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Autore: Montana    30/03/2017    2 recensioni
Inghilterra, 1914.
La Grande Guerra sta cominciando a scuotere l'Europa, e i suoi venti di distruzione e paura arrivano fino alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Newt Scamander vorrebbe solo occuparsi di bestie magiche.
Leta Lestrange ha progetti bizzarri e nessuno scrupolo.
Amelia Prewett farebbe qualunque cosa per non vedere i suoi amici soffrire.
Esperimenti contro natura, una storia d'amore, l'emblematica lealtà degli Hufflepuff.
E una sola, grande domanda: cos'è successo a Newt Scamander?
Genere: Azione, Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Lestrange, Newt Scamandro, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Newt Scamander's Saga'
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XVI
Dove tutto torna alla normalità
 
Sala Comune Hufflepuff
Stanza privata della Caposcuola Prewett
Notte
 
Newton non crollò subito, come aveva pensato Amy.
Rimase fermo immobile al centro della sua stanza da letto, sgocciolando sul pavimento di legno per almeno una decina di minuti che Amy passò a camminare freneticamente qua e là per la stanza cercando di capire cosa fare, prima di crollare.
Fu un crollo graduale, da bravo Purosangue. Theseus sarebbe stato fiero di lui.
Per prima cosa cominciarono a tremargli le spalle.
Piano, inizialmente, tanto che Amy quasi non se ne rese conto, poi sempre più forte, come se lo stesse scuotendo un terremoto interiore.
Poi, con una lentezza spasmodica, si portò le mani al viso e fece un profondo respiro, spezzato alla fine da un singhiozzo. E come se quel semplice singhiozzo fosse bastato a far saltare tutto quello che lo teneva insieme, Newton cadde rovinosamente in ginocchio, scoppiando in lacrime.
Amy riconobbe quel pianto, era peggio di quando l’ippogrifo preferito di Newt era morto, era come il suo quella notte al quarto anno quando Newt l’aveva salvata dalla torre di Gryffindor. Si precipitò accanto all’amico, senza sapere se poteva toccarlo o meno, e cominciò a parlargli delicatamente nell’orecchio per cercare di tranquillizzarlo.
«Newt, ehi Newt stai calmo, non piangere, è finita. Andrà tutto bene, ti passerà e starai di nuovo bene.»
Lui non riusciva a parlare, tanto era scosso dai singhiozzi.
«Ascoltami, ascolta il mio respiro. Devi calmarti e ascoltare il mio respiro, se continui così dovrò portarti in Infermeria e so che non vorresti. Bravo, così, fai dei bei respiri.»
Newt alzò la testa e la fissò con gli occhi verdi pieni di lacrime, che continuavano a solcargli le guance «P-perché f-fai c-così?» le chiese.
«Perché? Perché è così che si fa tra amici, Newt!» rispose lei, cercando di sdrammatizzare il più possibile.
Lui scosse la testa e abbassò di nuovo lo sguardo «N-no tu… tu lo fai p-perché sei fatta c-così m-ma non devi f-fare così c-con me o p-penserò di n-nuovo che m-mi vuoi bene, ma n-nessuno mi vuole b-bene, io… io s-sono troppo b-buono.» cominciò a cantilenare lui, continuando a piangere.
Fregandosene del problema di Newton con il contatto fisico, Amy lo prese per le spalle e lo costrinse a guardarla, cercando di rimanere calma nonostante la furia omicida che sentiva montarle dentro «Newt, guardami. Non devi dire queste cose neanche per scherzo, non le devi nemmeno pensare. Non devi credere a quello che ti ha detto quella, quella megera, va bene? Lei non ti ama perché è stupida ma tu sei amato, Newt. La tua famiglia ti ama, soprattutto tuo fratello, anche se ti tratta con sufficienza. Qui a scuola ti amano tutti, i tuoi compagni di squadra, gli altri Hufflepuff ma non solo, anche quelli di tutte le altre case. Noi ti amiamo, Newt! I tuoi amici, io, Doug, noi ti amiamo. Non credere mai che tu possa fare qualcosa di così orribile da farci smettere di volerti bene, hai capito?»
Newt la fissò per qualche secondo poi le crollò addosso, stringendola tra i singhiozzi e continuando a ripeterle “scusa” nell’orecchio. La stava infradiciando fino al midollo ma Amy rimase lì ad abbracciarlo in silenzio, aspettando che smettesse quel pianto disperato.
Quando il ragazzo si fu calmato, Amy asciugò entrambi con un incantesimo e dopo un breve esame delle condizioni di Newt lo fece stendere sul suo letto, dove esausto si addormentò all’istante. Per sé trasfigurò la poltrona in una brandina dall’aspetto poco invitante, ma la stanchezza e il sonno la vinsero in pochi minuti.
 
Si risvegliò dopo quelli che le parvero pochissimi secondi, indolenzita come se avesse dormito su un mucchio di pietre. Si guardò attorno per raccapezzarsi su cosa fosse successo, e nel vedere Newt raggomitolato sul suo letto una morsa di tenerezza e tristezza le strinse il cuore. La stanza era già illuminata, seppur poco, e un’occhiata all’orologio confermò i suoi sospetti: era da poco passata l’alba, e probabilmente lei era l’unica anima viva sveglia in tutto il Castello.
Non ebbe il cuore di svegliare Newt, decise di aspettare che tornasse nel mondo dei vivi di sua scelta e che sarebbe rimasta con lui.
Scrisse un biglietto per Collins, per avvertirlo che probabilmente non l’avrebbe vista a lezione e per spiegarli il perché, glielo spedì con un incantesimo poi uscì silenziosamente dalla Sala Comune per un veloce raid nelle cucine. Si prese una tazza di the e dei toast, e qualche biscotto al miele per Newt.
Tornò in camera, dove l’amico continuava a dormire, e si mise alla scrivania per ripassare Incantesimi, fece il tema di compito e poi passò ad Aritmanzia. Lì la pesantezza della materia unita alle poche ore di sonno ebbero la meglio su di lei e si appisolò, in una posizione poco favorevole alla sua schiena già dolorante, ma era troppo stanca per badarci.
Questo finché qualcuno non le appoggiò una mano sulla spalla, svegliandola di soprassalto. Emise un verso inconsulto e brandì la prima arma a sua disposizione, che si rivelò essere una piuma, contro il misterioso aggressore, che si rivelò essere Newt.
«Oh. Scusa.» gli disse, vedendo le macchie d’inchiostro che gli aveva schizzato sul viso «Ti ho portato dei biscotti al miele, se hai fame. Sono lì.»
Lui continuò a fissarla poi chiese «Perché l’hai fatto?»
«Cosa, prenderti i biscotti? So che sono quelli che ti piacciono e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere mangiarli. O intendi perché ti ho lasciato dormire? Perché in quel caso direi che l’ho fatto perché con una nottata del genere avevi bisogno di riposo.»
«Intendo tutto, Amy. Da ieri sera fino ai biscotti.»
«Beh, se devo ammetterlo ieri sera ti ho seguito nella speranza di togliervi dei punti, ma meno male che l’ho fatto. Il resto te l’ho già spiegato. Dai, mangia sennò mi offendo!»
Newt obbedì prendendo il piatto di biscotti, ma l’espressione contrita non dava segno di voler scomparire dal suo viso «Ma noi avevamo litigato, per colpa mia!» mormorò infatti dopo un po’.
«E quindi? Ricordati che siamo Hufflepuff, leali alla causa fino alla morte, anche se è una causa persa. E poi la colpa non è stata solo tua, io non mi sono fatta gli affari miei, ti ho tolto dei punti…»
«Ma avevi ragione.»
«Quello perché io ho sempre ragione!» rise lei «Ad esempio, non ti ha fatto bene dormire un po’ e mangiare i biscotti? Vedi, io so tutto. Smettila con quella faccia da Snaso bastonato, ti prego. Mi viene voglia di regalarti le mie monetine.»
Finalmente anche Newt sorrise e parve rilassarsi, cominciando a mangiare i biscotti con più gusto. Finito il piattino, fece un respiro profondo e si rivolse di nuovo alla ragazza con aria molto seria «Grazie mille, Amy. Non sono ancora convinto di meritarla, ma se vorrai accettare la mia rinnovata amicizia mi farai molto felice.»
Lei sbuffò «Stai due mesi con gli Slytherin e diventi così formale? Male, amico mio, male! Continua così e diventerai un damerino ministeriale come Theseus!»
«Tu invece stai diventando una selvaggia, a forza di stare con i Gryffindor. A proposito, non pensi sia ora di rimetterci un po’ in pari? Avrai qualcosa di interessante da raccontarmi, o no?»
Amy arrossì «Qualcosa, forse niente di eclatante. Ma che ore sono?»
«Quasi ora di pranzo.»
«Vuoi andare in Sala Grande? Se preferisci restare qui per me non è un problema, possiamo andare nelle cucine a cercare qualcosa. Se ti conosco ancora bene, non hai voglia di farti vedere in giro, giusto?»
«Preferirei aspettare stasera, se non addirittura domani. Ma tu hai lezione oggi pomeriggio, e Collins si chiederà che fine hai fatto…»
«Collins è già stato avvisato, e una giornata di pausa posso permettermela. Non dirlo a nessuno, ma penso ci sia qualcosa di più importante dei MAGO…»
 
Passarono il pomeriggio nelle cucine, per la gioia degli Elfi che ogni due per tre si avvicinavano per offrirgli qualcosa da mangiare. Chiacchierarono e risero, recuperando il tempo perduto; Amy gli raccontò di Collins, della preparazione per l’esame da Spezzaincantesimi e della sua famiglia. Newt le disse che aveva trovato una cosa fantastica che presto le avrebbe mostrato e le raccontò le partite di Quidditch che pensava si fosse persa. Il nome di Leta non venne fuori neanche una volta, per la gioia di entrambi.
Quando gli Elfi cominciarono ad apparecchiare i quattro tavoli per la cena, Amy domandò a Newt cosa volesse fare, se cenare lì o arrischiarsi ad arrivare fino in Sala Grande.
«Forse è meglio andare in Sala Grande, dopotutto stanotte dovrò tornare nella mia stanza quindi prima esco allo scoperto e meglio è.»
«Sei sicuro? Guarda che a me non cambia nulla, ho mangiato per tutto il pomeriggio!»
«Non preoccuparti. Dai, andiamo; non vorrei che poi Collins mi accusasse gli avergli rapito la ragazza.»
Nessuno sapeva cos’era successo quella notte, ma tutti avevano notato la bizzarra e coincidente assenza di Amy Prewett e di Newt Scamander. Quando i due Hufflepuff comparvero sulla soglia della sala da pranzo già gremita, furono accolti da occhiate e bisbigli che fecero pentire Newt della sua spavalderia. Amy però veniva da una famiglia di Gryffindor e avanzò a testa alta, come se nulla fosse successo, verso Collins e Doug seduti al tavolo di Gryffindor, il più lontano possibile dagli Slytherin.
«Buonasera ragazzi!» li salutò gioviale, intuendo dall’espressione di Doug che Graham doveva avergli raccontato del biglietto «Guardate chi ho trovato nelle cucine!» aggiunse, spingendo avanti Newt.
I tre ragazzi si fissarono, Newt impacciato, Doug sollevato e Graham pensieroso, poi il Ravenclaw si aprì in un sorriso e disse «Beh, chi non muore si rivede! Dai, mettiti qui a farmi compagnia, così non dovrò più fare da terzo incomodo.»
Newt stava per commuoversi ma si trattenne, e si sedette accanto agli amici ritrovati prima che cambiassero idea.
Nessuno dei quattro si accorse che dall’altro capo della sala qualcuno li stava guardando con un furore misto a incredulità.
Orion Black guardò la Lestrange, quella pazza seduta accanto a lui, stringere convulsamente le posate in mano mentre fissava il suo ex amante Hufflepuff ritornare dagli amici. Sorrise.
«Qualunque cosa tu volessi fargli, Lestrange, non ha funzionato.» le disse.
Leta non lo degnò di una risposta, ma nella mente già disegnava un piano per distruggere quel patetico gruppetto nel più terribile dei modi.
 
18 Marzo 1915
Biblioteca
Pomeriggio
 
Amy e Newt evitavano gli Slytherin come la peste, e Amy era abbastanza sicura che quello fosse il modo più giusto di agire. Così facendo, Newt evitava le prese in giro e le umiliazioni che avrebbe sicuramente subito, e lei non doveva perdere tempo a schiantare i suoi aguzzini. Cercava di stare con lui il più possibile, ma c’erano momenti in cui era inevitabile che fossero divisi: quando lei si ritirava in Biblioteca per studiare, Newt declinava sempre il suo invito a unirsi a lei e svaniva chissà dove. Sembrava stare meglio, però, ed era quello l’importante.
Amy pensava a questo, prendendosi una pausa dal tema di Trasfigurazione. Non l’avrebbe mai ammesso con nessuno, ma studiare la stava annoiando. Forse perché era da sola, tra Newt disperso, Doug a lezione e Graham partito per un provino di una squadra di Quidditch professionista. O forse avevano ragione gli amici, e stava davvero studiando troppo…
Un rumore la distolse dai suoi pensieri; sulla sua pergamena c’era un uccellino di carta, che agitava le ali per farsi notare. Perplessa, Amy lo prese e delicatamente lo aprì per rivelare il messaggio scritto all’interno.
“Amy, vieni alla Foresta dopo cena, devo farti vedere una cosa. Non dirlo a nessuno, è una sorpresa. S.”
La ragazza sorrise: finalmente Newt aveva deciso di mostrarle la sua scoperta magica! Questo le diede la giusta spinta per ricominciare a studiare.
 
Quella sera Amy fu tra le prime a sedere al tavolo di Hufflepuff per la cena, e fu la prima in assoluto ad alzarsi dopo una cena consumata in fretta. Solitamente si godeva quei momenti di pace, ma Newt non si era fatto vedere e lei era impaziente di scoprire quale meraviglia magica l’amico dovesse farle vedere.
Cercando di non farsi notare da nessuno, soprattutto non da Doug (si sarebbe tremendamente offeso se avesse saputo che i suoi amici condividevano un segreto alle sue spalle), uscì velocemente dalla Sala Grande e si incamminò nel parco. Rabbrividì al contatto con l’aria frizzante, dopotutto era solo metà marzo, e si complimentò mentalmente con se stessa per aver preso su il mantello prima di uscire.
Passò il tragitto verso la Foresta a domandarsi cosa mai Newt volesse farle vedere, supponendo che fosse una qualche creatura, visto il bizzarro luogo del loro incontro serale. Arrivata al limitare della zona proibita, però, di Newton non c’erano tracce.
«Newt! Ehi Newt, sono io!» lo chiamò.
Un frusciare di rami e un fiotto di scintille bianche sparate a mezz’aria le risposero e le indicarono la via da seguire nel fitto sottobosco.
«Una creatura infastidita dalla voce ma non dalla luce? Chissà che diavolo ha tirato fuori…» si disse, seguendo la scia luminosa.
Gli alberi attorno a lei si facevano sempre più fitti, tanto che le chiome oscuravano la luce della luna costringendola a procedere tentoni, finché le scintille improvvisamente non scomparvero.
Amy deglutì a vuoto, nervosa «Ehi, Newt, ti ricordi quell’estate in Scozia? Non vorrei essere petulante, ma ho una certa paura del buio. Ehi? Newton ma dove diavolo…»
Prima che potesse finire la domanda, un incantesimo la colpì forte in pieno petto scaraventandola a parecchi metri di distanza. Atterrò sulla schiena, così violentemente che le si mozzò il fiato, e fu raggiunta da un altro colpo mentre cercava di prendere la bacchetta. Questa volta cadde su un fianco e rotolò giù da un piccolo pendio, graffiandosi dolorosamente il viso e strappandosi il mantello.
Si rialzò barcollando, bacchetta alla mano per difendersi, ma anche questa volta il suo aggressore fu più rapido e astuto di lei.
«Silencio!» gridò una voce alle sue spalle, una voce che le fece accapponare la pelle. Si girò di scatto per contrattaccare, ma non uscì nulla né dalla sua bocca né dalla sua bacchetta. Leta, in piedi davanti a lei, la guardava con un sorriso terrificante sul volto.
«Non fai più tanto la coraggiosa, eh Prewett?» le sibilò, prima di voltarsi e correre via nella Foresta. Amy la seguì, sperando di bloccarla e affrontarla alla babbana, visto che con gli incantesimi non avrebbe più potuto far nulla; ma Leta conosceva la Foresta molto meglio di lei, e in poco tempo la Hufflepuff si ritrovò sola nel buio senza punti di riferimento.
“Niente panico” si disse, guardandosi attorno.
Un verso disumano in lontananza alla sua sinistra la fece sobbalzare.
“Ok, forse un po’ di panico sì, ma non troppo”
Sentì un rumore di zoccoli in avvicinamento, e si ritrovò a sperare che fosse un centauro allertato da tutto quel trambusto nella sua casa che l’avrebbe aiutata e possibilmente punito Leta nel peggiore dei modi. Nella peggiore delle ipotesi, invece, il centauro incazzato avrebbe ucciso sia lei sia Leta, ma dopotutto lei era un’ottimista.
Quando dagli alberi vicino a lei spuntò un enorme cavallo bianco con gli occhi iniettati di sangue e un pericoloso corno sulla fronte, l’unico pensiero che le attraversò la mente fu: corri.
 
Amy non era atletica, le piaceva il Quidditch perché sapeva fare e non doveva muoversi molto, giocando sulla scopa, ma non sapeva correre. Le veniva il fiatone dopo pochi metri, e se si ostinava a continuare finiva per inciampare nei suoi stessi piedi facendosi del male.
L’istinto di sopravvivenza però pareva avere la meglio su di lei, visto che stava correndo da Morgana solo sapeva quanto ed era ancora in piedi. Le bruciava la gola e non si sentiva più le gambe, senza contare gli innumerevoli graffi sul viso e sulle braccia che si procurava sbattendo contro gli alberi, ma il rumore degli zoccoli della bestia inferocita alle sue spalle bastava a farla andare avanti il più velocemente possibile.
Si impegnava così tanto a correre e a pensare ad un modo per uscire da lì incolume il suo cervello non pensava più a come mai ci fosse un unicorno imbizzarrito nella Foresta Proibita, come facesse Leta a saperlo e soprattutto dove come facesse a sapere che non era in grado di fare incantesimi non verbali.
D’un tratto sentì un brusco, poco rassicurante spostamento d’aria alle sue spalle, poi uno strattone al mantello e si ritrovò sollevata a mezz’aria e scagliata via con forza; l’animale doveva averle incornato il mantello nel tentativo di fermarla. D’un tratto, mentre vedeva il mondo attorno a lei girarsi sottosopra più e più volte, quella del mantello non le parve più una buona idea.
Nel ricadere a terra sbatté contro un albero e sentì chiaramente il braccio sinistro spezzarsi con uno schiocco agghiacciante. Ci cadde sopra, rotolando al suolo, e un fiotto di bile calda le risalì la gola per il dolore. Con la mano rimasta buona armeggiò con la chiusura del mantello per cercare di toglierselo, mentre a fatica si rimetteva in piedi. Prima che potesse liberarsi del peso e rimettersi a correre però l’animale arrivò nella radura dove l’aveva lanciata, e in un istante Amy si rese conto che non sarebbe mai riuscita a scappare.
Abbassò le mani in segno di resa, senza guardare l’animale negli occhi come le aveva insegnato Newt sperando che rinunciasse alla caccia come un qualunque animale normale o fantastico. Ma qualunque cosa fosse successa a quell’unicorno, di sicuro non era naturale. La fissò, caricò e le corse contro con un nitrito selvaggio.
Il corno la colpì al ventre, trapassando i sottili strati di vestiti e infilandosi in profondità nella sua carne. Era freddo, ruvido e tremendamente affilato, si sorprese a pensare Amy. E fece ancora più male quando uscì.
La ragazza cadde all’indietro, sbilanciata dalla potenza del colpo, la divisa già intrisa di sangue.
Attorno a lei, solo silenzio e freddo. Sopra di lei, la luna già alta la fissava tristemente.
“Non è il posto peggiore per morire”, pensò fissandola di rimando.

 
  
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