Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    02/04/2017    3 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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-Allora? Siete contenta di essere di nuovo a casa? Guardate come l’hanno lasciata i vostri beniamini, gli amici del vostro dottore! Guardate, osservate bene! Se non fosse stato per l’acquazzone di stanotte avreste trovato solo cenere del vostro bel palazzo!-

Alvise con un balzo, che di felino aveva ben poco, era sceso dalla carrozza, seguito dalla moglie a cui ora indicava con ampi gesti lo scempio che i rivoltosi avevano fatto della loro dimora. La luce del primo mattino illuminava il palazzo. In realtà non tutto era danneggiato, solo dalle finestre del salone si intravvedevano gli effetti dell’incendio, le pesanti tende bruciate, i vetri delle finestre rotti.

-Ma, come potete vedere, io ho salvato Rivombrosa dalla distruzione, io, che ne sono a maggior ragione il legittimo proprietario ormai. E voi, mia adorata consorte, non mi avete nemmeno degnato di un ringraziamento! - continuò sogghignando.

-Questa tenuta non sarà mai vostra, Alvise, mio fratello presto tornerà- lo sfidò Anna con uno sguardo sprezzante.

-Lo vedremo! Per ora te ne starai chiusa nella tua stanza, ora controllerò io di persona! - ribatté tronfio il marchese Radicati, sollevato dal fatto di avere di nuovo in mano le redini della tenuta e della vita della moglie.

-Siete un essere spregevole, che Dio vi maledica!-

-Ora basta! - e assestò un manrovescio sul volto di Anna, facendola cadere sulla scalinata.

- Che siate maledetto! Voi e il giorno in cui vi ho sposato! - rispose lei incollerita, massaggiandosi la guancia.

 

 

-Dove siete? Vi voglio qui tutti! Tutti! E subito! Mi sono spiegato?- sbraitò il marchese, ritornando nel salone dopo essersi assicurato di aver messo Anna sotto chiave, così da non darle la possibilità di tramare con la servitù per continuare a nascondere Emilia. La servitù accorse al richiamo del padrone, timorosa di una delle sue tipiche reazioni smodate.

-Dov’è mia figlia? Adesso me la riporterete qui. Immediatamente! Ne ho abbastanza delle bravate di quella piccola canaglia. E soprattutto non ammetto che continui a frequentare gente meschina della vostra specie, anche se questo è un vizio di famiglia, a quanto pare…-

Tutti stettero zitti. Emilia era ben nascosta nei loro alloggi, tanto che le guardie durante una veloce perlustrazione non erano riuscite a scovarla: non l’avrebbero mai riconsegnata alla furia del marchese. Adirato com’era, avrebbe punito duramente anche la ragazzina per essersi nascosta da lui.  Quella notte stessa, sedata la rivolta e catturati alcuni dei fuggiaschi, aveva minacciato di far impiccare lui stesso i rivoltosi sulla pubblica piazza del borgo. Tra di essi era stato preso anche Angelo, che pure aveva in precedenza tentato di sedare gli animi. Ma l’ira funesta del padrone non riusciva a cogliere queste sottigliezze. Non che l’ingegno del buon Alvise avesse manifestato in situazioni pur meno tese tutta questa grande acutezza… Gli ostaggi erano tenuti prigionieri negli scantinati del palazzo, controllati dalle sue guardie personali, che erano state raddoppiate dopo i fatti incresciosi di quella notte.

-Allora? Nessuno parla?- riprese sempre più furioso.

Elisa, impulsiva com’era, dovette fare un grande sforzo per non rispondere a tono al suo odioso padrone, ma c’era in gioco Emilia, non poteva permettersi di tradirsi in alcun modo.

-Se non avete intenzione di parlare, vorrà dire che incomincerò a chiederlo ai vostri compari che abbiamo preso…Così non si annoieranno mentre aspettano di essere giustiziati-

Calò il silenzio nella sala. Che cosa dovevano fare? Consegnare la ragazzina o lasciare che il marchese torturasse i loro compagni, i loro amici, i loro parenti? Eppure al contrario, se avesse avuto tra le mani Emilia, gliele avrebbe suonate di santa ragione, l’avrebbe rinchiusa in camera, le avrebbe riservato lo stesso trattamento disumano che riservava solitamente a sua madre. Nessuno parlò, nessuno tradì il minimo cedimento.

- E va bene, ci penserò io a stanare Emilia. Metterò sottosopra l’intero palazzo finché non salterà fuori! Non la passerà liscia e non la passerete liscia nemmeno voi! E ora forza, tornate a lavorare, razza di scansafatiche che non siete altro!-. Così dicendo sciolse l’assemblea e si diresse, scortato dai suoi scagnozzi, nel luogo dov’erano detenuti i prigionieri.

 

Elisa indugiò qualche minuto nel salone e, quando fu certa che il padrone si era allontanato, accorse guardinga verso la stanza della marchesa. Aveva chiaro il da farsi. Emilia non poteva restare lì ancora a lungo: il marchese l’avrebbe trovata prima o poi e per giunta era certa che la residenza non fosse al sicuro, che in qualche modo i ribelli avrebbero tentato di liberare gli ostaggi.

Emilia sta bene, ma qui non può più stare, è troppo rischioso. Con il vostro permesso, ho intenzione di condurla da un amico fidato. Con lui sarà al sicuro più che in qualsiasi altro luogo. Datemi un segno di assenso e partiremo immediatamente.

Fece passare questo biglietto sotto la porta della stanza della marchesa, accompagnato da un leggero bussare. Anna stava leggendo ad un tavolino nella chiara luce del mezzogiorno. Forse non è corretto dire che stesse leggendo: teneva aperto un libro davanti a sé, ma la sua mente era occupata da troppi pensieri perché potessero prendere vita le parole impresse sulla pagina. Pensava anzitutto ad Emilia. Il pensiero della figlia era un chiodo fisso. Era al sicuro? Di certo lo sarebbe stato di più con Amelia ed Elisa che tra le sgrinfie di suo padre. Tuttavia non ne sapeva nulla dalla notte precedente, poteva esserle successo qualcosa. Le venivano alla mente le immagini del palazzo in fiamme, le urla di quei contadini inferociti, il trambusto degli amici di suo marito in fuga, i colpi sparati dalle guardie. Ma non era solo questo il pensiero che tormentava la marchesa: c’era anche la devastazione del suo amato palazzo a immalinconirla. Quella dimora tanto amata in cui era cresciuta; in cui aveva vissuto i suoi anni spensierati con suo fratello, gli amici; dove erano morti i suoi genitori. Non poteva guardarsi attorno senza provare una stretta al cuore nel vedere i segni dell’incendio che annerivano i muri, le tende, gli stucchi. E poi, infine, c’era Antonio. Non aveva avuto tempo di rimuginare su quei brevi ma significativi istanti di abbandono di quella notte, anzi si era imposta di accantonarli in un remoto angolo della mente. Il suo assillo era unicamente legato all’ultima immagine che aveva di lui, in ginocchio sotto i colpi delle guardie di suo marito.

Quand’ecco un lieve bussare. Subito alzò gli occhi dal libro e li volse alla porta. Il fruscio della lettera sul pavimento la costrinse ad alzarsi e ad avvicinarsi. Raccolse il foglio. E trasse un sospiro di sollievo alla notizia che Emilia stava bene. Capì subito chi fosse l’amico fidato. Non ebbe dubbi. Elisa invece aveva preferito tacerne il nome, non sapendo mai con che animo la marchesa potesse reagire, tanto erano contrastanti le sue reazioni alla vista o al solo udire il nome di quell’uomo. Bruciò immediatamente il foglio nel caminetto per timore che qualcuno potesse intercettarlo e che finisse nelle mani di Alvise. Poi prese carta e penna e scrisse:

Hai il mio permesso, fa’ la cosa che ritieni più giusta. Che Dio ci protegga tutti quanti. Dai un bacio ad Emilia da parte di sua madre.

Elisa dall’altra parte della porta ricevette la risposta. Immediatamente si precipitò nelle stanze della servitù a prendere Emilia.

 

-Emilia, Emilia! Dove sei? – chiamava Elisa a bassa voce non riuscendo a scorgere la ragazzina nel ripostiglio dove l’avevano nascosta qualche ora prima. La stanza era buia, la luce del mezzogiorno entrava solo da una piccola fessura e non valeva a molto.

- Allora, Emilia, vieni fuori! Sono io, sono Elisa. Dobbiamo andarcene di qui, forza – cercò di essere il più convincente possibile, presumendo che Emilia si nascondesse per paura. Decise a quel punto di spalancare del tutto la porta. Entrò un violento fiotto di luce. Niente. Non c’era nessuno in quello stanzino. Emilia non era lì.

- Oh Signore! Dove si sarà cacciata? Che le sarà successo? Chi lo dirà adesso alla marchesa che sua figlia è sparita? - esclamò sconvolta la giovane e corse a cercare aiuto presso la saggia Amelia.

 

-Non parli eh? Sputa il rospo, razza di imbecille. Dove si trova la bambina? –

- Non lo so. E se lo sapessi, non ve lo direi lo stesso! –

- Ah sì? Vediamo se sarai ancora dello stesso parere dopo questo –

Ciò detto, una delle guardie si diede a colpire a scudisciate sulla schiena nuda il giovane che si rifiutava di parlare.

-Ah, Ah! – gridava, stringendo i denti.

- Marchese, dobbiamo procedere? –

Alvise osservava la scena appoggiato mollemente al suo bastone da passeggio, tenendosi con l’altra mano allo stipite della porta dello scantinato del palazzo. Non ci pensava nemmeno ad entrare in quel luogo volgare, plebeo, tra l’odore di chiuso, la muffa, la paglia marcia ammassata negli angoli della stanza, gli arnesi da lavoro ormai vecchi. I bassifondi del suo palazzo non avrebbero mai avuto l’onore di conoscere il passo del padrone, o meglio, di colui che si riteneva tale. Con una smorfia disgustata e grottesca esclamò rivolto alla guardia:

-Non sei nemmeno capace di far parlare un povero pezzente come questo? Incapace! Dimmi tu per che cosa vi pago, allora, e fior di quattrini! –

Appoggiato alla parete ammuffita stava Angelo, lo sguardo fiero, le mani legate strette dalla corda. Guardava sprezzante il suo padrone e impietosito il ragazzo che stavano sferzando e che singhiozzava peggio di un bambino sotto quei colpi. Non aveva mai appoggiato apertamente la rivolta, lui, non poteva permettere che la dimora dei conti Ristori, a cui la sua famiglia era devota da generazioni, fosse oltraggiata. Tuttavia l’odio che covava per il marchese Alvise gli bruciava nelle vene: se ne avesse avuto l’occasione, l’avrebbe ucciso con le sue stesse mani, per il modo in cui trattava lui, Elisa, sua sorella Bianca, Amelia e tutto il resto della servitù, per l’affronto che quotidianamente rivolgeva al conte Fabrizio pavoneggiandosi come assoluto padrone di Rivombrosa. Mentre era assorto nei suoi pensieri di vendetta, si sentì chiamare.

-Ehi tu! Vieni qua, il marchese ti vuole parlare! – gli disse una guardia strattonandolo per il braccio.

- Allora? Emilia dov’è? Dove l’avete nascosta tu e quella sgualdrina di Elisa? –

- Marchese, non vi meritate nemmeno che vi risponda. Avete addirittura schifo ad entrare in questa stanza, tanta è la vostra arroganza. La gente come voi merita soltanto la forca! Padroni infami che campano alle spalle della povera gente onesta! Siete un vigliacco e quando il conte Fabrizio ritornerà, ve la farà pagare! –

Alvise, nel sentire le stesse parole che gli aveva rivolto la moglie quella mattina, nel sentire nuovamente nominare il tanto odiato quanto invidiato cognato, sbottò:

-Fategli vedere chi comanda, a questo disgraziato! Non ve lo meritate il pane che vi do, pezzenti! Dovrei lasciarvi tutti morire di fame! –

Le guardie gli strapparono malamente di dosso la logora camicia che indossava e, dopo averlo sospinto contro il muro e avergli legato i polsi alle sbarre di una piccola finestra, iniziarono ad infierire a turno con la sferza sulla sua schiena.

-Non parlerò, non parlerò mai! – gridava il giovane con coraggio.

 

 

 

   
 
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