Carlton se ne stava seduto sul
letto, si era a malapena tolto gli stivali e teneva lo sguardo fisso
nel vuoto.
Era la prima volta che passava praticamente tutta la notte ad una festa
e
ballando per giunta! Se ripensava a quello che era appena successo gli
sembrava
tutto troppo assurdo per essere reale.
Non era il tipo da godersi le
feste ma dopo il primo ballo con Mary, complice anche la presenza
insistente
del tipo da cui l’aveva “salvata” ne
erano seguiti uno e poi un altro e un
altro ancora.
Non poteva negare che era stato
piacevole e al passare delle ore la cosa gli era sembrata sempre
più naturale e
giusta. Solo alla fine della festa si era accorto che aveva avuto per
tutto il
tempo uno stupido sorriso ebete. Doveva aver fatto la figura
dell’idiota.
Però…anche Mary sorrideva…ed
è
sempre così bella quando sorride…
Con un leggero sbuffo Carlton si
buttò all’indietro, quasi rimbalzando con la
schiena contro quel materasso
troppo morbido per i suoi gusti, diede un colpo di bacchetta verso la
tenda che
si aprì quel tanto che bastava a far filtrare un
po’ di luce.
Era passato da fissare il muro a
fissare il baldacchino che sovrastava il letto, di quel verde
così intenso che
gli ricordava terribilmente gli i grandi e dolci occhi di Lady Marianne
Dashwood. Ma cosa gli stava succedendo? Perché non riusciva
a smettere di
pensare alla ragazza? Che poi non era una ragazza ma una bellissima
giovane
donna.
La sua mente gli palesò davanti
gli occhi l’immagine di Mary e il battito del suo cuore
accelerò
all’improvviso. Cercò di scacciare quel pensiero.
Marianne era bellissima,
socievole ed estroversa, il suo esatto opposto, avrebbe potuto avere il
mondo
ai suoi piedi…perché doveva anche solo guardare
uno come lui?
Era anche vero che aveva chiesto
aiuto a lui e non a qualcuno dei numerosi imbellettati presenti la sera
precedente.
Doveva parlarne con qualcuno. E
gli veniva in mente una sola persona. Scese dal letto e si
recò verso la
scuderia nella speranza di trovare Lionel al lavoro.
Entrò chiamandolo ma senza
ottenere risposta, guardando in giro lo vide che sonnecchiava seduto su
una
balla di fieno all’interno di uno dei box dove tenevano
l’attrezzatura.
Tutto quel fieno a terra e quello
sporco gli creavano non pochi problemi, non riusciva a impedire alle
sue labbra
di piegarsi in una smorfia di leggero schifo.
“Lio” lo chiamò scuotendolo
piano.
Lo dovette chiamare una seconda
volta prima che lui aprisse gli occhi di botto e si scuotesse domanda
“Che
c’è?”
“Devo parlarti” disse Carlton
sedendosi suo malgrado su un altro cumulo di fieno.
Lionel si mise seduto meglio,
cercando di leggere nello sguardo del fratello cosa voleva dirgli e la
prima
cosa che gli venne in mente fu il ballo della sera prima.
“Come è andata la festa?”
“Bene” si limitò a rispondere
Carlton cercando di apparire il più naturale possibile ma
Lionel lo conosceva
meglio di chiunque altro quindi ricambiò con “Bene
o bene?” fece passando da un
tono piatto a uno di un’ottava superiore.
“Bene” rispose di nuovo lui con
lo stesso identico tono di prima.
“Ha a che fare con una donna?”
Carlton impallidì, spalancando
gli occhi e Lionel seppe di aver fatto centro.
“Allora…quale delle gentili
donzelle ospiti in casa Floral ha attirato l’attenzione di
Carlton-tutto d’un
pezzo- Holmes?”
Il maggiore abbassò lo sguardo
per non far vedere quanto era in imbarazzo mentre invece Lionel
incrociò le
braccia incitandolo “Forza…sto invecchiando
qui”
“Mary” disse alla fine Cal.
“Bene bene bene” fece l’altro con
un sorrisetto, cosa che gli fece guadagnare uno sguardo di rimprovero.
Lionel
capì che suo fratello non aveva affatto voglia di scherzare.
“Beh prova a invitarla fuori a
fare una passeggiata o qualcosa del genere…va spesso a
cavallo, sai?”
“Lo sai che non amo i cavalli…”
“Non ami i cavalli, non ami lo
sporco, non ami l’aria aperta…ma credo che se
fossi con lei li ameresti almeno
un po’”
Carlton annuì mentre nella sua
mente si faceva strada l’idea che dovesse per forza cambiare
per tentare di
piacerle.
Nonostante avesse passato la
notte completamente sveglia, Agatha non era riuscita a chiudere occhio
quella
mattina ma non si era comunque mossa dalla sua camera, un po’
anche per confermare
la storia del suo lieve malessere della sera prima.
Si rigirò coprendosi il capo con
la trapunta color salmone che sua madre aveva voluto far mettere per
forza
perché particolarmente adatta ad una ragazza.
Aveva ancora addosso le
sensazioni di quella splendida notte o meglio di quella splendida alba
ma
adesso il suo cervello si stava lentamente riattivando e le sembrava
veramente
incredibile quello che era successo, aveva davvero accettato la
proposta di
matrimonio di Lionel. Se avesse visto la situazione
dall’esterno l’avrebbe
giudicata una vera e propria follia ma adesso che ci stava dentro
vedeva tutto
in modo molto meno lucido. Sposare un uomo che fondamentalmente non
aveva nulla
da offrirle era una vera e propria follia, sarebbe stato sicuramente
più giusto
sposare il solito damerino ma nessuno dei ragazzi che
l’avevano corteggiata le
avevano mai fatto provare qualcosa di
così…intenso. Con Lionel poteva essere se
stessa, senza badare a come camminava, come parlava o come era vestita.
Forse
era così che Vincent si era sentito a suo tempo,
evidentemente con quella donna
che aveva sposato e di cui lei non conosceva neanche il nome, si era
sentito
libero e vivo più che mai.
Un leggero bussare alla porta
attirò la sua attenzione e appena dopo che rispose
“Avanti” spuntò la figura di
Mary Dashwood.
“Ciao” la salutò con un caldo
sorriso che Agatha ricambiò subito, Mary continuò
chiedendole come stava visto
che aveva sentito dire che la sua amica non stava molto bene.
“Sto meglio” affermò la biondo da
dentro al letto ma seppe di essere stata poco convincente quando
l’amica alzò
un sopracciglio con fare scettico.
Mary si avvicinò al letto
guardando di sottecchi Agatha “Vorresti farmi credere che la
tua sparizione di
ieri sera non ha niente a che fare con un bel giovane?”
Prima che l’altra potesse
rispondere Mary aggiunse spalancando gli occhi “Oddio, non
dirmi che si tratta
di Mr. Dalton… le voci non fanno altro che dire che
è molto innamorato di te!”
trillò ammiccando.
Agatha rimase leggermente
spiazzata, senza sapere cosa rispondere. Insomma, non poteva certo
dirle che
era totalmente fuori strada e che aveva trascorso la serata con il suo
futuro
marito, un semplice stalliere, un figlio illegittimo e non
l’erede di una
grande casata.
Si era creato un attimo di
silenzio tra le due che Mary interpretò, con gran sollievo
della sua migliore
amica, come la volontà di tenere tutto per sé.
“Oh andiamo, vuoi davvero tenerti
tutte le cose interessanti per te?”
Agatha gongolò nel tentativo di
assecondare la cosa, in realtà avrebbe voluto parlarle di
Lionel ma, per il
momento, meno persone sapevano meglio era.
Alla fine Agatha decise di
alzarsi e di vestirsi per unirsi a Mary e a chi aveva deciso di passare
la
giornata in casa visto che il meteo sembrava intenzionato a peggiorare.
Scesero nella grande biblioteca e
si accomodarono su un paio di poltroncine di broccato blu per leggere
qualcosa,
visto che c’erano tutti gli ospiti in giro Mary non si era
portata uno dei suoi
libri babbani e quindi dopo un po’ si avventurò
alla ricerca di qualcosa di
interessante da leggere.
Agatha ne approfittò per mettersi
in pari con un romanzo che aveva cominciato a inizio estate e che aveva
messo
da parte a causa di alcuni “ospiti”. Era immersa
nella lettura ma la voce di
sua sorella le arrivò ancora prima che la figura di Cassie
entrasse nel suo
campo visivo.
“Un gufo è appena arrivato dal
Ministero. C’è una tempesta in arrivo e
raccomandano che tutte le persone
restino dentro casa” affermò avvicinandosi alla
finestra. La minore si guardò
intorno ma stando attenta a non incrociare gli occhi della sorella,
sicura di
non essere udita Cassie suggerì ad Agatha “Fai
rientrare Lionel, c’è posto per
dormire negli alloggi vicino le cucine”
Non l’aveva guardata ma Agatha
intuì che quel passo, quella cosa detta da quella piccola
orgogliosa di sua
sorella era il segno che Cassie voleva fare pace, anche se non lo
avrebbe mai
ammesso. Era sempre stato così, fin da quando erano
più piccole. Bisticciavano
e si mettevano il broncio ma non stavano mai più di un
giorno senza parlarsi,
erano troppo orgogliose per chiedersi scusa direttamente quindi magari
una
andava dall’altra con un biscotto al cioccolato o uno
zuccotto di zucca da
dividere.
Nel frattempo Mary si muoveva tra
gli scaffali, passando da una stanza a un’altra i suoi occhi
si posarono su
Carlton Holmes completamente catturato dalla lettura. Non si accorse
minimamente quando lei gli passò accanto e poi si
piazzò dietro di lui. Mary
sbirciò oltre le spalle del ragazzo, tutte quelle scritte
strane, sembrava
quasi un trattato scientifico, scritto in una lingua
tutt’altro che
comprensibile.
“È interessante?” chiese la
ragazza candidamente.
Carlton si voltò di scatto,
leggermente spaventato e non riuscì a trattenersi dal
balbettare mentre
rispondeva “Sì, piuttosto interessante”
La ragazza piegò la testa curiosa
mentre si appoggiava con le braccia allo schienale della poltrona.
“Strano
perché sembra scritto in una lingua che non è la
nostra”
Carlton le riservò un sorrisetto
che aveva un che di beffardo che mandò un attimo in
confusione Mary.
“Certo voi preferite letture di
altro genere…oserei dire di
altre…origini?”
La giovane sgranò gli occhi
domandandosi cosa sapesse lui. Il suo cervello si oscurò per
un attimo, era
mere parole buttate lì o Carlton Holmes sapeva che lei e suo
fratello leggevano
libri babbani? E se lui lo sapeva allora potevano saperlo anche tutti
gli
altri.
Prima che potesse parlare
Carlton, come se le avesse letto nel pensiero, dissipò i
suoi dubbi “Vi ho
vista leggere libri babbani” poi aggiunse “Non
credete che sia una
cosa…strana?” Il fatto che per la seconda volta
nel giro di pochi minuti lui
avesse ponderato attentamente le parole da usare la fece sorridere.
“Non avete mai letto un libro
babbano vero?”
Carlton tentennò prima di ammettere
che no, non aveva mai letto un libro babbano, non ci aveva neanche mai
pensato,
non aveva mai provato curiosità verso ciò che
accadeva al di fuori del suo
mondo, sapeva solo che la regina era una babbana di nome Victoria e che
la
Ministra della Magia Orpington incontrava spesso il primo ministro
britannico,
un certo Russell ma no, non si era mai interrogato sulla letteratura
non
magica.
“Aspettatemi qui” disse
improvvisamente Mary per poi sparire con un pop. Solitamente nessuno si
smaterializzava all’interno della casa di altri
perché era considerato molto
sconveniente comparire all’improvviso senza essere annunciati.
Marianne Dashwood ricomparve
qualche istante più tardi con un libro tra le mani,
allungò un braccio
porgendolo a Carlton, che appoggiò il suo libro sul tavolino
di cedro lì
accanto e diede un’occhiata scettica al volume babbano.
The Lancashire Witches
Lei lo guardò analizzare la
copertina del libro, aprirlo e poi guardarla interrogativo. Carlton
voleva
sapere perché lei avesse scelto proprio quella lettura.
Mary fece spallucce, non voleva
dare troppe spiegazioni ma disse semplicemente “Leggere come
i babbani ci
vedono, o meglio ci vedevano, è incredibilmente
affascinante”
Carlton sembrò rifletterci su
mentre sfogliava qualche pagina del libro.
“Non avete mai pensato che anche
i non magici sanno realizzare qualcosa di grandioso, vero? Non credete
che sia
un po’ presuntuoso pensare che noi siamo gli unici
intelligenti?” lo provocò
con un sorriso ma Carlton reagì in modo lievemente permaloso
“Semplicemente non
mi è mai venuta la curiosità” si
giustificò. Quando vide il sorriso sulle
labbra di Mary allargarsi Carlton si sentì confuso.
“Tenetelo. Leggetelo e fatemi
sapere cosa ne pensate”
Gli occhi del giovane Holmes si
spostarono ritmicamente dal libro al viso della ragazza.
“Tranquillo. Io l’ho già letto.
Scommetto che vi piacerà…sono pronta a
scommetterci qualsiasi cifra…che ne dite
di 10 falci?”
A Carlton scappò quasi il soffio
di una risata “Va bene” sentenziò
porgendole la mano per poter sancire quel
patto.
Cassie camminava lungo il
corridoio come se stesse andando verso il patibolo. Quando suo padre la
convocava nel suo studio non era mai una cosa positiva, il suo unico
pensiero
era che non sarebbe potuta andare peggio dell’ultima volta
visto che ci aveva
rimediato un contratto matrimoniale.
Allungò una mano per bussare ma
non fece in tempo poiché la porta si aprì
magicamente e le giunse alle orecchie
la voce del signor Floral.
“Cassandra entra”
La ragazza entrò e si chiuse la
porta alle spalle mentre l’uomo insonorizzava la stanza con
un veloce Muffliato. Era una sua
abitudine, lo
faceva sempre per evitare che qualcuno si immischiasse in affari che
non gli
riguardavano.
Cassie si accomodò sulla poltrona
di fronte a lui che la guardava con cipiglio severo.
Come al solito l’uomo non girò
intorno alla questione e andò dritto al punto. “Ho
sentito che hai litigato con
Alexander dopo il ballo…” lasciò la
frase in sospeso come se si aspettasse una
giustificazione.
“Padre…lui non ha il minimo
rispetto per me!” si lamentò la bionda ma tutto
quello che ricevette in cambio
fu un’alzata di sopracciglio.
“Da quello che ho sentito mi
sembra esattamente il contrario. Quell’uomo sarà
presto tuo marito, è tuo
dovere amarlo, servirlo, onorarlo e obbedirgli” disse lui
citando alcune delle
promesse contenute nei voti nuziali.
“Ma non posso amare una persona
del genere!” protestò di nuovo la ragazza.
Il signor Floral si alzò, girò
intorno alla scrivania in mogano e si avvicinò alla figlia
minore posandole un
dito sotto al mento per farle alzare il viso fino a guardarlo.
“Tu puoi perché devi” le
suggerì
in tono dolce ma Cassie si tirò indietro. La sua espressione
tradiva il suo
essere ferita e offesa.
“Su, dovresti sentirti fortunata.
Alexander è un bel ragazzo e l’erede di una grande
famiglia”
Gli occhi azzurri della giovane
si sollevarono verso il soffitto prima di tornare sul padre con lo
sguardo
infuocato.
“Perché io? Ah, dimenticavo,
Agatha è la tua preferita” lo accusò
malignamente. Era sempre stato evidente per
lei che la figlia maggiore fosse la preferita del padre ma non glielo
aveva mai
rinfacciato in quel modo.
Lo sguardo di Fitzwilliam Floral
la congelò sul posto, era la prima volta che gli rispondeva
a tono ed era la
prima volta che lui la guardava così duramente.
“Tu sei più vicina ad Alexander
per età, avrai una casa e protezione e ciò
è tutto quello che voglio per le mie
figlie. Con un fratello fuggito è molto difficile trovarvi
un onorevole posto
nella società e non vi può essere occasione
migliore di questa per te, per
garantirti un futuro dignitoso. Anche tua sorella troverà la
sua strada…l’altro
giorno l’ho vista in compagnia di Carlton Holmes mentre
camminavano in
giardino, potrebbero formare una bella coppia”
Cassie si trattenne dallo
scoppiare a ridere. Sua sorella con Carlton… non ce li
vedeva proprio insieme,
soprattutto considerato con chi Agatha avesse a che fare in
realtà.
Fu la voce di suo padre a
riportarla all’attenzione, abbassò automaticamente
lo sguardo quando lui la
pregò di portare avanti un matrimonio di successo e di
impegnarsi per andare
incontro al carattere del suo futuro marito. Doveva assolutamente
parlare con
Alexander e mettere in chiaro alcune cose.
Alice si sedette al tavolino dove
l’attendevano una tazza di earl grey e suo fratello. Sorrise
a Markus e sollevò
la tazza di candida porcellana per portarsela alle labbra.
“Allora” fece dopo aver bevuto un
sorso “Di cosa volevi parlarmi?” gli chiese
guardandolo di sottecchi. Quando
Markus le chiedeva di parlare si trattava quasi sempre di qualcosa di
importante, cosa che la spingeva a mettere da parte il suo animo da
ragazzina
ribelle e a comportarsi davvero da sorella.
“Sto pensando di tornare a casa”
le annunciò tamburellando appena con le dita sulla superfice
liscia del tavolo.
Alice avrebbe voluto sembrare
stupita ma la realtà era che si aspettava una reazione del
genere da Markus,
conoscendolo sapeva quanto lui soffrisse nell’assistere ai
preparativi per il
matrimonio tra Cassandra Floral e Alex Dashwood. Al contempo, essendo
lui l’erede
della famiglia Storm aveva il dovere morale di restare, di essere
presente in
eventi mondani come quello che era in programma.
“Non ho ancora deciso ma…ci sto
pensando” affermò Markus che aveva percepito la
titubanza della minore tra le
sue sorelline. Non voleva lasciare Alice, anche se c’erano i
suoi genitori e
allo stesso tempo la voglia di scappare di lì era immensa.
Cercò comunque di tranquillizzare
sua sorella promettendole che ci avrebbe pensato bene per qualche
giorno poi,
deciso a cambiare argomento tirò fuori la questione
scottante “Allora, come è
andata con Christopher Turner?”
“Gli ho detto semplicemente che
non mi interessa” rispose Alice facendo finta di niente.
“Ancora non capisco perché…sembra
una brava persona e da quello che parli sembra molto affezionato a voi,
carpe
diem no?” osò dire.
“E parlate proprio voi di
cogliere l’attimo? Forse se vi foste mosso prima nei
confronti di Cassandra…”
“Appunto, non fate gli stessi
errori fatti dal sottoscritto”
Come se evocato dal discorso
Christopher fece il suo ingresso nel salottino e salutò i
due allegramente.
Appena sentita la voce del
ragazzo Markus ne approfittò per alzarsi in piedi e
annunciare che doveva
andare a parlare con suo padre.
“Tenete voi compagnia a mia
sorella, Christopher?” domandò rivolgendosi al
punto da dove aveva sentito
provenire la voce dell’altro.
Chris rimase leggermente
spiazzato dalla domanda, non che gli dispiacesse ma la situazione era
un po’
strana a causa di quello che era successo alla festa. Era stato
palesemente rifiutato
ma lui non era tipo da arrendersi, mai.
Markus lasciò la stanza sotto lo
sguardo inceneritore della sua sorellina che nel frattempo lo
malediceva
mentalmente per averla lasciata in quella situazione.
Si sedette al posto lasciato
libero da Markus e rivolse uno sguardo serio alla giovane di fronte a
lui.
“Alice, io ho pensato alle parole
che mi avete rivolto…”
“Christopher…” intervenne lei,
non voleva affrontare quel discorso.
“Non interrompetemi, vi prego”
A quelle parole Alice richiuse la
bocca muta come un pesce rosso, non riuscì comunque a
mettersi comoda, anzi
rimase piuttosto tesa, con la schiena dritta e le mani avvolte
nervosamente
intorno alla tazza da tè.
“Come dicevo” continuò lui “Ho
pensato a quello che mi avete detto e capisco cosa intendete, siete
giovane e
così…libera, capisco la vostra volontà
di non essere chiusa in gabbia ma…” ci
pensò un attimo prima di continuare “una relazione
affettuosa non vuole dire
necessariamente questo, non vuole essere una prigione ma più
un rifugio…due
braccia amorevoli in cui rifugiarvi nei giorni bui, qualcuno con cui
condividere le piccole e le grandi cose”
Effettivamente quello era un modo
di vedere le cose su cui Alice non aveva mai riflettuto abbastanza.
Tutti gli
amori che erano passati sotto i suoi occhi erano stati forzati, tutte
le spose
erano state in qual modo piegate alle volontà dei mariti,
non aveva ancora
avuto modo di appurare che amore poteva anche essere puro, leggero,
divertente
e naturale.
“Vi prego, datemi l’occasione per
mostrarvi che potreste essere felice…solo
un’occasione” la pregò prendendo una
delle sue mani, che Alice aveva inavvertitamente abbandonato sul
tavolino.
La ragazza lo guardò, aveva occhi
sinceri e colmi di speranza e lei non poté trattenere un
piccolo sorriso nel
vedere quella sua espressione.
Nemmeno si rese conto di
pronunciare quelle parole “E sia…dimostratemi che
ho torto”
Le nuvole si stavano addensando
sempre più rendendo il cielo scuro. Sembrava quasi essere
scesa la sera sulle
isole Shetland mentre invece era ancora pieno giorno. Tutti gli ospiti
di Villa
Floral erano rimasti in casa, dato il vento impetuoso e la minaccia
della
tempesta in arrivo. Sembravano essersi sparsi tutti tra i salotti, le
sale musica
e la biblioteca. Un’idea che stuzzicava la mente di Evelyn,
sapeva che nessuno
l’avrebbe vista e quindi avrebbe potuto fare un salto nel
passato e tornare a
divertirsi come faceva quando, di nascosto, Christopher cercava di
insegnarle a
tirare di scherma, prima che la loro mamma li scoprisse.
Scese le scale che conducevano al
piano seminterrato, dove c’era la sala in cui praticare
scherma. Trasfigurò il
proprio vestito in un completo da amazzone, sicuramente più
pratico per fare
attività fisica. Già nell’anticamera si
accorse, grazie alle grandi porte a
vetri, che c’era qualcuno all’interno.
Sbirciò all’interno e vide una figura
maschile che si esercitava. I suoi occhi rimasero fissati su quel petto
nudo,
su quel fisico asciutto e imperlato di sudore. Ci mise qualche momento
a
riconoscere nel bel cavaliere, l’uomo che aveva visto alla
festa che sapeva
solo essere un Black.
Era terribilmente affascinante,
si muoveva in modo fluido quasi come stesse danzando.
In un mezzo giro, si ritrovò gli
occhi di lui addosso. Evelyn avrebbe voluto sotterrarsi o scappare ma
sapeva
che ciò avrebbe solo peggiorato la sua situazione,
già di per sé imbarazzante.
Di solito non si lasciava
abbindolare dagli uomini ma il sorriso che lui le rivolse la stese.
“È la prima volta in vita mia che
vedo una signorina venire ad allenarsi” commentò
con tono quasi divertito.
Evelyn cercò di nascondere il
proprio imbarazzo, soppiantato dalla preoccupazione “Non ne
fate parola con
nessuno, ve ne prego”
“E perché dovrei? Ognuno ha i
propri segreti” disse semplicemente lui “Coraggio,
entrate”
Lui aprì la porta e lasciò
passare la giovane. “Potete allenarvi con me, prometto che ci
andrò leggero,
per quanto possibile”
“Non voglio un trattamento di
favore solo perché non sono un uomo”
affermò Evelyn convinta e pronta a
sfidarlo.
Con un sorriso il giovane Black
le lanciò un fioretto che lei afferrò al volo.
Iniziarono a duellare ma ogni
tanto Evelyn si ritrovò distratta, troppo distratta, al
punto che si ritrovò a
terra ma con il sorriso di lui davanti agli occhi.
“Vi siete battuta degnamente” si
congratulò aiutandola a tirarsi su
“Ma mi sono divertita” affermò
lei
“Almeno non siamo stati fermi ad
aspettare l’arrivo della tempesta, come stanno facendo gli
altri”
“Già” sorrise di rimando Evelyn.
Avrebbe dovuto assolutamente chiedere a suo fratello se conosceva quel
ragazzo.
Sottili gocce di pioggia
iniziarono a bagnare la campagna inglese nel primo pomeriggio, se non
fosse
stato per il vento che sferzava gli alberi nessuno avrebbe supposto che
stava
arrivando una tempesta. Mano a mano che i minuti passavano la pioggia
iniziava
a intensificarsi. Agatha gettò un’occhiata fuori
dalla finestra mentre
camminava lungo il corridoio del secondo piano. I suoi occhi si
posarono in un
gesto automatico sullo spiraglio di scuderia appena visibile. La porta
era
ancora aperta, segno che quel testone del suo fidanzato non era ancora
entrato
all’interno dell’abitazione.
Sbuffò e iniziò a discendere le
scale piuttosto in fretta. Uscì dal portone principale della
villa, non poteva
assolutamente permettersi di passare attraverso la cucina e che il
personale e
gli elfi domestici la vedessero andare nelle scuderie e tornare con un
ragazzo.
Alzò appena la gonna blu di
broccato mentre incespicava nel terreno umido. Arrivò
all’interno della
scuderia e scorse subito Lionel che se ne stava tutto tranquillo a fare
il suo
lavoro, come se intorno a lui non stesse accadendo nulla.
“Tu!” lo additò andandogli
incontro “Per la barba di Merlino, non hai visto che tempo
c’è fuori? Se il
vento peggiora potrebbe anche spazzare via la scuderia!”
“Non ho intenzione di abbandonare
i miei cavalli” replicò lui tranquillo.
Agatha alzò gli occhi al cielo,
sforzandosi di non affatturarlo. “Oh ma certo, restiamo qui a
morire per fare
compagnia ai cavalli! Come avevo fatto a non pensarci?” fece
sarcastica.
Lionel la guardò prima di
replicare ma le parole gli si bloccarono in gola quando vide i boccoli
biondi
di Agatha ricaderle scomposti sul viso corrucciato e il vestito sporco
di
fango. Era quasi comica ma bellissima.
Con un paio di falcate arrivò a
pochi centimetri da lei. “Che
c’è?” fece per chiedere Agatha appena
prima che
le sue labbra venissero catturate da quelle di Lionel.
“Sei bellissima”
“Ruffiano” commentò arricciando
le labbra appena si furono staccati.
Agatha intrecciò le mani con
quelle di Lionel. “Vieni dentro, per favore”
“Finisco di sistemare una cosa e
poi mi unirò all’allegro gruppo di elfi
domestici”
“Promesso?” chiese con gli occhi
da cucciolo.
“Promesso” concordò Lionel
avvicinandosi per baciarla.
Stavano ancora vicini, le labbra
che si fioravano appena quando l’idillio venne rotto da una
voce maschile.
“Penso che sia abbastanza, Agatha”
La ragazza si girò per trovare
suo padre all’entrata dell’edificio.
“Papà”
Il signor Floral guardò prima la
figlia e poi Lionel. “Holmes, vada nelle cucine”
ordinò “Agatha” richiamò la
giovane e le fece cenno di seguirlo.
Mentre lo seguiva certa che
sarebbero andati nel suo studio cercò di chiamarlo ma il
signor Floral non
diede il minimo segno di averla sentita.
“Papà vi prego… posso
spiegare”
L’uomo aprì la porta di pesante
mogano e lasciò entrare la figlia. Se la chiuse alle spalle
sigillandola con un
Muffliato che fece quasi accapponare la pelle ad Agatha.
Vede suo padre sedersi alla
scrivania e lei si accomodò lì davanti,
iniziò a tamburellare involontariamente
con il piede.
“Pretendo delle spiegazioni”
disse lui incrociando le mani sotto al suo mento.
Agatha iniziò a parlare
ininterrottamente spiegando come si erano incontrati ma visto che stava
parlando senza scandire le parole e data la perplessità del
padre, arrivò
dritta al punto “Noi siamo innamorati”
L’uomo prese un bel respiro. Ma
cosa avevano le sue figlie che non andava? Perché dovevano
dargli sempre dei
grattacapi? E lui che avrebbe voluto solo fumarsi un sigaro in santa
pace!
“Questa storia deve finire”
“Ma papà…”
protestò Agatha
rivolgendo uno sguardo implorante al genitore che mise una mano avanti
per
bloccarla.
“Ricordi quando avevi sette anni
e tuo zio Clayton sposò la giovane Diane Longbottom? Mi
chiesi di farti scegliere
l’uomo che avresti dovuto sposare e io te lo promisi. Ho
tenuto fede alla mia
promessa finora e ho intenzione di farlo ancora ma ti avviso che nella
rosa di
possibili candidati il giovane Lionel Holmes non è
compreso”
Senza nemmeno pensarci Agatha
domandò “Perché?”
“Lui non è all’altezza!”
esclamò
Fitzwilliam Floral iniziando ad adirarsi “Porta il cognome
degli Holmes ma non
vanta alcun diritto sul loro patrimonio, non è
nient’altro che un bastardo!
Solo un decreto regio potrebbe cambiare le cose ed Elizabeth Holmes non
permetterà mai a suo marito di richiederlo”
“Non mi interessa. Io lo amo e
voglio diventare sua moglie” affermò convinta. Non
aveva riflettuto sulle
parole appena dette ma era vero, amava profondamente Lionel e dalla
fierezza
con cui lo difendeva, il signor Floral capì che la figlia
maggiore non mentiva.
“Agatha…capire l’amore di un
genitore per un figlio è impossibile finché non
si diventa genitori a propria
volta…volere il meglio per una persona…Lionel
Holmes non è il meglio. Non posso
permettere che tu faccia lo stesso errore di Vincent. Te lo ripeto,
questa storia
deve finire o perderai tutto: abiti, soldi, famiglia… il
gioco vale la candela?”
Alexander alzò gli occhi al cielo
per l’ennesima volta quel pomeriggio, sua madre e la signora
Floral avevano
coinvolto lui e Cassandra nella scelta del menù per i
festeggiamenti del loro
matrimonio. Solitamente si sarebbe dovuto trattare di
un’attività relativamente
piacevole ma tutto quel ciarlare da donne lo stava annoiando
terribilmente.
Incredibilmente neanche la sua futura moglie non sembrava
particolarmente
interessata a quello che era il nuovo oggetto di conversazione: i
tovagliati.
Ringraziò mentalmente Salazar e
tutti i fondatori quando le due donne si alzarono per spostarsi nella
stanza da
cucito. Decise di approfittare della situazione per defilarsi anche lui
e stava
per congedare Cassandra quando lei si alzò, in
contemporanea, per fermarlo.
“Alexander…questa situazione non
può rimanere tale. Per la disgrazia di entrambi quel
contratto è stato firmato
ed entrambe le nostre famiglie ne trarranno vantaggio. So che un
matrimonio senza
amore può esistere ugualmente e infatti non pretendo
amore… Dovremo passare
molto tempo insieme Alexander e quel tempo potrebbe essere anche solo
minimamente più piacevole se ci fosse un rapporto di
amicizia a fare da fondamenta”
Alex sembrò pensarci su un attimo.
Era la prima volta che la ragazza gli si rivolgeva con tanta sicurezza
ma
dovette ammettere che quell’atteggiamento, quello di una che
sa cosa vuole, le
faceva guadagnare punti. Non sembrava più solo una bambina.
Gli costava molto ammetterlo ma
forse la giovane Floral aveva ragione.
“Suppongo che si potrebbe fare.
Forse potremo essere amici”
Buonasera!
Per prima cosa ci tengo
a
scusarmi per il ritardo (circa un mese) con cui pubblico questo
capitolo ma si
tratta di un ritardo giustificato, ampiamente giustificato, da un
motivo che
comporta una pergamena e una corona di alloro.
Come mi è
stato detto stamattina:
oggi è un gran giorno e accadono cose bellissime (infatti
non credevo che sarei
riuscita a pubblicare oggi, anche se ormai questo giorno è
quasi finito)
Detto questo dedico
questo capitolo,
anche se non propriamente felice, ad una persona meravigliosa che oggi
compie
gli anni, la sorella del mio cuore. Ti voglio bene sorellona
H.