elaborato un piano per lei, per soddisfare le sue richieste: fermare i nazisti, bloccare i rifornimenti, non concedere quartiere. Il maggiore aveva solo assecondato quelle pretese assurde ed egoiste. Se solo si fosse fermata a riflettere sulle conseguenze dei propri capricci…

Non erano solo le vite dei propri uomini, quelle che stava cercando di proteggere. Forse, salvare Alain, Gabriel, Pascal e tutti gli altri, non era altro che una scusa; una facciata per mantenere linda la propria coscienza: per non sporcarsi, per non rischiare di ritrovarsi con l’anima macchiata indelebilmente; per concedersi facilmente il perdono e non ritrovarsi con le mani intinte nel sangue. Aveva lasciato che Smith si facesse carico di quell’ennesimo peso; aveva permesso che fosse lui a portarlo, sulle sue spalle. Non erano forse tanto robuste da reggere quell’ennesimo peccato? Senza dubbio. Un peccato che nessuno desiderava affrontare, neppure lei. Erwin era capitato al momento giusto: gli aveva vomitato contro tutto il disprezzo, l’odio, la vergogna e…lui aveva sopportato. Si era addossato anche i suoi delitti, senza nemmeno provare a ribellarsi. Era abitudine, la sua? Probabilmente sì. Forse era assuefatto da tali comportamenti che ormai non ci faceva più caso: la gente gli accollava crimini e mancanze e lui se ne prendeva la colpa, in silenzio ed a capo chino.

«È un mostro…» sussurrò, studiando per un istante i lineamenti duri, che non tradivano alcuna espressione. Erwin era immobile, come una statua stagliata contro il cielo grigio di un mattino qualunque. Le falde del cappotto scuro svolazzavano lungo i fianchi, come fossero le corte ali di un assurdo demone.

Non poteva essere un comune mortale, di questo ne era certa. Più lo guardava e più gli sembrava una figura eterea, fuggita dalle pagine di un libro del terrore. Uno di quei volumi che da piccola cercava di sfogliare di nascosto e che suo padre prontamente le sottraeva. Edgar Allan Poe e Mary Shelley non erano autori adatti ad una bambina di otto anni. Eppure… il signor Poe e la signora Shelley non avrebbero mai potuto prevedere che una delle loro macabre creature sarebbe sfuggita al racconto. Che cosa c’era di umano, oltre quel guscio di carne ed ossa? Era rimasta della luce, in quell’animo turbato? Oppure vi erano solo tenebre, intente ad erodere anche gli ultimi barlumi di speranza? Era così diverso dall’uomo con cui si era confidata al vecchio silos. Allora gli era parso tormentato, ma ancora comprensivo e terreno. Ora, invece, non rimaneva più nulla di quella persona: era come se un’altra figura si fosse sostituita al maggiore Smith. Qualcuno di spietato, di freddo e troppo calcolatore per poter essere coinvolto dalle emozioni mondane. Troppo per poter essere salvato.

«Nanaba! Nanaba!»

La voce di Mike la riportò bruscamente alla realtà. Le sue dita si strinsero sul fucile e le sue ginocchia scattarono verso l’alto, permettendole di sbucare a stento da dietro il cespuglio che le aveva offerto riparo.
C’era ancora qualcosa che poteva fare, per riscattarsi: porre fine a quelle inutili agonie. Cancellare quelle preghiere, annullare le urla e sfruttare un proiettile come unica terapia.

Mosse la canna verso il primo soldato, dal cui petto sbucava la punta acuminata di una scheggia; tirò il grilletto e vide il ferito accasciarsi come una marionetta senza fili. Un altro sparo ed un’altra morte: un uomo avvolto dalle fiamme crollò a terra ed il compagno agonizzante lo raggiunse poco dopo. Uccidere poteva essere una forma di riscatto? Forse… Non aveva scelta. Quei volti terrorizzati, le grida, le suppliche avrebbero tormentato i suoi sogni; l’unico modo per celarli era spegnerli definitivamente e sperare che quella inconsueta forma di pietà bastasse a salvarla. Avrebbe lasciato alle madri, alle mogli, ai figli il compito di maledirla. Per quegli sfortunati, però, i suoi colpi sarebbero apparsi come il solo regalo in una vita troppo breve ed ingiusta.
 

***
 

Erwin non abbassò lo sguardo, nemmeno al cogliere l’ultimo e fragoroso scoppio: il serbatoio del quinto camion aveva preso fuoco, esplodendo poco dopo. Le urla si erano moltiplicate, così come il suono degli spari ed il crepitare intenso delle fiamme. Si rifiutò di staccare gli occhi dall’orizzonte, ora inondato da una densa nuvola nera. Sapeva già cosa avrebbe visto: l’ennesima strage, i soliti volti segnati dalla paura e dall’orrore e il sangue arrivare nuovamente a lambire le sue dita. Scosse piano il capo, come a scacciare quei lamenti che tentavano disperatamente di trascinarlo nella realtà. Chiuse involontariamente i pugni, serrandoli lungo i fianchi. Quando sarebbe finito tutto ciò? Quando la morte avrebbe smesso di sfruttarlo come strumento per mietere anime?

Batté le palpebre, infastidito dal fumo che si stava propagando rapidamente, salendo in cielo in volute compatte e dense, diramandosi come una infida nebbia scura. C’era qualcosa, tuttavia, di sbagliato: nella nube nerastra si era acceso un fascio di luce, brillante come una coppia di occhi gialli. Poco dopo, un secondo paio fece capolino tra le spire del fumo: fanali giallastri, senza dubbio. Fari rotondeggianti, troppo grandi per appartenere ad una macchina; adatti solo a delle camionette.

«Maledizione!» ringhiò a denti stretti, agitando un braccio in direzione dei ribelli «Arrivano altri due mezzi! Concentrate il fuoco su di loro» gridò, mentre il sibilare di alcune pallottole arrivava a straziare l’aria circostante.

Come era possibile? Gli informatori avevano parlato solamente di cinque veicoli, di cui quattro con truppe. Perché ne erano sopraggiunti altri due? Che fossero rinforzi al convoglio, rimasti indietro? Oppure…

La verità prese forma davanti ai suoi occhi: i camion tedeschi si erano fermati prima dell’incendio, vomitando ciascuno una ventina di soldati, che iniziarono immediatamente ad arrampicarsi sui crinali ripidi. Li vide salire agilmente, balzando da una roccia all’altra, sfruttando i punti maggiormente sicuri ed usando gli arbusti come appiglio.

«Non devono raggiungerci…» sussurrò, sollevando nuovamente una mano «Fermateli! Non devono salire!» ordinò, sforzandosi di apparire sicuro, di non lasciare trasparire alcuna incertezza. Il suo piano si stava lentamente sgretolando: l’attacco era stato un successo e l’avrebbero spuntata facilmente se non fossero sopraggiunti dei rinforzi inaspettati; il loro vantaggio si era drasticamente ridotto ed i rapporti si erano ribaltati: per ogni ribelle, si contavano due, tre nemici.

Scosse piano il capo, aggrottando la fronte. C’era qualcos’altro che gli sfuggiva, che non aveva considerato. Caricò la Mauser, puntandola verso il bordo del crinale al vedere un elmetto scuro spuntare da oltre un cespuglio. Premette sul grilletto, ricaricò, scaricò un altro colpo. Scorse l’uomo boccheggiare ed accasciarsi, accanto ad un compagno già ucciso.
Sparava meccanicamente, senza riuscire a collegare: perché la presenza di quei veicoli a supporto? L’informatore non ne aveva parlato. Che fossero parte di un altro convoglio? Oppure…

Realizzò troppo tardi. Uno scoppio vicino gli ferì le orecchie e la gamba sinistra lo tradì inaspettatamente. Colse un bruciore attraversargli la coscia, l’odore metallico arrivare a stuzzicargli le narici e un liquido caldo bagnare la stoffa dei pantaloni.
Abbassò le iridi un solo istante, il tempo necessario ad individuare il foro che attraversava i tessuti, prima di crollare in ginocchio, incapace di sostenersi ulteriormente. Premette le dita sulla ferita, cercando di arrestare l’emorragia improvvisa, mentre una leggera risata lo raggiungeva. Lo sguardo intercettò una figura baldanzosa emergere dal fumo nero.

Weilman indirizzò la corta canna della pistola verso il suo petto, concedendosi un leggero sogghigno:
«Guten morgen Herr Major»
 

 

Angolino: eccomi di ritorno! Questa volta aggiorno più rapidamente ^^
Spero di poter proseguire presto, tempo e ispirazione permettendo.
Non ho particolari appunti sul capitolo; finalmente, il piano si concretizza e viene messo in atto ^^
Al solito, vi ringrazio per aver letto fin qui. Se avete consigli, scrivetemi pure *_*
Un ringraziamento a Auriga e Shige per avermi sopportato nel weekend e per aver letto in anteprima questo brano. Ho ottenuto il loro via libera alla pubblicazione, quindi... beh, eccolo qui.
Un abbraccio e ancora grazie

E'ry
  
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