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Autore: Ortensia_    31/03/2017    1 recensioni
[ IN SOSPESO ]
Kageyama Tobio, vent'anni appena compiuti, una retta universitaria da pagare e una madre isterica di cui prendersi cura. La sua monotona esistenza subisce uno scossone dal momento in cui incontra un ragazzino dai capelli arancioni che sostiene di essere uno shinigami.
Inizialmente rifiuta di credergli, ma essendo lui stesso un essere soprannaturale comincia a pensare che possa esserci un fondo di verità nella sua confessione.
Quel che Kageyama non sa è che gli esseri come lui sono molti altri e che anche loro riceveranno presto visite dal regno dei morti.
[ Superheroes!AU; coppie e accenni all'interno; fonti di ispirazione: Marvel!Universe; Death Note; Psycho-Pass (non è necessario essere fan della Marvel o consocere gli anime citati per seguire la fanfiction) ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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VII


Trovarsi lì, dove la discordia si risveglia dal suo sonno


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S h i b a t a __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



Due volanti dell'Unità Speciale di Polizia di Tokyo giunsero a Shibata all'imbrunire.
Yachi Hitoka, uno dei membri di élite più giovani, fu la prima a scendere dall'auto, seppur lentamente, affondando gli stivali nella neve con estrema cautela.
«Si gela!» chiuse la portiera strepitando fra un battito di denti e un altro, per poi sfregare le mani lungo le braccia nel tentativo di mantenerle il più calde possibile.
«Vuoi un cappotto più pesante, Yachi-san?» Chidori scese dalla parte del conducente, rivolgendo una rapida occhiata ai due ragazzi appena usciti dalla seconda volante.
«Posso farcela» Yachi si affiancò alla collega, diminuendo a poco a poco lo sfregamento delle mani contro le braccia e serrando i denti con forza, nella speranza di stroncare i brevi spasmi del freddo, che ormai avevano preso il controllo di mandibola e mascella.
«Davvero questa nevicata potrebbe essere stata provocata da un dotato di cromosoma Z?» Yamaguchi Tadashi si avvicinò alle due ragazze, seguito a ruota da Tsukishima Kei, uno dei membri più promettenti dell'Unità Speciale di Polizia di Tokyo, nonché amico fidato dell'altro.
«Potrebbe» Chidori rispose immediatamente. «Tsukishima, tu cosa ne pensi?»
Tsukishima non rispose immediatamente. Si guardò intorno, mosse qualche passo affondando le punte degli stivali nella neve, in modo da poter raggiungere l'asfalto, saggiare ciò che si trovava sotto la morbida coltre bianca.
Chiuse gli occhi per un istante, esalando un respiro che si condensò in una fumosa nuvola biancastra.
«Noto alcune irregolarità da non sottovalutare. Ad esempio sotto la neve ci sono punti ricoperti di ghiaccio e altri no, ed è un po' strano considerando che la precipitazione è recente.»
«Ma fa freddo» Yamaguchi intervenne, il naso arrossato a causa dell'aria gelida.
«Il freddo potrebbe essere stato causato proprio da un dotato di cromosoma Z, Yamaguchi.»
Chidori annuì appena, pronunciandosi a favore di Tsukishima, poi retrocesse di qualche passo.
«Tenete il cercapersone acceso e siate vigili,» Kazue diede una pacca affettuosa sulla spalla di Hitoka, ancora al suo fianco «Yamaguchi con me, Yachi-san con Tsukishima.»
Gli altri tre annuirono quasi simultaneamente, quindi Yamaguchi e Yachi si scambiarono di posto e le coppie presero subito direzioni opposte.


❋ ❋ ❋


Yahaba, lo sguardo fisso sullo specchietto centrale, vide Shirabu sussultare appena, per poi risollevare rapidamente le palpebre.
«Qualcosa non va, Raijuu?»
Anche se Yahaba considerava la loro una tregua necessaria, piuttosto che un'alleanza, il ragazzo che si faceva chiamare Raijuu gli aveva spiegato brevemente la sua abilità, il fatto che potesse percepire determinati cambiamenti e particolari vibrazioni tramite i tralicci dell'alta tensione.
«La polizia» Shirabu rispose senza esitazione, provocando un brivido lungo la schiena di Goshiki – già di per sé piuttosto inquietato dalla presenza di Kyoutani e il suo protetto, seduti davanti a loro.
Yahaba assottigliò il proprio sguardo, rivolgendo una rapida occhiata fuori dall'auto abbandonata che erano riusciti a trovare ad appena un chilometro fuori Shibata, un catorcio che non sarebbero mai riusciti a far funzionare ma che per fortuna si trovava in una posizione sufficientemente protetta.
«Sei riuscito a localizzare Oikawa?»
«No. E personalmente comincio a pensare che non sia più così sicuro restare qui ad aspettare» Shirabu fece una breve pausa, inspirando appena. «Dopotutto posso garantire sulla presenza della polizia, ma Oikawa potrebbe aver già lasciato la città.»
Tsutomu rivolse un'occhiata colma di terrore al proprio protetto, raccomandandogli mentalmente – nonostante sapesse che non poteva sentirlo – di stare attento a quello che diceva. Non si erano mai incontrati di persona, ma aveva sentito parlare spesso di Cane pazzo, uno degli shinigami più forti insieme a Iwaizumi, Aone, Tendou e Shimizu. Tendeva a stare sulle sue ed era piuttosto silenzioso, ma bastava un nonnulla per provocarlo, a quel punto faceva ricorso a tutta la sua forza per eliminare le seccature.
Da quando erano entrati in auto, Goshiki lo aveva osservato di sottecchi attraverso lo specchietto retrovisore, e tutte le volte – che riuscisse a scorgere solo un quarto del viso o l'intero – Kyoutani teneva le palpebre leggermente abbassate e le labbra serrate con forza ma appena piegate, protese, come se si stesse preparando ad azzannare qualcuno, forse il suo stesso riflesso nel parabrezza polveroso.
Tsutomu guardò solo per un istante fuori dal finestrino, schiudendo le labbra in un sospiro rassegnato: il freddo era già penetrato nelle ossa, ma era sicuro che una volta lasciata l'auto sarebbe stato anche peggio. D'altronde lo aveva sperimentato in mattinata, quando Shirabu gli aveva chiesto di accompagnare Kyoutani al supermercato più vicino perché potessero rimediare qualcosa da mangiare. L'iniziativa del suo protetto non gli era piaciuta, innanzitutto perché lo aveva messo in una posizione piuttosto spiacevole, costringendolo a lasciarlo nelle mani di Yahaba e a trascorrere davvero troppo tempo solo in compagnia di Kyoutani, ma Goshiki aveva capito che si trattava di una prova di fiducia. Non aveva idea di come fosse andata fra Shirabu e l'altro; in quanto a lui e Cane pazzo, questo non aveva fiatato per tutto il tempo, ammutolendo automaticamente Goshiki, che aveva aperto bocca solo per ringraziare la cassiera dello scontrino e congedarsi con un saluto educato.
«Noi andiamo via.»
Goshiki rivolse un'altra occhiata inquieta a Shirabu, senza riuscire a dire niente per farlo tacere.
«Dovreste farlo anche voi, e al più presto» Kenjirou aprì la portiera per primo, increspando le labbra in una smorfia nervosa non appena le scarpe affondarono nella neve gelida; Goshiki scese dall'altra parte, frettolosamente e un po' goffamente, bersagliato dallo sguardo vitreo di Kyoutani.
«Stammi bene, Raijuu.»
Alla risposta di Yahaba, sia Shirabu che Goshiki chiusero le portiere, allontanandosi in fretta dall'auto.


❋ ❋ ❋


«C-c-ci...» Goshiki boccheggiò per il freddo, mentre il vento, che come un rastrello nella sabbia secca deformava e disperdeva la coltre bianca, sfaldandola e sollevandone le infinitesimali parti, gli frustava il viso e sferzava i suoi capelli.
Raggiunse Shirabu azzardando qualche passo allungato, le braccia strette al petto e il capo chino, il mento affondato oltre il bavero del cappotto.
«Ci alleiamo da-davvero con... loro?»
«Con Frost Bite e il suo cagnaccio?» Shirabu, anche lui visibilmente infreddolito e infastidito dal vento, riuscì comunque a rispondere senza battere i denti, fermandosi non appena giunsero in un punto più riparato. «Non ho intenzione di allearmi con dei tipi simili, e ho l'impressione che la cosa sia reciproca. Siamo rimasti con loro perché volevo tentare di localizzare Oikawa o l'altro ragazzo.»
«Ma è vero che non ci sei riuscito?»
Shirabu annuì, guardandosi intorno con aria angustiata.
«To-torniamo a casa, adesso?» domandò Goshiki, tirando su con il naso.
«Sì. Mi auguro che ci siano treni in partenza, altrimenti finiremo dritti dritti nelle fauci della polizia.»


❋ ❋ ❋


Yachi si sentiva sempre in imbarazzo quando si trovava con Tsukishima. Non si trattava di un impedimento strettamente sentimentale, perché, per quanto riconoscesse la sua perspicacia e il suo acume, non era attratta da lui. A metterla in difficoltà era Kei stesso, la sua personalità troppo silenziosa e impenetrabile; anche quando le diceva qualcosa, Hitoka aveva l'impressione che non le stesse raccontando tutta la verità, o che per lo meno stesse omettendo qualche pensiero astuto che preferiva tenere per sé. Sapeva che era un bravo ragazzo, molto concentrato sul lavoro, ma alcune volte non le sembrava del tutto umano e la metteva a disagio – senza contare, poi, che lei stessa aveva un carattere piuttosto vulnerabile e suscettibile.
«Tsukishima,» in quel momento, però, forse perché la vista uniforme dei marciapiedi imbiancati l'aveva annoiata abbastanza e desiderava liberare almeno il viso dall'intorpidimento del freddo, decise di parlargli «come ti sei trovato con l'Exterminator potenziato?»
«Bene» Kei tagliò corto, senza guardarla. Continuò ad avanzare, gli stivali scuri immersi nella neve e l'Exterminator che, attaccato alla cintura, ondeggiava leggermente.
Yachi deglutì, innervosita dalla risposta frettolosa dell'altro. Di nuovo, come spesso accadeva, aveva l'impressione che dietro il cripticismo del suo collega si nascondessero milioni di congetture illuminanti che tuttavia voleva tenere soltanto per sé. Perché doveva essere sempre così ermetico? Per lei, che non riusciva neppure a intuire i suoi pensieri, era frustrante. In effetti capire Tsukishima risultava difficile un po' a tutti, in polizia, solo che Yachi, a differenza degli altri, non voleva accontentarsi della superficie.
«Un'arma che adatta il proprio potere a seconda di chi le sta di fronte...» azzardò un commento «mi chiedo come siano riusciti a crearla.»
«A tale riguardo credo che sia opportuno porsi meno interrogativi possibili,» Tsukishima prese fiato, scrutando lo spazio ristretto del marciapiede opposto al loro «a tempo debito avremo la risposta.»
Questa volta fu Hitoka a chiudersi nel silenzio. Osservò Kei con le labbra serrate e leggermente contratte, e quando lo vide girare il viso verso sinistra fece lo stesso, cercando di capire cosa stesse guardando.
Per un istante, l'attenzione di Yachi fu attirata dall'insegna colorata di una libreria per bambini, kanji arcobaleno disposti su un libro spalancato dietro il quale facevano capolino la testa, una zampa e la coda di un gatto nero e grigio. Era stata tanto coinvolta dalla preoccupazione derivante dal trovarsi sola con Tsukishima da aver dimenticato che in quella città vivevano anche dei bambini, che oltre a uno o più eventuali dotati di cromosoma Z c'erano studenti, lavoratori, madri, padri, persone comuni come lei.
Schiuse le labbra, boccheggiando appena, un po' perché indecisa se dire ancora qualcosa, un po' a causa del freddo, ma poi la punta del suo stivale sinistro si agganciò a qualcosa di duro. Yachi perse l'equilibrio, sbilanciandosi in avanti, e le dita del piede si piegarono dolorosamente, scivolando via dall'incastro sottile che si nascondeva sotto lo strato di neve – la fessura di un tombino di scarico, molto probabilmente.
Hitoka cadde in avanti, scivolando rovinosamente a causa della neve, quindi tese le braccia e serrò gli occhi per prepararsi all'impatto imminente, ma due mani, una presa salda sulle sue spalle, arrestarono la caduta.
«Stai bene?»
Fu la voce squillante di un ragazzo a spingerla a riaprire subito gli occhi, quindi Yachi sollevò il viso imbarazzata, pronta a scusarsi, allontanarsi da lui e sparire per sempre dalla sua vista, se fosse stato possibile scomparire nella neve e fargli dimenticare che quel giorno una poliziotta stupida aveva evitato una facciata nella neve grazie a lui.
Nel momento in cui vide il ragazzo, però, il corpo di Hitoka si pietrificò; si ritrovò a boccheggiare, le guance arrossate e la luce degli occhi più vivida sotto un cielo bianco e vuoto.
Il ragazzo dai capelli arancioni le sorrise, e all'improvviso ebbe l'impressione di conoscerlo da una vita. I muscoli tesi cominciarono a sciogliersi, e le sue labbra si piegarono all'insù, seppur timidamente: era a casa, in quel momento, e niente avrebbe potuto convincerla del contrario.
«Sì,» rispose a voce bassa, ancora un po' imbarazzata, per poi tornare a reggersi solo sulle proprie gambe «grazie.»
Hitoka guardò per un istante alle sue spalle: vide un ragazzo dai capelli corvini, l'espressione contrita, come infastidito dal fatto che l'altro si stesse intrattenendo a parlare con lei, come se volesse allontanarsi immediatamente da lì – o forse si sentiva scocciato da Tsukishima, che lo stava fissando con insistenza, squadrandolo dalla testa ai piedi.
Il ragazzo dai capelli arancioni guardò l'altro solo per un istante, poi tornò a rivolgersi a lei, ampliando leggermente il sorriso.
«Ora dobbiamo proprio andare, buona giornata!»
Il ragazzo si allontanò all'improvviso, velocemente, tanto che Yachi si ritrovò a balbettare inutilmente un saluto e un secondo ringraziamento.
«Buona giornata» anche il ragazzo dai capelli neri la sorpassò, bofonchiando con reticenza quell'augurio di pura cortesia.
Tsukishima li seguì con lo sguardo finché non scomparvero dietro l'ampia mole di un palazzo.


❋ ❋ ❋


«Ma sei stupido?!» Kageyama afferrò con forza il braccio di Hinata, strattonandolo. «Hinata, imbecille! Perché proprio una poliziotta?»
Hinata emise un rantolio prolungato, lasciandosi scuotere da Kageyama senza riuscire a liberarsi dalla sua presa – anche a causa del sottile strato di neve liquefatta sotto i suoi piedi.
«Avresti potuto lasciare che si ammazzasse!» Tobio mollò la presa, borbottando rabbiosamente. «Sarebbe stato molto meglio per noi...»
«L'avresti lasciata cadere, Kageyama?» Hinata lo bersagliò con sguardo interrogativo, facendogli realizzare quanto sarebbe stato scortese e squallido da parte sua lasciare che una ragazza cadesse rovinosamente nella neve e sperare per una perdita tra le fila dell'Unità Speciale di Polizia di Tokyo.
Imbarazzato, Kageyama allontanò lo sguardo e sbuffò leggermente: per quanto impacciato e impulsivo, non era cattivo, perciò non avrebbe permesso davvero che quella ragazza si facesse male; Hinata aveva fatto una cosa buona, in fin dei conti, e a pensarci bene era assurdo che uno shinigami avesse dimostrato un'educazione civica più acuta della sua.
«Piuttosto,» Hinata riprese a parlare, cambiando argomento con grande sollievo dell'altro «dove stiamo andando?»
Continuarono a camminare, e per qualche istante si sentì solo la neve crepitare sotto i loro piedi, condensarsi e indurirsi contro le suole delle scarpe e poi scricchiolare e rompersi in piccole zolle di ghiaccio grigiastro.
Kageyama si voltò verso il proprio shinigami appena qualche attimo più tardi.
«Ad avvertire Oikawa-san.»


❋ ❋ ❋


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B u n k y o u __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



Moniwa sorresse la cornetta del telefono per qualche istante, restando a fissarla stranito, inquietato dal tempismo con cui il cellulare – ancora nella tasca dei pantaloni – aveva incominciato a vibrare contro la sua coscia. Aveva fatto appena in tempo a salutare sua madre, che aveva telefonato dall'ufficio per dirgli che si sarebbe trattenuta un paio di ore in più e che quindi avrebbe fatto meglio a preparare subito la cena per sé, Tetsuko e Aone.
Senza fare movimenti bruschi, come se Kaname temesse che il cellulare potesse smettere di vibrare a causa sua, infilò una mano nella tasca dei pantaloni, quindi, dopo averlo estratto e aver letto il nome del mittente della chiama, strabuzzò gli occhi stupito: cosa poteva volere da lui il principale dell'ufficio legale in cui stava svolgendo il proprio master? Aveva sbagliato qualcosa? Non lo aveva mai chiamato, d'altronde, e quello gli parve un orario piuttosto strano.
Moniwa deglutì, quindi si schiarì la voce e rispose, anche se avrebbe preferito ingoiare ancora un po' di saliva nell'attesa che il suo superiore si arrendesse e terminasse la chiamata.
«Nijima-san,» esordì con tono vagamente tremante, deglutendo «buonasera.»
«Buonasera a te, Moniwa-kun» il suo capo rispose pacatamente, come al solito. Non c'era nulla di diverso dal tono che usava in ufficio, perciò Kaname sperò che la sua chiamata fosse dettata da una ragione differente rispetto a un suo errore commesso durante l'orario di lavoro.
Schiuse le labbra, intenzionato a domandargli se vi fosse un motivo particolare dietro quella chiamata, ma Nijima lo precedette.
«Mi auguro di non essere di disturbo.»
«No, assolutamente» Moniwa si affrettò a rispondere, rischiando perfino di strozzarsi con la sua stessa saliva, ma visto che il capo riprese subito a parlare dovette perfino sforzarsi di trattenere la tosse.
«Ho una proposta.»
Kaname si schiarì la voce con fatica, sbattendo le palpebre un paio di volte, confuso.
«Che... che genere di proposta?»
«Ascolta, un collega di Shinjuku mi ha telefonato poco fa per dirmi che per qualche giorno nel suo ufficio vi sarà un posto di stagista vacante. Si tratta di pochi giorni, ma ho pensato che un'esperienza a Shinjuku potrebbe rivelarsi interessante, senza contare che si tratta di uno studio legale piuttosto rinomato. Se mi fosse capitata un'occasione simile quando ero giovane, avrei accettato immediatamente.»
Moniwa non riuscì a parlare, semplicemente emise un fievole suono gutturale per esprimere la sua confusione.
«Inoltre sarò io a occuparmi delle spese riguardanti viaggio e alloggio. Tu dovrai provvedere soltanto al pranzo.»
Kaname restò in silenzio ancora per qualche istante. Cosa gli stava dicendo? Il suo capo gli aveva appena proposto di lavorare in un importante studio legale di Shinjuku per qualche giorno, fra l'altro a un costo a dir poco irrisorio. Gli sarebbe piaciuto lasciare Edogawa per qualche giorno, rompere gli schemi della routine anche soltanto per quarantotto ore.
«È un'offerta davvero allettante,» non mentì, tuttavia affondò i denti nel labbro inferiore, turbato dalla situazione «ne discuterò in famiglia e domattina le darò una risposta, sempre che non sia necessario un immediato consenso da parte mia.»
«Domattina è perfetto,» Moniwa ebbe l'impressione che Nijima stesse esitando, e in effetti questo riprese a parlare qualche istante dopo, la voce leggermente roca «ma ti consiglio vivamente di accettare. In ogni caso mi scuso ancora per il disturbo. Buona serata.»
«B-buona serata anche a lei» Kaname, preso alla sprovvista dall'improvviso congedo del capo, si ritrovò a balbettare, le dita della mano destra strette con forza attorno al cellulare. «A... a domani, allora!»
Chiuse la chiamata, quindi restò a fissare lo screensaver per qualche secondo, le labbra serrate con forza, leggermente contratte a causa delle tempie bollenti e della gola secca.
Cosa avrebbe potuto fare? In normali circostanze avrebbe accettato immediatamente; certo, si sarebbe approcciato alla proposta del superiore con un po' della sua tipica titubanza, ma si sarebbe sentito fortunato. In quel momento, invece, era combattuto, riusciva a visualizzare con chiarezza la proposta ed entrambi i suoi lati – buono e cattivo.
Si trattava di un'esperienza che avrebbe chiaramente arricchito il suo bagaglio professionale e personale, ma era ovvio che quello non fosse il momento migliore per lasciare Bunkyou. C'erano altri dotati di cromosoma Z come lui, in Giappone, anche loro avevano uno shinigami e sicuramente avevano deciso di attaccare, piuttosto che puntare sulla difensiva, per cui partire da solo e recarsi in un posto poco conosciuto gli sembrava la decisione più stupida che potesse prendere.
Deglutì, e poi tentò di schiarirsi la gola, seppur con scarsi risultati, dunque sospirò e si diresse verso camera sua, il cellulare ancora stretto dalle dita della mano destra: prima di decidere ne avrebbe discusso con Aone.


❋ ❋ ❋


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S h i b a t a __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



Chidori non si preoccupava troppo del modo in cui chiedeva ragguagli. Le riusciva piuttosto facile far valere la propria autorità con educazione e senza creare allarmismi, e anche in quell'occasione era riuscita a procurarsi diverse informazioni relative agli ospiti di tutti gli alberghi presenti nella cittadina.
Erano giunti al penultimo della lista, e come per gli altri, quasi automaticamente, Kazue si era seduta su uno dei divanetti presenti nella hall e aveva cominciato ad analizzare i nomi presenti nel database dell'hotel, facendo qualche rapida ricerca su ciascuno degli ospiti.
Nel frattempo Yamaguchi stava ispezionando l'albergo in cerca di dettagli particolarmente sospetti, come richiesto espressamente da Kazue.
Giunta ai nomi della stanza numero ventitré, Chidori fermò la propria ricerca per qualche istante, soffermandosi in particolare sull'orario del check out.
«Mi scusi,» tenendo il piccolo computer con entrambe le mani, così da assicurarsi una maggiore aderenza contro le proprie gambe, si rivolse alla receptionist dell'hotel «i clienti della stanza ventitré se ne sono andati oggi pomeriggio?»
Voleva accertarsi che non si trattasse di un errore, visto che normalmente il check out avveniva al mattino.
«Sì» la risposta della receptionist fu piuttosto sbrigativa: era evidente che la visita della polizia l'aveva messa a disagio, non riusciva a capire cosa stesse accadendo, e il non sapere la agitava più del dovuto.
«Non questa mattina?» Chidori, non troppo soddisfatta dalla risposta concisa dell'altra, cercò un'ulteriore conferma.
«No, oggi pomeriggio» ripeté la receptionist.
Kazue digitò il primo nome, iniziando una breve ricerca in rete.
«Potrebbe dirmi più precisamente a che ora se ne sono andati?» domandò poi, la mano sinistra a sorreggere il PC e la destra impegnata a estrarre una penna e un piccolo taccuino dalla tasca della divisa scura.
«Io... la privacy» la donna alla reception balbettò, l'indice e il medio della mano destra ad accarezzare le labbra in un movimento misurato, probabilmente a causa dell'imbarazzo generato da quell'insolita situazione.
«Ne sono consapevole, e immagino che la mia domanda possa sembrarle troppo scomoda e pretenziosa, ma» Chidori poggiò il computer sul divanetto in pelle, accanto a lei, quindi sistemò il taccuino sulle ginocchia e appuntò il primo nome «ne va della sicurezza della città.»
La receptionist annuì con un movimento ingessato del capo, le dita congiunte nervosamente dietro il bancone. Guardò Chidori scrivere in fretta sul taccuino, poi infilarlo nuovamente in tasca, riprendere il computer e digitare ancora una nuova ricerca.
«La sto mettendo in difficoltà, me ne rendo conto,» Kazue riprese a parlare e voltò il viso verso di lei, le labbra increspate in un sorriso discreto e rassicurante «ma nessuno verrà a sapere che è stata lei a darci le informazioni, e anche se così fosse, noi stessi ci occuperemo di mettere al sicuro la sua posizione. D'altronde non ha altra scelta.»
La receptionist annuì di nuovo, quindi, dopo qualche istante di esitazione, le disse che i due clienti della stanza ventitré avevano lasciato l'albergo circa mezz'ora prima.
Chidori si alzò dal divanetto senza tradire alcuna fretta, quindi ripose il computer nell'apposita custodia e richiamò Yamaguchi inviandogli un messaggio vocale tramite il cercapersone. Si avvicinò alla reception e con le labbra piegate in un sorriso forzato ringraziò la sua informatrice, congedandosi con cortese brevità.


❋ ❋ ❋


«Hai trovato qualcosa, Chidori-san?» Tadashi la raggiunse fuori dall'albergo pochi istanti più tardi.
Kazue lo guardò, e in quel momento ebbe come l'impressione che il taccuino dentro la tasca destra della giacca si stesse muovendo, cercando di saltare fuori. Socchiuse gli occhi e inspirò dalle narici.
«No. Nulla» rispose.


❋ ❋ ❋


Chidori dischiuse le labbra, ora pallide e leggermente raggrinzite a causa del freddo. Ascoltò la neve scricchiolare sotto i piedi, e vide il proprio fiato condensarsi in una nuvoletta di fumo bianco e infine disperdersi nell'aria invisibile.
Anche le ricerche condotte nell'ultimo hotel della lista non si erano rivelate particolarmente fruttuose, ma durante l'ispezione nelle varie infrastrutture alberghiere della città, Kazue aveva appuntato diversi nomi sul proprio taccuino, ancora custodito gelosamente nella tasca della divisa. Una volta tornata nel proprio appartamento di Shinjuku, avrebbe indagato individualmente riguardo l'identità di quelle persone – dopotutto nel corso degli anni aveva imparato che la privacy su Internet non esisteva o era estremamente facile da violare, per cui si poteva considerare uno dei primi strumenti utili al suo mestiere e alla sua curiosità personale.
Prima di parlarne con i propri colleghi, e soprattutto con i superiori, Kazue voleva essere sicura di aver individuato i nomi giusti e che, soprattutto, quelle persone costituissero un fondato pericolo per la vita dei cittadini comuni. Dopotutto non era mai stata d'accordo riguardo la politica dello sterminare tutti i dotati di cromosoma Z indiscriminatamente; prima di prendere una decisione preferiva indagare approfonditamente sul loro conto, propendendo per le soluzioni più drastiche qualora tali individui costituissero una rilevante minaccia per la società. Alcuni dotati di cromosoma Z non erano cattivi, né possedevano abilità particolarmente pericolose, per cui non comprendeva assolutamente la necessità di radiarli dalla comunità.
Guardò frettolosamente l'orologio da polso, poi il cielo, stracci di nubi colme di neve addensate su un compatto fondo blu. Le tracce arancioni e rosate dell'imbrunire erano scomparse, e lei stava tornando alle volanti con tre tramezzini al tonno – visto che Yachi e Tsukishima non erano ancora tornati, ne aveva approfittato per sgranchirsi le gambe fino alla stazione, dove aveva bevuto un caffè amaro e comprato da mangiare per i colleghi.
Era quasi certa che una volta arrivata alle volanti avrebbe trovato soltanto Yamaguchi, che infreddolito si era già sistemato accanto al posto del conducente di una delle due auto. Che Tsukishima e Yachi avessero scoperto qualcosa? Non sarebbe stato strano, considerando il genio di Kei, ma si augurò che non fosse così, o che fossero tracce troppo confuse per essere elaborate e cucite insieme da chi, al contrario di lei, non possedeva alcun nome.
Accelerò il passo, perché il freddo pungente stava cominciando a farle bruciare il naso, e si preparò a spostarsi per liberare la strada al ragazzo che le stava venendo incontro.
Chidori rallentò impercettibilmente il proprio passo, per creare un lasso di tempo sufficiente a osservare con più attenzione il ragazzo, siccome la postura – mani in tasca e testa bassa – non prometteva nulla di buono. Lui sollevò il viso proprio quando passarono l'uno accanto all'altra, incontrando lo sguardo della poliziotta.
Entrambi si fermarono immediatamente, sembrarono pietrificarsi, tramutarsi in sculture di ghiaccio, come se fossero rimasti esposti a quel freddo pungente per giorni.
Chidori fu la prima a reagire, seppur schiudendo solo per un istante le labbra, boccheggiando senza parlare, un fremito nel petto a bloccarle il respiro. Era davvero lui? Non poteva credere che, dopo anni trascorsi a cercarlo, si fossero incontrati per puro caso in un posto che dalle sue ricerche non era mai risultato avere alcun collegamento con quel ragazzo.
Lui abbassò lo sguardo per un breve istante, e poi tornò a osservare l'espressione della ragazza, le labbra increspate in una piccola smorfia. Chidori capì immediatamente che non doveva fargli piacere averla rincontrata dopo anni nei panni di un membro dell'Unità Speciale di Polizia di Tokyo, ma cercò di sorvolare su quell'aspetto, così che lui potesse rendersi conto che i loro ruoli non erano necessariamente contrapposti e incompatibili.
«Kenjirou» era strano. Kazue non pronunciava quel nome da dieci anni, e in quel momento fu come essere tornati a respirare dopo tutto quel tempo.
Shirabu non rispose, non perché non volesse parlarle, ma perché, dopo aver trascorso tanto tempo senza vederla, non aveva la più pallida idea di come interagire con lei.
«Hai idea di quanto sono stata in pena per te?!»
Tuttavia ci pensò Chidori a rompere il ghiaccio, sbraitandogli contro con voce leggermente smorzata – per la rabbia o forse per l'emozione.
«Ho chiamato l'orfanotrofio appena arrivata a casa e mi hanno detto che eri scappato! Ti rendi conto che potevi morire in strada? Che sei ricercato?» abbassò la voce, la fronte aggrottata, il viso ridotto a una maschera di apprensione.
«Non aveva senso restare in orfanotrofio senza di te,» Shirabu rispose immediatamente, affondando i denti nel labbro inferiore subito dopo essersi reso conto di quanto la risposta potesse risultare imbarazzante, tuttavia riprese pochi istanti più tardi, la voce leggermente smorzata «ma sono sopravvissuto, come vedi.»
Chidori schiuse nuovamente le labbra, pronta a ribattere, ma poi pensò quanto fosse importante che Kenjirou in carne e ossa si trovasse davanti a lei. Socchiuse leggermente le palpebre e protese le labbra in uno sbuffo quasi impercettibile, per poi distenderle in un sorriso discreto.
«Sono felice di vedere che stai bene» decise di non insistere sugli accadimenti del passato, quindi ampliò leggermente il sorriso.
«Sì» per quanto lo pensasse, Shirabu – disturbato dalla visione dell'altra con indosso la divisa dell'Unità Speciale – non riuscì a dirle che per lui era lo stesso.
«Tu lavori in polizia» constatò l'ovvio dopo qualche istante di esitazione, ricevendo in risposta un lieve cenno di assenso da parte di Chidori.
«Quindi dovresti arrestarmi.»
«No,» Kazue scosse la testa «non ti arresterò. Non è per questo che sono‒» prima ancora che potesse terminare la frase, già squadrata dallo sguardo scettico di Shirabu, Chidori fu interrotta dal suono del cercapersone.
Lo estrasse immediatamente, controllò in fretta il nome del mittente e poi rispose.
«Ushijima-san» lo esortò a parlare.
«Avete scoperto qualcosa?»
Shirabu, che poteva sentire piuttosto facilmente anche la voce di colui che si trovava all'altro capo della ricetrasmittente, assottigliò lo sguardo. Prendendo in considerazione l'idea che Goshiki fosse rimasto chiuso nel bagno pubblico della stazione e chiedendosi se non fosse meglio andare via prima che Chidori facesse il suo nome, rivolse la propria attenzione alla ragazza, che ora, il cercapersone vicino alle labbra serrate e ritte, lo stava guardando senza battere ciglio.
Quando era arrivato all'orfanotrofio, Chidori era stata l'unica bambina ad avvicinarsi a lui, a prescindere dalle voci che giravano sul suo conto, e anche se all'inizio l'aveva trovata troppo curiosa e invadente, Shirabu aveva finito per considerare addirittura confortante la compagnia di quella ragazza. Lei era affascinata dalle storie sui dotati di cromosoma Z, e lui le aveva mostrato alcuni semplici trucchetti con le luci dell'orfanotrofio. Lei sapeva di lui, e adesso era un membro di élite della Polizia di Tokyo e probabilmente lo avrebbe denunciato al suo superiore, se non arrestato o radiato direttamente con le sue mani.
«Niente» alla risposta di Chidori, Shirabu aggrottò leggermente la fronte, sorpreso soprattutto dall'espressione ancora impassibile dell'altra. «Sono in attesa di eventuali aggiornamenti da parte di Tsukishima e Yachi-san, ma temo che quello che stiamo cercando sia già altrove.»
«Ho capito. Grazie comunque per il lavoro svolto. A domani.»
«A domani.»
Shirabu la vide abbassare lo sguardo e riporre il cercapersone nella tasca della giacca, dove frugò per qualche secondo. Lo stava proteggendo? Non aveva idea di quali potessero essere le conseguenze di una tale bugia, ma se l'avessero scoperta, di certo Chidori le avrebbe ricordate.
Inspirò a fondo, poi schiuse le labbra per parlare, ma Chidori mosse ancora un passo verso di lui e gli infilò un bigliettino nella tasca della giacca.
«Non metterti nei guai» Kazue avrebbe voluto parlare ancora un po' con lui, spiegargli qualsiasi cosa e chiedergli dove abitava, ma aveva intravisto Tsukishima e Yachi in lontananza e non voleva che Kenjirou corresse rischi, dunque aveva deciso di lasciargli un biglietto dove aveva appuntato il numero del cellulare che utilizzava prima ancora di entrare in polizia, quello che aveva deciso di tenere attivo proprio per tale evenienza. Solo per un istante, poi, posò la mano sinistra sulla spalla di Shirabu.
«Non mi piace questo lavoro, sfocia troppo spesso nella persecuzione e nella violenza ingiustificata, ma ho dovuto farlo per trovare te» poi lo lasciò, si allontanò da lui e se ne andò, svanendo tristemente come tanti anni prima.




L'angolino della piantina autoritaria
(You should read this):

È ancora il 31 marzo, ma in effetti non mi è mai capitato di pubblicare Wonderwall così tardi!
Devo dire che questo capitolo mi ha dato qualche problemino, anche a causa di alcune questioni personali che non mi ha permesso di mettere la solita cura e attenzione nella stesura della storia.
Sono comunque molto felice di essere riuscita a pubblicare in tempo, per il resto non credo di avere altro da aggiungere (anche perché sono esausta e vorrei andarmene a letto, nh).
Unico appunto sulla parola “cripticismo”, attualmente non riconosciuta come corretta, ma presa in considerazione da molti – me compresa – come possibile neologismo.
Plus: se volete conoscere qualcosa su Chidori, la OC introdotta nello scorso capitolo, cliccate qui cliccate qui.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima!
   
 
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