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Autore: theastwind    17/04/2017    3 recensioni
E' una storia d'amore e d'avventura tra Nami e... il Rosso.
Ambientata nel lasso temporale collocato prima che la ciurma entri nel Grande Blu.
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Shanks il rosso
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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1 – Romance dawn
Camminava con la testa china costeggiando le case a sinistra di una strada assolutamente vuota; ormai vagava da più di due ore senza meta, trascinando i piedi diventati bianchi di polvere nei sandali irriconoscibili. Quel luogo era un completo non senso: Jolly Town, la città dei pirati, seconda solo a Rogue Town (che peraltro aveva già visto), avrebbe dovuto brulicare di gente e di vita… eppure c’era un silenzio mortale, tipico di un posto che ha visto troppo sangue e troppa violenza. Non a caso, pensava col cuore gonfio, è la città dei pirati e i pirati, nonostante quanto affermasse Rufy, erano delinquenti, ladri e assassini, gentaglia della peggior specie... come Arlong. Quel pensiero le fece venire i brividi e le rammentò anche le esigenze fisiologiche che da un po’ si portava dietro: aveva urgentemente bisogno di un bagno, di un pasto caldo e magari anche di qualche parola affettuosa… Dopo le vicende di Arlong Park e quegli orribili otto anni nelle mani del pesce – sega dei mari orientali credeva che non avrebbe più sentito quel vuoto così pesante. Era sicura che le cose avrebbero potuto solo migliorare e che i suoi amici sarebbero stati sempre con lei, dopotutto Rufy gliel’aveva promesso, loro erano “compagni”. Era sicura che con lui avrebbe realizzato il suo sogno di disegnare la mappa del mondo e poi avrebbe voluto aiutarlo a diventare il Re dei Pirati, voleva esserci nel giorno del trionfo del suo amico. Le mancavano le bugie di Usoop, il respiro regolare del sonno di Zoro, le quotidiane idiozie di Rufy e, soprattutto in quel momento, i deliziosi piatti che le preparava il suo eterno spasimante Sanji (che tra l’altro le riservava sempre la porzione più abbondante tra le lamentele del capitano). In realtà ciò che le mancava di più era il senso di sicurezza che quei quattro le davano, le risate, la spensieratezza; aveva appena fatto in tempo ad abituarsi alla vita libera, precaria e allo stesso tempo sicura dei pirati che già si ritrovava al punto di partenza e senza nemmeno un berry.
Questo pensiero bloccò del tutto il suo incedere mentre due grosse lacrime scendevano giù rigando il viso polveroso e segnato dalla fame. Era caduta in mare, la cosa più banale che possa capitare ad un pirata… Non era passato nemmeno un mese da quando avevano lasciato la città di Gold Roger; in quei giorni aveva notato che le tempeste erano più frequenti, ma non vi aveva dato peso. Aveva previsto quella maledetta tempesta e avvertito tutti, ma non credeva che l’uragano sarebbe arrivato così velocemente; cominciava a capire perché il Grande Blu era chiamato il “cimitero dei pirati”. Lei e Usoop avrebbero dovuto ammainare la vela di poppa e sgombrare il ponte, gli altri si sarebbero occupati della vela principale, era così semplice… ci sarebbero voluti due minuti… E si sentiva molto stupida: si era messa a discutere con Usoop (adesso non ricordava più nemmeno perché) e le onde cominciarono ad alzarsi come grossi muri scuri da tutte le direzioni; la Going Merry sembrava uno di quegli origami di carta che sapeva fare Nojiko ed era sballottata dappertutto. Piangeva nel ricordare gli ultimi istanti sulla nave del futuro Re dei Pirati: la paura di affondare con tutti e tutto, il senso d’impotenza di fronte a tanta furia, il dolore per le botte che prendeva e, infine, il terrore per quella gigantesca valanga d’acqua che stava arrivando altissima e inevitabile come la morte… Soffocava ancora al pensiero di tutta l’acqua che aveva ingoiato e il ricordo dei tentativi disperati di salire in superficie ostacolati dalla forza crudele delle onde le piegò le gambe: cadde sulle ginocchia in mezzo al selciato polveroso di una città sconosciuta e vuota.
Per fortuna non poteva ricordare, perché non le aveva viste, le espressioni disperate dei suoi compagni che avevano assistito alla scena… Rufy era letteralmente impazzito: non aveva fatto in tempo ad allungarsi e, urlando il suo nome in mezzo alla furia degli elementi, aveva cercato di tuffarsi incurante del fatto che avrebbe peggiorato solo le cose, avendo la galleggiabilità di un pezzo di piombo. Zoro, invece, fu abbastanza lucido da trattenere il suo amico per un braccio: stava prendendo coscienza che per Nami non c’era più nulla da fare. Sanji, d’altro canto, era riuscito con molta fatica, insieme ad Usoop, ad ammainare la vela principale e non si era accorto che la sua amata era finita in mare: solo quando la nave si stabilizzò un poco, si accorsero di non avere più la loro navigatrice. Le espressioni frastornate e le urla di dolore si persero nella notte nera del Grande Blu per loro diventata improvvisamente silenziosa e immobile mentre il cielo e il mare sembravano volerli punire per l’insolenza di navigare in una rotta impossibile anche per i grandi pirati. Non sapeva se sperare che fossero vivi e disperati per la sua scomparsa oppure morti e quindi immuni dal dolore immenso che stava provando lei. Il forte pulsare della caviglia la fece tornare a quel presente di lacrime, polvere e sporcizia. “Ci mancava solo questa caviglia!” - pensava piena di rabbia, mentre si guardava attorno e vedeva una città vuota, appannata dalle lacrime e ferita dall’impietoso sole di un pomeriggio di metà luglio. Eppure i suoi amici erano forti, avevano sconfitto dei grandi pirati e anche qualche mostro marino, non potevano essere morti in una tempesta, per quanto terribile: insomma non era una fine degna per persone tanto speciali! Però erano pur sempre esseri umani...
Forse era il delirio di una febbre che avanzava, forse le erano finite le lacrime, oppure era la fiducia incrollabile nel suo improbabile capitano e nei suoi degni marinai, ma smise di piangere e si rialzò, cercando di raccogliere le energie fisiche e mentali. “Me la sono sempre cavata da sola, derubando quei babbei di pirati che popolano questi mari, posso farlo ancora, non credo di aver perso la mano… - disse tra se non senza una certa soddisfazione. - E’ anche vero, però, - continuò parlottando per tenersi compagnia – che non sono nelle condizioni migliori per affrontare nemmeno un vecchietto. Mi sa che stavolta i soldi me li dovrò guadagnare lavorando e poi prendere una barca e raggiungerli, magari stanno ancora navigando in zona per cercarmi…” S’interruppe pensando che i suoi amici erano completamente all’oscuro delle tecniche di navigazione e che quel genio del suo capitano aveva scambiato la rosa dei venti per arte contemporanea… a quel pensiero scoppiò a ridere e s’impose di non domandarsi più nulla, ma di agire: ogni istante era prezioso. Nella ritrovata lucidità notò che la città non era più tanto vuota: era finito l’orario del sonnellino pomeridiano e le strade cominciavano a popolarsi anche se con discrezione; guardò la posizione del sole e si accorse che erano passate molte ore da quando era arrivata in quella città un po’ lontana dal mare e dal villaggio di maniaci in cui era approdata. Era stata ripescata non lontano dalla costa da alcuni pescatori che stavano rientrando dopo una battuta fortunata: avevano bevuto molto e la prima cosa che sentì quando rinvenne fu il loro alito caldo impregnato di alcol, misto ad un importante odore di sudore che le consentì di restituire al mondo tutta l’acqua marina ingerita. I quattro marinai ubriachi la portarono al villaggio mostrandola come un trofeo all’osteria che era il loro ritrovo: la partita a carte per decidere chi se la sarebbe portata a letto finì a coltellate mentre Nami se la svignava dal retro salendo su un carretto pieno di paglia che l’avrebbe portata in città. Quando il proprietario del carretto si accorse di averle dato un passaggio si agitò e la cacciò via in malo modo. Nelle ultime ore ne aveva passate troppe e, nel tentativo di sottrarsi alle randellate del contadino infuriato, si era pure slogata una caviglia che le pulsava di dolore e si gonfiava a vista d’occhio; ma tutto questo ora non contava più: doveva trovare i suoi amici e sapeva che non avrebbe ricevuto la carità di nessuno. Così decise di cercare un lavoro.
Riprese a camminare stavolta a testa alta, fiera di se stessa per essere riuscita a sopravvivere fino ad allora e, per distrarre la mente dalle brutte avventure appena passate, cominciò a domandarsi come mai una città che non dava sul mare fosse meta così ambita dai pirati. Mentre camminava notava i negozi che si popolavano, le botteghe, le scuole, c’erano anche i musei e perfino un centro sportivo affianco alla base della marina militare e dell’esercito che giganteggiava su tutto; era evidente che in quella città circolavano i soldi a fiumi: le case erano tutte molto belle e grandi e la gente ben vestita e curata, c’erano molti bambini e i negozi erano enormi e vendevano di tutto. Le strade si affollavano sempre più così, per sfuggire alla curiosità delle persone che la vedevano così malconcia, abbandonò la strada principale per intraprendere una viuzza secondaria in cui campeggiava un’aria completamente diversa. La luce era più rada e le case, ammassate l’una all’altra, si soffocavano a vicenda, l’odore di frittura si mescolava a quello dell’immondizia ammucchiata ai lati della strada straripante di topi: il lezzo che la calura estiva sollevava era nauseante.
Barcollando, Nami arrivò in fondo a quell’inferno dei sensi e inciampò su un gradino tutto crepato cadendo addosso a qualcosa di morbido e pesantemente profumato. “Ehi, ma che fai… - rise una voce mielosa e divertita di donna. - Ma è una ragazza!! Oddio com’è conciata… Ragazze! Ragazze! Venite fuori! Aiutatemi!” Era svenuta, ma di quei momenti Nami avrebbe ricordato in seguito solo un confuso coro di voci strepitanti di donne, di colori vivaci, di abiti fruscianti e profumi impossibili da distinguere e da dimenticare… era finita in un bordello.
   
 
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