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Autore: wolfymozart    12/03/2017    4 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Antonio, che fate? Perché? Dovete scappare voi che potete! Andate da Emilia!- gridava intanto Anna. Il giovane che Antonio aveva aiutato si mise in mezzo.

-Basta, si fa come dico io! Il dottore è nostro amico, mi ha nascosto, insieme ai miei parenti. Ha tentato di tutto per salvarli, correndo il rischio di farsi arrestare dalle guardie. Sta con noi, sta con il popolo. Lasciatelo e fate come dice. Lasciate la marchesa. Non è con lei che ce la dobbiamo prendere, ma con quel vigliacco del marchese Alvise Radicati!- 

-Ha ragione, lasciamoli andare - 

-Sì, facciamo come dice lui-

Alla fine anche il capo, quello più irremovibile, cedette. -E va bene, sia pure. Anche se non capisco…il vostro amico è con noi ma…-

-Zitto, si fa come dico io adesso! - lo interruppe il giovane.

 L’altro compagno lasciò andare Anna, le slegò i polsi quasi con rispetto, con deferenza, come se nonostante tutto, non fosse riuscito a scordare le regole di obbedienza ai padroni. Poi i cinque rimontarono a cavallo e fecero per ripartire al galoppo. Antonio fermò il giovane.

- Grazie- disse soltanto.

-Dottore, non è nulla in confronto a quello che voi avete rischiato per noi –

-I tuoi parenti? -

-Non so che fine hanno fatto. Li avranno presi. Sappiamo cos’han fatto a voi le guardie, alla vostra abitazione. Sappiamo tutto. Posso solo esservi grato-

-Mi dispiace, mi dispiace- sospirava Antonio, sinceramente costernato.

-Addio! - esclamò il giovane -Marchesa!- aggiunse poi in segno di saluto e sparì nel buio del bosco.

Antonio si voltò e vide Anna in piedi davanti a lui, i capelli scompigliati, la faccia stravolta, che si massaggiava i polsi. -State bene, Anna?- le corse vicino il medico, premuroso. -Fatemi vedere -. Anna sentì un brivido quando lui le prese la mano e passò le dita sul polso. Ma non durò molto questo contatto: ritrasse la mano e con un gesto scocciato si riassettò il mantello, poi disse: -Andiamo, ora - riavviandosi verso il cavallo e lasciando Antonio a guardarla. -E che questa terribile notte di tregenda finisca presto!- mormorò poi, senza che lui la sentisse.
 

Ripresero il cammino verso casa e poco dopo scoppiò un terribile temporale. Pioveva a dirotto, tanto che facevano fatica ad orientarsi: il cavallo, poi, non conosceva la strada e si imbizzarriva spaventato dai tuoni. Ci volle non poco ad Antonio per tenere quieta la bestia, che nitriva atterrita e non ne voleva sapere di procedere.

-Ci vuole proprio far proseguire a piedi, questo cavallo! - disse stizzita Anna.

-Ci siamo quasi, Anna, pazientate ancora per poco- cercò di blandirla Antonio.

Finalmente giunsero alla casa, che era rimasta sottosopra come l’avevano lasciata le guardie nel loro sopralluogo qualche giorno prima. Antonio guardava con disappunto i vetri rotti, i cocci sparsi, le sedie e i mobili rovesciati.

 -Oh mio Dio! Che hanno fatto? -  esclamò Anna, portandosi le mani al volto nel vedere la devastazione.

-Non vi preoccupate, ora sistemo. Datemi il mantello, è zuppo di acqua. Vi porterò una coperta-.

 Anna lo guardò sottecchi, scorse la desolazione negli occhi di Antonio per via dell’oltraggio alla sua casa ma notò anche la sua premura, la sua volontà di non dar peso a quanto successo per non coinvolgere lei, già abbastanza scossa. La marchesa, pur notando questo, era ancora restia a fidarsi del tutto: gli diede il mantello, fradicio, senza guardarlo in faccia. Si sedette su un divanetto di fronte al camino, era rimasta in veste da camera, poiché era stata sorpresa dal pericolo nel momento in cui stava per coricarsi ed aveva fatto in tempo ad indossare solo il mantello. Tremava, quindi, per il freddo, ma non voleva darlo a vedere. Sedeva impettita, con lo sguardo severo fisso davanti a lei, come per non dar segno di alcun interesse per ciò che Antonio stesse facendo. Il medico ritornò poco dopo.

-Ma voi tremate! Vi potreste prendere un malanno con tutta quella pioggia, permettetemi di…-

-Non c’è alcun bisogno, dottore. Sto bene, solo un po’ di freddo-

-Prendete almeno questa coperta. Ecco - disse e sistemò la coperta sulle spalle della marchesa, che nemmeno lo ringraziò.

Chiuse gli occhi e prese a respirare profondamente. Antonio si accorse di questo strano atteggiamento: -Anna, siete sicura di stare bene? A me non pare!- chiese avvicinando il suo volto a quello della marchesa che si voltò di scatto e rispose secca: -Benissimo. Ora lasciatemi riposare, di grazia!-

Ma il respiro non si placava e aveva inoltre iniziato a muovere convulsamente le mani. L’apprensione di Antonio cresceva: accennò ancora a parlarle ma lei lo freddò con lo sguardo. Con quei suoi intensissimi occhi scuri che avevano il potere di agghiacciarlo più di ogni altra cosa al mondo, ma che allo stesso tempo in un passato ormai troppo remoto avevano saputo esprimergli calore, gioia, riconoscenza, amore. In quel momento però gli rendevano solo un sordo disappunto, un’insofferenza inespressa della sua presenza. Ebbe timore di ciò che lei potesse aggiungere a parole a quello sguardo e pertanto concluse: -E va bene. Come desiderate. Buonanotte.-. E, riavviate le braci spente del camino, si ritirò nel suo studio per riassettarlo e controllare che non mancasse nulla dopo la visita delle guardie. Non aveva sonno. -Buonanotte- rispose la marchesa, senza degnarlo di uno sguardo nemmeno questa volta. Si era ormai nel cuore della notte.

Sul far dell’alba Antonio ebbe terminato di riordinare le proprie cose nello studio – le guardie non si erano portate via nulla – e tornò in salotto da Anna. Stava dormendo su di un fianco, appoggiata appena allo schienale del divano, come se neppure nel sonno fosse in grado di perdere il controllo. I suoi bellissimi lineamenti avevano assunto un’espressione inquieta, le sue mani delicate stringevano convulsamente la coperta come una bambina spaventata da chissà che. Non sembrava in pace con sé stessa: tutto in questa visione di lei esprimeva struggimento, sofferenza, tenerezza, ma l’insieme conservava intatta la sua bellezza. Antonio restò qualche istante in piedi a contemplarla senza riuscire a distogliere lo sguardo, incantato come quella sera di carnevale di sedici anni prima. Ad un tratto, però, si accorse che nel sonno stava tremando ancora, perciò corse a prendere un’altra coperta. Si sedette accanto a lei e la avvolse con la coperta, ma non resistette alla tentazione di stringerla fra le braccia. Poco dopo, accarezzandole i capelli, si addormentò anch’egli.

 Albeggiava quando Anna si svegliò. Provò un’inconsueta sensazione di benessere e calore a cui volle abbandonarsi ancora per qualche istante. Poi però si riscosse, aprì gli occhi e si trovò stretta fra le braccia di Antonio che continuava a dormire beato.

-Come vi siete permesso!- esclamò irritata liberandosi dal suo abbraccio e facendolo svegliare di soprassalto.

-Che succede?- chiese assonnato Antonio cercando di distinguere le figure nella fioca luce dell’alba.

 -Vi sembra conveniente quello che avete fatto?-

-Anna, avevate freddo questa notte e allora…- rispose mettendosi a sedere. Anna, seduta a fianco a lui, teneva ostentatamente lo sguardo rivolto fuori dalla finestra mentre gli parlava.

-Proprio voi, che difendete quella gentaglia che sta distruggendo la mia tenuta, la mia casa…proprio voi parlate, dopo tutto il male che mi avete fatto, avete il coraggio di fingere di preoccuparvi per me!-

- Anna, io volevo solo…-

-Sta’ zitto, almeno! Sta’ zitto. La mia vita è ridotta a un inferno: un marito violento, indecente, che disonora la mia famiglia e la mia casa in continuazione con i suoi amici, le sue amanti, le sue feste disgustose. Mi fa ribrezzo anche se soltanto si avvicina a me, poi quando cerca di mettermi le mani addosso…Dio mio che schifo! E adesso per le sue vigliaccherie, perché è un incapace, questi zotici se la prendono con la residenza dei Ristori, una famiglia che non ha mai mancato di rispettare le leggi e onorare la corona, che ha agito sempre nel giusto. E ora? Mettono a ferro e fuoco tutto, senza sapere, senza fare distinzione. E cosa vuoi pretendere da questa gente…E tu li difendi, tu li difendi pure!-

Si era girata di scatto verso Antonio e urlava, ormai incontenibile. Ad Antonio non era però sfuggito che fosse passata al “tu”, in cuor suo se ne rallegrò, ma non sapeva come placarla. Prese il partito di non dire nulla, di lasciarle sfogare tutto il suo odio e la sua rabbia.

-Ed Emilia, mia figlia? Anche lei dovrà pagare per le colpe di suo padre? Anche lei? E io sono scappata, l’ho abbandonata. Ed è colpa tua, sei tu che mi hai portato via. È tutto colpa tua, Antonio, tutto! La mia vita è distrutta unicamente per colpa tua!- aveva le lacrime agli occhi.

Ormai era un fiume in piena, inarrestabile. La luce che via via entrava dalla finestra permise ad Antonio di notare dei segni sul suo collo, all’altezza della giugulare.

 -Fate vedere. Che cosa sono quei segni, Anna?- chiese dolcemente, non appena lei si era per un attimo placata.

-Non è nulla –

 Antonio non si fece intimorire e si sporse verso Anna sfiorando delicatamente con le dita quei segni. 

-No, stavolta non vi credo. Sembrano segni da pressione, da tentativo di…-

-Basta! Tanto che importa a voi? Che importa delle violenze che devo subire quotidianamente da quel pazzo sciagurato di mio marito? Nulla, mai importato nulla-

 Stava piangendo, sommessamente e, cercando di non farsi vedere da Antonio, aveva girato il viso verso la finestra. Ma Antonio ormai non poteva più tacere, la sofferenza di Anna lo stava distruggendo: se non l’avesse lenita, ne sarebbe morto lui stesso.

-Me ne importa, invece, Anna. Oh, se me ne importa! E sai perché? - chiese con il tono più dolce e più fermo che fosse riuscito a trovare. Anna si voltò, asciugandosi le lacrime, e scosse il capo in segno di diniego. -Perché, hai ragione, è tutta colpa mia. Dannatamente colpa mia. Perché amavo quella ragazza testarda e sentimentale, forse un po’ altezzosa, orgogliosa che conobbi in quella gelida sera di carnevale. Perché l’amavo, e il mio più grande rimpianto è quello di averla lasciata. Perché non riuscirò mai a perdonarmelo, per tutta la vita conserverò questo atroce senso di colpa che mi divora ogni notte pensando a lei. Perché amo te ora, come allora amavo quella ragazza e come ti amerò fino alla fine dei miei giorni, che tu lo voglia o meno-

 Gli occhi di Antonio brillavano distintamente nella luce soffusa, Anna incontrò il suo sguardo limpido, sincero, lo stesso che aveva amato sedici anni prima. Poi chiuse gli occhi e sentì soltanto le labbra di Antonio sulle sue. Sorrise e si abbandonò finalmente a quel bacio tanto atteso da sedici anni, stringendo a sé Antonio e accarezzandogli i capelli, la fronte dov’era ancora bendato, le guance, rispondendo con ritrovata passione ai baci di lui.

-Riuscirai mai a perdonarmi tu, visto che io non ci riesco? - le chiese staccandosi per un attimo dalle sue labbra, sfiorandole delicatamente una guancia.

Ma Anna non voleva rispondere, non in quel momento. Non era quello il tempo di saldare il conto con il passato, di dividere colpe e ragioni. L’unica cosa che voleva era rituffarsi fra le sue braccia, per placare così la mancanza di lui che aveva sopportato per troppo tempo. Così, senza parlare, nascose il viso nel suo abbraccio, asciugando le lacrime sul suo petto. Antonio le sollevò il viso per poterla guardare negli occhi, velati dal pianto e dalla commozione. Quante cose avrebbe voluto dirle! Quante parole per alleviare il suo dolore annegandolo nel proprio, quanti pensieri cullati nelle notti insonni! Ma gli riuscì solo un flebile – Mi dispiace – pronunciato con voce rotta. A lui, che aveva sempre la frase giusta per confortare chiunque, per rincuorare i suoi pazienti anche di fronte alla morte, mancavano le parole per spezzare il silenzio che da anni lo separava dalla donna che amava. Non aggiunse nient’altro, limitandosi a guardarla mentre anche i suoi occhi si velavano di lacrime. Anna non disse nulla, e accarezzandogli le guance gli sfiorò le labbra con un bacio malinconico che aveva il sapore d’altri tempi. Poi i baci, le carezze e i sorrisi non si contarono più, per far perdere il conto a tutti quei “vecchi brontoloni” che per sedici anni avevano continuato indefessi a scagliare il malocchio su di loro.

   
 
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