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Autore: Celine_Falilith    08/06/2009    5 recensioni
Postato il Settimo Capitolo.
[Dal IV Capitolo ] Perché sapeva che Harry non era lei.
Harry era il maledettissimo figlio di James Potter, con tutti i suoi infiniti difetti.
Era inutile cercare Lily in Harry.
Inutile e dannoso.
Ed era meglio così: meglio convincersi che di Lily non era rimasto niente,
piuttosto che illudersi di rivederla negli occhi di suo figlio.
[Dal V Capitolo ] Piton deglutì, cercando di riacquistare un po’ di controllo.
Strinse le labbra con violenza, fremendo, e così anche i pugni, conficcandosi le unghie nella pelle, cercando in tutti i modi di nascondere
quella tempesta di emozioni che si stava agitando nel suo povero e arido cuore.
Sopprimere i sentimenti, sempre.
Prima regola del buon Occlumante.
Ora, come doveva comportarsi col piccolo Potter?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi col quarto capitolo! ^-^
Beh, dove siete finiti tutti? T_T Perché non recensite, perchèèèè! 
Ok, basta coi piagnistei.
Ringrazio Pervinca ( 1] Mi fa piacere che ti abbia incuriosita questa cosa, a me ha toccato molto la situazione famigliare di Sev… purtroppo di uomini come Tobias ce ne sono molti in giro. 2] Sì, al litigio con Lily, ma poteva essere inteso anche come la sua morte. 3] Aww! *_* Grazie per aver citato quella frase, credo sia una delle poche frasi più significative che abbia mai scritto! Sono d’accordo con quello che ritieni abbia pensato Severus. Per concludere grazie, grazie davvero), Allison ( erg, mi dispiace deluderti, ma temo che la storia non andrà oltre i venticinque anni di Piton! ^^’’ Sorry… comunque grazie mille dei complimenti, mi fanno molto piacere! ) e le 20 persone che hanno messo YGA nei preferiti/seguite. 

Grazie a tutti! (_ _)
Well, vi auguro buona lettura! In questo capitolo ci sarà un personaggio che certamente amate…
  
 

~ YOUR GUARDIAN ANGEL ~

 

*

 

Londra – Luglio 1985

 

Capitolo Quarto

*

Cuz you're my, you're my, my, my true love, my whole heart
Please don't throw that away
Cuz I'm here for you
Please don't walk away and 
Please tell me you'll stay woah, stay woah

*

“Siamo arrivati, amico” disse Jack Picchetto mestamente: sembrava davvero dispiaciuto del fatto che Severus dovesse (finalmente) scendere dal Nottetempo.

Piton si alzò lentamente dalla scomodissima sedia sulla quale aveva passato l’intero viaggio, e con lo sguardo percorse ogni angolo dell’autobus, dandogli così l’addio.

 

 

Stava davvero diventando troppo sentimentale.
Scosse il capo, per esorcizzarsi da quei pensieri inopportuni.

Il silenzioso Ern lo salutò con un cenno della mano e un piccolo sorriso, mentre il bigliettaio gli chiese timidamente undici falci come compenso.
Severus ridusse gli occhi a due fessure mentre si frugava nelle tasche alla ricerca del denaro: porse poi le monete a Jack, che sembrava sull’orlo delle lacrime.

“Allora” disse quest’ultimo, intascando le falci: “Tornerai a trovarci, vero?”

“Non vedo perché no” rispose Severus soave, falso come Giuda: “Ora devo affrettarmi. Con permesso. Ah, può riprendersi il…”

Ma il Nottetempo stava già partendo, con Jack Picchetto che lo salutava dal finestrino sventolando un fazzoletto cremisi.

“… gelato” concluse Severus imbestialito.

 

***

 

Severus si rese conto di una cosa.
Jack Picchetto, troppo impegnato nella narrazione della sua radiosa vita famigliare, si era completamente dimenticato di dirgli il nome della tappa successiva ad Abergavenny.

In pratica, Piton non aveva la minima idea di dove si trovasse.

Dannazione. Poteva essere in pericolo.

Il pericolo… una sensazione quasi perpetua, che aveva aderito alla sua pelle insieme al Marchio Nero lo stesso giorno che questo gli era stato inciso nella carne. Da allora non se l’era mai scrollata di dosso, ogni cosa poteva rappresentare un insidia, un inganno.
Guardare in ogni direzione prima di procedere, essere veloci e scattanti in caso di attacco.
Essere pronti ad uccidere ed essere uccisi. 

Ma quel posto non sembrava nascondere nulla.
La cosa che gli balzò subito all’occhio era il perfetto, maniacale e in qualche modo inquietante… ordine
Case paurosamente uguali, balconi straripanti degli stessi identici fiori, alberi disposti a una distanza calcolata al millimetro. 
Severus Piton non riusciva a tollerare una manifestazione così palese di banale normalità.

Scosse nuovamente il capo, dandosi dell’idiota.
Cosa ci faceva ancora in quel posto? Si sarebbe dovuto Smaterializzare appena sceso dal Nottetempo. Fra una cosa e l’altra aveva sprecato quasi la metà del pomeriggio in emerite cretinate, e per di più aveva ancora quello stupido gelato in mano.

Eppure, c’era qualcosa che gli impediva di andarsene. Una strana sensazione di deja vu.

Di certo non era mai stato in quel quartiere, ma gli sembrava comunque famigliare: che qualcuno gliene avesse parlato?

“Hei, signore, ti togli dal marciapiede?” fece improvvisamente una vocina petulante dietro di lui.

Severus si voltò verso l’interlocutore.


Un bambino.


E con lui uno, due, tre, quattro bambini, di alcuni anni più grandi.
Cinque bambini in tutto.

 

Orrore.

 

In particolare gli faceva orrore quello che aveva parlato, l’unico che aveva il privilegio di deambulare con una biciclettina dall’aria molto costosa. 
Il bambino in questione, oltre ad essere grasso da far spavento, aveva la faccia di chi non ha ricevuto la benché minima educazione, che sia un rimprovero o una patacca sul sedere. 
La faccia di chi si crede al di sopra di tutto e tutti. La faccia di un bambino viziato e prepotente.
Insomma, una faccia da James Potter.

Incredibile come quasi tutti i pensieri sgradevoli di Piton sfociassero sempre in direzione di quel depravato di un Potter.

 
“Allora? Dobbiamo passare!” si lagnò il ragazzino con tono irrispettoso.

Troppo irrispettoso per Severus Piton.
Sul viso dell’uomo si aprì un ghigno sadico: sarebbe stato divertente umiliare quel surrogato di Potter davanti ai suoi amici.

“Che cosa hai detto, colesterolo?” chiese Piton con malignità, concentrando in quelle cinque parole tutta la bastardaggine della quale disponeva.

I compagni del bambino indietreggiarono. Uno sussurrò: “L’Uomo Nero dev’essere sordo”.

L’Uomo Nero?

 

“Ho… ho detto che dobbiamo passare” ripetè il bambino, le guance ciccione che tremolavano un po’ per il timore: “Spostati”.

Severus Piton non era un uomo di molte parole. Solitamente bastava il suo sguardo per ghiacciare il sangue nelle vene alle persone che lo infastidivano. Quindi, in pratica, tutte.

“Dud, andiamocene” fece un bambino in un bisbiglio terrorizzato.

Ma ‘Dud’ sembrava non sentirlo: abituato com’era ad averla sempre vinta, fissava shoccato lo sconosciuto. Eppure doveva saperlo che con l’Uomo Nero non si scherza.

Ma d’un tratto negli occhi del bambino si accese una scintilla di pura cattiveria. Smettendo di concentrarsi su Piton e guardando dietro di lui, cominciò a gridare a squarciagola: “POTTER! POTTER! POTTEEEEEER!”

In un lampo i ragazzini scattarono all’inseguimento di un bambino in lontananza e sparirono dietro una curva, lasciando basito il professore di Pozioni.

 

 

POTTER?!

 

 

 

Com’era possibile?

 

 

La prima cosa a cui Piton pensò fu: omonimia. Quanti Potter potevano esserci in Inghilterra?
Milioni?
Dopotutto lui non aveva visto in faccia il bambino, che era stato veloce a sparire dietro la curva.
O forse non c’era nessun Potter, e ‘Dud’ poteva aver urlato un nome qualsiasi a mo di diversivo.

C’era solo un modo per scoprire la verità.

Severus si mise a camminare in direzione dell’incrocio fra le due vie residenziali: dovevano pur esserci dei cartelli che indicassero la sua ubicazione…

L’unica certezza era che, ad ogni passo, quel luogo si faceva sempre più familiare…

Arrivò ai pressi del cartello.

Ora doveva solo alzare il volto verso la scritta, aprire lentamente gli occhi e constatare che si trovava precisamente a…

 

Privet Drive.

 

 

 

 

Privet Drive.

Privet Drive.

Privet Drive.

 

 

 

Dove Harry Potter viveva, protetto dall’Incanto Fidelius.

 

In un attimo i pezzi del puzzle si ricomposero mostrando la verità.

 

Sorte. Fato. Destino.

 

Cose alle quali Severus non aveva mai creduto.

Ma ora si sentiva come un burattino nelle mani di queste entità misteriose, un burattino in balia di una serie di eventi che l’avevano inevitabilmente condotto proprio a Privet Drive.

Un motivo ci doveva essere. Non poteva essere tutto casuale.

 

 

Erano passati quattro anni da quando aveva fatto a Silente quella promessa, e ne aveva fatto il suo scopo di vita: proteggere suo figlio. 
Cos’altro poteva fare?

 
E in quattro anni non c’era giorno in cui non pensava al momento in cui avrebbe incrociato di nuovo i suoi occhi, gli occhi di Lily Evans, incastonati nel viso dell’uomo che aveva odiato con tutto se stesso.

Oh, quegli occhi… un trionfo di verde incantevole, infinito, il ricordo più dolce che aveva e che avrebbe mai avuto. 
Non era pronto. Se quel momento era arrivato, lui non era pronto.

 

Perché sapeva che Harry non era lei.
Harry era il maledettissimo figlio di James Potter, con tutti i suoi infiniti difetti.
Era inutile cercare Lily in Harry.
Inutile e dannoso.
Ed era meglio così: meglio convincersi che di Lily non era rimasto niente, piuttosto che illudersi di rivederla negli occhi di suo figlio.

 

Per cui si guardò intorno, alla ricerca di sguardi indiscreti, accertandosi che non ci fosse nessuno.
Doveva Smaterializzarsi, e subito.

 
Guardò a destra, a sinistra, di fronte, dietro di se…

Guardò anche in alto.

E quando guardò in basso… fu investito da un bagliore verde.

 

 

 

~

“Allora? Ti piace qui?”
Severus occhieggiò la spiaggia affollata, la coda lunghissima al chiosco del gelato,
un gruppo di ragazzi dai fisici scolpiti che pedinavano due ragazzine ridacchianti,
il mare dalle acque cristalline dove galleggiavano sporadici rifiuti.
Poi osservò i capelli della ragazza danzare con la brezza marina,
e il sole scintillare nei suoi occhi.
 “Certo. Io… amo questo posto.”
Lily sorrise.
“Bene! Mi sentivo una rapitrice.”

~

*

 

  
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