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Autore: giambo    07/04/2017    6 recensioni
Crescere è una sfida difficile. Lo sa Naruto, lo sa Hinata così come lo sanno tutti i loro compagni ed amici di Konoha. Eppure, in un mondo che sta vivendo una pace con ancora troppi lati oscuri, essi dovranno imparare a diventare adulti, ad affrontare i propri demoni, le proprie paure, ed anche i propri fallimenti. Con la consapevolezza che una coppia non si costruisce in una notte di passione sfrenata, ma giorno dopo giorno, affrontando le sfide della vita, consci delle proprie forze e delle proprie debolezze.
Raccolta di One-Shot incentrata sulla coppia Naruto/Hinata, ma con ampi spazi dedicati alle altre coppie canoniche del manga, con in più qualche sorpresa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Kurama, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

Lotta contro il passato

 

 

 

Buio.

C'era tanto buio attorno a lui. Soffocante, freddo, cupo.

Rabbrividì, mentre immagini frammentate del suo passato lo colpirono con la forza di un pugno: i volti insanguinati dei suoi genitori, l'odio e il disprezzo intriso in ogni volto degli abitanti, il ghigno satanico di Sasuke e molti altri ancora lo schiacciarono sotto una valanga di dolore e sensi di colpa, privandolo bruscamente di ogni gioia.

E poi la vide.

Spalancò gli occhi, un velo freddo e appiccicoso a ricoprirgli la schiena, mentre osservava le iridi cerulee di lei. Occhi freddi e spenti, come quelli di un cadavere, mentre un fiume di sangue iniziò a ricoprirlo completamente, entrandogli in bocca, intasandogli il naso, riempiendogli la gola con il suo sapore ferroso.

Urlò con tutto il fiato che aveva.

Sapeva benissimo che era il sangue di colei che aveva ucciso.

 

 

Si alzò di scatto, il respiro affannoso. I suoi occhi fissarono il muro di fronte, convincendolo a poco a poco che si trovava nella sua stanza, lontano dal sangue delle sue vittime.

Wari... si portò le mani tremanti sulla faccia, sentendola grondare sudore. Improvvisamente, l'immagine della kunoichi bionda venne sostituita da un altro volto, incredibilmente vivido: il viso di una ragazzina con lunghi capelli blu ed un sorriso così triste da rompere le sue ultime resistenze.

Yoko...

Fu l'ultima goccia. Con un singulto, lo shinobi si alzò di colpo, correndo in bagno, dove rigettò il contenuto del proprio stomaco sul lavabo, mischiato ad acida bile che gli bruciò la gola.

Merda! Sputò con rabbia un grumo acido di riflusso. Era stufo marcio di quella situazione. Ormai erano mesi che non aveva requie la notte, tormentato da incubi sul suo passato e su ciò che aveva compiuto ai ribelli. Nonostante fosse riuscito a riappacificarsi con la moglie, aveva il terrore di andare a dormire, e questo lo irritava profondamente. Non riusciva a capire cosa fare per porre fine a quella storia.

“Sono un debole!” ringhiò sottovoce, fissandosi trucemente allo specchio. “Una fottuta femminuccia del cazzo!” non comprendeva come potesse aiutarlo insultarsi da solo, ma sentiva il bisogno spasmodico di farsi male e quello era il rimedio più indolore che conoscesse.

“Merda!” esclamò improvvisamente. “Merda, merda, merda, merda, merda, cazzo, cazzo, cazzo, fottiti! Fottiti, fottiti, fottiti, fottiti, fottiti, FOTTITI!”

Vuoi chiudere la bocca?! Qui c'è gente che vuole dormire!”

Grazie per la comprensione!” per quanto fosse allettante l'idea di sfogarsi con Kurama, Naruto si ricordò che aveva appena urlato in piena notte. Facendo un profondo sospiro, il Jinchuuriki si sciacquò la faccia, decidendo successivamente di andare a stendersi sul divano. Aveva perso ogni voglia di dormire, e non voleva disturbare Hinata.

Il suo tentativo si rivelò inutile. Aveva fatto appena in tempo a sedersi, che due mani delicate gli strinsero le spalle, mentre avvertiva la testa della moglie appoggiarglisi sulla spalla sinistra.

“Perché urli in bagno in piena notte?”

“Mi hai sentito?”

“Diciamo che ci sono buone probabilità che non sia stata l'unica.” rispose la Hyuga con un sorriso sulle labbra, tornando subito seria quando vide il marito proseguire a fissare la finestra di fronte con sguardo vuoto.

“Naruto-kun...” gli afferrò la mano sana, iniziando ad accarezzarlo sul volto. “Perché non riesci a darti pace?”

L'Uzumaki non disse nulla, incapace di trovare una risposta. Per quanto si fosse sforzato di combatterlo, il senso di colpa non era mai sparito del tutto. Ora, dopo quattro mesi, si sentiva stanco, sfibrato da quel tormento interiore, capace di toglierli pace e serenità in qualsiasi istante.

“Diciamo che... forse sono un po' masochista.” provò a buttarla sul ridere, ma la compagna non demordette.

“Ricordi cosa ci eravamo detti?” continuò ad accarezzargli il viso, anche se il tono della voce non ammetteva repliche. “Dobbiamo fidarci l'uno dell'altro.”

Naruto si passò la protesi sul volto. Fiducia. Sembrava facile a parole dire di non volere segreti con la kunoichi, ma non appena provava a confidarsi sentiva qualcosa di molto simile all'orgoglio che lo bloccava. Probabilmente Shikamaru lo avrebbe chiamato istinto di sopravvivenza, ma l'Uzumaki non era convinto che parlare con Temari fosse la stessa cosa.

“Naruto-kun...” ora la donna sembrava veramente arrabbiata, e il suo sguardo lo mise a disagio, sciogliendogli la lingua.

“Non so il motivo di questi incubi.” sospirò infine. “Io... volevo loro bene, e li ho condannati a morte.”

“Hai deciso di salvare la tua famiglia.” ribatté Hinata. “Hai fatto quello che qualunque padre e marito farebbe. Non sentirti in colpa per questo.” provò a infonderci tutto il suo amore e convinzione in quelle parole, ma Naruto si limitò a scuotere la testa, demoralizzato.

“Forse... il vero motivo è... che io... volevo realizzare un mondo migliore.” deglutì a vuoto, sentendosi gli occhi umidi, asciugandoseli con un gesto stizzito. “Ma ho fallito, e delle persone sono morte per questo.” si voltò a fissare negli occhi la Hyuga, un'espressione semplicemente triste, priva di qualsiasi altro aggettivo. “Ecco perché non riesco a darmi pace, Hina-chan.”

La donna non disse nulla. Proseguì ad accarezzare il volto del marito, gli occhi fissi sulla gelida notte invernale che imperversava fuori.

“Io ho memoria di un ragazzino che falliva sempre.” mormorò infine. “Ho ricordo di un bambino pasticcione, imbranato e buono a nulla.” rivolse le iridi lilla in quelle cerulee dell'uomo. “Ma sai cosa ricordo anche? Che quando cadeva nella polvere, lui si rialzava sempre con un sorriso, pronto a riprovarci.”

“Non è la stessa cosa...”

“Sì che lo è.”

“Sono morte delle persone!” replicò seccamente Naruto. “Sono morte perché sono stato un ingenuo! Non è come... fallire un esercizio o un jutsu, questa volta ci hanno rimesso altri dal mio sbaglio!”

“Queste non sono le parole di uno che vuole diventare Hokage.” quella frase ebbe il potere di zittire il Jinchuuriki, il quale contrasse la mascella, punto nel vivo.

“Un Hokage prende sempre decisioni che mettono a rischio la vita delle persone.” proseguì la Hyuga. “Se non cominci a capire questo, allora tutti i tuoi sacrifici non saranno serviti a nulla.”

Naruto emise un profondo respiro, passandosi la protesi tra i capelli. Sapeva che Hinata aveva ragione. Un Hokage prendeva continuamente decisioni che avrebbero determinato la vita o la morte di qualcuno. Se sentiva il terrore di ripetere quell'errore, allora non sarebbe mai stato capace di indossare il mantello rosso e bianco.

Ho sbagliato... afferrò la mano della moglie, tentando disperatamente di allontanare i volti insanguinati delle sue vittime dalla mente. Le fu grato di ciò che stava facendo; senza il suo supporto, non era sicuro che avrebbe trovato la forza per provarci.

Ma devo andare avanti.

“Torniamo a letto.” lo incoraggiò la kunoichi. “Domani devi lavorare.”

Si alzò, facendosi portare docilmente in camera, il loro rifugio. Fu quasi sollevante avvolgersi nel calore delle trapunte, tentando di lasciare fuori da esse qualunque pensiero negativo.

“Hinata...” provò a ringraziarla, ma lei lo zitti appoggiandogli un dito sulle labbra.

“Dormi.” sussurrò.

Forse era sapere che la Hyuga era al suo fianco, la consapevolezza che doveva ricominciare, che dopo essere sprofondato nella disperazione più atroce poteva solo risalire, ma il resto della notte lo passò tranquillo, senza sogni di alcun tipo, assaporando un riposo che gli mancava da troppo tempo.

Grazie.

 

 

Homura Mitokado sistemò i propri occhiali con un gesto meccanico, fissando con severità i membri seduti attorno a lui.

“Non possiamo continuare così, Sesto.” dichiarò con voce roca. “La situazione è grave e noi dobbiamo porvi subito rimedio.” al suo fianco Koharu annuì, il volto segnato dal tempo che fissava con sguardo gelido l'Hokage.

Kakashi unì stancamente le mani davanti al volto, lo sguardo rivolto ai due consiglieri anziani. Alla sua sinistra, con espressione annoiata, sedeva Shikamaru, una sigaretta tra le labbra, mentre alla destra, c'erano Anko e Tsunade, con quest'ultima che batteva nervosamente l'indice sinistro, laccato di rosso, sul tavolo circolare.

“Quali sono le sue lamentele sul mio operato, consigliere?” domandò stancamente l'Hatake, il tono della voce più pacato e gentile del solito.

Sistemandosi nuovamente gli occhiali, Homura mise sul tavolo un grosso plico di fogli, iniziando a leggerli sommariamente, come testimonianza delle proprie accuse.

“La situazione è tragica su tutti i fronti.” iniziò. “Le nostre finanze sono dissestate, e dipendono quasi esclusivamente dalle donazioni del Daimyo. Molti dei nostri ninja più giovani hanno ingrossato le fila dei ribelli quest'estate, e attualmente gran parte di essi sono ancora fuggiaschi. L'Ordine degli Anbu, che dovrebbe garantire la nostra sicurezza, è a corto di uomini e non può svolgere il proprio compito come dovrebbe, per non parlare delle immense spese, da lei autorizzate, per la costruzione di nuovi edifici civili, fondi che avrebbero potuto potenziare le nostre difese.” una volta appoggiato l'ultimo foglio, il consigliere appoggiò il mento sul dorso delle proprie mani, rivolgendo un nuovo sguardo accusatorio all'altro capo della sala. “Francamente, in tutta la mia vita, non ho mai visto un operato così negligente e deficitario da parte di un Hokage.”

“Ora basta!” esclamò Tsunade, battendo un pugno per la rabbia, facendo scricchiolare il marmo. “Non ti permetto di insultare il Sesto in questo modo, mummia rinsecchita! Se avessi potuto farlo a mio tempo, io...”

“Tsunade-sama!” la voce di Kakashi risuonò con forza nella stanza. La Sannin si bloccò di colpo, gli occhi ambrati che ribollivano di rabbia. Con un gesto stizzito, l'ex Hokage si risedette, permettendo al Sesto di rivolgere la propria attenzione ai problemi elencati da Homura.

“Quali suggerimenti portate, consiglieri?” fu la sua semplice domanda.

“Potenziamento immediato delle finanze e dei poteri in mano agli Anbu.” rispose prontamente l'anziano. “Oltre ad un taglio drastico delle spese per la cementificazione selvaggia che ha subito Konoha in questi ultimi anni. Inoltre, consideriamo di vitale importanza formare delle squadre per ritrovare i rinnegati a cui accennavo prima, catturarli e giustiziarli seduta stante. Suggeriamo anche un aumento della tassazione sui beni di prima necessità per un tempo di almeno due anni, per permettere di risanare il debito che avete creato.”

“Sono delle richieste assurde!” tuonò nuovamente il Quinto. “Vorreste farci entrare in un regime militare proprio ora che abbiamo concluso le trattative di pace con i ribelli!”

“Tsunade-sama, la prego di calmarsi.” dichiarò annoiato Kakashi. “O sarò costretto ad allontanarla dalla riunione.”

Quando la rabbia della kunoichi bionda parve sotto controllo, Koharu prese la parola, fissando con malignità il Quinto.

“Non sono provvedimenti assurdi, ma vitali per la nostra sopravvivenza.” osservò con voce sottile. “Il Villaggio non può permettersi il mantenimento di così tanti ninja inattivi, quindi l'unica soluzione è aumentare la tassazione.”

“Una tassazione che impoverirebbe il tessuto economico del nostro popolo!” sbottò la Senju, ricominciando a battere l'indice sinistro sul tavolo.

“Una soluzione straordinaria, necessaria per il futuro prossimo.”

“Anche dare poteri maggiori agli Anbu sarebbe necessario?” ringhiò Tsunade. “Mettere Konoha sotto una cappa di terrore sarebbe la vostra soluzione a tutto?”

“La pace comune con le altre nazioni ci ha portato indubbi vantaggi.” proseguì l'anziana, con un tono che faceva capire come non credesse minimamente a quelle parole. “Ma tutto questo ha ridotto drasticamente il numero di missioni da noi svolte in ambito bellico, e questo ha contribuito a creare una generazione di ninja inoperosi e pieni di risentimento.” Tsunade fece per parlare nuovamente, ma Kakashi la bloccò con un gesto della mano, permettendo a Koharu di proseguire. “L'unica soluzione possibile è potenziare gli Anbu, dando loro maggiori uomini, fondi e poteri, in modo da poter raccogliere e soddisfare un più alto numero di richieste nei campi dello spionaggio privato e l'assassinio.”

“In pratica dovremmo iniziare a seminare spie ed assassini in giro per le altre nazioni, dico bene?” a parlare questa volta fu Anko, il sorriso folle stampato sulle labbra. “Non sembra tanto male detta così!”

Tsunade scosse la testa, sbuffando stizzita, a testimonianza di come trovasse quel discorso ridicolo e privo di alcun fondamento. Vedendo l'Hokage deciso a non prendere la parola, Shikamaru intervenne, senza esimersi dal borbottare insulti sull'orario indecente della riunione.

“Aumentare il numero di uomini all'interno degli Anbu non è così semplice.” esordì pigramente, aspirando una soffiata di tabacco. “Non tutti i jonin possono farne parte, senza contare che oltre alle abilità fisiche serve anche un allenamento mentale e psicologico tra i più complessi per svolgere le missioni richiese ad un Anbu.”

“Quindi lei sta tentando di dirci che, attualmente, Konoha non è in grado di formare un sufficiente numero di ninja che possano entrare nell'Ordine?” ribatté seccamente Homura.

“Dico che la scarsità attuale è un fenomeno fisiologico, accaduto già in passato. Non possiamo far entrare nell'Ordine shinobi mentalmente impreparati a svolgere missioni di spionaggio od assassinio.”

“Quindi cosa proponete?” dichiarò Koharu. “Noi le nostre proposte per uscire da questa situazione le abbiamo elencate, anche se sembrano non riscuotano l'approvazione del Quinto e del primo assistente.”

“Le vostre proposte sono rifiutate.” dichiarò Kakashi, prendendo la parola. “E vi spiego subito il motivo: dobbiamo pensare in maniera diversa.”

“Non capisco cosa intendiate dire, Sesto.” osservò Homura. “Pensare in maniera diversa?”

“Le vostre soluzioni nascono dall'idea che dobbiamo solo pensare al bene di Konoha, del nostro villaggio.” spiegò l'Hatake. “Ma noi ora siamo uniti e legati da un'alleanza profonda con gli altri grandi villaggi ninja, e questo ci obbliga ad avere una visione più ampia.”

“Quindi la sua soluzione è mendicare aiuto dagli altri Kage?!” ribatté minacciosa Koharu. “Oserebbe gettare nel fango la reputazione dei suoi predecessori in questo modo?!”

“Ritengo che potremmo aumentare il numero di missioni, e i fondi, prestando i nostri ninja agli altri villaggi, dietro un compenso ovviamente.” concluse lo shinobi albino. “Ho già parlato agli altri Kage di questa idea all'ultima riunione, e si sono trovati d'accordo che, per rinforzare i nostri legami e le nostre finanze, serve cooperare.”

“Abbiamo avuto l'idea di creare squadre miste di ninja.” si intromise Shikamaru. “Avranno giurisdizione e mandato per operare in ogni paese del continente, con il sostegno di tutti e cinque i grandi villaggi. In questo modo, aumenteremo le possibili richieste provenienti dalle altre nazioni, e potremo sfruttare gli shinobi rimasti inoperosi in questi ultimi anni.”

“Squadre... miste?” i due anziani furono bravi a nascondere le proprie sensazioni, ma era palese che quell'idea non li convincesse minimamente.

“Ovviamente siamo solo agli inizi, e dovremo lavorarci sopra.” proseguì il Nara. “Ma il nostro obbiettivo è avere le prime squadre pronte per l'inizio dell'estate, tra sei mesi. I compensi saranno divisi in parti uguali, tra ogni villaggio di appartenenza dei membri della squadra, e a rotazione sarà uno dei grandi villaggi a fornire supporto ad un determinato numero di squadre. In questo modo, la cooperazione tra ninja di paesi diversi dovrebbe permetterci di velocizzare il processo di integrazione a cui stiamo puntando.”

Homura non disse nulla, sistemando i propri documenti nel tentativo di guadagnare tempo per riflettere, ma Koharu fu molto più rapida a contrattaccare.

“Quando è stata presa questa decisione?” chiese a bruciapelo.

Shikamaru si prese il tempo di aspirare una lunga boccata di fumo e di buttarla fuori dal naso prima di rispondere.

“Prima della riunione dei Kage.”

“E avete pensato di avvertire il Consiglio di questa scelta dopo un mese e mezzo?” il tono accusatorio dell'anziana era carico di veleno. “Sono costretta ad accusarvi di manovre disoneste ed irresponsabili!”

“Mi duole interrompere la vostra accusatoria così ricolma di passione, Koharu.” esclamò sarcasticamente lo shinobi delle ombre. “Ma sono le tre del mattino, tra quattro ore dovrò essere nuovamente qui, e attualmente a casa ho una moglie con possenti istinti omicidi ed un neonato con corde vocali simili a quelle di un elefante imbizzarrito... per quanto tempo vorrà ancora darci il tormento per aver fatto una scelta che non le sta bene?”

“Come si permette?!”

“Mi permetto perché ho in corpo un litro di schotch e un pacchetto di sigarette.” lo shinobi delle ombre si alzò di scatto, fissando con sguardo annoiato i presenti. “Ora scusatemi, ma ho di meglio da fare che ascoltare i vostri deliri.”

Uscì dalla stanza, gettando il mozzicone con lancio perfetto nel portacenere sul tavolo. Un silenzio imbarazzato scese nell'ambiente, ma Kakashi sorrise, coperto dal tessuto della maschera; aveva capito benissimo il motivo di quella sceneggiata da parte del suo assistente, qualcosa di assolutamente non dovuto al consumo eccessivo di tabacco e alcolici: era riuscito ad impedire il proseguimento della riunione, bloccando per ora il boicottaggio da parte dei consiglieri anziani del progetto sulle squadre miste.

“Bella mossa!.” esclamò nel silenzio Anko, stiracchiandosi le spalle. “Quasi quasi la uso anch'io la prossima volta!”

 

 

“Perché glielo hai permesso?” Kakashi si voltò, osservando Tsunade fissarlo severamente, in una sala delle riunioni ormai vuota. “Perché hai permesso a quei due di fare quello che volevano? Ci è voluto il tuo assistente per chiudere la bocca a quell'arpia!”

L'Hokage sospirò. Non era proprio l'orario che preferiva per mettersi a discutere con il suo predecessore.

“Tsunade-sama, credevo che, avendo rivestito lei stessa la posizione di Hokage, avesse compreso l'importanza di ascoltare il proprio Consiglio.”

“Piantala con le sciocchezze, Kakashi!” ribatté la Senju. “Sono anni che quei due tentano di farti fuori. Onestamente, mi sorprende che tu non li abbia già tagliati dal tuo Consiglio.”

“Non l'ho fatto per vari motivi.” mormorò l'albino, passandosi una mano tra i capelli. “Prima di tutto, perché all'epoca in cui venni eletto l'ultima cosa di cui avevamo bisogno erano lotte intestine di potere, e poi perché le loro conoscenze politiche all'interno dei vari clan sono preziose.”

“Preziose solo per i loro sporchi affari!” ringhiò la Sannin. “Ricordi cosa fecero con Danzo? Non appena ebbero l'occasione di spodestarmi non ci misero un istante ad appoggiare quell'intrigante! Se non mi hanno combattuta più di tanto è solo perché la minaccia di Madara li preoccupava maggiormente, ma ora che anche la rivolta è finita non si fermeranno fino a quando non ti avranno sostituito con un pupazzo a loro più congeniale!”

“Ritengo di poter gestire i miei consiglieri.” la voce dell'albino fu gentile, ma ferma. “I clan sono dalla mia parte, ed ora che la loro assemblea è gestita da Shikamaru non possono colpirmi da quel lato. I Nara sono troppi rispettati per essere contestati, perfino i Senju o gli Shimura non oserebbero mettersi contro il clan delle ombre ed i loro alleati Yamanaka ed Akimichi.”

“Stai puntando tutto sulla triplice alleanza tra i Nara ed i loro fratelli per mantenere i clan dalla tua parte, ma stai rischiando grosso.” osservò freddamente la kunoichi. “Che mi dici dei Sarutobi? Gli Aburame? Gli Inuzuka? Per non parlare degli Hyuga, tanto arroganti quanto poco propensi ad ubbidirci! Non puoi pensare di avere tutti i clan dalla tua parte con questo stratagemma Kakashi, perché loro ne approfitteranno per ritorcerli contro di te.”

“Le sue osservazioni non mi sono nuove.” ribatté sempre con tono fermo l'Hokage. “I clan sono soddisfatti del mio operato, e non ritengo di starmi muovendo in direzioni a loro dannose. Non riusciranno a spodestarmi aizzandomeli contro.”

“Allora intendi continuare a muoverti nella direzione delle squadre miste?”

“Sì, sono convinto che siano l'unica soluzione per rilanciare le nostre finanze e stemperare il malcontento tra gli shinobi più giovani.”

“Sai bene che proveranno a fermarti, non è vero?” insistette Tsunade. “Non accetteranno mai un simile esperimento, non se avranno il potere di fermarlo.”

“So cosa intende.” l'occhiata dell'Hatake fu acuta e penetrante come sempre. “Proveranno a fare leva sul Daiymo.”

“Simili squadre metterebbero a serio rischio la sua autorità su di noi, puoi stare certo che tenteranno di mettertelo contro.”

Kakashi non rispose subito. Obbiettivamente, l'idea di avere contro il suo signore non lo inquietava quanto una possibile rivolta dei clan, ma comprendeva che quella era una battaglia da vincere assolutamente se voleva staccare Konoha dall'ingombrante ombra del signore della nazione.

“Se dovesse giungere questa eventualità, allora direi che saremo noi in vantaggio su di loro.” sorrise da sotto la maschera, osservando lo sguardo perplesso della donna.

“Non capisco.”

“Se il Daiymo si intromettesse in questioni interne al villaggio, i clan si irriterebbero, considerandola una lesione alle loro libertà, e ciò mi darebbe la scusa perfetta per staccarci definitivamente dal Paese del Fuoco.”

La Sannin scosse la testa.

“Non funzionerà, molti membri dei grandi clan hanno incarichi di prestigio alla corte del nostro signore.” sorrise, quasi divertita dalla situazione complessa in cui era costretto a muoversi il suo successore. “Dovrai fare un grande lavoro diplomatico per convincerli ad appoggiarti in un simile progetto. Anzi, direi un miracolo.”

“Ho fiducia in Shikamaru.” replicò l'albino. “Sono sicuro che riuscirà a tenere uniti i clan dalla nostra parte.”

“Già... suo padre era un vero genio.” la Sannin si lasciò andare ai ricordi, una mano davanti agli occhi. “Onestamente, senza l'apporto di Shikaku non sarei mai riuscita a tenere uniti tutti i clan durante la Grande Guerra. Dobbiamo molto della nostra vittoria a lui.”

“Ho buoni ricordi di Shikaku.” ammise l'Hatake. “Non lo conoscevo molto, ma devo dire che ispirava subito fiducia. Era un uomo che sapeva come ottenere ciò che si prefissava.”

Per alcuni secondi l'ombra del capo defunto dei Nara aleggiò sopra di loro. Poi, con un gesto secco, Tsunade si alzò, sorridendo a Kakashi.

“Basta parlare di politica e persone scomparse!” esclamò. “E' meglio che vada a riposare, e ti conviene farlo anche tu. Mai sprecare ore di riposo quando si indossa quel cappello, te lo dico per esperienza personale.”

“Sai... temo che questa notte dovrò fare gli straordinari.” mormorò con aria rassegnata il Ninja Copia.

“Come...” la kunoichi si interruppe quando vide all'ingresso della sala Anko in posizione provocante che faceva l'occhiolino all'Hokage. “Capisco.” si limitò a commentare con un sorrisetto sulle labbra. “Allora non mi resta che augurarti buona fortuna!”

“Se vuole si può unire!” esclamò la Mitarashi mordicchiandosi un labbro.

“No, grazie.” fu la gelida risposta della Senju. “Non sono abbastanza sbronza per finire a letto con un'altra donna.” oltrepassò la kunoichi più giovane, decidendo di lasciarsi andare ad una vecchia frase che sognava di dire fin da giovane. “E comunque non sei abbastanza tosta per starmi dietro!”

Anko si girò a fissare l'Hatake, indicando il sedere sodo del Quinto che si allontanava.

“La voglio nel nostro letto!”

Kakashi si passò una mano davanti al volto, chiedendosi cosa fosse peggio: provare a rinnovare Konoha, combattendo le forze contrarie ai cambiamenti, oppure gestire una relazione con una donna mentalmente instabile e sadica.

Le gioie dell'essere Hokage.

Chissà, magari sarebbe stato un buon titolo per un libro.

 

 

Con un gesto rapido ed esperto, Sakura infilò l'ago della siringa nel polso del paziente, prelevando il campione di sangue necessario.

“Tieni.” ordinò ad un'assistente. “Portalo al laboratorio per l'emogasanalisi, rapido!” si tolse i guanti in lattice con un sospiro, sistemandosi una ciocca di capelli. Si era scordata di quanto potessero essere massacranti i turni di notte in ospedale, tanto più se il reparto di terapia intensiva aveva appena ricevuto tredici nuovi ospiti.

“Sakura-hime.” si voltò, fissando un'infermiera che le porgeva una cartella medica. “Sono i risultati degli esami che aveva richiesto.”

“Oh...” ci mise un istante a fare mente locale a causa della stanchezza. “Ti ringrazio.”

“Di niente.” con un sorriso, la giovane infermiera si congedò, iniziando il solito giro di controllo.

La kunoichi andò a prendersi un caffè, il quinto della nottata, nel tentativo di reggere fino alle otto del mattino, quando sarebbe potuta tornare finalmente a casa da Sarada. Una volta ottenuto un bicchiere di plastica fumante, Sakura aprì distrattamente la cartella, venendo però subito interrotta da Shizune.

“Sakura!” la kunoichi mora la fissò con severità. “Non dovresti essere qui.”

“Piantala!” ribatté la Sannin. “Ho troppo caffè in corpo per discutere in maniera pacifica.”

“Avevamo detto niente turni notturni!” insistette Shizune. “Chi baderà a tua figlia?”

“C'è Tenten.” rispose subito Sakura. “A quanto pare, ha scoperto di adorare i bambini, pensa che sta pure provando ad averne uno con Rock Lee.”

“Non cambiare discorso.”

“Andiamo, Shizune!” la donna più giovane chiuse la cartella con un colpo secco, sospirando. “Ora che lavori a tempo pieno qui dentro, lo dovresti capire, no?”

“Che cosa?”

“Che non puoi smettere di essere te stessa.” dichiarò semplicemente, riaprendo la cartella. Shizune abbassò gli occhi, ammettendo che la Sannin aveva, con ogni probabilità, ragione. L'ospedale entrava dentro a chiunque lo frequentasse con regolarità, rendendo impossibile starne lontani troppo a lungo. Per quanto dura, estenuante, nevrotica e spesso anche crudele, quella vita non l'avrebbero mai abbandonata.

I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore del caffè di Sakura che cadeva a terra. Alzando lo sguardo, vide il volto della rosa bianco come un cadavere, gli occhi fissi sulla cartella di prima.

“Sakura...” la kunoichi la squadrò con preoccupazione. “Tutto bene?”

Lentamente, Sakura Haruno abbassò i fogli, fissando con espressione di indicibile orrore l'amica.

“Sono i risultati degli esami che Tenten mi aveva chiesto.” sussurrò con voce rotta.

“E quindi?”

Cadde un silenzio teso, il quale venne rotto dalla Sannin solo dopo un profondo respiro.

“E' sterile.”

 

 

Quando Sakura ritornò a casa erano le nove del mattino. Aprì la porta del proprio appartamento con un sospiro, la mente annebbiata dalle dodici ore di turno che aveva appena compiuto.

“Ciao!” con un sorriso, la testa di Tenten fece capolino dalla cucina, i capelli castani raccolti in una lunga treccia. “Bentornata! Ho appena finito di fare il caffè, ne vuoi un po'?”

“Ti ringrazio, ma con il caffè ho dato per oggi.” rispose con una smorfia tirata la Sannin. Aveva provato a sorridere, ma il risultato era stato quello di assomigliare ad un malato di colecisti. Il pensiero di dover comunicare una simile notizia all'amica le era insopportabile. Nella sua carriera di medico aveva visto innumerevoli pazienti morire, e molto spesso era toccato a lei comunicarli che la loro vita era agli sgoccioli, ma quello era qualcosa di totalmente diverso. Avrebbe dovuto dire ad una cara amica che il suo sogno di diventare madre non si sarebbe mai realizzato.

“Nottataccia in ospedale, eh?” esclamò la kunoichi mora. “Dai, vieni qua! C'è una birbante che non vede l'ora di salutarti con un bacione!”

La seguì in cucina. Quando vide il volto paffuto della figlia, impegnata nella poppata mattutina con il biberon, il suo sorriso divenne sincero. La sollevò dal seggiolone, prendendola in braccio e ricoprendola di baci. Era il suo tesoro più prezioso, la sua ancora di salvezza, l'unica presenza capace di colmare veramente il vuoto di Sasuke.

“Mi sei mancata terribilmente.” mormorò, aspirando l'odore di latte e vomito di Sarada, trovandolo semplicemente delizioso. “Kami, quanto sei bella!” aggiunse, accarezzandole una guancia paffuta. “Bella come il tuo papà!”

“E' stata un angelo stanotte.” dichiarò Tenten, non riuscendo a trattenere un sorriso nel vedere l'amica con in braccio la figlia. “Verso le due ho dovuto farle un cambio pannolino, ma a parte questo è stato tutto tranquillo.”

“Sì, ha preso l'abitudine di farla a quell'ora. Ormai ho impostato la sveglia per evitare risvegli traumatici.” aggiunse la rosa, continuando ad accarezzare la piccola Uchiha, impegnata a terminare il proprio latte sotto lo sguardo sognante di Tenten.

“E' meravigliosa.” sospirò. “Non sai quanto mi piacerebbe avere un bambino!”

Il sorriso di Sakura scomparve all'istante. Il pensiero di doverle comunicare che non sarebbe mai diventata madre riprese a tormentarla.

“Tenten...” rimise nel seggiolone Sarada, iniziando a stropicciare un lembo della sua veste per il nervoso. “Dobbiamo parlare.”

Non fu facile. Per la prima volta dopo tanto tempo, Sakura si sentì nuovamente debole, incapace di prendere in mano la propria vita. Vedeva gli occhi scuri della sua amica, innanzi a lei, pupille risplendenti di serenità, ignare di ogni cosa.

Anni passati a ripetermi che devo essere forte, e ora non sono neanche capace di comunicarle la verità nel modo giusto.

Le disse tutto, con voce atona, priva di sentimento. Credeva che mostrarle la sua pietà l'avrebbe ferita ancora di più. Vedere gli occhi scuri della kunoichi spegnersi lentamente, mentre le sue parole prendevano piede, fu forse la cosa più dura di tutte.

“Mi dispiace.” fu una frase secca, che valeva tutto e allo stesso tempo nulla. Lo comprese da come Tenten si morse il labbro inferiore; quelle due ultime parole, per lei, valevano meno di zero.

Nel salotto cadde un silenzio teso. Tenten deglutì a vuoto, le nocche sbiancate dalla forza con cui stringeva le mani sulle ginocchia. Sakura non disse più nulla, sentendosi impotente come quando aveva dodici anni.

“E'...” ci mise alcuni istante a ritrovare la voce la mora. “E' irreversibile?”

“Temo di sì.” sussurrò la Sannin. “Le ferite che hai subito in battaglia hanno danneggiato in maniera irreparabile le tue pareti uterine.” si scostò una ciocca di capelli dal volto, osservando l'autocontrollo di Tenten sgretolarsi poco a poco. “Potremmo provare con una fecondazione assistita, ma le probabilità di emorragie interne è molto alta.”

“Quante possibilità ho?” vedendo l'amica perplessa, la kunoichi mora deglutì prima di spiegarsi meglio. “Quante possibilità avrei di... di portare a termine una gravidanza con questa soluzione?”

Le iridi smeraldine di Sakura si spostarono verso il tappetto sotto i suoi piedi, odiandosi a morte per quello che stava per dire.

“Non più del quaranta per cento.” ammise infine. “E potresti non solo perdere il bambino... ma anche la vita.”

L'allieva di Gai si passò una mano sul volto, iniziando a fare respiri profondi. Aveva gli occhi lucidi, le mani che tremavano e il viso privo di colore.

“Tenten...”

“Va tutto bene, Sakura.” continuò a respirare in modo profondo, nel tentativo estremo di controllarsi. “Ora scusami... ma devo andare.”

Uscì a passo rapido dall'appartamento dell'amica, chiudendosi la porta alle spalle con troppa irruenza, quasi le mancasse l'aria.

Tenten... Sakura si passò una mano tra i capelli. Sapeva che non era colpa sua se tutto quello era accaduto, ma la consapevolezza di non poterla aiutare, di dover assistere al suo sogno infranto le ruppe qualcosa dentro, spezzando il suo ferreo autocontrollo di medico.

Mi dispiace. Si coprì il volto con una mano, desiderando nascondersi da Sarada.

Non voleva mostrarle la debolezza di sua madre.

 

 

 

Si muoveva a passo rapido, il respiro sempre più affannoso. Le strade erano gremite di gente, nonostante il freddo pungente e la neve che cadeva vorticosa, ma lei non ci fece caso. Si sentiva come se avesse scollegato il cervello, lasciando il corpo libero di muoversi d'istinto, privo di ragione. Non voleva pensare, non voleva ragionare, desiderava solo scappare da ogni cosa, fino a non provare più nulla.

Non sarò mai madre.

Era un pensiero orrendo, mostruoso, inumano. Vedere le proprie amiche, una dopo l'altra, che assaporavano la sensazione agrodolce di essere diventate genitrici, di essersi costruite una famiglia, sapendo che ciò le veniva negato era intollerabile. Era come se avesse centinaia di schegge infilate sotto le unghie, che si aprivano la strada nella sua carne con sadismo.

Si fermò di gettò, quasi le gambe fossero immerse nel fango. Davanti a lei c'era un ragazzino di circa dieci anni che teneva per mano il padre, parlandoci con fare imbronciato, come se fosse in disaccordo con il genitore.

Lee... sentì le lacrime premere per uscire, ma si contenne, contraendo ogni muscolo, in un disperato tentativo di non crollare. Si era immaginata tante volte il compagno che teneva per mano loro figlio, allenandolo a diventare un grande shinobi. Una fantasia che sarebbe rimasta tale.

Perché...

Digrignò i denti, conficcandosi le unghie nei palmi. Un sentimento di odio immenso, profondo ed avvolgente la sommerse, spalancandole le porte dell'inferno. Odiava la vita per averla privata di quel desiderio, odiava le sue amiche che erano state privilegiate dal fato, ma soprattutto detestava se stessa con tutto il suo essere.

Perché...

Fu solo quando raggiunse il suo appartamento che il suo autocontrollo cedette. Si vide allo specchio d'ingresso, vedendoci il riflesso di una splendida donna di venticinque anni, dai lunghi capelli castani e gli occhi scuri e profondi, persi in un torbido dolore.

La sua ira esplose; improvvisa, rapida e furiosa. Investì lo specchio con un pugno, seguito da un altro ed un altro ancora. Proseguì a colpirlo fino a quando non si ruppe in centinaia di pezzi sul pavimento, infischiandosene dei tagli che le provocò sulle nocche. Non soddisfatta iniziò ad urlare con tutto il fiato che aveva in gola, con tanta forza da ferirsela. Caricò in quel urlo tutta la rabbia, il disgusto ed il senso di ingiustizia che provava, fino a quando non cadde in ginocchio sul pavimento. Aveva il fiatone, ma dai suoi occhi non scese alcuna lacrima.

Perché...

Sentì l'odio suggerirle una risposta, maligno e viscido come sempre. Era la sua debolezza la colpa di tutto. Il suo essere stata un ninja incapace, vulnerabile e debole.

Sono un rifiuto ormai. Chiuse gli occhi, rivedendo dentro di sé ogni istante del momento in cui Dai le aveva inferto il colpo al petto, ogni secondo in cui il suo futuro era stato spezzato, privandola per sempre di un sogno che covava da tanto tempo.

Si morse un labbro, assaporando il sapore del sangue, colma solo del desiderio di infliggersi del male.

Lee, ti prego... perdonami.

Fu solo quando la sera scese, trovandola nella stessa identica posizione, che la sua forza mentale crollò, portandola ad un pianto furioso e ricolmo di acido rancore.

Perché la sua luce era sparita, e con essa il suo desiderio di una famiglia da proteggere ed amare.

 

 

Quando Rock Lee entrò, il sole faceva capolino dalle finestre, illuminando con la sua pallida luce invernale i resti della furia di Tenten. Quest'ultima si trovava rannicchiata in un angolo del salotto, le gambe strette al petto, i capelli scuri che le coprivano il viso. Nell'avvicinarsi, lo shinobi corrugò la fronte, vedendo sulle braccia della kunoichi brillare malsana la carne viva: si era graffiata fino ad escoriarsi.

“Ten...” Lee si accovacciò davanti alla compagna, incredulo da ciò che vedeva. Quando provò a sfiorarle una mano, ella si ritrasse di scatto, spaventata all'idea di avere ancora un contatto con lui.

“Vattene!”

L'allievo di Gai non si mosse, continuando a fissare con sincera perplessità la fidanzata.

“Ten... cosa è successo?” mormorò. “I vicini dicono che hai urlato tutta la notte.”

“Sono affari miei!”

“Non posso aiutarti?”

“No!”

Cadde un silenzio denso nella stanza, rotto solo dal respiro pesante della donna, ancora scossa dalla sceneggiata della notte prima.

“Ten, non me ne vado senza una spiegazione.” dichiarò con voce seria Lee. “Lo sai.”

La kunoichi si conficcò le unghie nei solchi scavati negli avambracci la notte prima, stringendo la mascella con forza maggiore. Le faceva rabbia ogni cosa in quel momento, anche la dolcezza e la pazienza del suo uomo.

“Non puoi capire.”

“Aiutami allora a farlo.” insistette lui.

“Io...” le mancarono le parole giuste. Una stanchezza tremenda le piombò addosso, facendole desiderare ardentemente un letto e qualcosa che le potesse cancellare i ricordi delle ultime ventiquattro ore.

“Ti prego...” sussurrò con voce roca. “Lasciami sola... per favore.”

Lee le afferrò il volto con una mano, sollevandoglielo ed obbligandola a guardarlo in faccia.

“Dimmi cosa c'è.” ripeté lo shinobi. “Lo sai che ti aiuterò, in qualsiasi situazione.”

Tenten chiuse gli occhi, maledicendo la cocciutaggine del fidanzato. Sapeva che non se ne sarebbe mai andato se prima non gli avesse raccontato ogni cosa. La consapevolezza di dovergli dire che non gli avrebbe mai donato un figlio la tormentava peggio di qualsiasi ferita subita in passato.

“Lee...” deglutì a vuoto, percependo le prime lacrime farsi avanti. Odiava quella situazione, ma soprattutto odiava se stessa per quello che era diventata.

“Non posso avere un bambino.” mormorò infine con voce roca, quasi un sussurro carico di disperazione.

Rock Lee sbatté rapidamente le palpebre, preso in contropiede. Vide negli occhi della kunoichi l'ansia di conoscere la sua reazione a quella notizia, comprendendo che, con ogni probabilità, era spaventata a morte.

“Ne sei sicura?” le chiese infine, con voce gentile.

Lei annuì, asciugandosi le ultime lacrime. Gli parlò della discussione avuta con Sakura, e dei motivi per cui le era quasi impossibile aspettare un figlio. Lo shinobi ascoltò in silenzio, senza dire nulla, il volto inespressivo.

“Non sai quanto avrei voluto averne uno.” bisbigliò infine la mora, mordendosi il labbro inferiore, gli occhi fissi sul pavimento. “Vedevo le altre partorire, osservavo i loro volti risplendere di gioia, chiedendomi se un giorno anch'io avrei avuto questa possibilità.” le si incrinò la voce, il dolore ancora troppo recente per essere respinto efficacemente. “Ora so che era solo una vana chimera.”

“Ten...” la voce di Lee era adulta, profonda, con una tonalità che ricordò moltissimo alla kunoichi Gai-Sensei. “Lo desideri così tanto un figlio?”

“Che razza di domanda è?!” ribatté subito, alzando di scatto il viso, contorto in un'espressione rabbiosa. “Certo che lo vorrei, ma non posso! E questo solo perché sono una debole, che non è capace di badare a se stessa!”

“Sai bene che non è vero.” l'uomo le afferrò una mano, stringendola tra le sue. “Ten... devi sottoporti all'inseminazione assistita.” la guardò negli occhi, dimostrandole che non scherzava. “Avremo il nostro bambino, dobbiamo solo crederci!”

“Non hai sentito cosa ti ho detto?” replicò Tenten. “Ho meno del cinquanta percento di possibilità di portare a termine una gravidanza in questo modo, per non parlare che rischierei anche la mia vita.”

“Questo non è lo spirito di una donna che vuole diventare madre!” ora la voce del guerriero divenne dura, sorprendendola: Lee non era mai comportato in quel modo con lei.

“Nella vita ho imparato che le cose a cui teniamo di più non si ottengono mai con facilità. Quando... ho subito l'operazione alla schiena mi dicevano le stesse cose che hai appena detto!” spalancò gli occhi, incredula da ciò che sentiva. Non aveva mai udito parlare Lee di quando si era operato alla spina dorsale in giovane età, quella era in assoluto la prima volta. “Anche io allora ero disperato, e non desideravo altro che arrendermi, ma poi Gai-Sensei mi ha ricordato che se non avessi messo in gioco la mia vita per le cose a cui tenevo, avrei subito un destino peggiore della morte.” strinse la mano della donna con maggiore forza, gli occhi che brillavano di ferrea determinazione. “Se desideri veramente diventare genitore, allora devi lottare, e crederci! Io sarò al tuo fianco dall'inizio alla fine di questa storia, e se le cose dovessero andare storte... allora morirò assieme a te.”

Crederci. Le sarebbe piaciuto farlo, con tutta se stessa. Tenten vedeva le parole del fidanzato come una fune dorata, una via di fuga da un baratro di depressione e rancore. Eppure, una parte di lei si chiese se fosse veramente giusto fare così, se rischiare la propria vita per un sogno nato da poco fosse un sacrificio 'corretto'.

Lo desidero davvero? Voleva veramente diventare madre? Passare nove mesi con squilibri ormonali, perdere definitivamente il proprio aspetto giovanile e prendersi un impegno a tempo pieno per i successivi vent'anni?

La sua mente venne invasa dai ricordi d'infanzia. Un periodo duro, privo di genitori. Un'orfana che si era fatta strada lottando e faticando. Una ragazzina che, a volte, avrebbe desiderato con tutto il cuore un abbraccio materno, un supporto o una semplice parola d'incoraggiamento.

Lee... guardò negli occhi il compagno, vedendoci quello che si aspettava: anche lui era cresciuto da solo, lottando e faticando, subendo i pregiudizi della gente e dei coetanei, senza nessun supporto. Aveva dovuto attendere i dodici anni per vedere qualcuno iniziare a credere in lui, proprio come era accaduto alla kunoichi.

Ed ora Lee credeva in lei, nella sua forza di volontà, nel suo desiderio di diventare un ottimo genitore, il migliore del mondo.

Lui ha fiducia in me, ci crede. Deglutì, sentendo il freddo dentro il suo petto sparire lentamente, lasciando spazio ad un meraviglioso tepore, memoria di tutte le loro notti passate assieme ad amoreggiare.

“Lee...” sussurrò infine con un filo di voce. “Grazie.” sciolse la stretta sulle gambe, permettendogli di abbracciarla, appoggiando il volto sul petto del suo uomo. “Faremo questa cosa insieme, vero?”

Rock Lee appoggiò la fronte su quella della kunoichi, sorridendole con tutta la forza ereditata da Maito Gai.

“Sì.” rispose. “Lo affronteremo insieme, come una vera famiglia.”

Una famiglia. Quelle due parole ebbero l'effetto di trasformare il tepore dentro il petto di Tenten in un vero e proprio uragano, capace di sciogliere ogni residuo di rabbia, dolore e disperazione dentro di lei. Aveva ancora paura, ma finché aveva al suo fianco Lee, sapeva che avrebbe superato ogni cosa. Anche una gravidanza quasi impossibile.

“Ti amo.” vedere il volto di Lee imporporarsi innanzi a quell'affermazione la fece sorridere. Era una sensazione stupenda. Non credeva che sarebbe riuscita a sorridere di nuovo, ma lui ci era riuscito. L'aveva salvata, ancora una volta.

“Ten... io...” lo zittì con un bacio rapido, sull'angolo sinistro della bocca, sentendosi tremendamente bene, una sensazione fragile, ma capace di tenerla fuori dalla depressione.

“Procurati un film di lotta e una pizza gigante.” sussurrò la mora. “Oggi ho bisogno di essere consolata.”

“D-d'accordo.”

“Allora muoviti!” lo rimproverò mezza seria la kunoichi, osservandolo scattare fuori dal suo appartamento.

Era strano. Aveva passato una notte d'inferno, forse solo seconda a quella in cui aveva visto morire Neji, eppure ora stava sorridendo, pronta ad affrontare quell'ennesima difficoltà della vita. Ed era solo merito di un uomo che vestiva tute verdi ridicoli, portava un taglio di capelli inquietante ed era un maniaco del fitness.

Era decisamente l'uomo della sua vita.

Te l'ho prometto, Lee. Avremo una famiglia tutta nostra, e diventeremo due genitori magnifici.

Sapeva che era una promessa difficile.

Ma a lei le sfide difficili erano sempre piaciute, proprio come a Lee.

 

 

Ombre scure lo circondarono, soffocandolo, svuotandogli i polmoni. Frammenti del suo passato lo investirono con la forza di un fiume in piena, sommergendolo. Osservò il volto insanguinato di Kushina dirgli addio piangendo, il sorriso sporco di sangue di Jiraiya-Sensei un istante prima di morire, lo sguardo priva di vita di Neji, le lacrime di Sakura, gli occhi ricolmi di odio di Sasuke, ma sopra ogni cosa c'era lei, il suo ricordo più fresco.

Deglutì a vuoto, guardando lacrime cremisi uscire da quegli occhi cerulei, iridi che aveva imparato a conoscere in ogni dettaglio. Provò a sfiorarne il viso, ma il terreno sotto di lui svanì, facendolo precipitare in un baratro senza fine, ricolmo di disperazione e di odio. Provò ad urlare, solo per scoprire di avere la bocca ricolma di sangue, capace di stomacarlo come non mai. Cadeva sempre più in basso, rapido, incapace di vedere alcuna luce attorno a sé, alcuna speranza, inerme di fronte al dolore del suo passato.

E poi toccò terra.

Non capì subito dove era finito. Era sdraiato su un terreno bianco, di una lucentezza abbagliante. La cosa che più lo sorprese fu di sentirsi bene. Era comodo stare in quel posto. Un luogo pacifico e caldo, che lo rese leggero, libero da tutto ciò che lo opprimeva da anni.

Si mise a sedere, scoprendo di essere dentro una specie di cupola bianca, splendente e luminosa, circondata da un'oscurità malevola ed avvolgente. Ombre nere sbattevano contro le pareti, nel vano tentativo di penetrare, di corrompere anche quel luogo.

Dove sono?” mormorò. Si accorse solo in quell'istante di indossare i propri abiti da combattimento, il coprifronte che splendeva sulla fronte nell'abbagliante luce che illuminava il luogo.

In un posto sicuro.”

Udire quella voce gli gelò il sangue nelle vene. Si voltò lentamente, un velo di sudore freddo a ricoprirgli la schiena, incapace di comprendere come fosse possibile.

Seduta davanti a lui, impegnata a lucidare la propria ascia, c'era Himawari. Indossava i soliti abiti da uomo, ma sulla fronte c'era un lucente coprifronte con su inciso il simbolo della Foglia.

Naruto!” esclamò sorridente la kunoichi bionda, le iridi cerulee pacifiche e ricolme di gioia. “E' bello rivederti!”

Wari?!” balbettò lo shinobi, ancora impossibilitato a capire cosa stesse accadendo. “Ma come...”

Cosa c'è?” il sorriso della donna divenne più marcato. “Non sei contento di vedermi?”

Tu sei morta!” Naruto non riusciva a darsi pace. Rincontrarla così felice e sorridente era assurdo dopo quello che era successo tra di loro. “Sono stato io ad ucciderti!”

Hai ragione.” ammise Himawari. “Io sono morta per mano tua.”

Ma...” un pensiero orrendo lo colpì come una secchiata d'acqua gelida. “Sono morto anch'io?”

Tu?” la Nukenin scoppiò a ridere, aumentando la confusione nella testa del Jinchuuriki.

Si può sapere perché stai ridendo?”

Scusami.” lentamente, la donna riprese un contegno, senza smettere però di sorridere. “Ma il fatto è che se siamo in questo luogo è proprio perché tu sei vivo.”

Continuo a non capire.”

Proprio non ci riesci?” con uno sbuffo, Himawari si avvicinò allo shinobi, toccandogli il petto. “Questo posto è il motivo per cui sei diventato ciò che sei.” il suo sorriso divenne più ampio. “E' il tuo cuore.”

L'Uzumaki sbatté le palpebre, ancora confuso nonostante quella risposta. Deciso a sorvolare per il momento, rivolse le sue attenzioni alle ombre che premevano furiose fuori dalla barriera.

Se questo è il mio... cuore, loro cosa sono?”

La kunoichi sospirò, il sorriso leggermente incrinato. Sembrava triste nel dover affrontare quel discorso.

Sono qualcosa che può ferirti profondamente.” dichiarò infine. “Il tuo passato, Naruto.” la sua espressione divenne seria, quasi stesse soffrendo. “A volte il passato diventa un nemico dal quale non ci si può nascondere.”

Naruto deglutì. Ricordava perfettamente la sensazione di gelo e di soffocamento che aveva provato poco prima. Si chiese se sarebbe stato così per sempre. Se il suo passato l'avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni.

A cosa pensi?” trasalì nel sentire la mano di lei sopra la sua protesi. Era quasi a disagio nel percepire quella carne calda e liscia dopo che l'aveva vista morire sotto i suoi occhi.

Sto pensando se... esista un modo per andare avanti.” mormorò. “Se qualcuno possa veramente lasciarsi alle spalle il proprio passato.”

Himawari non disse nulla. Guardò corrucciata oltre la barriera, gli occhi persi in memorie lontane, ma non troppo dissimili da quelle dello shinobi.

Non lo so.” la sua voce divenne un sussurro portato dal vento. “Io non sono mai riuscita a farlo.” l'ombra di un sorriso tornò ad illuminarle il volto. “Ma ho fiducia in te.”

Io?!” Naruto scosse la testa, demoralizzato dagli ultimi avvenimenti. “Ti sbagli. Se c'è qualcuno che non riesce a superare il passato, quello sono io.”

Naruto...” la donna lo guardò dritto negli occhi, infondendogli uno strano calore, facendogli scomparire ogni dubbio. “Abbiamo avuto entrambi infanzie difficili, ma tu non ti sei mai arreso. Hai sempre lottato e creduto di poter cambiare il tuo destino.” mostrò la cupola con una mano, la luce bianca che li circondava come una calda e morbida coperta. “E' stato il tuo cuore a permetterti di vincere contro il tuo passato. Devi fidarti di lui, come hai fatto una volta.”

L'uomo si passò una mano tra i capelli, sospirando.

Io ti ho uccisa.” mormorò. “Ho tradito tutti voi, e permesso che moriste, come il vostro sogno.”

No, ti sbagli.” ribatté con voce dolce la kunoichi. “Tu mi hai salvato un'infinità di volte.” sorrise, iniziando ad accarezzargli il viso. “Mi hai insegnato che bisogna sempre credere in se stessi, che per raggiungere i propri sogni bisogna essere pronti a dare ogni cosa, anche la propria vita.” asciugò una lacrima dal volto dell'uomo con il pollice, fissandolo con affetto. “Grazie a te ho potuto incontrare e conoscere tantissime persone meravigliose, con le quali ho costruito il mio sogno.” la sua voce si abbassò, tornando ad essere un fievole sospiro. “Mi hai permesso di vivere la mia vita in modo fantastico, fino alla fine, e per questo non posso che dirti grazie.” lo baciò sulla fronte, sentendolo scosso da singhiozzi ricolmi di tristezza. “Grazie per tutto.”

Naruto l'abbracciò di scatto, le lacrime che avevano iniziato ad uscire di getto, quasi improvvise. Sentire Himawari ringraziarlo fu per lui qualcosa di tremendamente bello. Mesi passati a sognarla, sentendola accusarlo di essere un assassino l'avevano segnato nel profondo, inculcandogli che fosse solo uno sporco traditore; ma lei ora l'aveva ringraziato e tutto aveva acquisito una nuova, meravigliosa prospettiva.

Wari...” si staccò, vedendola sorridere. “Io...”

Lei lo zittì con un dito sulle labbra, gli occhi azzurri ripieni di una pace ultraterrena.

Hai fatto molto per me.” si alzò, il sorriso ora incrinato in un'espressione di pacata rassegnazione. “Ora tocca a me fare qualcosa per te.”

Cosa vuoi fare?” gli chiese subito Naruto, alzandosi di scatto. Non voleva che se ne andasse, non ora che si erano finalmente rivisti.

Ti aiuterò a sconfiggere il passato.” la sua voce divenne distante, come se stesse andando via da quel luogo. “Proteggi sempre il nostro popolo.” sussurrò. “Proprio come io farò con te.”

Wari... no!” provò ad afferrarla, ma si accorse di non riuscire a muoversi come voleva. Sentiva le membra pesanti, come se indossasse vestiti ripieni di piombo. “Non osare...”

Himawari iniziò ad allontanarsi verso il bordo della barriera, dove le ombre oscure si agitavano, più furiose che mai.

Non provare compassione per i morti, Naruto.” dichiarò, voltandosi a sorridergli per l'ultima volta. “Provala per i vivi, per coloro che soffrono. Solo così potrai diventare un vero Hokage.”

Wari...” non disse più nulla, comprendendo che niente l'avrebbe trattenuta ancora.

Himawari gli strizzò l'occhio, il sorriso di prima nuovamente al suo posto. Si mise l'ascia in spalla, oltrepassando con fare sicuro la barriera, immergendosi nelle tenebre dell'anima del Jinchuuriki. Per un istante sembrò venire inghiottita da esse, ma poi un lampo accecante di luce bianca le dissolse con rapidità irrisoria, permettendo ad un calore meraviglioso di invadergli il corpo, donandogli una sensazione di benessere.

Wari... cosa?”

Vai...” la sua voce gli giunse fievole, nulla più che un dolce eco. “Vai e vivi... anche per me.”

La luce lo sommerse, immergendolo in un liquido caldo e piacevole. Chiuse gli occhi, immergendosi in esso, sentendo che fosse la cosa giusta da fare. Sprofondò sempre più in esso, fino a quando non comprese di aver raggiunto la vera pace, di essere stato veramente capace di vincere il proprio passato, ancora una volta.

Vivi, Naruto.”

Vivi...”

 

 

Aprì gli occhi, osservando il soffitto sopra di sé. Percepiva il cuore pompare placido, mentre un profondo senso di benessere aveva preso possesso di lui. Fuori dalla stanza, poteva scorgere il freddo sole invernale illuminare il cielo plumbeo.

Cosa diavolo... si alzò lentamente, la mente confusa dai frammenti dell'ultimo sogno. Sentiva che riguardava Himawari, ma non aveva una spiegazione vera per quella sensazione.

Si stropicciò gli occhi, trattenendo a stento uno sbadiglio. Fece per alzarsi quando si accorse di avere qualcosa stretto nella protesi: un coprifronte di Konoha.

Lentamente, Naruto volse lo sguardo verso il proprio comodino, dove capeggiava luccicante il suo vecchio coprifronte.

Non è possibile... spalancò gli occhi, la mente invasa dai ricordi del sogno della notte precedente.

Aveva capito a chi apparteneva il coprifronte che teneva in mano.

Wari... si accorse di avere gli occhi lucidi e non si nascose, sollevato dal comprendere che tutto quello che aveva vissuto la notte prima aveva un fondo di verità, la possibilità che Himawari non lo considerasse solo un traditore assassino era reale, davanti a lui. Una verità che poteva toccare con mano.

Non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto questo. Un sorriso nacque sulle sue labbra, mentre la pace che lo pervadeva gli rischiarò la mente come un fresco vento primaverile. Era come se il suo cuore si fosse liberato di un peso, di un tremendo macigno che per troppo tempo l'aveva schiacciato tra il rimorso e la disperazione.

Aprì il cassetto del comodino. Dentro erano riposti un coprifronte scheggiato della Pioggia, un sacchetto di pelle mezzo vuoto ed una sacca nera con su disegnato un infantile gattino rosso. Trattenendo a stento un singhiozzo, il Jinchuuriki sfiorò il suo unico ricordo di Kiyoko, sentendone la mancanza. Per un attimo fu tentato di tirarlo fuori e perdersi nei loro ricordi assieme ma si trattenne, afferrando invece il coprifronte della Pioggia.

Aveva finalmente capito cosa doveva fare.

“Buongiorno!” Hinata si voltò di scatto, osservando il marito arrivare in cucina fischiettando un motivetto allegro e prendere in braccio il figlio, il quale aveva appena finito di spalmarsi la colazione in faccia.

“Buongiorno a te, Naruto-kun.” rispose, sorpresa da quel buonumore così genuino, diverso dal solito sorriso posticcio con il quale l'Uzumaki affrontava la mattina. “Stai bene?”

“Bene? Benissimo!” esclamò il biondo. Con due rapide falcate, il giovane uomo si portò alle spalle della Hyuga, leccandole il lobo destro con evidente lussuria.

“Naruto-kun!” la donna divenne rossa per l'imbarazzo. “Non davanti a Boruto-chan!”

“L'hai sentita, Boruto?” Naruto fece un'espressione comicamente triste, rivolgendosi al figlio, il quale lo fissava con un sorriso infantile sul volto paffuto. “Dice che non vuole mostrarmi il suo amore davanti a te! Può esistere una madre più crudele?”

“Smettila!” esclamò Hinata, tra il serio e il divertito. “E comincia a mangiare la tua colazione, che sennò farai tardi al lavoro anche oggi.”

Dieci minuti dopo, dopo aver salutato il figlio e la moglie con un gigantesco bacio ciascuno, Naruto uscì di casa a passò rapido, un sorriso immenso ad illuminargli il viso. Sentiva il corpo ribollire di energia positiva, come non gli capitava da anni. Si fece strada tra la neve con rapide falcate, il viso avvolto tra nuvolette di condensa. Aveva una cosa da fare prima di andare a lavoro, qualcosa che non poteva assolutamente rimandare.

Ne è passato di tempo, eh? Ero-Sennin...

La vide da lontano, stagliarsi nitida tra il manto nevoso. Nonostante fossero passati diversi mesi dall'ultima sua visita, si accorse che la lapide del suo maestro era lucida come sempre, con una bottiglia di saké mezza vuota in offerta. Sorrise: era contento che Tsunade-baachan non si dimenticasse mai di lui.

“Non dovresti essere in ufficio?” la sentì farsi avanti tra la neve con la sua inconfondibile falcata. Era un passo duro, rapido, secco, tipico di una persona sicura di sé.

“E lei non dovrebbe essere in ospedale?” replicò senza voltarsi, il sorriso di prima ancora al suo posto.

“Ora che Sakura è tornata, posso riprendere il mio ruolo di Hokage in pensione.” Tsunade si affiancò allo shinobi biondo, le iridi dorate perse sulla lapide del suo migliore amico. “Era da un po' che non venivi a trovarlo.”

“Ho avuto altri pensieri.” si giustificò il Jinchuuriki, ascoltando il silenzio profondo che lo circondava. Non era sicuro che al suo Sensei sarebbe piaciuto quel posto. Probabilmente Jiraiya avrebbe preferito una lapide dentro ad un bordello, ma era comunque un luogo meraviglioso, perfetto per chi agognava solo la compagnia dei propri pensieri.

“E come mai ora sei qui?” il Quinto si sedette, tirando fuori una bottiglia di liquore nuova, e scolandosi con due rapidi sorsi quella vecchia.

“Non male.” sospirò soddisfatta. “Mi ci voleva una bevuta per svegliarmi del tutto.” riportò lo sguardo su Naruto, il quale era impegnato a posizionare due coprifronte sulla lapide: uno raffigurante il simbolo di Konoha, l'altro il segno, scheggiato, del Villaggio della Pioggia.

“Li ho dimenticati.” la bionda sorrise, osservandolo mettersi le mani in tasca.

“Sai, non ho mai avuto modo di dirtelo prima.” la kunoichi stappò la bottiglia nuova, ingollandone un sorso. “Ma sono molto fiera di te, Naruto.”

Non rispose, le iridi cerulee perse su tutto ciò che restava del suo Sensei su quella terra. Nonostante sapesse che non fosse proprio il posto giusto, non riusciva a smettere di sorridere. Quella sensazione di benessere e pace che provava dentro di sé era qualcosa di difficile da spiegare; non avrebbe mai dimenticato Himawari, Kiyoko e tutti i loro compagni, ma ora sentiva di aver vinto la sua battaglia contro il proprio passato, ancora una volta.

Era pronto ad afferrare e vivere il proprio presente ed il suo futuro.

“Himawari.” esclamò, colto da un improvviso pensiero.

“Come?”

“Himawari.” ripeté, osservando divertito la perplessità sul volto della donna. “E' un bel nome, non trova?”

L'ex-Hokage non disse nulla, fissandolo come se fosse diventato pazzo, ma al Jinchuuriki non importava. Era troppo di buon umore per lasciarsi intaccare da quello sguardo.

“Ci si vede, Baa-chan.” si girò, pronto ad andare a lavoro. Lo aspettava una giornata dura, ma il pensiero di Hinata e Boruto lo rendevano impaziente; non vedeva l'ora di riabbracciarli, quando sarebbe tornato finalmente a casa.

Siamo allegri stamattina.”

Ho fatto una bella dormita.” squadrò il Bijuu con un'occhiata divertita. “Ma immagino che la cosa non ti interessi minimamente, giusto?”

A volte non sei scemo come sembri.”

Detto da te è proprio un grande complimento, potrei commuovermi.”

Ho detto a volte.” borbottò Kurama, sbadigliando vistosamente, stiracchiandosi le zampe anteriori. “E comunque era ora che la smettessi di frignare la notte! Non ti sopportavo più!”

Immagino.” si avvicinò all'amico, iniziando a grattargli il pelo sotto il mento. “Potrai mai perdonarmi?”

Giuro che se non la smetti ti sbrano seduta stante.” lo shinobi ridacchiò, senza smettere di coccolare il demone: sapeva che se si fosse interrotto, Kurama si sarebbe irritato ancora di più.

Se vuoi dopo facciamo una partita a Morra Cinese.” propose, spostando le dita sotto l'osso della mandibola, sapendo che quel punto era il suo preferito.

D'accordo.” il Kyubi socchiuse gli occhi, godendosi il massaggio dell'amico. “Ma solo perché ultimamente mi sto annoiando, è chiaro?!” ringhiò sottovoce, facendo tremare le ossa del biondo con il rombo della sua voce cavernosa.

Ricevuto!” si era dimenticato di quanto potesse essere bello stuzzicare Kurama, l'ennesima cosa della sua vita che voleva recuperare. “Non lo dirò a nessuno, promesso!”

Prima o poi ti sbranerò, lo giuro.”

Nel frattempo, seduta nella radura innevata, il Quinto Hokage fissava la lapide del suo vecchio compare, gli occhi ambrati illuminati da una luce divertita.

“Chi l'avrebbe mai detto.” mormorò Tsunade, un ghigno sul volto giovanile. “Il tuo pivello è diventato un uomo, Jiraiya.”

Ingollò un nuovo sorso.

Aveva decisamente voglia di una sbronza allegra.

 

 

Con un boato, Tenten entrò come una furia nell'ufficio di Sakura, facendo prendere a quest'ultima una sincope.

“Cosa diavolo...”

“Voglio fare l'inseminazione assistita!” esclamò tutto di un fiato la kunoichi mora. “E prima che me lo ricordi: so benissimo che è rischioso, ma io voglio diventare madre e lo diventerò, punto.” inarcò il sopracciglio sinistro, incrociando le braccia, un'aria di minacciosa sicurezza sul volto. “Ci sono domande?”

Presa in contropiede, l'Haruno non poté far altro che sbattere gli occhi per un paio di secondi, per poi dispiegare le labbra in un sorriso dolce.

“No.” rispose con voce morbida. “Nessuna domanda.”

“Ti prendo subito un appuntamento con il miglior ginecologo dell'ospedale. Presentati qui da noi tra un paio di giorni.” la Sannin fu rapida a riprendere il controllo delle proprie emozioni, scrivendo un rapido fogliettino e dandolo all'amica. “Se sarai fortunata, potresti subire l'intervento già tra qualche settimana.”

“Qualche settimana?” un sorriso illuminò il viso della kunoichi mora. “Ed ora chi lo dice a Lee che bisognerà aspettare così tanto? Non vedeva l'ora di iniziare!”

“Sei... sicura di volerlo fare?” si azzardò a chiedere la rosa. “Dopotutto, qui c'è in gioco la tua vita.”

“Lo so.” il sorriso di Tenten divenne, se possibile, più ampio. “Ma è giusto così. Dopotutto, bisogna sapersi mettere in gioco per le cose veramente importanti, no?”

Sakura non rispose subito, il pensiero che andò a quando decise di rintracciare il proprio uomo ad ogni costo, fermamente convinta che Sasuke avrebbe visto sua figlia al momento della nascita. Era stata una vera e propria follia: mettersi in viaggio, incinta di tre mesi, in una nazione martoriata dalla guerra civile; ma quando c'erano in mezzo cose troppo importanti, ogni sacrificio diventava ragionevole, anche la propria vita.

“Già.” mormorò infine. “Hai perfettamente ragione.”

Tenten fece per andarsene, quando si fermò di colpo, voltandosi e mostrando il pollice all'insù, proprio come faceva sempre Gai-Sensei.

“Ci riuscirò, vedrai!” esclamò. “E comunque in questi mesi esigo di fare da babysitter a Sarada. Ho bisogno di fare esperienza.”

“Accordato!” rispose subito l'Haruno, sollevata nell'aver trovato qualcuno che si occupasse della figlia a costo zero. “Presentati stasera allora, stanotte ho un altro turno, purtroppo.”

“Contaci!” Tenten uscì dall'ufficio dell'amica a passo leggero, come non le capitava da tanto tempo. Una volta in corridoio, vide il volto del compagno fissarla con apprensione.

“Allora?”

“Mi dispiace, Lee.” rispose con voce fintamente dispiaciuta la kunoichi. “Dovremo aspettare qualche settimana per l'intervento.”

“Ma quindi è sicuro che te lo faranno? E come sarà? Sarà Sakura a fartelo? io...” Tenten interruppe quel flusso di domande baciandolo sulle labbra, stringendogli la mano destra.

“Ti racconto per strada, curioso.” mormorò infine. “Dobbiamo andare da Gai-Sensei a chiedergli di fare da padrino, ricordi?”

“Hai perfettamente ragione! Come ho potuto dimenticarmene, Gai-Sensei non me lo perdonerà mai! Ho deciso: una volta da Gai-Sensei farò diecimila piegamenti per penitenza, anzi no ventimila!”

Tenten non replicò all'ennesima strampalata decisione del fidanzato. Era troppo felice per iniziare una discussione che sapeva di perdere in partenza. Si sentiva libera da un peso, quasi camminasse a qualche centimetro da terra. Aveva fatto la sua scelta, e non sarebbe mai più tornata indietro. Lei e Lee avrebbero affrontato quella sfida insieme, come una vera coppia, ed avevano tutte le intenzioni di uscirne vittoriosi.

Forse fu l'euforia del momento, la consapevolezza di stare per costruirsi una vera famiglia dopo tanto tempo, ma la donna si rese improvvisamente conto di una cosa: era la prima volta dopo troppi anni che si sentiva veramente bene, felice, libera da qualsiasi peso o macigno. I demoni della morte di Neji o della sua incapacità di avere bambini sembravano solo un lontano ricordo, un brutto sogno che ormai non poteva più nuocerla in alcun modo.

Ho sconfitto il mio passato.

E fu con quella consapevolezza che Tenten uscì mano nella mano con Rock Lee dall'ospedale, mettendosi per sempre il passato alle spalle, imboccando assieme al compagno un nuovo percorso. Era una strada dura e difficile, lo sapevano entrambi, ma la cosa non li turbava affatto.

Perché loro erano shinobi di Konoha.

E agli shinobi di Konoha le sfide facili non piacevano affatto.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Bene, eccoci arrivati al capitolo numero 20!

Riguardo il capitolo non dirò molto (a parte che Tenten faccio veramente fatica a descriverla, cavolo!), ma ho un piccolo annuncio: stiamo per arrivare alla fine della prima parte di questa raccolta, che dovrebbe essere tra uno al massimo due capitoli. Nella seconda parte i personaggi in gioco saranno molti di più (anche qualcuno che finora è apparso molto poco) e avrà salti temporali più ampi e frequenti. Insomma, sarà una seconda parte più veloce e, spero, anche avvincente. In ogni caso, manca ancora un pochino prima di questo, ma ho preferito avvisare.

Anche questo capitolo è finito. Come sempre ringrazio chiunque legga o segua questa storia e ricordo che qualunque recensione o critica sono ben accette.

Un saluto!

Giambo

  
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