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Autore: Jo_The Ripper    12/04/2017    2 recensioni
«E sai perché morirai? Perché mi devi una morte, Molly Hooper. Mi devi la morte di Sherlock Holmes.»
La caratteristica più profonda e universale di tutti gli psicopatici è l’assenza di rimorsi. Non hanno il concetto di colpa. Non hanno coscienza morale. Uno psicopatico intenzionato a uccidere si serve di qualsiasi mezzo per ingannare la vittima al fine di toglierle la vita.
E quando arrivi al livello finale del Grande Gioco non puoi tirarti indietro. Tutto quello che puoi fare è continuare la partita, ponendo sul piatto della bilancia sentimenti nascosti nell’angolo più buio di un Palazzo Mentale, un fantasma riemerso dalle profondità di un passato perduto nel tempo e l’ombra di una nemesi a lungo creduta sconfitta.
«Il grande Sherlock Holmes, che ha la capacità di esaminare il mondo sotto la potente lente del suo microscopio cerebrale, che individua schemi e tracce laddove gli altri vedono solo trame abbozzate, ora sta facendo i conti con gli effetti dell’essere umano.»
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eurus Holmes, Jim Moriarty, John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Capitolo 2

Quando il taxi accostò, John riconobbe la casa un po’ cadente lungo il viale alberato.
«Non pensavo ci servisse di nuovo il cane.»
«Infatti non siamo qui per lui.» Dichiarò Sherlock, bussando alla porta.
Il viso di Craig apparve sulla soglia, ancora intontito dal sonno. Il chiarore dei riverberi dei lampioni in strada era l’unica luce che filtrava nell’ingresso.
«Sherlock, John! È un piacere rivedervi, ma cosa ci fate qui a quest’ora della notte?» Chiese e soffocò uno sbadiglio con il dorso della mano. Si spostò poi dall’uscio permettendo ai due inaspettati ospiti di entrare all’interno di quell’appartamento dal disordine imperante. Sherlock annusò l’aria che sapeva di chiuso, muffa e cibo da asporto. Il cane, Toby, dormiva raggomitolato su un tappeto.
«Si tratta di un’emergenza.»
«Certo, cosa ti serve?» Domandò il ragazzo indirizzandogli un sorriso pallido. Senza accendere alcuna luce prese posto davanti alle numerose consolle e fece scrocchiare le dita.
«Voglio le registrazioni di tutte le telecamere stradali in un raggio di tre isolati tra la Smithfield, Little Britain e Giltpur street delle ultime ventiquattr’ore.»
«La stradale tiene in buffer solo i video delle ultime ore, posso provare a tornare indietro fino a…» Craig occhieggiò l’orologio analogico da tavolo. «… circa quattro ore fa.»
«È sufficiente.»
Sullo schermo dell’hacker comparvero varie finestre con video di sorveglianza. Auto che si inoltravano nel traffico attorno all’ospedale, taxi, furgoni, motociclette e scooter. Sherlock scandagliava attentamente ogni fotogramma.
«Credo ti convenga mandare avanti, stiamo cercando un grosso furgone.» Aggiunse John, poggiando entrambe le mani dietro la spalliera dove sedeva Craig, che digitò in fretta altri comandi.
«Che ne dici di quello?» Il medico puntò il dito su un grosso SUV. «È un suburban, come avevi detto tu. E si muove anche parecchio.»
Sherlock soppesò l’ipotesi ma il suo intuito gli diceva che non era quella la strada giusta. Poi osservò un altro veicolo e avvertì il trillo dell’istinto come una vibrazione al centro dello stomaco.
«Quel Ford, seguilo.»
Craig spinse con l’indice gli occhiali che gli erano scivolati lungo il naso e continuò a digitare. L’auto percorse veloce le strade fino all’imbocco dell’autostrada e lì i video si interruppero.
«Maledizione, a quest’ora Molly potrebbe essere ovunque, da Liverpool a Glasgow! Sempre che fosse su quel dannato furgone!» Inveì John, frustrato.
«Calmati John, abbiamo pur sempre una direzione. Questo basta ad una persona intelligente.»
Il commento dal tono distaccato e l’insulto gratuito volto a sminuire la sua intelligenza, gli fecero venire voglia di tirare un pugno ben assestato sulla faccia del consulente. Cercò di moderarsi e mise in pratica, con uno sforzo notevole, gli esercizi di respirazione appresi durante la terapia per evitare il ricorso alla violenza.
«È possibile rintracciare il segnale GPS dell’auto o attivarlo da remoto?»
L’hacker scosse la testa in diniego.
«Dalle immagini non è possibile risalire ad una targa e non possediamo un identificativo. Questo equivarrebbe a cercare un ago in un pagliaio, Sherlock. Quanto all’attivazione da remoto, il segnale andrebbe a sovrapporsi a quello di tutti gli altri veicoli. Potrei tentare una ricerca ma sarebbe lunga e, quasi sicuramente, infruttuosa.»
Il consulente strinse le labbra, e scambiò un’occhiata preoccupata con il medico.
«Oh, questo però è strano.» Proseguì Craig.
«Cosa?» Domandarono gli altri due all’unisono.
«Sto ricevendo un file in download.»
Craig aprì una finestra e repentino copiò l’indirizzo IP del mittente nel suo motore di ricerca per identificarne la provenienza. Borbottò un improperio quando vide che il segnale rimbalzava in ogni parte del globo. Contro chiunque si fosse messo il detective, sapeva il fatto suo.
Il file scaricato conteneva una traccia video.
Sollevò lo sguardo verso Sherlock, che diede il suo assenso.
Con il fiato sospeso cliccò.

***

Molly si agitò nel sonno, emettendo mugolii di protesta e fastidio. Quando aprì gli occhi, attorno a lei c’era solo il buio. Sollevò la testa per rimettersi in piedi, ma cozzò con violenza contro una superficie liscia. L’ondata di dolore la costrinse a sdraiarsi di nuovo; si portò la mano alla fronte per valutare il danno e massaggiare l’area lesa. Quando l’indolenzimento scemò, piegò i gomiti sopra la testa e provò di nuovo a sollevarsi. Qualcosa, sopra di lei, continuava a impedirglielo. Allungò la mano ad afferrare l’oggetto che sentiva premerle sotto al braccio e constatò, rigirandoselo tra le dita, che era una torcia. La accese, ma questa emise una luce troppo fievole per contribuire a farle capire in che razza di luogo si trovasse, anche se le parve di essere circondata da terra. Riuscì ad illuminare il resto del suo corpo ed emise un sospiro di pura gioia alla vista del telefono. Si mise la torcia tra i denti e armeggiò con l’apparecchio per trovare il tasto di accensione. Quando lo schermo si illuminò, le sue rinnovate speranze furono inghiottite da un lugubre sconforto: per effettuare delle chiamate era necessario un codice di sicurezza.
Molly cominciò ad ansimare più forte, la paura ormai si era impadronita della sua mente. L’altra mano trovò ancora un altro oggetto e, tenendo la pila ferma tra mento e collo, se lo avvicinò agli occhi: era un vecchio registratore, che conteneva una cassetta all’interno. Schiacciò il tasto play e attese.

All’inizio ci fu solo un fruscio, tanto che pensò si trattasse di un nastro rotto e inutilizzabile. Poi arrivò il suono, un timbro che avrebbe riconosciuto tra milioni di persone. Il suo corpo venne scosso da brividi di freddo, il cuore le saltò nel petto, la nausea le attanagliò lo stomaco. La sua mente si fece beffe di lei, riportando alla luce il suo fantasma: gli occhi di opale scura, sadici e crudeli, la bocca piegata in un ghigno perfido, l’espressione malevola e quei modi affettati di subdola eleganza, la voce che trasudava cordiale spietatezza.
«Ciao, Molly Hooper.»
Jim Moriarty.
Il respiro di Molly si risucchiò nella gola.
«Ti stai chiedendo perché sei qui, vero? Sei qui per il problema finale, mia cara.»
Molly non capiva. Lei sapeva, aveva visto con i propri occhi quel cadavere. Come poteva essere tornato a tormentare tutti loro dall’aldilà? La sua rete era stata distrutta, non era forse così? Non era per questo che Sherlock se ne era andato per due lunghissimi anni?
«Agitati, trattieni il fiato, cosa vuoi che me ne importi... Tanto morirai qui.» Le lacrime le salirono agli occhi in un singulto di sgomento.  
L’attacco di panico stava raggiungendo rapidamente l’apice della crisi.
«E sai perché morirai? Perché mi devi una morte, Molly Hooper. Mi devi la morte di Sherlock Holmes.» Due stille calde le rotolarono sulle guance. Le parole di Moriarty erano un infuriato sussurro velenoso che le risuonava nelle orecchie.
«Visto che sono immensamente generoso, ti ho lasciato un piccolo regalo, in ricordo dei bei momenti che abbiamo trascorso insieme. Perché sai, il diavolo è e sarà sempre un gentiluomo: le cento canzoni d’amore più belle di tutti i tempi. Ironico, non trovi? Uccidere una persona non è il peggio che le si possa fare, almeno non nel mio caso.» Rise di scherno. «Goditi il soggiorno, una abituata ai morti come te dovrebbe essere ben felice di sapere cosa si prova a starsene belli comodi in una deliziosa bara fatta su misura. Addio, dottoressa Hooper.» La comunicazione si interruppe, sostituita dalle note della prima canzone.
«Shot through the heart, and you’re to blame, darlin’ you give love a bad name!»
La sensazione di soffocamento si fece più acuta e Molly iniziò ad annaspare, a picchiare i pugni contro il coperchio, prostrata da tanta brutalità, dall’inarrestabile efferatezza di ciò che stava subendo.
Lei, che non aveva mai fatto del male a nessuno. Cercava sempre il lato positivo e non si lasciava scoraggiare dalle giornate cupe, armata sempre una parola di conforto, un sorriso bonario ed un tocco gentile. E ora doveva pagare per aver firmato il decesso fittizio di Sherlock Holmes, per aver preso parte al grande gioco.
Quella era stata la sua condanna.
«Oh, you’re a loaded gun. Oh, there’s nowhere to run, no one can save me, the damage is done!»
Continuò a picchiare, a spingere con le braccia per liberarsi ma i suoi sforzi rimasero impagati.
Un solo grido lacerante le fuoriuscì dalla gola, in tutta la sua straziante intensità e non fu più capace di fermarsi. Le urla miste al pianto si susseguirono in singhiozzi che le squassavano il petto, sempre più forti, carichi di quel feroce tormento in cui riversava le sue speranze ormai spezzate.
La prospettiva della morte incombeva su di lei, schiacciandole il cuore, sfibrandola nel profondo.
La canzone andava avanti, mischiandosi ai suoi rantoli. Una sconfitta.
«I play my part and you play your game, you give love a bad name.»1

***

«Ciao Sherlock, ci rivediamo!» Il sorriso di Moriarty era aperto e gioviale, quel tipo di sorriso riservato ad un amico affezionato, perso e poi ritrovato dopo molto tempo. «Non pensavate che potessi sparire così, vero?»
John spostò lo sguardo su Sherlock i cui lineamenti apparivano tirati in una smorfia di puro disprezzo.
«A volte mi chiedo quando smetterò di prendermi gioco di te, sono proprio un impetuoso burlone… ma torniamo a noi, al succo della questione.» Gli occhi di Moriarty brillarono di gioia sinistra. I tre lo videro inclinare leggermente la testa ed inforcare un paio di occhiali dalla montatura di corno che sistemò sulla punta del naso. Sollevò un libro, mostrandolo alla telecamera: Biancaneve e i sette nani, dei fratelli Grimm.
«Confido che tu conosca già la storia della matrigna che diventa gelosa della bella Biancaneve e bla bla vuole farla ammazzare dal cacciatore, farsi portare il suo cuore, poi spuntano dei nani, un principe e ancora bla bla bla. Peccato abbiano edulcorato tutta la favola dai dettagli più divertenti quali gli istinti cannibali della matrigna… Ho conosciuto un cannibale una volta, nel Maryland, una persona davvero elegante, sorprendentemente intelligente e raffinata. Dal nome un po’ pretenzioso, se mi permetti. Ma sto continuando a divagare.» Gettò il libro dietro di sé e disegnò uno sbuffo nell’aria con le dita. «Ormai sei un veterano del mio pensiero e sai bene che, come sempre, in ogni buona storia che si rispetti c’è bisogno un bell’antagonista vecchio stile. E stavolta ci puoi giurare che sono la strega cattiva in persona. Perché, caro, carissimo Sherlock, lei me ne doveva una.» Tirò gli angoli della bocca in uno storto ghigno perverso. «Ti ricordi cosa ne fanno i nani di Biancaneve morta?»

Sherlock non si era mai soffermato sul concetto di tempo: ciclico, lineare, spirale, assoluto, soggettivo, illusorio. Un concetto relativo, creato dall’uomo. Eppure, in quel momento, in quel piccolo istante in cui la conduzione elettrica di impulsi nervosi di milioni di neuroni in moto viaggiava a grande velocità, deducendo la risposta, approntando quello che sarebbe stato il nuovo livello del gioco, tutti i suoi sistemi di riferimento crollarono e il tempo perse ogni sua conformazione.
La domanda rimase sospesa nell’aria della stanza e nessuno osò pronunciare la risposta.
«La chiudono in una bara di cristallo.» L’espressione vittoriosa e canzonatoria di Moriarty era un diretto nello stomaco. «E ora, per la gioia dei vostri occhi… potete solo guardare!»
Lo schermo sfarfallò un attimo per poi diventare rosso, al centro un unico, tondeggiante smile giallo.
Sherlock strappò il mouse dalle dita di Craig, ancora boccheggiante per ciò a cui aveva assistito.
Il viso stravolto di Molly riempì il campo visivo. Teneva le mani sugli occhi per proteggersi dalle luci che si erano accese di colpo ai lati di quella che era una bara di plexiglas.
«Mio Dio…» Esalò John. «Sherlock…» Lo richiamò ma il detective non sentiva nulla. Teneva la mandibola contratta, lo sguardo immobile e glaciale, le nocche strette in un pugno ormai bianco per il sangue defluito che gli si era gelato nelle vene. Nel suo palazzo mentale ricollegò i pezzi, maledicendosi per non aver saputo trovare con prontezza un senso al topolino bianco nella sua prigione trasparente. Deglutì e la bocca si seccò come se non vedesse una goccia d’acqua da secoli. Non emise un respiro dalle narici.
Craig nel frattempo si era allontanato, le mani nei capelli, lo sgomento sul volto.
Molly continuava a spingere il coperchio chiuso sopra di lei, il viso rosso dallo sforzo e i denti serrati. Cominciò a battere i pugni, sempre più forte, graffiando il plexiglas con le unghie. Il corpo scosso da tremiti violenti, le labbra aperte in grida agonizzanti e dense di paura, che loro non potevano udire.
John guardava il video pietrificato, Sherlock nemmeno accennava a muoversi, inchiodato a quella visione.
La sofferenza di Molly, lo stremo delle sue forze, erano insostenibili a vedersi.

Gli tornarono in mente le letture sul Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali: in psichiatria, la psicopatia è considerata un disturbo comportamentale antisociale che colpisce più i maschi che le femmine e che statisticamente è cinque volte più frequente nei figli maschi di un padre affetto dallo stesso disturbo. I sintomi della psicopatia, comprendono il furto, la menzogna, la manipolazione, la mancanza di empatia, l’abuso di stupefacenti, l’irresponsabilità finanziaria, l’incapacità di sopportare la noia, la crudeltà, la fuga da casa, la promiscuità, la litigiosità. Altri effetti descrivono la tendenza alla loquacità, all’egocentrismo e soprattutto un freddo contegno. Spesso e volentieri riescono ad ottenere ciò che vogliono e lo fanno con tale maestria che gli investigatori, anche quelli con una notevole esperienza alle spalle, a volte sono ingannati. Tale talento si trova in coloro che non tradiscono segni di ansia, esitazione o vergogna, anche quando sono di fronte a prove incontrovertibili o domande scomode, in modo tale da sconcertare frequentemente i propri ascoltatori distraendoli dalle incongruenze nelle loro parole: credono che lo psicopatico sia onesto, perché è difficile per loro immaginare che un bugiardo possa essere così audace e imperturbabile.
Ogni psicopatico è diverso dall’altro, come ogni essere umano è diverso dagli altri. Le combinazioni dei comportamenti antisociali sono infinite, ma la caratteristica più profonda e universale di tutti gli psicopatici è l’assenza di rimorsi. Non hanno il concetto di colpa. Non hanno coscienza morale.
Uno psicopatico intenzionato a uccidere si serve di qualsiasi mezzo per ingannare la vittima al fine di toglierle la vita.
E stavolta Eurus e Moriarty avevano raggiunto l’apice della perfezione distorta con la scelta di un contesto emotivo distruttivo.
La connessione si interruppe e il detective la fece ripartire.
Molly affannava, atterrita e sfiancata.
«Credo non sappia che possiamo vederla.» Esordì Craig, tornando dalla cucina dove si era brevemente rifugiato e tenendo tra le mani una fiaschetta dalla quale attinse un sorso profondo.
«Chi ci dice che è in diretta?» Commentò invece John, la voce pregna di odio e rabbia.
«Lo è.» Rispose Sherlock asciutto prima di tirare fuori il cellulare e iniziare a digitare. «Lo spazio nella cassa è 162 centimetri per 60 per 60, conterrebbe approssimativamente 575 litri d’aria. Considerate circa mezzo litro a respiro e tenete presente che una respirazione normale è di circa 12 atti al minuto, quella in preda al panico almeno il doppio. Se i calcoli sono corretti, le restano più o meno due ore e mezza di aria in quella cassa.»
«Santo Dio.» John dovette sedersi, appoggiò i gomiti sul tavolo e mise la testa tra le mani. Sherlock si avvicinò allo schermo.
«Le hanno dato un telefono satellitare che non può utilizzare, almeno non fino a quando Eurus deciderà che è arrivato il momento.»
«Quindi cosa facciamo?»
Quando Sherlock staccò lo sguardo dal computer, esitò un attimo prima di rispondere.
«Mi serve una mappa.»
«Una mappa?» John lo guardò con aria interrogativa.
«Molly ha una macchia scura dalla consistenza oleosa nella piega del colletto del camice, sicuramente trasferita dal nostro uomo.» Fece una pausa. «Consideriamo la scelta dell’etere e ci rimane un unico posto in cui cercare, ossia una fabbrica che si trova in un’area industriale lungo il tragitto dell’autostrada.»
Il dottore balzò in piedi mentre Craig riprendeva il suo posto inserendo i comandi.
«Trovata! Una fabbrica di motori diesel che è stata chiusa di recente, appena fuori Slough!»
«Sherlock, come ci arriviamo? Non abbiamo molto tempo.»
«Non ci sono treni da Paddington Station a quest’ora e quello sarebbe il percorso che impiegherebbe meno tempo. In auto ci vogliono circa 43 minuti viaggiando alla velocità media consentita. Ma è notte e abbiamo fretta, dunque ci rimane una sola opzione.»
«L’auto della signora Hudson.»
«Esatto.» Confermò il detective. Si rivolse poi all’hacker. «Inoltra questo video al numero all’ispettore Lestrade. Voglio che sia costantemente monitorata e avvisami se dovesse esserci il minimo cambiamento.» Concluse perentorio, fissandolo dritto negli occhi.
«Subito, sarà fatto.»
I due lasciarono l’abitazione e Craig tornò a sedersi davanti al computer, pronto alla veglia. Toby uggiolò e gli posò il muso sulla gamba. Lui gli fece una carezza distratta tra le orecchie e fece ripartire il video.

***

La signora Hudson era una donna forte e volitiva, che in vita sua ne aveva affrontate tante e sempre a testa alta. Il colpo delle spiegazioni dei suoi ragazzi venne assorbito in maniera stoica, senza perdere l’autocontrollo, ostentando una calma glaciale. Consegnò le chiavi della macchina stringendo forte la mano di Sherlock. Lo guardò negli occhi con il desiderio di dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma le parole non varcarono la soglia delle sue labbra.
La signora Hudson era da sempre una persona ottimista che credeva nelle porte aperte e nelle tante occasioni della vita. Eppure, quando Sherlock Holmes e John Watson lasciarono il 221B di Baker Street con il rombo del motore della sua auto sportiva in piena notte, sentì lo stomaco torcersi di brutti presentimenti.
Mise su il bollitore, si sedette al tavolo e si lasciò andare ad un lungo sospiro.
La signora Hudson non era mai stata particolarmente credente – bisognava sempre essere molto prudenti nel credere -, ma rispettava coloro che lo erano. L’esigenza del credere era insopprimibile, scatenata da un bisogno di sicurezza quando questa veniva a mancare, cioè molto spesso.
Quella notte, però, iniziò a recitare una preghiera indirizzata a chiunque volesse ascoltarla.
Anche lei aveva bisogno di qualcosa in cui credere.

***

Sherlock stringeva le mani sul volante della Aston Martin mentre la strada scorreva veloce sotto di loro. John teneva l’orologio sotto controllo e batteva smanioso il piede ritmicamente contro il tappetino. Avevano impostato delle sveglie ogni mezz’ora e sincronizzato gli orologi. Il dottor Watson aveva parlato con Lestrade, informandolo della loro destinazione e chiedendogli di allertare le forze dell’ordine locali. Sherlock aggiunse che non avrebbero dovuto avvicinarsi fino a che non fosse stato lui a dare il segnale.
Il telefono di Sherlock trillò per un messaggio ricevuto. John allungò la mano nella sua tasca e lo prese.
«Contiene un altro allegato video.»
«Aprilo.»
La voce di Moriarty, il suo sorriso arrogante, furono di nuovo davanti ai loro occhi.
«Il tempo passa in fretta, Sherlock! Pensa alla povera Molly, a cosa le serve! I nee
d a hero, I’m holding out for a hero ‘til the end of the night! He’s gotta be strong, and he’s gotta be fast and he’s gotta be fresh from the fight. I need a hero, I’m holding out for a hero ‘til the morning light! He’s gotta be sure, and it’s gotta be soon and he’s gotta be larger than life! Larger than life! Tic-toc, tic-toc, tic-toc!»2 Canticchiò prima che terminasse.
Watson era livido di rabbia.
«Quel figlio di puttana ci prende in giro!» Provò l’impulso irrefrenabile di scagliare lo smartphone fuori dal finestrino.
«John, il fine di tutto ciò è provocarmi per farmi deconcentrare.»
Il dottore si girò per guardare l’amico alla guida. Era grigio in volto.
«E ci sta riuscendo?»
La sua domanda non trovò risposta poiché Sherlock rimase impegnato alla guida, nel mutismo più assoluto, avvolto da una cupa aura.
John si abbandonò contro il sedile. Non aveva valutato l’impatto emotivo, lo stress e la pressione a cui stavano sottoponendo il consulente. Non aveva considerato - né mai gli aveva chiesto - quanta importanza avesse Molly per lui; non l’aveva mai ritenuto necessario. Come affrontare dunque la questione? Gli bastava semplicemente porre la sua domanda? E cosa gli garantiva una risposta da parte di Sherlock? Decise di concedersi un tentativo.
«Sherlock, io…»
«Non parleremo di questo, John. La tua sessione di psicoterapia dovrà essere rimandata ad un momento più opportuno.»
Il medico tacque. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma si limitò ad osservare il suo amico scolpito in un’apparente imperturbabilità. Non riuscì a spiegarsi esattamente la sensazione, ma tutto d’un tratto gli era balenato un pensiero sfuggente, una cosa essenziale che fino ad allora era rimasta celata oltre il velo. Non riuscì a concretizzare e si sentì uno stupido.

***

Sherlock decelerò e prese l’uscita dell’autostrada. Proseguì per una strada provinciale fino a quando non intravide la sagoma di un edificio.
Il cancello era aperto e non vi era nessun segno della presenza di altre persone.
«Il posto è questo.» Il detective parcheggiò e spense il motore.
Le luci nel parcheggio deserto sfarfallavano a intermittenza, la nebbia era bassa e fitta. Quel luogo era lugubre e spettrale nel suo squallido abbandono, un perfetto set per un film horror di serie B. Sherlock aprì la portiera ed uscì veloce dall’auto. John si apprestò a seguirlo ma l’altro gli fece muro.
«Tu rimani qui.»
«Come? Stai scherzando! Io non ti lascio andare da solo!»
Sherlock si lasciò andare ad un sospiro nervoso. «Non amo ripetermi e per un momento ho immaginato che avessi tratto le mie stesse conclusioni: ci muoviamo su terreno ostile e sconosciuto, non so cosa troverò lì dentro e non avrebbe senso rischiare anche la tua vita.» Gli posò le mani sulle spalle e usò un tono più paziente e deciso. «Apprezzo il tuo coraggio e lealtà, ma Eurus ti ha già scelto come vittima una volta. Pensa a tua figlia. Pensa a Molly. Chi la salverebbe se accadesse qualcosa a entrambi? Resta in macchina e aspetta i colleghi di Lestrade.»
Le sue parole erano piene di una logica amara e categorica. John deglutì a fatica.
«Fai attenzione.»
«Prudenza è il mio secondo nome.» Concluse Sherlock indirizzandogli un sorriso debole. Poi si voltò, si avvolse meglio nel cappotto e andò verso l’interno.

Note del caso
1: Bon Jovi – You give love a bad name
2: Bonnie Tyler – Holding out for a hero, anche nella versione di Shrek 2

***
Buonasera, carissimi lettori!
Spero di trovarvi bene. Dunque, oggi cominciamo ad addentrarci nella parte più introspettiva della storia, ovvero la reazione iniziale di Sherlock & co. Alla visione di Molly imprigionata. Mi auguro di aver reso la situazione il più verosimile possibile senza troppi danni… a voi l’ardua sentenza!
Per il resto, ho scritto questo capitolo con google maps aperto (e il mio povero computer ha sofferto la pesantezza di quel programma), per cercare i nomi delle strade attorno al complesso del Barts e una cittadina dove far arrivare il fantastico duo che soddisfacesse i criteri tempistici che mi ero impostata. I calcoli sulla quantità d’aria sono stati fatti sempre per rientrare nella sopracitata tempistica (purtroppo non sono precisissimi ma capitemi XD). E mi ha anche molto aiutata il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Una grande fonte di informazioni! Lancio inoltre la sfida a chi indovinerà chi è il famoso cannibale del Maryland a cui si riferisce Moriarty... in palio un nocciolato Lindt virtuale!
Quindi, cosa troverà Sherlock nella fabbrica abbandonata? Lo scopriremo nella prossima puntata!
Nel frattempo vi lascio i miei più cari auguri di Buona Pasqua e ci rivediamo la settimana prossima.
Non vedo l’ora di aprire il mio uovo di Batman!
  
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