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Autore: meiousetsuna    24/03/2017    4 recensioni
Benvenuti su questa minilong, movieverse del romantico film: “Vi presento Joe Black”.
Un anticipo del testo?
A John piaceva l’imprevisto, esserci nel momento cruciale per salvare una vita umana. Le barelle che trasportavano i feriti in qualche incidente, o i sopravvissuti ad una sparatoria lo portavano direttamente sul campo di battaglia. Bloccava emorragie, estraeva pallottole, tentava soluzioni audaci e rapide, pressoché sempre con successo.
A pochi metri dall’ospedale c’era una deliziosa tavola calda italiana, “Da Angelo”. John aprì la porta salutando con la mano, come ogni giorno. C’era un ragazzo, di spalle, accanto a lui, che parlava al telefono ad una velocità quasi disumana, come se bombardare l’interlocutore di istruzioni dovesse convincerlo a fare quello che chiedeva. Il dottore non era pettegolo, ma non poteva smettere di ascoltare o staccare gli occhi da quella figura alta, elegante, sovrastata da una chioma bruna di notevole bellezza. Per un attimo sperò che non si girasse, perché la cosa più incredibile del personaggio in questione era la voce. Profonda, vellutata, avvolgente. Che gli scivolava addosso come se fosse nudo, e potesse sentirla sulla pelle. E meno male che gli piacevano le donne, ripeté a se stesso.
love, Setsuna
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Lime, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Grazie infinite a  Emerenziano, CreepyDoll, Sora_ale, Iryland, af_Eleven_ ,baileyzabini90, clelia91, Saeros25 per aver recensito e/o seguito: mi date speranza! *-*  

                                                                 capitolo 2: Live and let die

Gregory avanzava con passo disinvolto, sperando che l'atteggiamento bastasse a mascherare lo stato di terribile ansia che lo stava divorando ogni minuto di più.
Era una sensazione fastidiosa e sconosciuta che partiva dallo stomaco e saliva nella gola, dandogli l'impressione di non avere aria sufficiente a respirare bene.
Non era preoccupazione per lo spinoso argomento che doveva affrontare durante il consiglio dei dirigenti, ma il brivido freddo che correva lungo la schiena dall'istante in cui ‘Sherlock’ gli aveva annunciato con fare serafico che sarebbe andato al lavoro con lui. Lestrade si sarebbe opposto, ma le avvisaglie di infarto erano terminate: il suo amico manteneva la parola, e non voleva certo farlo arrabbiare.
Quando la porta si aprì un'ondata di gelo discese nell’ufficio.
I soci maggioritari erano come paralizzati, tranne Moriarty, che non avrebbe mai dato l'idea di essere colpito dall'atteggiamento di qualcun altro.
Si avvicinò tendendo la mano, con un falso ed esagerato sorriso, elegantissimo in un completo di Versace grigio scuro con i profili neri, i pantaloni strettissimi e una cravatta di seta rosso cupo.
“Ma buongiorno, signor Holmes… Sherlock! Vedo che dovremo fare l’abitudine alla sua presenza”.
Gay”.
“Cosa?” La risposta di Sherlock era stata un sussurro, ma James aveva sentito più che bene.
“Hey. Come stai? State tutti bene, spero”. Il bruno si voltò in cerca dell’approvazione di Gregory, con l’aria di dire ‘vedi quanto sono gentile, se voglio?’
“Avremo un ospite, quindi”. Il fidato braccio destro di James, Irene, non si era fatta certo intimidire, anzi. Valutò con una veloce occhiata il nuovo arrivato, trovandolo evidentemente di suo gusto; non sarebbe stato il primo né l’ultimo a passare dalla loro parte nelle decisioni da mettere ai voti grazie a qualche incentivo rilasciato sotto una scrivania. E l’avrebbe fatto più che volentieri, questa volta.
“Mi occupo di molte cose contemporaneamente, e sì, mi vedrete spesso” ignorando le gerarchie nonché il fastidio di aver interrotto un consiglio, Sherlock si accomodò al posto di Lestrade, guardando fisso James.
“Adesso vorrei molti biscotti allo zenzero, ne vado matto. Fatemeli portare, per favore”.
“Altro? Noi qui non abbiamo niente da fare, evidentemente!” James aveva perso per un attimo il suo sangue freddo, sporgendosi col busto in un gesto aggressivo che non era riuscito a trattenere, pur tentando di minimizzarlo con la sua inquietante risata.
“Sì, dell’Earl Grey, anche se non è disponibile”.
“Non stiamo giocando, signor Holmes” un uomo alto e imponente, con corti capelli castano chiaro brizzolati sulle tempie, si era alzato per tendere la mano al giovane “se Greg si fida di lei avrà i suoi motivi, ma forse questa riunione deve continuare a porte chiuse”.
“Questo è il nostro revisore, Sebastian Moran, Sherlock. Oggi dobbiamo discutere della possibilità di una fusione col nostro principale rivale, Culverton Smith. È un azzardo che non amerei troppo, ma forse sarà inevitabile”.
“Come la morte e le tasse!” Rispose gioviale Mike Stamford.
Un sorriso malizioso illuminò il viso di Sherlock. “Allora devo proprio restare, temo”.
“Non credo, no! Qui nessuno ti conosce, non sappiamo cosa vuoi, che ruolo stai giocando… abiti a casa di Greg, gli dai del tu…”
“Hai ragione, Jimmy. Vivo con la famiglia di Greg. Ti dà fastidio, chiaramente, ma dovrai fartene una ragione. Abbiamo degli affari personali, non mi importa niente di questo Smith, né devo chiedere la vostra approvazione”.
“Non conosce il Cereal Killer?” La voce insinuante di Irene catturò l’attenzione di Sherlock.
“Serial killer? Ne conosco più di uno, naturalmente, di persona. Interessante”.
Mike accennò una grassa risata, trattenuta tra le labbra socchiuse. “Sei un bel tipo, Sherl! Posso chiamarti così?”
“Come preferisci”.
“Bene, ora vorrei chiederti solo un po’ di tempo col mio consiglio, Sherlock” Greg tentò una mossa disperata “perché non fai un giro turistico, Londra ha mille attrattive. Forse ti servono dei contanti”.
“Il vostro denaro”. James guardò a bocca aperta Sherlock prendere un fascio di sterline come se fossero soldi del Monopoli “In che ospedale lavora John? Siamo molto amici, vorrei andare a salutarlo”.
“Al S. Bart’s”. Un lieve timore sfuggì tra quelle poche parole, ma l’essere sovrannaturale fece finta di non notarlo.
“Signora, signori. Vi auguro la migliore giornata di sempre”.
Lasciandosi alle spalle ― appropriatamente ― un silenzio di tomba, Sherlock aprì la pesante porta, e si sporse sopra una spalla per fare l’occhiolino ad un pubblico che si sarebbe potuto definire di statue viventi.
La corsia del pronto soccorso era affollatissima, visto il numero di pazienti che arrivava come un flusso interminabile. Sherlock riusciva a sentire alcuni pensieri, quando erano forti, disperati e particolarmente rivolti a lui.
‘Non voglio morire oggi’; ‘questa ferita mi sembra fatale’; questo era normale, pensò. Ma la quantità di frasi dei medici del reparto che potevano riassumersi in ‘la miglior cosa sarebbe che morisse subito’ non era abituato ad ascoltarla. Era in vacanza, però: per qualche giorno non se ne sarebbe curato.
Uno soltanto non stava formulando idee del genere, e non aveva dubbi che quel canale energetico lo stesse conducendo nella giusta direzione.
John era accanto ad una barella sulla quale un ragazzino terrorizzato piangeva mentre lui gli ricuciva un taglio piuttosto profondo su una gamba, lasciando che la madre gli tenesse la mano invece di allontanarla come da prassi della procedura di emergenza. Mentre metteva i punti di sutura tentava di distrarlo, chiamandolo spesso per nome e tranquillizzandolo; sarebbe tornato presto a gareggiare sullo skateboard, senza problemi. Appena terminato si prese solo il tempo per gettare i guanti e disinfettare le mani, prima di dedicarsi ad un'altra persona in attesa.
C’era un’anziana donna su una sedia a rotelle, lasciata sola da una parente che non poteva aspettare il suo turno. John si diede un’occhiata intorno e decise di rischiare visitandola prima che chiamassero il suo numero per non abbandonarla spaventata e senza alcun appoggio.
“Signora, come si chiama, cosa posso fare per lei?”
“Mi chiamo Martha… oggi lei è il mio dottore?”
“Sì, sono io” John le rivolse un sorriso affettuoso, sedendosi sui talloni per portarsi all’altezza del suo viso “è già in cura presso di noi?”
La donna ricambiò, malgrado fosse evidente che soffrisse, doveva essere una persona simpatica e di spirito. “Ormai sono qui solo per la terapia del dolore, dottor…”
“Lestrade, Martha. Mi dispiace sinceramente; la stanno facendo aspettare? Vado a sollecitare la capoinfermiera”.
L’anziana non rispose nulla, insospettendo John, che pensò stesse avendo un attacco molto brutto in quel momento, ma non era così: i suoi occhi stanchi erano completamente sbarrati in direzione di un ragazzo che si stava avvicinando a loro, con un passo così felpato da essere inudibile.
I suoi occhi celesti cambiavano man mano che si facevano più prossimi, passando a sfumature carta da zucchero, perlacee, e in ultimo di un grigio metallico, aspro e tagliente: ma questo lo vide solo la povera donna.
John si accorse solo di deglutire a fatica, mentre Sherlock si portava ad un soffio di distanza da lui; quando ormai stava per dover cercare un punto d’appoggio ― magari la stampella che qualcuno aveva lasciata in un angolo del corridoio ― una collega si sbracciò per chiamarlo di corsa. Il dottore la seguì senza esitazioni.
“Sei qui per me, vero?” Martha alzò su Sherlock uno sguardo pieno di speranza. “Comprendo chi sei, ti stavo aspettando… era ora”.
“Non sono qui per te, donna. Non vedi che ho da fare?”
La signora gli prese la mano, senza alcun timore. “So che un tumore mi sta mangiando, e che tu mi farai smettere di soffrire; non aspettare, ti prego”.
Sherlock si liberò delicatamente della stretta, osservando attentamente la creatura dolorante che aveva di fronte. Passò le dita affusolate sui suoi polsi segnati dai fori delle flebo, poi sul viso come una carezza, cercando le piccole lesioni della pelle, lasciando un momentaneo sollievo.
“Non potresti lasciarmi morire? Ti prego… ora non sto soffrendo, portami via”.
“A presto” la voce di Sherlock era un sussurro “oggi non sono qui per questo”. Con un ultimo tocco lieve sul viso si allontanò, girandosi di scatto appena avvertì due occhi blu come l’oceano che lo guardavano con dei sentimenti che erano evidenti persino per lui. Non se ne curava, non erano certo un vantaggio nel suo lavoro, ma questa volta non riusciva ad alzare una barriera efficace.
John lo raggiunse, affondando le mani nelle tasche del camice, con fare imbarazzato.
“Dovresti essere al mio posto, forse! Peccato che tu non abbia scelto questa carriera, sei bravo”.
“Mi dispiace, non dovevo intromettermi”.
“Non scusarti, per favore. Sei stato così dolce con quella signora… scommetto che le ricordavi un figlio, sembrava che volesse venir via con te”.
“Non lo so, John. Potrei non essere quello che credi”. Ad un emozionato dottore non rimase che tenersi i suoi dubbi, sia sull’identità dl suo nuovo amico, che quelli ai quali si ostinava ancora ad aggrapparsi.


Gregory aveva un rituale, prima di affrontate una giornata più difficile delle altre: sostava qualche minuto nello studio, passando in rassegna le fotografie preferite, che aveva fatte incorniciare con semplici montature di argento massiccio. Per prima la sua, di fronte alla palazzina dove aveva creato la prima sede della ditta; poi quella piccola, in bianco e nero, dei suoi genitori.
Seguiva quella con Molly e John con la toga della laurea, e infine quella di sua moglie.
Senza dire nulla, dava un bacio sul palmo della mano destra e lo posava sul ritratto. Non era più così dispiaciuto di raggiungerla, era solo in allarme per tutto quello che avrebbe lasciato in sospeso.
Quando entrò in sala da pranzo, James stava discutendo con Sherlock, la qual cosa non lo stupiva affatto.
“Non dovresti pretendere di insegnare agli altri cosa fare, James, non dopo aver comprato l’esame di scienze politiche e quello di diritto romano. So che questo lo trovavi inutile e faticoso, ma la tua preparazione non è completa”.
Moriarty spalancò a dismisura la bocca per rispondere una nutrita serie di insulti, ma prima che potessero volare parole grosse, successe qualcosa di incredibile.

Feel the city breakin' and everybody shakin'
And we're stayin' alive, stayin' alive

“È la mia suoneria… ti dispiace?”
“No, figurati, fai con comodo”.
Greg dovette mordersi la lingua per non scoppiare a ridere. Era davvero quel ragazzo il partener giusto per suo figlio? Certo era uno squalo se si trattava di vincere una gara, ma che altro avrebbe saputo offrire?
Quando il suo giovane socio chiuse la telefonata, Lestrade lo affrontò di petto.
“Forse possiamo ridiscutere tutto, James. Non sono convinto che fonderci con l’impero di Culverton Smith sia un vantaggio. Invece di unirci, rischiamo di essere assorbiti, e questo è il lavoro di una vita, desidero che i miei figli lo portino avanti, anche se non sarà il loro interesse primario”.
“Greg potrebbe avere ragione, Jimmy” la voce paciosa di Mike spezzò la tensione “abbiamo di certo un paio di giorni prima della firma, non ci costa nulla rivalutare bene tutta la proposta”.
“Certo, se lo dici tu”. James mise un braccio sulle spalle di Mike, portandolo fuori, sorridendo in quel suo modo inquietante “andiamo a pranzo, che dici? Offro io, o magari in ultimo ti lascerò pagare… sono così volubile!”
Sghignazzando e dandogli pacche amichevoli sulla schiena Stamford si lasciò condurre fuori, mentre gli altri soci si apprestavano a fare lo stesso. Irene si fermò a consultare gli sms sul suo prezioso cellulare, che non lasciava mai incustodito. ‘Prepara una copia del contratto con le nostre modifiche. J.M.’
Un piccolo verso di soddisfazione fu la vera risposta, mentre sul telefono di James compariva uno stringato ‘sì’.
Quella sera John era stanchissimo, dieci ore di turno prolungato si facevano sentire, però niente gli avrebbe impedito di riprendere il discorso con Sherlock. Era rimasto così colpito dagli avvenimenti del pomeriggio da essere certo che non avrebbe neppure potuto dormire senza fare qualche domanda, in modo discreto, a quel ragazzo. Dopo pochi minuti dall’incontro con la signora Martha si erano dovuti separare, e anche il motivo della puntata in ospedale era rimasto ignoto.
‘Fa’ sì che sia come credo’ pregò John, rivolto a qualche divinità non ben identificata ‘poi penserò al resto. Poi’.
Quando riuscì ad abbandonare le sue fantasticherie, John si rese conto di essere già a tavola, con Molly che scherzava con Sherlock.
“Davvero? Ci sono aragosta, tartine di caviale e vino francese, e tu…”
“Vorrei dei biscotti allo zenzero, un vassoio”.
“Non è spassoso il nostro Sherlock, papà?”
Prima che suo padre potesse rispondere John interruppe il discorso in un modo maleducato che non era da lui, la tensione era insostenibile.
“Cosa hai detto prima alla mia paziente, Sherlock? Mi hanno riferito che è rimasta come sedata senza fare la morfina”.
Il bruno si limitò a rivolgergli un sorriso enigmatico, bevendo un sorso di tè.
“L’ho consolata. Non si fa così?”
“Ti sei trattenuto in ospedale?” Il tono di Gregory tradì un’ombra di paura.
“Sì. Ero curioso di vedere John all’opera, è davvero bravo. Non dovrebbe sprecarsi in situazioni indegne di lui”.
“Il S.Bart’s è un’ottima clinica… dove vai, John?”
Il giovane aveva capito più che bene la risposta di Sherlock, e borbottate delle scuse confuse era praticamente fuggito via, seguito dall’essere sovrannaturale, che aveva chiesto venia con un gesto del capo e si era alzato per seguirlo.
Lo raggiunse poco dopo, sui gradini che portavano alle stanze da letto, al piano superiore.
“Vorrei fare qualcosa per aiutarti, John. Non devi dire niente, se non ti viene spontaneo. James Moriarty non è davvero innamorato di te, lo sai. Non mi piace, sento dei pensieri oscuri nella sua mente”.
Il medico strinse il corrimano fino a far diventare le nocche bianche. Come si permetteva quello sconosciuto di affrontarlo così sulla sua sessualità, sui suoi sentimenti ― come si permetteva di avere ragione?
Tutti lo trattavano con più rispetto, ed erano i suoi familiari. Suo padre faceva degli accenni, Molly gli ripeteva sempre di parlare con lei quando si fosse sentito, di qualunque cosa ― di quello, ovvio ― avevano il tatto di fingere di non capire troppo. E senza voler fare male, di mentirgli.
Ripensò a James che l’aveva baciato il giorno dei suoi venticinque anni protestando poi di essere ubriaco fradicio, lui che aveva sempre il controllo della situazione. L’aveva tempestato di sms di scuse, alcune patetiche, altre che terminavano con degli smile e la frase ‘non ti manco?’, finché per il bene della società aveva finto di credere in uno stupido scherzo.
“Non parliamo sempre di me. Sono io a non sapere niente e vivi in casa mia. Sei sposato?”
“Col mio lavoro, da un’eternità”.
“Ma hai una ragazza? O un ragazzo? Perché non c’è niente di male, no?”
Le parole di John erano strozzate, quelle di Sherlock tranquille e leggere.
“No, non sarebbe sbagliato, certo. Ma gli esseri umani non sono proprio un interesse romantico, per me”.
Dette da qualcun altro quelle sarebbero sembrate solo le stramberie di un eccentrico, ma John sentì di cercare un significato profondo in ogni sillaba, di credere di stare ascoltando una verità, per quanto incomprensibile.
Un tremito lo attraversò mentre fissava gli occhi di ghiaccio del suo interlocutore, e non riuscì a trattenersi.
“Chi sei tu? Perché sei un essere meraviglioso, e io ho bisogno di capire. Voglio sapere chi sei in realtà, perché sto male se mi sei vicino, e sto male se non ti vedo. Eppure so già che mi risponderai che deve restare un mistero”.
Sherlock rimase serio, sfiorando appena le labbra di John con le dita.
“Sì. Grazie di capire. Per adesso è così. Ed è preferibile che le cose non cambino”.

note: ho pubblicato 2 giorni in anticipo sui 14 previsti, per non rischiare, all’opposto, un ritardo. Spero che – sempre se c’è qualcuno – vada bene! #^-^#




















  
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