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Autore: Ellery    10/03/2017    1 recensioni
Francia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importante azione militare degli Alleati. Allo spietato capitano Weilman si contrappone il Maggiore Erwin Smith, altrettanto desideroso di ottenere informazioni; almen fino a che qualcosa non scatterà nella mente del giovane ufficiale, portando alla luce vecchi debiti e promesse.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero.
La ff, a più capitoli, si propone di partecipare alla Challenge AU indetta sul forum da Donnie TZ. Prompt: Historical AU! IIWW = seconda guerra mondiale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Farlan, Church, Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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30. Settanta volte sette
 

Marzo 1942. Territorio occupato, Nord della Francia. Dintorni di Le Blanc.
 

«Erwin!»

Levi scattò fuori dal proprio nascondiglio, spianando la canna della Webley davanti a sé. Non era abituato ai revolver, ma Mike gli aveva rifilato soltanto quello. Premette il grilletto, ricaricando velocemente e facendo nuovamente fuoco. Entrambi i proiettili schizzarono nell’aria, mancando il bersaglio. Colse Weilman indietreggiare e sbraitare ordini in tedesco. Cercava aiuto presso i suoi fedelissimi?
Una nuvola di fumo nero tornò ad oscurare la scena, coprendo la visuale per un istante. Ne approfittò per avvicinarsi al maggiore.

«Ce la fai?» chiese, passandosi un braccio attorno alle spalle «Dobbiamo andarcene da qui!» sussurrò, senza celare una nota urgente. Non aveva senso rimanere, non in quelle condizioni; doveva portare il compagno in un luogo sicuro, arrestare l’emorragia e… poi sarebbe tornato a dare man forte ai ribelli e ad uccidere Weilman, senza dubbio. Quel bastardo possedeva un maledetto tempismo: perché spuntava sempre quando erano in difficoltà? Ogni volta che pensavano d’averla scampata, di essere al sicuro, il capitano compariva sulle loro tracce, come un instancabile cacciatore.

«Sì» Erwin cercò di rimettersi in piedi, ma il ginocchio cedette nuovamente. La gamba era ormai inondata dal rosso cupo del sangue, che non accennava a smettere «Non voglio, aspetta… posso farcela…»

Parole testarde, che l’aviatore si sforzò di non assecondare. Circondò i fianchi dell’altro, aiutandolo a sostenersi. Si mosse piano, sforzandosi di non procurargli ulteriori fitte.
«Andiamo…»

«Ma… stanno ancora combattendo. Non possiamo abbandonarli»

«Allez-y!» la voce di Alain si intromise. Il prete indicò la cascina « À la maison! Nous arrêterons les Allemandes»

Scosse il capo, senza comprendere quelle parole. L’unica direttiva, tuttavia, era di raggiungere immediatamente la cascina, che si stagliava sullo sfondo dell’improvvisato campo di battaglia. Quanto poteva distare? Mezzo miglio, forse poco di più. Potevano farcela.

«Grazie» sussurrò, notando altri due francesi accostarsi al religioso, imbracciando i fucili. Alain e gli altri avrebbero coperto la fuga, permettendogli di raggiungere il rifugio. Si sarebbero occupati loro di Weilman e dei suoi stupidi tirapiedi. Strinse meglio il braccio del maggiore, obbligandolo a muoversi passo dopo passo «Andiamo» mormorò «Lo so che è fastidioso, ma devi resistere»

«Se credi sia per la ferita, ti sbagli» il tono del maggiore era asciutto, irritato. Lo vide serrare ritmicamente il pugno destro, quasi in un involontario scatto nervoso «Non voglio scappare. Voglio restare e combattere. È anche la mia guerra, questa! Weilman…»

«Ci penserà Alain… non ci darà più noie, vedrai. Quei ragazzi sono abili e sanno il fatto loro»

«Non ce la faranno. Devo aiutarli»

«Non aiuterai proprio nessuno in questo stato»

Non intendeva ascoltare oltre quelle sciocche lamentele. Si sforzò di accelerare un poco l’andatura, incurante delle rimostranze altrui. Non poteva permettere che Weilman li raggiungesse di nuovo. Avevano temporeggiato troppo e quello era il risultato. Non avrebbero dovuto fermarsi dagli Jaeger e men che meno finire tra le braccia della resistenza; sarebbero dovuti proseguire per il fronte, senza l’aiuto di nessuno, e cercare di raggiungere Limoges soltanto con le loro forze. Scosse il capo. Era tardi ormai per i rimpianti: Herr Kapitan li aveva raggiunti in un batter d’occhio, sfruttando il transito di un convoglio di rifornimenti diretto a sud. Come aveva fatto a trovarli così alla svelta? Nessuna delle ipotesi gli piacque particolarmente: forse Nile li aveva traditi oppure era stata Carla a vuotare il sacco, magari a seguito di percosse e minacce. Perché il loro passaggio sembrava segnato dalla sventura? Ovunque andassero, non portavano altro che distruzione, morte e disperazione. Le loro vite si allacciavano a quelle di poveri sfortunati, la cui unica colpa era stata cercare di aiutarli. Che ne sarebbe stato degli Jaeger? E del comandante Dok? Di Petra e Auruo? Almeno loro si erano salvati, no? Oppure Weilman li aveva stanati e puniti per aver dato rifugio a due ricercati? Non lo sapeva e non era sicuro di voler affrontare la verità. Per Christa ed Eren almeno vi era ancora speranza? O avrebbero pagato anche loro, nonostante l’innocenza e la giovane età?

Si sforzò di scacciare quei pensieri e tornò a guardare innanzi a sé; il profilo della cascina si faceva sempre più vicino e, per contro, il carico sulle proprie spalle aumentava: Erwin stava lentamente cedendo, nonostante si sforzasse di non darlo a vedere. La ferita non accennava a smettere e, nonostante la perdita non fosse più abbondante, il flusso rimaneva fastidiosamente costante, senza diminuire o arrestarsi.

«Siamo quasi arrivati» disse, superando un breve tratto in salita e imboccando una stradicciola sterrata. Si ritrovò a calpestare l’erba ancora fresca, ad insinuarsi tra bassi arbusti ed a lottare contro lo sdrucciolare delle suole sui sassi. Il peso di Erwin si faceva sentire sempre di più, costringendolo a rallentare, a fermarsi per qualche manciata di secondi e poi a riprendere con maggior vigore. La camicia si era incollata al suo petto ed anche il gilet non sembrava in stato migliore; il sudore colava lungo la sua schiena, scomparendo tra le pieghe del tessuto, mentre i capelli si appiccicavano alla fronte ed alle tempie.
«Merda» ringhiò, quando rischiò di perdere l’equilibrio per una radice sporgente «Sei ancora lì?» cercò di ricacciare una gomitata nel fianco altrui «Parlo con te!»

«Lo so…» la voce del maggiore appariva stanca, quasi ovattata. Stava lottando con la stanchezza, con il dolore, sforzandosi di procedere senza lamentarsi. procedeva lentamente, quasi trascinando la gamba sinistra. Se solo fossero riusciti a fermare l’emorragia, sarebbe stato tutto più semplice. Erwin avrebbe dovuto riposare e riprendersi, ma… come potevano, in mezzo a quella distesa di nulla? Occorrevano garze, disinfettanti, delle bende e controllare che il proiettile non fosse ancora all’interno del foro. Non ne era in grado: poteva solo applicare un impacco temporaneo; poi avrebbe dovuto affidarsi a mani più esperte. L’unica chance era raggiungere la cascina e trovare un posto caldo e sicuro dove potessero riposare.

Uno scoppio lo costrinse a spiare alle proprie spalle: il fumo e la polvere erano troppo densi perché potesse scorgere qualcosa, ma il rumore degli spari continuava a martoriare la quiete del giorno. Nessuno, tuttavia, li stava inseguendo; forse Alain era davvero riuscito a fermare gli uomini di Weilman ed a proteggere la loro ritirata. Ancora poco e sarebbero stati salvi, al sicuro tra i muri di pietra della vecchia cascina.
 

***
 

Alain premette il grilletto un’ultima volta, prima di accasciarsi al suolo. Scorse il cranio calvo trapassato dal proiettile e la figura del nazista crollare a terra, esanime. Qualcuno gridò “Fritz! Fritz!” ma non riuscì a comprendere la direzione della voce.

Abbassò lo sguardo sul proprio petto, inondato dal sangue che sgorgava da due ferite simmetriche. Ogni respiro gli provocava delle fitte dolorose, mentre il sapore metallico risaliva lungo la gola e fino in bocca. Un sottile rivolo scarlatto sgorgò spontaneo dall’angolo delle labbra. Riadagiò il capo, cogliendo il leggero pungere di una pietra troppo affilata sotto la nuca.

Anche i suoi due compagni erano caduti: Gerard e Georges giacevano a poca distanza, i fucili ancora in braccio ed i volti esanimi rivolti alla volta annuvolata; le loro anime, senza dubbio, stavano già varcando i cancelli del Regno dei Cieli. Presto anche lui li avrebbe seguiti. Chissà se Dio lo avrebbe accolto come un figlio perduto oppure come il peggiore dei peccatori. Magari, lo avrebbe condannato a bruciare tra le fiamme, a causa della sua superbia e del suo orgoglio. Un prete che appende la tunica al chiodo ed imbraccia le armi? A che scopo? La vana scusa di voler salvare il proprio Paese, difendere i concittadini, restituire dignità alla Francia in ginocchio… erano argomenti validi? Era tutto così confuso!

Dio parlò ad ogni uomo d’Israele e, riguardo i nemici, proclamò: “Tu li voterai allo sterminio; non farai alleanza con loro e non farai loro grazia.”

Quella frase semplice ed incisiva gli rimbalzò nella mente offuscata. Non erano forse parole dei Sacri Testi? Era scritto nel Deuteronomio. Le sue giustificazioni sarebbero state accolte? In fondo, la Bibbia stessa parlava in favore della difesa della patria: era, anzi, particolarmente implacabile e crudele in alcuni versi. Non lasciava spazio a dubbi, ma condannava ripetutamente gli oppositori, senza concedere pietà o grazie. Eppure, il registro cambiava nel Nuovo testamento. A quale Parola avrebbe dovuto dunque dare ascolto?

Quante volte dovrò perdonare mio fratello, se pecca contro di me?
Non ti dico fino a sette, ma settanta volte sette.


Il vangelo di Matteo era sempre stato il suo preferito. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo. Probabilmente, l’idea che fosse stato scritto da un peccatore convertito gli infondeva coraggio. Se il Signore aveva perdonato Matteo a tal punto da concedergli l’onore di tramandare la storia, forse c’era speranza anche per un povero diavolo come lui. Dio lo avrebbe abbracciato, nonostante i delitti che macchiavano la sua coscienza? Avrebbe capito il perché di quelle scelte pavide, affrettate, mascherate da un patriottismo che mal si sposava con i sacri voti? Avrebbe perdonato l’omicidio di quel soldato, Fritz, di cui ancora qualcuno invocava il nome?
No, ne era certo. Dove era il perdono, in quell’opera di devastazione? Non sentiva altro che le urla dei feriti, il crepitare delle armi, grida in francese che si mescolavano al tedesco stretto. Erano così diversi, gli uni dagli altri? Affatto. Piangevano i morti nello stesso identico modo: pregavano per loro, raccoglievano le ultime lettere, componevano i corpi serrando le molli braccia al petto ed abbassando le palpebre. Sotto le divise, oltre gli ideali, erano tutti dei comuni esseri umani, troppo fragili e sciocchi per cogliere in tempo le bellezze della vita.

Un’ombra calò su di lui, nascondendogli il cielo. Scorse due volti ghignanti: il primo era incorniciato da una ispida barba e da una massa di capelli scuri; l’altro, invece, si sforzava di tradurre il fiume di parole che il capitano stava riversando. Percepì solo un nome.

«Konrad?» biascicò, rivolgendosi al soldato che masticava il francese.

«Herr Kapitan desidera sapere. Sono alla cascina?»

Aggrottò la fronte. A chi si stava riferendo? Il cervello ottenebrato dal dolore e la spossatezza comprese lentamente. Scosse il capo, rifiutandosi di aggiungere altro.

«Il maggiore Smith e l’Inglese, sono alla cascina?»

Rimase in silenzio finché non colse delle robuste mani afferrarlo per il bavero e scrollarlo con forza; il bruciore al petto aumentò, strappandogli un flebile lamento. Percepì nuovamente il sapore del sangue sulla lingua, mentre una schiuma rosata gorgogliava dalla glottide sin sulle labbra.

«Parla, fottuto bastardo! Sono alla cascina?»

«Perdono i tuoi peccati» sussurrò, ottenendo soltanto l’ennesimo strattone. Sputò un fiotto di saliva rossastra, mentre il crocefisso in legno scivolava fuori dall’orlo della camicia, allacciato solo ad un sottile laccetto di cuoio.

«Priester?» il capitano si intromise con una sola parola e Konrad si affrettò a tradurre:

«Sei un prete?»

Alain trovò solo la forza di mimare un cenno affermativo. Quella conferma, tuttavia, fece scoppiare i soldati in una sonora risata. Dita robuste si chiusero sulla croce, strappandola dal suo collo.

«Riposa in pace, prete. Faremo un salto alla cascina e diremo a Smith che lo hai tradito. Ti piace l’idea di morire come un maledetto Giuda?»

Le sue palpebre ebbero un fremito e gli occhi guizzarono per un solo istante verso il casolare. Fu una involontaria, ma sufficiente conferma.

«Grazie, ora sappiamo che sono là»

Alain colse un tremolio lungo la schiena, mentre le membra si irrigidivano. Un pesante colpo di tosse squassò il petto un’ultima volta, mentre il sangue sgorgava puro, ora, dalla bocca socchiusa. Le iridi si incollarono al cielo coperto, che di lì a poco avrebbe raggiunto. Il torace si sollevò un’ultima volta, mentre l’aria scappava definitivamente dai polmoni e lo spirito abbandonava il corpo esanime.

Konrad mosse la punta dello stivale, punzecchiando il cadavere e tornando ad un tedesco stretto:
«Stupido omuncolo» ghignò, tendendo il ciondolo al superiore «Andiamo alla cascina? Senza dubbio, avranno trovato rifugio lì»

Weilman scosse il capo, rigirando lentamente la croce sul palmo della mano:
«No. Andrò io.» controllò il caricatore ancora pieno «Risolverò da me questa faccenda. Voglio chiudere il conto con Smith e intendo farlo da solo».

 
***
 

Levi salì lentamente gli ultimi e stretti gradini, piegando immediatamente a destra. Scivolò oltre la soglia della sala da bagno, la stessa dove Nanaba li aveva confinati soltanto qualche giorno prima. Gettò una occhiata alla stanza: le pareti lisce erano coperte da piastrelle, il cui motivo era ripreso anche dal pavimento coperto da una sottile polvere e da tracce di umidità. La muffa correva lungo gli angoli del soffitto, mentre solo una coppia di finestre gettava luce all’interno. I vetri opachi lasciavano penetrare il chiarore del mattino.  In fondo, rivolta ad est, una terza finestra si affacciava sulla tettoia pericolante, ultimo retaggio della rimessa distrutta durante la guerra precedente. La voragine precipitava, dopo cinque o sei metri nello scantinato sottostante, ormai inutilizzato e scoperchiato.

«Mettiti qui»

Adagiò il maggiore sul pavimento. Lo aiutò ad appoggiare la schiena al muro ed a distendere le gambe. Ignorò il sussultare di Erwin, unica avvisaglia del dolore che ancora provava.

«Fammi controllare» disse, posando il revolver sul pavimento ed inserendo due dita nel foro sui pantaloni. Fece attenzione a non toccare la ferita sottostante, tirando con forza la stoffa sino a strapparla. Mise a nudo la coscia, osservando attentamente la lesione: il foro pareva profondo e, con ogni probabilità, il proiettile era ancora al suo interno.

«Non è così grave come sembra» la voce del tedesco gli strappò un debole sorriso.

In realtà, occorreva solo arrestare la perdita di sangue e aspettare pazientemente. Nanaba sarebbe tornata e li avrebbe aiutati, senza dubbio… sempre che riuscisse a spuntarla contro gli uomini di Weilman.
Si affacciò ai vetri, scoccando una occhiata in direzione della gola. Il rumore degli spari proseguiva incessante e da quella distanza era impossibile capire chi stesse avendo la meglio.

«Sono sicuro che stanno bene. Non preoccuparti. Sono abili e… dammi una mano, per favore»
Abbassò gli occhi al cogliere quella richiesta; Erwin stava litigando con la cintura, cercando di slacciarla.

«Ci penso io» rispose, accovacciandosi accanto a lui ed allentando la fibbia, facendo passare il cuoio nei passanti dei pantaloni. Sfilò la cinta, avvolgendola poi strettamente poco sopra la ferita; in una manciata di secondi, il flusso di sangue si ridusse dolcemente, sino ad arrestarsi «Allentala ogni tanto e poi stringila nuovamente. Vado a cercare qualcosa per medicarti; in cucina dovrebbero esserci delle bende.»

Si rialzò, scivolando oltre la soglia della stanza e sparendo nella penombra, in direzione delle scale.
 

***
 

Erwin tese l’orecchio quando colse un rumore di passi lungo i gradini scricchiolanti. Possibile che Levi fosse già di ritorno? Si era allontanato soltanto da qualche minuto; aveva fatto presto. C’era, tuttavia, qualcosa di sbagliato in quella cadenza. Era troppo pesante per appartenere all’Inglese.

«Mike?» chiese, ma la testa che si affacciò oltre l’uscio cancellò immediatamente le sue speranze. Si ritrovò a fissare gli occhi porcini ed il ghigno soddisfatto di Herr Kapitan.

Allungò la mancina, cercando di raggiungere la Webley, ma Weilman fu più rapido: con un calcio, allontanò il revolver, facendolo roteare all’altro capo della stanza. Erwin fissò l’arma, ormai fuori portata, prima di tornare sul capitano, che stava indietreggiando di qualche passo, come a riprendere una leggera distanza. Le mani dell’ufficiale reggevano la Mauser, la canna inclinata e rivolta verso il suo petto.

«Non avrai pensato di sfuggirmi, vero?» la voce di Weilman conteneva una sfumatura arrogante e spavalda, la stessa arricciata sulle labbra ghignanti «Il tuo amichetto dov’è? Ti ha scaricato qui e si è dato alla fuga?»

Non rispose, limitandosi ad un sospiro sollevato. Weilman, dunque, non aveva ancora trovato Levi. Pregò silenziosamente che l’Inglese se ne fosse andato, che avesse trovato rifugio nei boschi circostanti; sapeva, tuttavia, che erano soltanto vane speranze ed illusioni. Levi era ancora nella cascina, da qualche parte: era solo questione di tempo perché il nazista lo trovasse e lo uccidesse. Doveva avvertirlo, ma… come? Non poteva muoversi e gridare non sarebbe servito: l’altro gli avrebbe piantato una pallottola in testa immediatamente; Levi sarebbe corso su per le scale e sarebbe finito dritto nelle braccia del nemico. Scosse lentamente il capo. Doveva farsi venire una idea, qualcosa che non destasse sospetti.

«Non vuoi rispondere?» di nuovo quel tono irritante.

«No» replicò, in un secco ringhio. Perché quell’idiota non lo lasciava in pace? Progettare un buon piano con una pistola rivolta contro era … complicato. Tuttavia, fare parlare Weilman gli avrebbe consentito di guadagnare tempo prezioso e forse far percepire a Levi l’entità del pericolo. Si schiarì la voce, riprendendo «Sei soddisfatto, vero? Deve essere un grande traguardo per te. A quanto ammonta la mia taglia?»

«Oh, non lo faccio per soldi. Pensi che sia un qualsiasi mercenario? No, ti sbagli. Lo faccio per riscattare la Germania, che tu hai tradito e gettato nel fango. Tu e quell’ammasso informe di spaventapasseri che ti segue. Dok, per esempio. Credi la farà franca. Affatto! Gliela farò pagare, a lui ed al resto dei suoi bastardi tirapiedi»

«Come sai di Nile?»

«Ti ricordi di Fritz? Era una spia e lavorava per me. Sfortunatamente, il tuo amico prete gli ha procurato un biglietto per l’inferno»

Sussultò, quando scorse la croce cadere per terra, accanto ai propri piedi. Il legno era macchiato di un familiare colore rossastro, che aveva ormai imparato a riconoscere.
«Alain?»

«Si chiamava così, dunque? È crepato, insieme ai suoi amichetti. I miei uomini stanno terminando il lavoro, giù alla gola. Era un tuo piano, vero?, quello di far saltare i rifornimenti per il fronte?»

Erwin strinse i pugni, trattenendosi dallo scattare in piedi e fiondarsi su quel pomposo. L’arroganza gli stava facendo dimenticare persino il dolore della ferita. Si morse le labbra, sforzandosi di non rispondere, di passare oltre: non avrebbe permesso a Weilman di accusarlo nuovamente, di scaricargli addosso più colpe di quante fosse disposto a sopportare. Sostenne lo sguardo dell’altro, senza riuscire a celare il disprezzo ed il disgusto, che non sfuggirono al capitano:

«Mi detesti così tanto? Stai per morire, maggiore… eppure, trovi ancora il coraggio di fissarmi altezzoso, come se per te non fossi che un fastidioso scarafaggio. Perché?»

«Che dovrei fare? Abbassarmi a supplicarti, sapendo che tanto non mi risparmieresti comunque? Sei un illuso, ecco tutto. Credi che la morte mi spaventi a tal punto? Affatto.» replicò, una nota infastidita nelle parole «Visto che stai per uccidermi, però… tanto vale che tu mi tolga una curiosità. Perché sei così ossessionato da me? Al punto da inseguirmi per mezza Europa… Non è normale, sai? Non siamo in un libro di Hugo, ammesso che tu sappia chi sia»

«Non prendermi per il culo. Certo che so chi è! “La signora delle camelie”, giusto?»

«No, ma non ho voglia di dirti altro. Sputa il rospo. Perché questa fissa?»

«Perché sei il mio maledetto incubo da… sempre. Da quando ho messo piede ad Arras, ho dovuto scontrarmi con te, con i tuoi assurdi piani che, tuttavia, contenevano quel tocco geniale non replicabile. Per qualche strana ragione, gli uomini si fidavano di te ed erano pronti a seguirti, mentre con me… mi squadravano con diffidenza, mi estraniavano. Ogni discorso ruotava attorno alla tua persona: il maggiore Smith è un genio, il maggiore Smith non sbaglia mai, il maggiore Smith è il miglior ufficiale che ci sia. Hai idea di cosa significhi convivere con uno spettro simile? Con un fantasma pronto a colpirti involontariamente alle spalle ad ogni ora del giorno e della notte! Ho dovuto minare la loro fiducia, screditarti, gettarti in cattiva luce. È stato forzato, innaturale e lungo, ma alla fine ci sono riuscito. La tua pietà verso i ribelli francesi era la leva perfetta: un soldato non può permettersi d’apparire debole e accondiscendete davanti al nemico; ti sei scavato la fossa da solo» una pausa e un ghigno asciutto «Poi è arrivato quello stupido Inglese. Non so che ti sia successo, ma hai perso la testa per quell’idiota. Hai iniziato a compiere dei passi falsi, proprio sotto al mio naso e io ne ho approfittato. Ti ho incastrato e non sei più stato in grado di gestire la situazione. Fuggire è stato il tuo peggior errore e la mia fortuna. Ti ringrazio, anzi! Hai reso il tutto più semplice: se fossi rimasto, avremmo dovuto confrontarci a Berlino, dinanzi ai generali, ma… così facendo, ti sei tirato addosso l’odio di tutti. Sei diventato un ricercato, un fuggiasco; hai perso prestigio e credibilità. Hai spianato la mia strada verso una promozione»

«Eppure sei ancora capitano! E… sei qui. Qualcosa deve essere andato a rotoli, nel tuo brillante piano per distruggermi»

«Errato! Sono qui per mia spontanea scelta. Credi che scacciarti sia stato sufficiente? No. La tua disfatta deve essere completa. Riporterò in patria il tuo cadavere e quello dell’Inglese; allora Berlino capirà la profondità della mia dedizione e si accorgerà di me. Verrò accolto come un eroe; sarò acclamato al posto tuo.»

«Sei così frustrato da inseguire una gloria fittizia? La gente è volubile: un giorno ti applaude, il giorno dopo ti sputa in viso. Sicuro di volere tutto questo?»

«Cerchi di confondermi? Non funzionerà. So quello che desidero. Voglio essere il nuovo eroe della Germania! Voglio che mi vedano, che pronuncino il mio nome con rispetto, che sorridano al mio passaggio e mi regalino corone di fiori. Che il mio contributo venga scritto nei libri di storia, accanto ad una fotografia in alta uniforme; che il tuo nome venga cancellato! Nessun eroe ad Hannut, solo il ricordo di un disertore troppo codardo per accollarsi le proprie responsabilità­.»

«Se pensi che sia fiero di Hannut, sei un idiota. Un idiota che non ha capito nulla di me, né della storia e di questa assurda guerra. Sono stanco, Weilman. Stanco di sentire i tuoi vaneggiamenti, di vedermi rinfacciata Hannut per l’ennesima volta; stanco di parlare di ciò che sono e ciò in cui credo. Non troverò alcun riscatto in questa vita, quindi… avanti, spara. Quanto meno, la morte avrà il dolce sapore del silenzio e non sarò più costretto ad ascoltare le tue parole vuote e ridicole»

Colse un fremito percorrere il braccio del capitano e l’indice scivolare prontamente sul grilletto. Sentì il click meccanico del carrello che si armava, mente la bocca della Mauser tornava a sorridergli. Per un attimo, Erwin provò la tentazione di chiudere gli occhi: stava per morire e non desiderava farlo guardando Weilman; possibile che fosse quella, l’ultima immagine che la vita gli regalava? Rinunciò a quel sollievo: non avrebbe abbassato lo sguardo; non si sarebbe presentato come una preda spaventata davanti al suo cacciatore. Non avrebbe regalato la soddisfazione di cedere e di tremare.
Percepì il cuore accelerare improvvisamente, mentre la tensione cresceva nel suo petto. Cosa avrebbe provato, nell’istante in cui la pallottola gli avrebbe trapassato il cranio? Dolore? Sollievo? Nulla? Serrò i pugni, osservando il tempo dilatarsi: il ghigno sfrontato sul volto del nemico, il braccio sollevato in sua direzione, la canna dell’arma diretta verso la sua testa. Un colpo secco non poteva fare poi tanto male, no?

Batté le palpebre, ritrovandosi ad osservare un mondo completamente diverso: suo padre lo stava cullando tra le braccia, leggendo ad alta voce le fiabe di Perrault, mentre sua madre sistemava i fiori sul davanzale; Nile e Mike che catturavano lucertole; Marie che serviva birra al Weinplatz, mentre loro discutevano dell’imminente arruolamento. L’addestramento, le battaglie, la scalata verso una promettente carriera. La scomparsa di Mike e la successiva indagine. E, ancora, i giorni trascorsi ad Arras, ad assecondare gli assurdi esperimenti di Hanji; Moblit disperato per l’ennesima richiesta strampalata del medico. I soldati pronti a seguirlo, la loro ammirazione e la conseguente delusione. L’aereo precipitato, i due Inglesi. La morte di uno e la salvezza dell’altro. La fuga attraverso la Francia. Levi che sogna Parigi, gli aerei e una libertà troppo lontana per poter essere anche solo sfiorata. Petra, Auruo, Marlo, Hitch, la famiglia Jaeger ed il piccolo Armin, Christa, Nanaba… erano tutti lì, chi a salutarlo e chi ad accoglierlo oltre il velo della morte. Mani mosse in cenni d’addio e dita protese per accoglierlo, per accompagnarlo nell’ultimo ed inevitabile viaggio. Un nuovo mondo, un nuovo inizio.

Sorrise piano, quando l’aspra voce lo trascinò nuovamente alla realtà:
«Un ultimo desiderio, Smith?»
 

 
  
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