Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    10/04/2017    3 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Gli schizzi di sangue giungevano fino alla parete opposta, imbrattando il muro e la paglia. Emilia, che spiava quella scena da una fessura del muro, si ritrasse inorridita quando uno schizzo arrivò a colpirle un occhio.

-Povero Angelo, povero Angelo! Non è giusto! – mormorava tra sé la ragazzina, con le lacrime agli occhi. Il padre era un vero mostro, pensava, un essere spregevole che lei odiava con tutte le sue forze per quello che stava facendo ad Angelo in quel momento, per gli insulti che rivolgeva sempre alla sua adorata Elisa, per tutte le volte che aveva fatto piangere sua madre. Una bestia, ecco tutto, era una bestia. E lei, a dieci anni soltanto, viveva nel terrore di lui e nella vergogna di esserne la figlia. Si coprì il viso con le mani: non riusciva a sopportare oltre quella scena.

- Emilia! Ma dove diavolo ti sei cacciata? È da tanto che ti sto cercando! –

- Povero Angelo, non se lo merita che gli facciano così male! –  esclamò per tutta risposta alla domanda seccata di Elisa.

- Che cosa stai dicendo? –

- E’ tutta colpa di mio padre. Lo odio. È un mostro! Guarda, guarda anche tu! –

Elisa si avvicinò titubante alla fessura, mentre Emilia si rifugiava tra le braccia di Amelia, che cercava di consolarla – Povera bambina mia, povera bambina mia- ripeteva l’anziana donna, coccolando la bambina in lacrime.

Un rapido sguardo bastò ad Elisa per capire che la situazione stava precipitando. Angelo con la schiena piena di sangue, Alvise che sbraitava infuriato insulti, le guardie che colpivano senza pietà, quasi divertendosi. Doveva portar via Emilia da lì. Doveva escogitare qualcosa per liberare gli ostaggi. Doveva salvare il suo amico Angelo e tutti gli altri.

-Andiamo, Emilia, vieni con me! – esclamò d’un tratto, strappando la bambina dalle braccia di Amelia.

- Ma Elisa, che cosa hai in mente per l’amor del Cielo?! – chiese l’anziana

- Non ti posso spiegare adesso, Amelia. Fidati di me! -  e corse via tenendo Emilia per mano.

 

 

Non gli era mai capitato nella vita di buscarsi tante botte in così poco tempo. Lui, uomo di scienza, pacato, mite, pacifico, sempre lontano dalle risse, incline a mettere pace più che a provocare rabbia, poteva dire di non aver mai ricevuto né dato un pugno in vita sua. Era proprio segno che i tempi stavano cambiando, pensava, mentre si tamponava i nuovi lividi che le legnate delle guardie gli avevano procurato. Stava per succedere qualcosa di grave, di straordinario, seguitava a riflettere, mentre si fasciava una ferita sul braccio sinistro. Ormai non ci si poteva più chiamare fuori. O con i padroni o con il popolo. Non c’era altra scelta, non si poteva nicchiare. E lui da che parte sarebbe stato? Non c’era nemmeno da chiederlo. Aveva sempre scelto di schierarsi contro quello che la sua classe, la sua famiglia, il suo sangue rappresentavano. L’aveva deciso anni prima, sull’altare, rinunciando ai suoi privilegi di nascita e alle sue terre per sposare quella giovane serva. D’un tratto gli si affacciò alla mente il ricordo di quegli intensi attimi vissuti poche ore prima, i baci di Anna, il suo sguardo, le sue mani. Avvertì la sua mancanza come un dolore fisico, diverso da quello che i colpi delle guardie gli avevano procurato, più intenso, più viscerale, inguaribile. Non avrebbe mai pensato di poterla avere ancora tra le sue braccia, di accarezzarla, di baciarla, di fare l’amore con lei e quell’impossibilità l’aveva tenuto al riparo dai suoi fantasmi. Ma l’Anna di quella notte non era un sogno evanescente, era vera, viva e lui l’aveva baciata più e più volte. Il ricordo dei baci di Anna sulle sue labbra, delle sue dita fra i suoi capelli, delle sue braccia intorno al suo collo lo costringeva a fare i conti con il suo passato, con i suoi errori.

-Avevi ragione tu, Lucia. Hai sempre saputo tutto, mi conoscevi meglio di quanto non mi conoscessi io stesso. Ma ti giuro che mai, mai una volta ti ho mentito. Ero sincero quando dicevo di amare te, non ho mai pensato di abbandonarti, nemmeno per un istante. Ma tu lo sapevi, l’avevi capito. E mi hai voluto punire, punire per un pensiero che nemmeno si era affacciato alla mia mente, ma che tu sapevi essere nascosto tra le pieghe del mio inconscio, nel profondo dei miei occhi. Un pensiero che io negavo a me stesso, che mai mi sarei permesso di formulare. Sono stato un ingenuo. E tu me l’hai fatto capire nel modo più crudele, affogando questa inammissibile verità insieme a te in quel lago. Perdonami, se avessi avuto più carattere, se non avessi avuto questa paura di leggermi dentro, tutto questo non sarebbe successo. Ma era troppo bello cullarsi nell’idea di lottare io e te contro tutto e tutti, contro quel mondo corrotto e fatuo a cui mi era toccato in sorte di appartenere e da cui tu mi avevi liberato. Io non ho cambiato idea, lotto ancora, senza di te, per te e per tutti quelli come te. Ma tu, ora, per favore, lasciami andare. Smettila di tormentarmi, di torturami. Lasciami andare, ti prego, lasciami libero di vivere. Ho sacrificato tutto per te, per noi, per i miei ideali. E questo non è bastato. Ho sacrificato anche la cosa più preziosa che avevo, e no, non parlo di ricchezze, di terre, di titoli... Ora, ti prego, lasciami in pace, tu hai fatto la tua scelta distruggendo non solo la tua, ma anche la mia vita, trascinandomi con te nell’abisso di quel lago. Adesso lascia che provi a rimediare a tutti gli errori che ho fatto, ti prego, Lucia! –

 Le lacrime gli rigavano le guance, colando giù mescolate al sangue delle ferite, mentre nascondeva il volto tra le mani.

 

 

-Antonio! – chiamò Elisa preoccupata – Antonio, sei in casa? Sei qui? –

La porta era sfondata, nella casa silenzio, come se fosse vuota. La giovane avanzò cauta tenendo Emilia per mano. Non osava addentrarsi nelle stanze, si fermò nell’ingresso e seguitò a chiamarlo.

-Che succede, Elisa? Il dottor Ceppi non è in casa? Dove andremo? Non ci voglio tornare da mio padre! –

- Elisa, Emilia! Non mi aspettavo di vedervi qui. È successo qualcosa? – le salutò sorpreso Antonio sopraggiungendo dopo qualche minuto nell’ingresso e dando una carezza ad Emilia.

Aveva il viso stravolto, i segni delle percosse ben visibili, i capelli scomposti e gli occhi lucidi. Irriconoscibile. Ma, nonostante tutto, si mostrava preoccupato per loro, non per sé. Elisa però non poté non constatare che gli fosse successo qualcosa.

-Antonio, stai bene? – chiese allarmata, scorgendo i segni dei colpi.

- Sto bene, Elisa. Ma dimmi di voi. Perché siete venute qui? Che sta succedendo? -

- Non mi sembra affatto che tu stia bene. Che cosa ti hanno fatto? Ti hanno picchiato di nuovo? – chiese, o meglio constatò, indicando una ferita sul labbro che prima non aveva.

-Ah, che vuoi che sia. Nulla di grave. Ricordati che sono medico, sono in grado di curarmi - evitò di rispondere, poi proseguì: - Ma, per favore, dimmi che sta succedendo a Rivombrosa! - disse questo con uno sguardo trepido che non riusciva a nascondere.

Elisa continuò a studiarne il volto di sottecchi. Non era affatto vero che stesse bene: aveva notato qualcosa di strano in lui, al di là del dolore per i colpi ricevuti. Aveva notato una strana angoscia, un’inquietudine che non gli aveva mai visto. Aveva forse perso la sua pacatezza in mezzo agli avvenimenti caotici degli ultimi giorni? Aveva smarrito quel suo sguardo bonario e sereno? Che cosa mai gli era successo di così terribile da fargli perdere la pace e da renderlo così inquieto?

Non riusciva a darsi una risposta e non ardiva di chiederne all’amico, che conosceva come tipo piuttosto riservato. Avrebbe dovuto provare un’altra strategia per indagare le cause di quel cambiamento. Rispose, invece, e con dovizia di particolari, a quel che lui le aveva chiesto: riferì di come Alvise stesse mettendo sottosopra Rivombrosa in cerca di Emilia, delle sue continue ribalderie, delle torture riservate ai fuggiaschi catturati, della severa punizione che aveva riservato alla moglie. Concluse il resoconto supplicando Antonio di dar loro un appoggio, di nasconderle in casa sua, finché la situazione non si fosse placata. Sapeva bene che potevano volerci settimane e lo sapeva anche Antonio, che però non poté non accontentarle. Anzi, sembrò quasi sollevato. Per il fatto di poterle avere sotto la sua protezione o, forse, per il fatto di non restare da solo, quella sera, con i suoi tormentosi pensieri.

 

 

-L’ho cercata dappertutto. Niente. Non si trova. Quei maledetti non parlano. Tu ne sai qualcosa, vero, Anna? - 

Dopo aver girato rabbiosamente la chiave ed aver spalancato con altrettanto furore la porta, il marchese Alvise fece una maldestra irruzione nella stanza della moglie, sbraitando invettive contro la servitù e la propria figlia.

Anna stava leggendo allo scrittoio alla luce di una candela e sobbalzò sulla sedia al fragoroso ingresso del marito. Si voltò di malavoglia verso di lui e, senza degnarsi di guardarlo in faccia, rispose sprezzante:

-Sembra che vi interessi di più la disobbedienza dei servi che la salute di vostra figlia. In tutto il giorno non vi ho sentito pronunciare una sola parola di preoccupazione per Emilia. –

-Ah e così mi accusi di non avere a cuore mia figlia?!- ribatté stizzito, barcollando verso la sedia dove Anna era seduta. Visibilmente ubriaco anche quella sera, dovette agguantare lo schienale per non cadere. Anna a quel punto si alzò in piedi, per non essere nemmeno sfiorata dalle sue mani.

- Non è così? Quando mai ve n’è importato di lei le volte in cui stava male? -

- Ah bè, per quello c’è sempre il dottorino pronto ad accorrere…- ghignò grottesco sopraggiungendole alle spalle. Riprese soffiandole sul collo – Volevi farmi credere che eri finita a casa sua per caso? Io sono convinto di no. E sono convinto che Emilia sia ancora lì. Dirò ai miei uomini di ritornare a controllare meglio…- E rise di nuovo passandole l’indice grassoccio sul collo. Anna rabbrividì dal ribrezzo e si scostò bruscamente.

- Che cosa c’è? Ti fa così schifo tuo marito? – sibilò cercando di afferrarla per i fianchi per farla voltare.

-Lasciatemi, Alvise. Ne ho abbastanza di queste insinuazioni. E ora, se non vi dispiace, ho da fare. – disse indicando la porta.

- Col dottorino scommetto che non fai così…- ribatté afferrandola da dietro per le braccia e immobilizzandola con la sua mole. Prese a sbavarle sul collo, sulle spalle. Anna si divincolava disgustata. – Lasciatemi stare, Alvise. Non avete i vostri ospiti da accogliere questa sera? -  chiese sarcastica. Ormai si trovava in balìa del marito e poteva ben poco contro la sua enorme stazza. L’unica sua arma di difesa era il sarcasmo, ma forse era troppo fiduciosa nella scarsa arguzia di Alvise.

- Preferisco la compagnia della mia sposa – rispose infilandole una manaccia nel corpetto

- Alvise, smettetela immediatamente e uscite da questa stanza! – gridò Anna liberandosi da lui.  Lo guardava negli occhi con sommo disprezzo, non scevro di una vena di ripugnanza per un essere tanto abietto oltre che spregevole alla vista.

- Sgualdrina che non sei altro, te la faccio passare io la voglia di spassartela con quel pezzente del Ceppi! Se osa anche solo avvicinarsi a questa casa, se solo quei vigliacchi dei nostri servi si azzardano a chiamarlo…gli faccio rimpiangere di essere nato! Capopopolo dei miei stivali, infame! Lo ammazzerò, giuro! –

A queste parole Anna non seppe trattenersi e gli sferrò un manrovescio in pieno volto. Alvise barcollò tenendosi la guancia su cui era rimasto impresso il segno delle dita, si fermò per un attimo e poi si scagliò come un cinghiale maldestro e inferocito contro Anna scaraventandola con forza sul letto. Colta alla sprovvista, schiacciata dal notevole peso del marito, in quell’occasione non riuscì in alcun modo a liberarsi e dovette assoggettarsi riluttante alle turpi voglie di Alvise, le cui manacce luride esploravano avidamente ogni centimetro della sua pelle.

 

 

-Elisa, c’è qualcosa che non va? Emilia non sta bene? – chiese Antonio voltandosi di soprassalto al sopraggiungere di Elisa nel salotto. Alla luce di un paio di candele, nella semioscurità, si era attardato a contemplare dalla finestra l’avanzare della notte. Non riusciva a darsi pace, ma non sapeva nemmeno definire con esattezza il suo tormento. E no, non si trattava dei dolori lancinanti che i colpi delle guardie gli procuravano.

- Emilia sta benissimo, è molto più serena qui. Ormai a Rivombrosa la tensione è insopportabile. Il marchese ha perso ogni senso del limite. Dopo la notte scorsa è fuori di sé, accecato dalla rabbia, dalla voglia di vendetta. Temevamo una punizione esemplare anche per Emilia, eravamo tutti in ansia. Dopo quello che sta facendo passare alla marchesa…-

- Perché? Che le ha fatto? Che cosa sta succedendo? – la incalzò con fervore

- L’ha rinchiusa di nuovo nella sua stanza, ma questa volta controlla sul serio. Sono riuscita a comunicarle che portavamo via Emilia per puro caso. Ma non è questo il peggio…-

- E qual è il peggio? Che cosa le sta facendo? Che cosa diavolo sta succedendo?! – alzò la voce.

- Antonio, sei troppo sconvolto, calmati. Per ora non è accaduto nulla di troppo grave. Angelo e gli altri sono prigionieri, sì, ma non credo si spingerà fino ad ucciderli. Lo minaccia, questo è vero, ma non può giustiziarli senza il consenso del re. –

Antonio guardava pensieroso dietro le spalle di Elisa, muoveva nervosamente la testa cercando di non incontrarne lo sguardo. La ragazza se ne accorse. Doveva cogliere l’occasione per fargli quella richiesta. O allora o mai più, si era detta.

-Antonio, ma mi stai ascoltando? Devo parlarti di una cosa delicata…-

-Eh? Sì, ti ascolto, Elisa. Solo, sono un po’ stanco. È tardi, non possiamo parlarne domattina? –

- Meglio non rimandare. Si tratta degli ostaggi. Non possiamo permettere che il marchese li torturi a quel modo. Dobbiamo liberarli. –

- Che stai dicendo? Liberarli? E come? –

- Nell’unico modo possibile, Antonio. Con un’azione di forza. Non vedo spirargli di dialogo con un uomo ottuso e prepotente come il marchese Radicati. Fiato sprecato. Bisogna agire con la forza, è l’unica legge che quell’individuo riconosce. E lo faremo, stavolta, non ci limiteremo a qualche tendaggio bruciacchiato o a qualche lampadario rotto. Frusta, tortura, maltratta i nostri compagni, i nostri amici? Ebbene risponderemo a violenza con violenza. Nulla gli sarà risparmiato –

- Non parlare così, non è questa la soluzione. La violenza genera solo altra violenza, altro odio, altra rabbia. E ne vanno di mezzo le persone innocenti. Mi spaventi con questi discorsi. Spero siano solo dettati dalla rabbia del momento, potrei capire…-

- No, non hai capito. Questi discorsi non li faccio soltanto io. Anzi. Questi discorsi stanno per diventare fatti. La corda è stata tirata già fin troppo. E si è spezzata. Da un pezzo. Non staremo lì a guardare mentre torturano o peggio impiccano i nostri compagni. No, non possiamo ammettere una cosa simile. È venuta l’ora di agire. E in fretta. –

- Che vuoi dire, Elisa? Che cosa sai? –

- Per questo ho pensato che fosse la cosa migliore portar via Emilia. Ci stiamo preparando alla rivolta, una vera rivolta, non come l’altra notte. Certe angherie non saranno più tollerate, è da un po’ che lo pensiamo. Qualche settimana, Antonio, forse meno. È già tutto pronto. La miccia sta per essere accesa, serve solo il pretesto…che sarà fornito a breve. Ma ora basta, voglio sapere solo una cosa: sarai con noi? –

- Tu mi stai chiedendo…Elisa, ma che state facendo? Vi rendete conto del rischio che correrete? Prudenza, Elisa, prudenza! Non credo sia…-

- Ci rendiamo conto di tutto. Solo una risposta, Antonio: sarai con noi o no? -

- Ma che vuol dire stare con voi? Fomentare questa sommossa? Appoggiare i vostri propositi violenti? Contribuire, Dio sa come, a mettere a ferro e fuoco Rivombrosa? A incendiare, devastare, distruggere ogni cosa? Ma ti rendi conto che quella è la dimora di Fabrizio? Come puoi pensare di approvare una cosa simile, proprio tu?-

- Qui non si tratta di Fabrizio, se solo lui ci fosse…Ma di quel depravato, dispotico, arrogante individuo del marchese Alvise Radicati. Deve pagare per quello che sta facendo, e quando Fabrizio tornerà, son certa che sarà d’accordo con noi. Nulla di quello che può essere salvato verrà toccato. Te l’assicuro. -

- Ma io come faccio ad acconsentire a una cosa simile? È follia! Non puoi chiedermelo…-

- Così tu saresti dalla parte dei padroni? Ci lasceresti in mezzo alla strada? –

- No, ma che stai dicendo?! No, per l’amor del Cielo. Non sono mai stato dalla parte dei padroni e non ho mai lasciato nessuno in mezzo a una strada quando aveva bisogno delle mie cure, lo sai bene.  Ma qui si tratta di Rivombrosa, è un rischio. Quando si innescano certi meccanismi poi è difficile riprendere il controllo. La situazione potrebbe sfuggirvi di mano, persone innocenti sarebbero in pericolo, così solo per il furore di un momento, senza distinguere, senza pensare che…-

- La ami. Non è così? –

- Di chi stai parlando? –

-  Della marchesa, di Anna. È lei che ti frena, è per lei che hai paura –

Al solo sentir pronunciare quel nome, Antonio ebbe un sussulto: - Ma come…-

-Antonio, ho capito tutto. Il tuo comportamento strano, le tue riserve. Se non fosse per lei, saresti già dalla nostra parte, con una torcia in mano e nell’altra un fucile…-

- Che cosa stai dicendo? Sai benissimo che non è così, non ho mai sostenuto la violenza -

- Oh sì, questo è vero, ma il motivo dei tuoi tentennamenti è un altro. Ammettilo –

- Non c’è nulla da ammettere –

- Sbagli. E dovresti ammetterlo prima di tutto a te stesso –

- Sì, ammetto che temo per la sorte di Anna in mezzo a tutta questa bufera che potrebbe scatenarsi. Lo ammetto, ma ciò non significa che…Io ho solo paura che possa succedere qualcosa di brutto a lei, a Emilia…-

- Dottor Ceppi, non vi preoccupate per me. Io voglio che voi appoggiate Elisa. Io sto con lei, con Amelia, Angelo, con tutti loro. Mio padre deve pagare per quello che sta facendo. Anche per come tratta la mamma, per tutte le brutte cose che le dice e il male che le fa. E anche a me, anche quando non faccio nulla di male. Vi prego, dottore, aiutate Elisa. Vi prego, anche per me, per mia madre! –

La voce di Emilia era giunta dall’oscurità della stanza; ed ecco che la ragazzina avanzava decisa, a piedi nudi e in veste da notte, e appoggiava il capo in grembo a Elisa, subito pronta ad accarezzarle i capelli.

-Me lo promettete, dottore? Me lo promettete che li aiuterete? – lo supplicò di nuovo con la sua vocetta squillante, guardandolo da sotto in su.

Antonio, sorridendo intenerito della richiesta accorata della bambina, rispose:

- Emilia, non so se posso promettertelo. Ma ti assicuro che farò in modo che non succeda nulla di male a te, a Elisa, ad Amelia, Angelo e tutti quanti. E nemmeno a tua madre…-

   
 
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