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Autore: DeaPotteriana    15/04/2017    1 recensioni
Questa fanfiction era già stata postata, ma ho deciso di riscriverla completamente, in quanto non mi sembrava...mia. Quindi questa è la Re-edizione de "L'Ultima Black".
E se Sirius Black avesse avuto una figlia?
Questa è una raccolta di avvenimenti della vita di Helena Kaitlyn Black, una vita difficile, passata nella rabbia, nel dolore e nella solitudine. Una vita passata senza genitori, con una famiglia dura e razzista e un padrino troppo buono per riuscire a gestire la figlioccia.
Questa storia narra di questo e di molto altro. Narra di un'amicizia eterna, una scuola che fa da casa e una Casa che non sembra adatta a Kait; parla di una guerra in arrivo, di lacrime trattenute a stento e di lutti strazianti. È solo una fanfiction, ma immaginate come sarebbe stata la vita della figlia di Sirius Black, se solo fosse esistita.
Non siete curiosi?
Vorrei dimostrare, in questa storia, che a volte il dolore toglie il fiato, che l'amore spesso non basta e che essere un eroe ha sempre il suo prezzo. Spero di riuscirci.
EDIT: STORIA INCOMPIUTA, NEGLI ULTIMI 2 CAPITOLI SPIEGO COME FINISCE.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, I fondatori, Il trio protagonista | Coppie: Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Isn't that what a great story does? Makes you feel?'
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Ehi, eccomi qua. Appena avrò terminato questo post smetterò ufficialmente di toccare questa fic.
(Vi rinnovo le mie scuse.)
 
Fantasticando a proposito dell’ultima Black, mi son sempre divertita a pensare a due possibili fanfiction… Della fanfiction. Nessuna delle due avrebbe mai visto la vita, eh - però ormai ho fatto trenta, tanto vale far trentuno.
 
La prima fanfiction (si potrebbe definire al quadrato ahah) è sempre nell’universo di HP (ma non so quanto le spiegazioni abbiano un filo logico, quindi boh ahah). La seconda è un crossover con il mondo Marvel.
 
 
 
 
 


1.
Inverno, quasi sei anni dopo la Guerra.
Una strana energia viene recepita da alcuni Auror, che subito fanno rapporto. Kait, giustamente, prende organizza una squadra e va a indagare; non ottenendo una risposta da questa specie di campo di forza fluttuante colmo di energia e di magia, - quasi viva, con cinque gemme brillanti a farvi da cornice, - gli Auror lo tengono d’occhio, ma un po’ se ne dimenticano.
Quando Jackson torna dall’America, Kait gli chiede di accompagnarla per indagare e Harry, che ancora sente una leggera gelosia, decide di andare con loro. Ron e Hermione, in quanto membri del gruppo, - e, parlando di lei, grande studiosa, - si accodano.
Si trovano ad azzardare qualche esperimento, senza sapere davvero come agire. 
Poi, in un istante, questa strana energia esplode e li investe in pieno.
 
Aprirono gli occhi all’ombra di un grande olmo, distesi su un prato fiorito che si estendeva davanti a loro; voltando il viso, un maniero dava mostra di sé.
“Conosco questo posto,” mormorò Kait tirandosi in piedi. Harry, al suo fianco, socchiuse gli occhi e portò la mano alla bacchetta.
Un gruppo di persone si stava avvicinando; tutti si prepararono a un possibile scontro, perché quando vivi la guerra poi non sei in grado di scrollartela di dosso, per quanto tu possa provarci e riprovarci.
Non abbassarono le bacchette neanche quando si resero conto di chi avevano davanti, anzi le strinsero più forte e digrignarono i denti.
“Come osate?!” sbottò Kait, indignata.
Harry tremò al suo fianco. “Vi sembra divertente, fingervi qualcuno che non siete?!”
Ron e Jackson rimasero in silenzio, ma gli sbuffi e le espressioni dei loro visi bastarono a mostrare che erano d’accordo.
Hermione era l’unica dubbiosa; esitò un secondo, dopodiché abbassò la bacchetta.
“So cos’era quell’energia,” mormorò.
Silente, in piedi con le mani incrociate davanti allo stomaco, sorrise e le rivolse un occhiolino. “Sei una strega brillante, per la tua età.”
“Hermione, che cosa…”
“Ci ha portati indietro nel tempo.”
Kait sobbalzò e così Harry, e dopo un’occhiata per capire se erano sulla stessa lunghezza d’onda esclamarono in contemporanea “potrebbero essere Mangiamorte!”.
“O qualsiasi altro impostore,” li sostenne Jackson. “La Pozione Polisucco non è l’unico modo per fingersi qualcuno e i Mangiamorte non sono gli unici bastardi in circolazione.”
“No, parlo anche di cos’era quella strana energia. Un portale. Ho letto al riguardo. Quelle sono gemme particolari, create con la nascita della magia stessa.”
Il resto dell’Ordine, perché di loro si trattava, annuì; Moody fece un passo avanti e immediatamente Kait e Jackson raddrizzarono la schiena, in un vecchio gesto automatico.
“Abbiamo la possibilità di cambiare il passato. Quelle gemme fermano il tempo nel vostro mondo; se vorrete cambiare il nostro, tutto ciò che è accaduto nel vostro passato non esisterà più.”
“Questo non ha senso,” mormorò Harry. “Questa conversazione non dovrebbe essere già successa? Almeno per voi,” e indicò l’Ordine. Lui, Kait e Jackson ancora tenevano alte le bacchette.
“E se cambiamo il passato,” gli diede manforte Kait, “non verremo mai qui. E quindi la Guerra andrà come nel nostro mondo.”
“È un paradosso,” concluse Harry.
“Non è così. Le pietre rendono le cose diverse. Nel momento in cui il signor Potter e il signor Black le hanno trovate,” esclamò Moody e lanciò loro un’occhiata stanca, come a dire “sempre voi due”, “due universi diversi si sono creati. Nel vostro, hanno lasciato lì le gemme. In questo qui, le hanno prese, il che ha reso possibile l’apertura di un portale verso il vostro. Con le vostre conoscenze saremo in grado di fermare la guerra, ma questo non significa che il vostro passato non esista - è solo in un altro piano temporale.”
“Non ci capisco niente,” sussurrò Ron a Hermione, che invece stava annuendo.
“Se risolviamo la guerra qui, possiamo sfruttare la magia delle gemme per riuscire a unire i due universi,” rimuginò lei.
“Così noi vivremmo qui e vedremmo i nostri genitori fare figli… Che sono noi stessi?” pensò Harry ad alta voce e Silente annuì.
“Esattamente, signor Potter - ho supposto sia questo, il tuo cognome?”
“Sì, signore,” sorrise Harry a quel punto, abbassando finalmente la bacchetta. Lanciò un’occhiata a Kait e le fece cenno di imitarlo; dopo una brevissima esitazione, lei eseguì.
Jackson, per reazione a Kait, fece altrettanto.
“Ancora non sono convinta,” borbottò Kaitlyn e Ron, da accanto a Hermione, annuì enfaticamente.
“Nemmeno io,” rispose Jackson. “Potrebbe essere una trappola.”
Fu allora che Silente, Moody e la McGrannitt fecero apparire i propri patroni - impossibili da imitare e quindi capaci di confermare la loro identità.
“Siamo nel passato,” sorrise Harry. “Possiamo cambiare le cose, conoscere i nostri ge-” si interruppe, il fiato bloccato nella gola, e abbracciò Kait di slancio. “Siamo nel passato!”
Le strappò una risata, perché Harry aveva un’allegria contagiosa - anche l’Ordine, a quel punto, sorrideva.
“Hai dei bellissimi occhi,” si complimentò James Potter, dando leggere gomitate a Lily, “quasi fossi figlio di entrambi.”
Harry annuì, emozionato, e James - più giovane di lui, come cavolo funziona il mondo?! - gli riservò una pacca sulla spalla. Lily, più dolce, lo abbracciò. “Come ti chiami?” gli domandò.
“Harry. Harry James Potter.”
L’Ordine si presentò uno a uno, sorridendo a Hermione e Ron - subito tartassato di domande dai gemelli Prewett, i suoi zii, - ed esultando all’idea di avere un Auror allenato e preparato quanto Jackson, già accanto al padre e a Moody.
Kait rimase un po’ in disparte, sorpresa dal carico di emozioni che stava provando, e lanciò un’occhiata a Sirius, scoprendo che la stava già guardando.
“Ciao, raggio di luna. Come ti chiami?” le chiese avvicinandosi, Remus, Dorcas e Gillian al suo fianco - Harry, poco distante, osservò lo scambio con un sorriso intenerito.
Kait in un primo momento non rispose, sorpresa e senza fiato, e si limitò ad alzare una mano e a sfiorargli con dolcezza il viso. Gli passò un dito sulle tempie, sotto gli occhi, sulle labbra e sulla mandibola, studiandolo. Sentiva che Sirius stava trattenendo il respiro, ma non gli diede molto peso.
“Kaitlyn,” sorrise lei. Poi si voltò verso Remus e gli accarezzò una guancia sfigurata. “Siete giovanissimi,” mormorò a quel punto.
Sirius ghignò, accennando una battuta sul fatto che sicuramente era ancora un gran figo, tuttavia Kait lo ignorò, troppo focalizzata su una ragazza bionda e… Incinta.
“Puoi toccarla,” mormorò Dorcas, spinta da un istinto primordiale che le urlava “fidati di lei. Prenditene cura. Amala”. 
Kait si piegò e appoggiò la fronte sulla pancia della madre, che conteneva il feto che un giorno sarebbe diventato suo fratello Nathan.
“Sei bellissima,” sussurrò poi quando si alzò, accennando all’aspetto radioso della madre.
“Oh, no. Tu lo sei,” sorrise Sirius. “E qualcosa mi dice che non sei una semplice sconosciuta…”
Kait scosse la testa, la gola chiusa sotto il peso di un macigno. Si limitò a nascondere il mento nell’incavo del suo collo, le mani appoggiate sui suoi fianchi senza stringere - ci pensò Sirius, che la abbracciò con una delicatezza che pochi si sarebbero aspettati.
“Ti prego, dimmi che non ho fatto troppi casini,” la implorò dopo qualche secondo.
Kait rise e Harry, avendo sentito, le fece eco. Si avvicinò al gruppo, i genitori al seguito.
I due gruppi si presentarono, in un’eccitazione sempre crescente fomentata da James e Sirius.
“Siete buoni amici, eh?” domandò dopo un po’ Gillian, mentre si dirigevano tutti verso il suo manor, alla fine del giardino.
“Noi?” scoppiò a ridere Kait.
Harry si strozzò con la saliva. “Siamo stati migliori amici per anni,” spiegò, mantenendosi sul vago.
“E ora?” suggerì Sirius alzando e abbassando le sopracciglia con fare pettegolo - dopodiché mormorò qualcosa sul non voler rimanere scandalizzato.
“Ora siamo sposati.”
 
“CHE COSA?!”
 
 
 
 
 
2. Crossover + Soulmate AU 
E mi dispiace un sacco dover ammazzare pure lui, ma in questa storia andava così ahah
Durante l’ultima battaglia, nell’uccidere Voldemort, Harry è morto (Jackson e Draco un anno prima). Kait, pur sentendosi la deriva, ha cercato di rimettere insieme la sua vita - dando per scontato, però, che morirà sola.
Si inizia a buttare nelle peggiori missioni suicide, sperando che un giorno accada qualcosa di troppo grave che la faccia cadere in battaglia.
Un giorno la trova: sempre il solito campo di energia che nessuno riesce a capire; sembra provenire da una strana pietra verde conficcata nel terreno, con strani simboli incisi. Kait vi si avvicina, perché è il capo ed è l’unica nella squadra che non ha una famiglia.
Si volta per riferire che non è niente di pericoloso, quando un rumore assordante sovrasta le sue parole. Vede tutto verde per un secondo e quando la vista le torna scopre di essere sul tetto di un grattacielo di New York. Sul suo braccio, con suo grande stupore, si sta formando una scritta nera - quasi fosse tatuata.
 
Un gruppo ben fornito di persone la stava osservando, chi con armi più o meno nascoste, pronte all’uso, e chi con un sorriso diplomatico stampato sul viso.
Due uomini fecero un passo avanti, le mani alte nel gesto universale di “non voglio farti del male”. Kait, che era capo Auror e che aveva combattuto una guerra, strinse la presa sulla bacchetta e non accennò ad abbassarla.
“Signorina…” cominciò uno dei due uomini, estremamente elegante in un completo scuro. Le fece cenno perché lei dicesse il suo cognome, tuttavia Kait rimase in silenzio.
“Capisco,” sforzò un sorriso. “Io sono il Direttore Coulson. Sono a capo della Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division, S.H.I.E.L.D. abbreviato. Questo,” e indicò il biondino, - patriottico, pensò Kait con tono di scherno, - “è il Capitano Steve Rogers, alias Capitan America.”
Procedette a piegarle chi, delle persone alle loro spalle, faceva parte dello SHIELD e chi dei cosiddetti Avengers. “Il portale che l’ha portata qui doveva legare il nostro mondo al suo, per permettere a un nostro agente,” disse Coulson indicando un uomo - sarà stato sulla trentina - in disparte, “di visitarlo.”
“E perché lo voleva, se posso chiederlo? E cos’è questo tatuaggio che mi è comparso sul braccio?”
Coulson annuì, indicandolo con un dito. “L’agente May proviene dal suo mondo, signorina…” si schiarì la voce, attendendo ancora una volta il nome.
“Può chiamarmi Kait. O, vista la vostra passione per i gradi, colonnello. Ma mi dia del tu.”
“Bene. Dicevo… L’agente May proviene dal tuo mondo, colonnello, in particolare quello magico, ma un incidente ha portato all’apertura involontaria di un portale quando era un bambino. L’agente May,” e stavolta indicò una donna asiatica ben diversa dal ragazzo, che era invece occidentale, “è stata incaricata di prendersene cura.”
Esitò, prima di rivolgerle un piccolo sorriso. “Lo ha poi ufficialmente adottato.”
“E ora volevi rivedere il nostro mondo?” domandò Kait, parlando direttamente all’uomo. Le sembrava familiare, con quei capelli neri come la pece e gli occhi ghiaccio.
Se fosse stato un Purosangue, avrebbe detto che assomigliava a un Black.
“In realtà non mi interessa poi così tanto. Non ho motivi per tornarci,” rispose lui. “Non sono stato io, a pensare fosse una buona idea.”
Kait annuì, poco interessata - era ovvio. Se passi quasi tutta la tua vita in un posto, casa tua è quella, non dove sei nato.
“E il tatuaggio?” 
“Quello è ciò che chiamiamo “soulmark”, un marchio, una specie di tatuaggio che quasi tutti hanno, in questo mondo, e che mostra le esatte parole che ti dirà la tua anima gemella la prima volta che ti parla.”
Kait rimase in silenzio per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere, una nota cinica nella voce. “Anima gemella, eh?”
“La persona più adatta a te, e non importa quanto tu possa provare a odiarla, finirai per amarla. È piuttosto comune, qui.”
“E anche voi ce l’avete?” domandò allora, squadrandosi il braccio con interesse - e astio, perché una parte di lei continuava a piangere Harry e lo avrebbe fatto per sempre.
“Sì,” confermò Coulson. Poi, allungando una mano, fece per toccarle la spalla. “Posso? Ti leggo le parole, così non dovrai aspettare di trovare uno specchio,” propose accennando al fatto che la scritta fosse al contrario rispetto a Kait.
Abbassando la bacchetta, la giovane donna annuì.
“Mi suona molto contro il libero arbitrio, comunque,” mormorò mentre Coulson le toccava il braccio - pronta, in ogni momento, a reagire in caso di un attacco improvviso. 
“Ci sono persone che aspettano tutta la vita di trovare l’anima gemella. È un dono, non una costrizione,” le spiegò. Sembrava un po’ intristito all’idea che lei rifiutasse la grandezza dei soulmark.
Si schiarì la voce. “Dice: dir-
“Quindi qualche poveretto mi aspetta da anni, senza sapere quando arriverò,” sbottò allora Kait, interrompendolo ma parlando al biondino di fronte a lei, Steve Rogers.
“Direi che ne è valsa la pena,” sorrise lui, una dolcezza e sorpresa tanto grande da fargli venir voglia di urlare di gioia.
“Esatto,” sussurrò Coulson, gli occhi sgranati dallo shock. “È proprio questo.”
Guardò di nuovo la scritta sul braccio di Kait. “Direi che ne è valsa la pena,” lesse.
A quel punto una coltre di silenzio cadde su di loro.
 
“Quindi non solo sono bloccata in un mondo diverso dal mio,” pensò Kait ad alta voce, accettando il drink che uno degli Avengers - Tony? - le aveva preparato. “Ma in più ci si aspetta che io sia improvvisamente innamorata di uno che nemmeno conosco?!”
Con il senno di poi avrebbe capito che Steve Rogers era davvero la persona adatta a lei; un soldato, come Jackson, che sa cosa sia la guerra e cosa significhi uscirne vivo mentre tutti gli altri muoiono. Un leader, come Harry, qualcuno su cui gli altri fanno affidamento per guidarli in battaglia. Un Serpeverde, se il suo essere l’unità delle Case non la tradiva, così ambizioso e leale e rispettoso e dolce.
Ma in quel momento lei non lo conosceva, non ancora, e l’idea dell’anima gemella la irritava tantissimo.
“Ho combattuto il matrimonio combinato dalla mia famiglia e finisco in un mondo in cui il matrimonio te lo combina il destino.”
“Matrimonio combinato?” domandò Steve. Sembrava deciso a lasciarle un po’ di spazio, ma allo stesso tempo le gravitava attorno, sempre mezzo voltato verso di lei, lanciandole occhiate o sorridendo tra sé. 
Kait si morse un labbro. “I maghi si possono dividere in categorie,” cominciò a spiegare. “Purosangu-”
“Oh, no, questo lo so.”
“Gliel’ho spiegato io,” mormorò l’agente May junior (nella sua mente li chiamava così per non confonderlo con la madre). “Sanno tutto ciò che sapevo io. Compresa la distinzione purosangue-mezzosangue-natibabbani-maghinò.”
“Okay,” annuì Kait, “bene. Tra le famiglie purosangue più conservative, come la mia, ci si sposa in modo da unire le casate e mantenere la purezza. Una gran cazzata, credimi. Come se il sangue contasse davvero qualcosa.”
Steve sembrò sollevato all’idea che lei non fosse d’accordo e le rivolse un sorriso; Kait, pur rimanendo confusa e irritata, si sentì ricambiare.
“Quale famiglia?” domandò allora l’agente May junior. 
“Scusa?”
“Quale famiglia?”
Kait abbassò lo sguardo, mentre una parte di lei urlava e batteva i pugni per farle notare quanto familiare le sembrasse.
“Perché dici che non hai motivi per tornare nel nostr-mio mondo?” ribatté anziché rispondere.
“La mia famiglia è morta. Ma anche noi eravamo purosangue, ecco perché te lo chiedo,” mormorò l’uomo.
“Quanti anni avevi, quando sei arrivato qui?”
“Otto.”
Otto!
“Come si chiamava la tua famiglia?” gli chiese allora, molto più lentamente del normale. Non riusciva nemmeno a guardarlo, così gli fissava le mani, cercando di non illudersi. Gli altri, che li osservavano con attenzione, sembravano aver colto che qualcosa non andava.
Kait, il petto stretto in una morsa, sentì il respiro farsi sempre più pesante.
Capelli neri. Occhi ghiaccio.
Il portale si apriva con una luce verde, quasi fosse un Anatema che Uccide. Era accaduto quando lui aveva otto anni.
Ma no, non poteva essere. Non poteva, non poteva, non poteva.
“Come si chiamava la tua famiglia?” ripeté. “Dimmelo. Dimmelo!
L’uomo sussultò e la squadrò con irritazione, e Kait capì di aver appena urlato e di essere una sconosciuta - ma non lo era, non davvero, non se aveva ragione.
Gli si avvicinò di un passo, quasi annullando la distanza tra di loro, e per guardarlo negli occhi dovette piegarsi leggermente all’indietro.
“Sei tu, vero?”
“Io?” sussurrò lui.
“Sei un Black,” sorrise lei e per la prima volta non si vergognò di avere gli occhi pieni di lacrime.
Sentiva Steve fissarla e così tutti gli altri, ma non le importava, non le importava di niente se non dell’uomo che aveva davanti - e, Merlino, era un uomo! Non un bambino, neanche un ragazzo. Un uomo!
“S-sì,” rispose lui. “O almeno lo ero.”
Kait prese fiato, lasciando che l’emozione e il dolore e la gioia le scorressero nelle vene. 
Scoprire di avere torto le avrebbe spezzato il cuore, eppure… Ho ragione, si disse. Ho ragione, ho ragione, ho ragione.
“Nathan?” sorrise e pianse al tempo stesso, sfiorandogli il viso con una dolcezza quasi materna, mentre il cuore le si ribellava nel petto e urlava di abbracciarlo e stringerlo e non lasciarlo mai più.
Nathan indietreggiò, annuendo con una confusione che riusciva a riconoscere: la sorta di “ho capito ma forse mi sto solo illudendo e non voglio rimanerci male” che aveva provato lei stessa fino a qualche minuto prima.
“Mi hai detto di correre,” sussurrò Kait nonostante la gola in fiamme. Il fatto che si fosse allontanato la ferita, ma Merlino se lo capiva!
Nathan alzò di scatto la testa, osservandola.
“Mi hai detto di correre,” ripeté, “e io ho corso. Pensavo fossi morto, pensavo…” si coprì la bocca con una mano tremante. “Pensavo di averti perso.”
Ti ho perso.
“Non è possibile,” gemette Nathan. Le sfiorò una guancia, dopodiché la squadrò dalla testa ai piedi - Kait, in un lampo, si ricordò di essere ancora con la divisa da agente speciale Auror.
“Come… Helena?”
“Ho seppellito quel nome il giorno in cui ho seppellito te e Hannah.”
E a quel punto, con uno slancio così forte da sorprenderla, Nathan la prese tra le braccia e la strinse con tutte le sue forze, addirittura sollevandola da terra.
“Sei vivo. Sei vivo, sei vivo, sei vivo.”
“Pensavo fossi morta,” pianse Nathan. “Ho pensato che tra i Mangiamorte e-e la neve e i lupi e… Come potevi…”
“Sono qui,” sussurrò allora. “Sono qui, Nan, sono qui.”
 
“Questo mondo non è poi così male, eh?” le domandò Steve quella sera, appoggiandosi al parapetto della terrazza. 
Kait, senza distogliere lo sguardo dalle luci di New York, sorrise.
“Penso che potrei trovare qualche ragione per farmelo piacere, sì.”

 

  
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