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Autore: Luxanne A Blackheart    30/04/2017    2 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO SEI.
LA FAMIGLIA IN FESTA.


“E cos'altro puo' essere l'amore se non una
segreta pazzia, una opprimente amarezza

e una benefica dolcezza. “ Shakespeare.





Jean e Charles riuscirono a dileguarsi dalla festa senza attirare l'attenzione di nessuno, passando inosservati. Erano scomparsi da un bel po' e nessuno era ancora venuto a cercarli e questo significava che il ballo stava piacendo a tutti ed erano troppo occupati a ballare, a bere o chiacchierare.
Meglio per loro, meno probabilità di essere scoperti.
Si trovavano in quella che era la sua stanza, di modeste dimensioni, non enorme come quella che aveva nell'altra tenuta. C'erano strumenti appesi sulle pareti, dai più antichi ai più nuovi, il suo violino poggiato sul letto assieme ai suoi libri di musica. Alcuni fogli, spartiti con pentagrammi spogli di note nere, erano poggiati sulla scrivania. Componeva nel tempo libero, quando aveva voglia di distrarsi, ma non riusciva mai a completare niente.
“Suonate? L'avevo pensato, la prima volta che vi ho visto. Avete le mani da musicista.”
“Ho le mani da donna.”
“A me le vostre mani piacciono.”
Jean lo guardò, sospirando. Voleva dire qualcosa, lo voleva con tutto se stesso, ma era come se fosse bloccato... C'era qualcosa che gli impediva di essere come lui, come Charles. E lui come diavolo faceva ad essere così? Non aveva paura, non era costantemente terrorizzato dalle cose che faceva, da come si muoveva, da come parlava, non soppesava bene le parole come faceva lui, non controllava mai il tono della voce per la paura che risultasse troppo femminile o effeminato. No, lui era semplicemente se stesso con tutti e sembrava essere in pace con se stesso, nonostante fosse diverso, nonostante ci fosse qualcosa di non naturale in lui, qualcosa che andava contro natura.
“In ogni caso gli uomini dovrebbero dedicarsi ad altri passatempi, non alla musica. La musica è per le donne.”, Jean lo guardò,incrociando le braccia al petto. Non avevano parlato per quasi un'ora, si erano semplicemente guardati o scambiati due parole di cortesia fino a quel momento. Era un grosso passo in avanti. “E poi io non mi reputo un musicista. Non so fare musica.”
“Io non direi. Ne avete tutta l'aria...”, Charles si avvicinò alla scrivania, prese uno degli spartiti di Jean e ne lesse il nome, sorridendo. “A me piace la vostra musica. Avete fantasia persino per i nomi che date.”
“Come fate a dirlo, se non mi avete mai sentito suonare?”
“A me piacete voi, quindi sono certo che la vostra musica mi piacerà. Comunque è davvero un nome originale... La Famiglia Del Diavolo, intendo, come vi è venuta l'ispirazione?”
“Smettetela, non fate così!”, sbottò Jean, afferrando lo spartito e poggiandolo con forza sul tavolo.
“Così come?”
“Non fatemi apprezzamenti come se fossi una bella donna da corteggiare. Mi mettete a disagio e vi ho detto che posso darvi solo la mia amicizia.”
“E io l'ho capito. Ma non era mia intenzione corteggiarvi, sono solo semplici apprezzamenti da amico.”
“Non li fate, mi mettete a disagio.”, Jean sospirò, sembrava esausto. “Perché volevate parlarmi in privato?”
“Perché avevate un'aria da pazzo suicida, vi stavate per strozzare. Se vi faccio questo effetto, allora perché mi avete invitato a questo ballo?”, Charles perse il suo sorriso. Guardava Jean con aria triste, sembrava sinceramente ferito da come aveva reagito.
“Non lo so, Charles, non lo so. Voi mi confondete e quando mi siete vicino mi sento veramente strano. Non mi sono mai sentito così con nessuno...”
“A me fate lo stesso effetto, Jean.”, Charles si avvicinò e Jean indietreggiò. “Mi rendete ansioso, dico cose stupide solo per farvi ridere, o almeno per cercare di farvi ridere. Quando vi sono vicino non capisco più niente e il respiro accelera. Mi mettete ansia.”
“Charles...”, lo supplicò il moro. Non poteva dirgli quelle cose, non poteva.
“Non c'è niente di male, Jean, quante volte lo dovrò spiegare? Non c'è niente di male in quello che proviamo.”, Charles gli accarezzò la guancia con la punta delle dita. “A tutti è concesso amare.”
“L'amore non è abbastanza nella nostra situazione. Adesso vi prego, andatevene.”
“Jean...”
“Non siete più il benvenuto qui, andatevene!”, lo spinse via, andando alla porta e aprendola per farlo andare via. “Non voglio più vedervi.”
“Io non mollerò. Sono un osso duro.”
“Provateci quanto volete, ma io non mi farò mai convincere.”
Charles sorrise e prima di uscire dall'uscio della porta, disse: “Dicono tutti così, anche io lo dicevo. Ma eccomi qua a corteggiare un uomo che seppur prova i miei stessi sentimenti, mi allontana con tutte le sue forze. Buona serata, Jean Nottern.”






Quando Theresa e Charles se ne furono andati, William fu travolto dalla noia. Non c'era niente e nessuno che riuscissero a sollevargli il morale, facendolo divertire, oltre all'ottimo champagne che i camerieri offrivano nei calici di cristallo.
Camille sapeva come si organizzava una festa, sapeva come ingraziarsi l'alta società di tutte le epoche, Camille sapeva come ci si doveva comportare per vivere. Dopo tutti quei secoli, dopo tutti quegli anni, avevano imparato che le persone non cambiavano, cambiava solo il contesto, i monumenti e gli avvenimenti storici. La loro mentalità rimaneva la stessa, con il loro desiderio del lusso, del pettegolezzo e del bere. Ecco perché Camille riusciva sempre a farsi rispettare nell'alta società, perché in qualsiasi paese ed epoca, essa rimaneva la stessa. Niente sarebbe mai cambiato. Invece di progredire, l'umanità tendeva a regredire e nel modo peggiore.
William aveva deciso di ubriacarsi quella sera, nonostante avesse promesso a Vlad di fare il bravo. Era l'una di notte passata e l'alcol stava circolando dalle otto di sera circa, perciò signore, signori, fanciulle e fanciulli ormai erano tutti ubriachi, in preda a buffi balli e risate senza senso. Nessuno avrebbe notato se lui, uno dei tanti, avesse alzato il gomito; a meno che non avesse fatto qualcosa di così tanto eclatante, come strappare la faccia a quel Grey con le zanne, tanto da rimanere impresso nella mente ubriaca di tutti.
Sua sorella e quel cuginetto della regina non facevano altro che danzare da tutta la sera e parlottare come se fossero stati due giovani innamorati, vicini al matrimonio.
Disgustoso. Voleva solamente approfittarsi di Lucille e portarsela a letto. Li conosceva quelli come lui, perché era esattamente ciò che aveva fatto con Theresa poco fa, a differenza che per loro non aveva significato niente, ma per Lucille avrebbe significato qualcosa.
La stava guardando da un po', ad essere sinceri, guardava solo lei nel suo bell'abito bianco, sorseggiare dal bicchiere, mentre ascoltava Dorian e una ragazza dai capelli rossi.
I loro sguardi si incontrarono all'improvviso e si osservarono per pochi secondi, il tempo necessario che William fosse colpito da un ricordo, un ricordo che la sua mente pazza e malata aveva quasi del tutto cancellato. Lucille fu la prima a guardare altrove, perdendo il dolce sorriso che fino a quel momento le stava addolcendo i lineamenti e gli occhi. Osservò Dorian chinarsi su sua sorella e sussurrarle qualcosa nell'orecchio, lei annuì e sorrise, per poi prenderlo sottobraccio ed uscire dalla stanza. Proprio come avevano fatto lui e Theresa.
“Non pensarci neanche, maledetto.”, Will bevve tutto lo champagne d'un fiato e successivamente seguì i due nel corridoio, nascondendosi nell'ombra per non farsi vedere, pronto ad intervenire. Lucille gli dava le spalle, mentre Dorian gli era proprio di fronte, poteva vedere qualsiasi cosa di lui. Era un bell'uomo, suo malgrado.
“Sono stato davvero bene questa sera. Mi sono divertito così tanto, soprattutto grazie alla vostra presenza. Siete stata una sorta di faro che mi ha illuminato con la vostra bellezza, la vostra simpatia e la vostra dolcezza. Mi avete stregato, Miss Nottern.”
William trattenne a stento le risate. Povero buffone, lui usava quelle frasi da prima che nascesse, anzi, ne usava di meglio. Suvvia, aveva fatto innamorare, e continuava a farlo, centinaia e migliaia di donne con i suoi sonetti, con Giulietta e Romeo e con tutto ciò che aveva composto.
“Be', signor Grey io davvero non so che cosa dire... Così mi mettete in imbarazzo.”, l'uomo l'afferrò per mano, baciandola delicatamente.
“Non dite niente, lasciate solo che io vi possa rivedere ancora una volta. Lasciate che io vi corteggi. Siete la prima donna che mi abbia fatto questo effetto, la prima donna che ho veramente voglia di conoscere, di ascoltare, di scoprire...”
“Così mi lusingare, signor Grey e mi fate arrossire.”, Lucille fece una pausa e poi riprese. “E va bene, vi rivedrò. Anche voi mi avete fatto lo stesso effetto, devo ammetterlo e...”
Ma prima che la fanciulla potesse anche solo pensare di terminare la frase, quel polpo umano si attaccò alle sue labbra, soffocandola letteralmente con la bocca.
William si piegò in due per le risate e fece accidentalmente cadere qualcosa che produsse un rumore metallico, che fece sobbalzare i due dallo spavento. La piovra si staccò dalle labbra di sua sorella e dopo averla salutata, se ne andò via.
“William, è inutile che resti ancora nascosto. Ti ho sentito arrivare da un bel pezzo ormai.”, Lucille si girò verso il fratello, aggiustandosi alcune ciocche liberatasi dall'acconciatura. “Non voglio sentire nessun tipo di commento da parte tua, sciocco.”
“Non mi impedirai di esprimere una mia opinione! Soprattutto se ti fai sbaciucchiare da uno come quello! E' una maledetta piovra, la sua lingua ha toccato anche me. Non so come tu non ti senta violata.”
“Dopo aver sperimentato te, qualsiasi cosa sembra il paradiso. E per la cronaca è un ragazzo d'oro.”
“Quanto le sue miniere in America?”, William sorrise, avvicinandosi alla sorella, che fece un verso esasperato.
“Ti odio.”
“E' sempre un piacere sentirtelo dire.”
“Continua a fare il cretino, io vado a divertirmi. Ciao, sbruffone.”
“Ciao, Lucy.”, la salutò con la mano, mentre ritornava nel salone per lamentarsi del suo comportamento con qualcuno della famiglia, James sicuramente. Quei due avevano in mente di ucciderlo sicuramente e occultare il suo bellissimo cadavere.






Per quanto dentro di se moriva dalla voglia di trascinarla in una camera qualsiasi e fare con lei uno dei loro sadici giochetti, gli fu inevitabile ripensare a come si erano conosciuti. Se ne stava lì come un imbecille, la guardava e gli sembrava di vederla per la prima volta, tanto tempo prima, quando era ancora un tenero upiretto non ancora del tutto trasformato. Era vecchio, molto più di quanto gli piacesse ammettere e dopo tutto quel tempo, dopo tutta quella esistenza, gli era difficile scindere un reale ricordo dal semplice frutto della sua immaginazione.
Ricordava di averla incontrata per la prima volta sulla riva di un importante fiume europeo, in un tempo troppo lontani per quei mortali, ma illustrato nei libri di storia. In Inghilterra stava avvenendo chissà quale guerra tra famiglie, una delle solite per acquisire potere. Aveva deciso di fuggire in Francia, non altrettanto stabile, ma meno caotica della sua madre patria e lì aveva incontrato Camille. Avevano intrattenuto una breve relazione sessuale, prima che Vladimir comparisse all'improvviso con Roman e James. Ma per lui a quel punto era troppo tardi, poiché Camille ne aveva reso un essere maledetto molto tempo prima ed era ormai alla fine della sua trasformazione. Faceva parte della famiglia, per sua grande fortuna.
Camille si era dimenticato all'instante di lui, dopo l'arrivo di Vlad e lui, be', lui lo guardava come si guarda uno schifoso topo di fogna.
Parigi quell'anno era particolarmente calda e le signore e i signori amavano sostare vicino alla Senna, al lato ovest, dove c'erano teneri alberelli nei quali potersi rifugiare dall'afa insopportabile.
Ricordava perfettamente quanto fosse piacevole la sua visione; gli sembrava di aver finalmente trovato la sua donna angelo, colei di cui Dante cantava le lodi in ogni suo sonetto, in ogni suo capolavoro. Aveva trovato la sua Beatrice, l'unica donna per cui effettivamente avrebbe continuato a perdere la testa ogni secolo. L'aveva trovata ma non sapeva chi era, perché se l'avesse saputo, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente e lui non sarebbe stato l'uomo problematico, depresso e maledetto che era adesso. Sarebbe stato solamente depresso.
Lei era seduta su una panchina a leggersi un bel libro rilegato dall'aria molto costosa, le sue dame erano qualche passo più dietro di lei e conversavano su qualche argomento frivolo e privo di senso. Il vestito che indossava era di un candido rosa e le metteva in risalto gli occhi color nocciola, la pelle pallida e liscia e la bella bocca rosea. La guardò allungo prima che lei si accorgesse di lui, poggiato su un albero e con le mani in tasca.
Quando i loro occhi si incontrarono, la prima cosa che fece lei fu chiudere il libro con un colpo secco e sorriderli in modo malizioso, incurante delle altre persone.
“Finalmente ti ho trovato, Will. Vieni con noi, gli ospiti se ne stanno andando.”, Camille spuntò all'improvviso e lo afferrò per un braccio, costringendolo ad abbandonare tutte le sue nostalgie e fantasie.
“Non toccarmi, mammina, Vladimir potrebbe ingelosirsi.”
Camille gli rifilò un'occhiataccia, dicendogli di mettersi fra Lucille e James. La ragazza non lo degnò di uno sguardo, ma continuava a parlare con un Jean molto nervoso.
“Jean, comunque io so tutto.”, si ricordò in quel momento, notando che sia lui che Roman si girarono di scatto verso di lui e lo guardarono con un misto di shock e terrore.
William ghignò, afferrando la mano di una dama e baciandola elegantemente come segno di saluto. Adesso si doveva divertire.


 
   
 
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