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Autore: Giulietta beccaccina    07/03/2017    1 recensioni
Dal testo:
"Eccolo lì. Seduto su una sofisticata sedia in pelle nera, i gomiti appoggiati sulla scrivania di vetro e le mani che stringevano convulsamente la tazza di caffè, gentilmente offertagli dalla segretaria per allietare l'attesa.
La mano sinistra era nascosta da un guanto scuro, forse per passare inosservato. O forse perché lui stesso non voleva avere in continuazione sotto gli occhi la protesi meccanica. Si fermò sulla soglia dell'ufficio, osservandolo mentre si sistemava sulla sedia, senza trovare davvero una posizione comoda, e guardarsi attorno con fare guardingo.
Poi, gli occhi grigi dell'uomo di fronte a lei puntarono la sua figura.
La prima impressione fu quella di un randagio. Un cane randagio ferito e sospettoso, incapace di fidarsi di chi aveva intorno.
Ma come dargli torto?
La vita non era forse già stata abbastanza beffarda con il Sergente Barnes?"
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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KISS ME
 
 
 
 
Your heart's against my chest
 
Lips pressed to my neck
 
I've fallen for your eyes
 
But they don't know me yet
 
ED SHEERAN
 
 
 
 
Barney...?”
 
Al suono di quella voce l'uomo sgranò gli occhi.
 
Non poteva essere...
 
Clint?”
 
 
 
 
Barney non poteva crederci. Aveva evitato di incontrare il suo fratellino durante tutti quei mesi nei quali lo studio era stato letteralmente invaso dai Vendicatori e dallo S.H.I.E.L.D., ed ora se lo ritrovava davanti in uno dei più grandi aeroporti del paese.
 
La solita cazzo di fortuna, Barney...
 
I due si guardavano sulla difensiva, quasi increduli di trovarsi in quella imbarazzante situazione, senza sapere cosa dirsi. O se dirsi qualcosa.
 
"Non dovresti essere insieme a Psyco? Avevo capito che i Vendicatori erano i suoi nuovi babysitter...”
 
Come ripresosi da uno stato di trans, Clint si riscosse improvvisamente.
 
“Dovevo tornare a-“
 
Occhio di falco si fermò un momento, spostando il peso da un piede all'altro in cerca delle parole giuste da usare. L'ultima cosa che desiderava era litigare con Barney in mezzo ad una folla di curiosi.
 
Tipico dei Barton dare spettacolo.
 
“Dovevo tornare a casa...”
 
Sì, casa. Casa suonava meglio di famiglia.
 
Sai fratellone, stavo tornando dalla mia famiglia, quella di cui tu non fai parte.
 
Sì. Casa suonava decisamente meglio.
 
Barney assottigliò gli occhi puntandoli in quelli incerti di Clint, sul viso un'espressione truce.
Sapeva che Clint aveva una famiglia. Ogni tanto gli mandava delle foto o dei disegni dei bambini. Gli arrivavano durante le festività o poco dopo i compleanni, con delle piccole note sul retro delle cartoline con su scritto i nomi dei ragazzi, la loro età, i risultati delle pagelle o qualche buffo aneddoto che avrebbe fatto sbuffare divertito un qualsiasi altro zio.
Ma lui non era uno zio. Lui non sbuffava divertito da quelle storielle, lui non incorniciava le foto, non appendeva al frigo i disegni stropicciati e colorati dei nipoti. No. Lui non era uno zio. Lui era Barney e nascondeva tutto ciò che gli ricordava Clint in una scatola infondo all'armadio e rispondeva agli auguri di buon compleanno solo per evitare che suo fratello piombasse a casa sua per verificare se fosse ancora vivo.
 
Lui era Barney e pensava solo a se stesso.
 
Clint distolse lo sguardo da quello di Barney come se ne fosse scottato. Sapeva cosa stava succedendo. Sapeva cosa le sue parole avevano scatenato dentro Barney. E si malediva per questo. Lui non avrebbe mai voluto far del male a suo fratello, eppure ogni volta che ci parlava gli sembrava di pugnalarlo a morte. Era una situazione estenuante. Quando erano solo dei bambini, Clint credeva che un giorno sarebbe andato tutto per il verso giusto. Era convinto che i pianti sommessi della madre sarebbero diventati un ricordo lontano e che le urla violente del padre avrebbero perso importanza, svanendo nel corso degli anni sino a finire nel dimenticatoio. Il piccolo Clint si era convinto che un giorno sarebbero stati abbastanza forti da lasciarsi il passato alle spalle e vivere felici e contenti. Ma la vita non è una fiaba. Nella realtà gli indifesi o periscono o prendono il posto dei loro mostri. E il piccolo Clint lo avrebbe scoperto presto. Si ricordava ancora la sera dell'incidente: ricordava la tremenda puzza di alcol nell'auto, sua madre che con voce flebile chiedeva ad Harold di rallentare. Ricordava anche il respiro trattenuto quando la macchina sbandò improvvisamente e si capovolse con un forte stridio che perforava i timpani. Si ricordava nitidamente le mani di Barney che gli prendevano la testa e se la stringeva al petto, in un disperato tentativo di proteggerlo.
 
Clint si ricordava orribilmente del rivolo di sangue scuro e grumoso che colava dalla tempia di Edith –di sua madre- e del suo capo riverso in una posa del tutto innaturale...
 
Quello che accadde dopo fu confuso e caotico: le sirene dell’ambulanza, i soccorritori che li estraevano dal quell’ammasso di rottami, gli assistenti sociali che li portavano via dall'ospedale mentre gli spiegavano quando sarebbero avvenuti i funerali dei genitori.
Era stato tutto un enorme caos. Ma andava bene lo stesso, perché era con Barney e Barney non lo avrebbe mai lasciato.
Il piccolo Clint era convinto di questo.
Eppure, a distanza di anni, eccoli lì i fratelli Barton. Due estranei in un aeroporto qualsiasi in un giorno qualunque.
 
Il piccolo Clint sapeva che suo fratello non lo avrebbe mai lasciato. Ed ora il Clint adulto si domandava chi davvero tra i due avesse fatto il primo passo per prendere le distanza dall'alto.
 
Stava per chiederglielo Clint. Stava per chiedere a quell'uomo chi fosse venuto meno alla loro promessa, chi avesse reciso il loro legame. Ma Barney lo precedette prima che potesse dire qualcosa di irreparabile.
 
“E perché dovevi?”
 
Ancora scombussolato Clint ci mise qualche istante di troppo prima di rispondere. Sapeva che avrebbe dovuto muoversi, che la squadra lo stava aspettando per cercare Barnes. Ma Barney era lì davanti a lui, in carne ed ossa, e gli stava parlando. E Clint avrebbe tanto voluto fermare il tempo e tornare ad essere di nuovo solo Clint e Barney per un momento.
 
"Problemi sul lavoro."
 
Barney rimase un attimo di sasso. Problemi sul lavoro significava problemi con Barnes. E problemi con Barnes poteva significare problemi per Jules.
 
“Che ha combinato il Soldato? Problemi allo studio legale?”
 
Clint, completamente esterrefatto, non fece in tempo a chiedere come facesse a sapere tutte quelle cose che il telefono cominciò a squillare ininterrottamente a ritmo di Welcome to the jungle. Rogers stava avendo un’altra crisi isterica probabilmente.
 
“Pronto Cap, sto arriv- Stark? Che cazzo ci fai con il cellulare di Rogers? E chi cazzo sta urlando?!”
 
Barney guardava sempre più confuso il fratello ad ogni nuova domanda.
Che cazzo stava succedendo?
 
“Leighton chi? Cazzo! Perché ti sei portato dietro la ragaz- Critso, sì! Arrivo.”
 
Clint mise giù la chiamata stizzito. Possibile che non potesse assentarsi meno di quarantotto ore che succedeva un casino?
Doveva muovere il culo ed anche subit-
 
“Muoviti, ho l’auto parcheggiata qua vicino.”
 
“Non è una buona idea Barney… è una situazione delicata ed io-“
 
Occhio di falco non riuscì a terminare la frase che Barney lo agguantò per il bavero della camicia, portandoselo a pochi centimetri dal viso.
 
“Devo assicurarmi che Jules stia bene, quindi basta cazzate e non stare a perdere tempo come un cretino!”
 
Clint si ritrovò così a sistemarsi le pieghe del colletto mentre seguiva velocemente Barney verso l’uscita dell’aereoporto, sapendo già che quella situazione non avrebbe portato a niente di buono.
 
 
 
 
 
-
 
 
 
 
 
Glielo diceva sempre suo padre.
 
Nella vita si raccoglie sempre quel che si semina, tesoro. Non puoi pretendere il lieto fine se provochi la tempesta.
 
Ed eccola lì, capelli arruffati e borsetta stretta tra le mani, mentre alternava lo sguardo da Captain America ad Ironman nel bel mezzo del nulla.
C’era solo un piccolo appunto che avrebbe dovuto fare a suo padre, qualora fosse uscita viva da quella situazione: una volta scatenata, la tempesta travolgeva anche chi non la aveva causata, incurante dei meriti e delle colpe.
Ed eccola perciò a chilometri di distanza da New York, alla ricerca di un cliente –amico- nel pieno di un esaurimento nervoso ed un gruppo di eroi con un diavolo per capello.
 
Altro che tempesta. Per i suoi standard quella era già l’apocalisse.
 
“Dove diavolo sono gli agenti di Coulson? Non avevi detto che avevano tutto sotto controllo?”
 
“Stanno controllando il perimetro, e fino a qualche ora fa era tutto a posto.”
 
“Ah! A posto! Talmente tanto a posto che adesso siamo a fare una bella scampagna nella natura. Ehi, Romanoff! Hai portato il cestino da pic-nic? Sai, Rogers aveva voglia di una bella gita di gruppo!” se ne uscì Stark, agitando platealmente il cellulare che aveva ancora tra le mani.
 
Natasha Romanoff sospirò pesantemente, insofferente a qualsivoglia lamentela. Erano in quella situazione di merda da ore oramai, e quei due non facevano altro che scannarsi come iene. L’insofferenza si sarebbe presto trasformata in furia omocida, senza dubbio.
 
Frastornata da tutte quelle urla, Jules si allontanò di qualche passo, superando alcuni alberi e fermandosi in una piccola radura. Tutto quello che le stava accadendo era inverosimile. Quando si era auto invitata a quella missione di recupero non aveva valutato le consequenze delle sue azioni. Cosa pensava di fare? Lei non era un eroe, né un’agente addestrato o una persona avvezza a gestire certe emergenze. Non era quello il suo ambiente. Rischiava di essere più di peso che di aiuto e questo pensiero non faceva che agitarla ulteriolmente. Goffamente appoggiò la schiena al tronco di un albero, lasciandosi scivolare a terra con gli occhi chiusi. Inspirò ed espirò più volte, immaginando di trovarsi da tutt’altra parte. Ci volle qualche minuto, ma poi ci riuscì. Sentì nelle narici l’odore del lucido per legno, nelle orecchie il martello che picchiava deciso richiamando all’ordine, nella testa era vivida la scritta alle spalle di un giudice senza volto. In God We Trust. Si figurava il posto nel quale si sentiva più a suo agio, nel quale poteva muoversi con maestria tra un’obbiezione e l’altra e finalmente il cuore tornò a battere ad un ritmo più umano, senza più la minaccia che potesse uscirgli all’improvviso dal petto.
Quello non era decisamente il suo posto, e per un attimo si chiese se anche James si fosse sentito così.
 
Fuori luogo.
 
Insicuro ad ogni passo.
 
Incerto ad ogni parola.
 
Era una sensazione soffocante, che ti costringeva a trovare un’uscita d’emergenza da quel vicolo cieco. E James l’aveva trovata, buttandosi da una finestra ed allontanandosi dalla fonte della sua ansia.
 
Ma a quale prezzo?
 
In quel momento si trovava da solo, senza una meta, lontano dalle persone che gli volevano bene e che volevano proteggerlo.
Non era nemmeno certa che avesse un pensiero a cui aggrapparsi per trovare sollievo, come aveva appena fatto lei.
Era un uomo confuso, James. Si sentiva fuori posto, ma non poteva fare niente per rimediare perché la realtà era che un posto giusto non lo aveva. Jules si domandò allora come avrebbe potuto aiutarlo se non ci erano riuscite nemmeno le persone più vicine al suo mondo. Quel maledetto vicolo cieco, visto da quel punto di vista, sembra davvero senza nessuna via d’uscita.
 
Ancora agitata Jules si rimise in piedi, scrollandosi via di dosso il terriccio che le era rimasto attaccato al cappotto. Si stava voltando verso la direzione dalla quale era giunta, quando un leggero bagliore colse la sua attenzione. Si voltò per capire quale fosse l’origine di quel lampo non aspettandosi di certo una tale svolta.
 
James Barnes era lì, a pochi metri da lei.
 
I tenui raggi del sole colpivano timidamente la protesi meccanica, riflettendosi ed infrangendosi in giochi di luce abbaglianti. Rimase immobile, il fiato mozzato sotto il peso di quegli occhi freddi e penetranti. Mai Serge la aveva guardata in quel modo, mai. Si trattava di uno sguardo vuoto ed incolore, privo di qualsiasi emozione. Era uno sguardo difficile da sopportare, quasi inaccettabile dopo aver saggiato sulla propria pelle di quante incredibili sfumature potevano tingersi gli occhi di quell’uomo.
Eppure, per quanto quello che aveva di fronte potesse sembrare Serge, per Jules fu difficile crederlo.
Come ipnotizzata, la giovane si avvicinò con innaturale calma alla figura che si stagliava di fronte a lei, cercando di capire passo dopo passo se si trattasse davvero di Barnes oppure se fosse un brutto scherzo della sua immaginazione.
 
Serge se ne stava lì a fissarla in religioso silenzio, senza alcuna apparente preoccupazione, mentre un’intera squadra di agenti addestrati lo stava cercando senza sosta.
 
L’espressione di James si fece più attenta, vigile nel tentativo di prevedere la prossima mossa della ragazza.
Sapeva chi era. Sapeva di provare un tenero sentimento nei suoi confronti. Ma in quel momento gli sembrava tutto troppo lontanto, come se non fosse più il padrone delle proprie emozioni o del proprio corpo e si trovasse ad assistere alla scena come uno spettatore inerme.
 
Cosa sarebbe accaduto alla dolce fanciulla? Chi aveva appena trovato nel bel mezzo del bosco? Un cavaliere dalla scintillante armatura, oppure un affamato lupo cattivo pronto a mangiarsela?
 
Serge sapeva che la fine di quella storia la avrebbe scritta lui, ma il problema è che non aveva idea di come farlo.
 
“Non- non dovresti essere qua…” ruppe il silenzio.
 
Quelle parole gli costarono molto. Erano ore che non apriva bocca, eppure gli sembrava di non parlare da una vita intera. La voce roca era talmente bassa che si stupì sentendola rispondere alla sua domanda.
 
“Nemmeno tu.”
 
Erano ormai a poco meno di mezzo metro l’una dall’altro, gli occhi fissi e in attesa di qualcosa che non sapevano nemmeno loro.
Jules alzò piano una mano, ragiungedo il viso di James. Con la punta delle dita gli sfiorò una guancia, partendo dalla tempia e percorrendo la madibola serrata. L’altra mano, una volta liberatasi dal peso della borsa, si aprì sul suo petto, all’altezza del cuore. Poteva sentirlo chiaramente infrangersi contro il suo palmo ad un ritmo incalzante, quasi all’inseguimento del suo.
Era una situazione davvero strana, per entrambi. James non aveva idea di come comportarsi. Si aspettava di trovare Steve, o un qualsiasi altro suo compagno pronto a ricondurlo alla base. Di certo non si sarebbe mai immaginato di trovarsi di fronte a Jules. Ed invece la aveva trovata seduta contro un albero, con un’espressione smarrita e l’aria di una persona che avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte. Era rimasto ad osservarla, senza emettere un fiato per non spaventarla. I suoi occhi si erano soffermati sui suoi abiti, poco adatti ad una passeggiata nel bosco. E poi aveva alzato lo sguardo sul suo viso ed aveva notato la piega di preoccupazione che le incurvava le spracciglia.
 
Aveva causato lui tutta quella preoccupazione?
 
La colpa si impossessò di lui: si era comportato male nei confronti di Coulson e dei suoi agenti, gli unici che si erano offerti di aiutarli in quel terno al lotto che loro si ostinavano a chiamare missione; aveva ferito Steve, accusandolo di colpe che non aveva; ed ora scopriva che aveva fatto preoccupare anche Jules, l’unica persona che lo aveva trattato come un essere umano e non come una bomba pronta ad esplodere al primo passo falso. Si era fatto trascinare dalla cofusione che aveva in testa, senza tenere conto di tutte le persone che lo circondavano e che stavano facendo di tutto per aiutarlo a voltare pagina, a ricominciare.
Eppure non si erano arresi. Al suo ennesimo cenno di cedimento si erano rimboccati le maniche e lo avevano seguito in quella folle corsa verso il nulla, pronti ancora una volta a raccoglirne i pezzi. Anche Jules era venuta a cercarlo, nonostante non fosse compito suo farlo.
 
Era lì, per lui.
 
Perso nei suoi pensieri James non si rese subito conto di quanto effettivamente fossero vicini. La mano della ragazza ora stringeva la sua maglia all’altezza del petto, come a impedirgli di fuggire da lei.
 
Se solo avesse saputo che l’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era allontanarsi da lei!
 
Cinse la vita di Jules con l’arto sano, per poi raggiungere con l’altra mano quella della ragazza ancora poggiata sul suo viso. La spostò delicatamente, premendosela sulle labbra screpolate e depositandole un bacio umido sul palmo, le palpebre abbassate per godersi meglio quel contatto. Le gote di Jules si imporporarono, imbarazzata da un gesto così intimo.
Quando James tornò a guardarla, perse un battito. L’uomo freddo e distante di pochi attimi prima se ne era andato, lasciando spazio al suo Serge. Le schegge di ghiaccio che la avevano trafitta al loro primo scambio di sguardi si erano sciolte, liberando un oceano in tempesta talmente profondo e travolgente da farle tremare le gambe, mentre la mano del soldato abbandonava la sua per andarle a sistemare una ciocca di capelli dietro un orecchio, indugiando più del dovuto sulla sua guancia. Erano chiusi nel loro mondo, lontani da tutto ciò che accadeva loro intorno ed incuranti del motivo che li aveva fatti giungere a quel punto. Si guardavano, Jules e James, occhi negli occhi non sapendo se osare di più oppure se rimanere così, immobili, per non rompere quell’attimo di pace. Fu lui a prendere l’iniziativa. Erano anni che non avvertiva più simili sensazioni, quel calore dentro che si irradiava in tutto il corpo facendolo sentire vivo. Voleva assaggiare le sue labbra, accarezzarle con gentilezza. Voleva sentire il suo sapore, lo voleva da tempo ormai e non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire l’occasione proprio adesso. Si chinò su di lei circondandole il viso con le mani e le catturò le labbra con le sue. Jules trattenne il respiro completamente scombussolata da quel bacio. Anche a lei era passato per la mente di provarci, di alzarsi sulle punte dei piedi e di accorciare definitivamente la distanza che li separava. Il suo corpo fremeva a contatto con quello di James, sentiva il desiderio crescerle dentro con irruenza, come se avesse abbattuto con irruenza il muro che aveva eretto tra loro per non complicare ulteriormente le cose. Ma il pensiero di Barney la bloccava. Avrebbe voluto rispondere a quel bacio, lasciarsi andare ed affondare le dita tra i capelli di Serge senza preoccuparsi di niente e nessuno. Ma c’era Barney.
 
C’era Barney e quella tacita promessa di ritrovarsi un volta finito quel lavoro fuori città.
 
C’era Barney, ed anche se non stavano insieme, anche se non erano amanti, a Jules sembrò di fargli un torto enorme in quel momento.
Contro voglia si scostò leggermente, incerta nei movimenti. Non voleva ferire James, non se lo meritava. Stava semplicemente rispondendo ai segnali che gli aveva lanciato lei, stava appagando il desiderio che provavano l’uno per l’altra e che fino a quel momento era stato trattenuto. Ma non poteva fare diversamente. Provava dei sentimenti per due uomini diversi, e non voleva tradire la fiducia di nessuno dei due.
 
Peccato che fosse troppo tardi.
 
“Bene, bene, bene… ed io che pensavo di dover fare la parte del Principe Azzurro che salva la Principessa in pericolo!”
 
“Oppure di Mario Bros che va a salvare la Principessa Peach.”
 
“Ottima citazione, bimbo-ragno!”
 
Decisamente troppo tardi.
 
Jules e James si girarono improvvisamente, colti alla sprovvista da quell’inaspettato scambio di battute. Barney, Occhio di Falco e Spiderman erano lì di fronte a loro, ed uno dei tre sembrava decisamente contrariato da quella situazione.
 
“B-barney! Cosa ci fai qua?”
 
Jules non poteva credere ai suoi occhi. Barney li stava fissando con un’espressione contrita, i pugni serrati lungo i fianchi ed una maschera di rabbia a deturpargli il volto. Si era preoccupato. Aveva pensato che la sua bimba fosse nei guai, che avesse bisogno del suo aiuto e così si era fiondato come un pazzo per le strade della città per raggiungerla il prima possibile. Ed una volta raggiunta cosa trova? La sua bimba tra le braccia di quel fottutissimo pezzo di merda.
 
Cosa cazzo stava succedendo?
 
“Quale sarebbe il problema? Ho rovinato il momento con il tuo bel soldato?”
 
Era incazzato, Barney. Lo era sul serio. Era sempre stato un piantagrane, ma Clint aveva visto pochissime volte suo fratello così su di giri. Non aveva idea di cosa lo legasse a quella ragazza, ma di qualunque cosa si trattasse l’aveva fatta grossa. Davvero grossa. Se avesse anche solo immaginato una situazione del genere non avrebbe mai accettato di portarlo con sé. Ci mancava solo una scazzottata tra lui e Barnes, il quale lo scrutava con sguardo indecifrabile.
 
“Non è come sembra… stavamo cercando James e-“
 
“Non sono cose che ti riguardano.”
 
La voce di Barnes interruppe Jules. Suonò ferma e decisa, senza far trasparire nessun tipo di emozione. Si allontanò di qualche passo da lei, voltandosi verso i nuovi arrivati per riuscire a fronteggiare meglio il suo interlocutore. I due uomini si squadrarono senza proferire parola, mettendo in allarme sia Clint che Peter, i quali si scambiarono un’occhiata d’intesa. Jules, nel mezzo ai due, volgeva lo sguardo dall’uno all’altro, indecisa sul da farsi. Parlare con Barney in quel momento non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione: era troppo arrabbiato e non avrebbe prestato ascolto a ciò che aveva da dirgli. Nemmeno iniziare quel discorso con Serge sarebbe servito a molto. La verità era che non sapeva come comportarsi. Non era impegnata con nessuno dei due e non aveva idea di come affrontare quella conversazione. Fortunatamente a toglierla da quell’impiccio ci pensò l’uomo ragno.
 
“Forse è il caso di raggiungere gli altri… stanno ancora cercando il Sergente e saranno preoccupati…”
 
“Sì, sarà il caso…” aggiunse la donna sfiorando appena il braccio di James per incitarlo a seguirla, sotto lo sguardo contrariato di Barney.
 
Il gruppetto si incamminò verso il punto di ritrovo senza aprire bocca. La tensione era palpabile e nessuno sembrava intenzionato a rompere quel precario equilibrio composto da occhiate fugaci e parole non dette.
 
Un solo pensiero accomunava le loro menti. Speriamo che questa giornata finisca il prima possibile.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
| ANGOLO DELL’AUTORE |
Salve a tutti! Mi scuso per la mia assenza prolungata, scrivere questo capitolo è stato davvero frustrante: ero completamente bloccata ed a essere sincera non sono ancora totalmente soddisfatta. In ogni caso ho deciso di pubblicare ugualmente, in quanto credo di dover superare questo scoglio per poter proseguire con calma.
D’ora in avanti cercherò di pubblicare con più costanza, in modo da non farmi odiare troppo da chi segue la storia!
Vorrei ringraziarvi tutti e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, così da aiutarmi a migliorare e/o a rincuorarmi.
Al prossimo capitolo!
  
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