Eccomi
col quarto capitolo! ^-^
Beh, dove siete finiti tutti? T_T Perché non recensite,
perchèèèè!
Ok, basta coi piagnistei.
Ringrazio Pervinca ( 1] Mi fa
piacere che ti abbia incuriosita
questa cosa, a me ha toccato molto la situazione famigliare di
Sev… purtroppo
di uomini come Tobias ce ne sono molti in giro. 2] Sì, al
litigio con Lily, ma
poteva essere inteso anche come la sua morte. 3] Aww! *_* Grazie per
aver
citato quella frase, credo sia una delle poche frasi più
significative che
abbia mai scritto! Sono d’accordo con quello che ritieni
abbia pensato Severus.
Per concludere grazie, grazie davvero), Allison ( erg,
mi dispiace deluderti, ma temo che la storia non andrà oltre
i venticinque anni
di Piton! ^^’’ Sorry… comunque grazie
mille dei complimenti, mi fanno molto
piacere! ) e le 20 persone che
hanno messo YGA nei
preferiti/seguite.
Grazie
a tutti! (_ _)
Well, vi auguro buona lettura! In questo capitolo ci sarà un
personaggio che certamente amate…
~
YOUR GUARDIAN ANGEL ~
*
Londra
– Luglio 1985
Capitolo
Quarto
*
Cuz you're my, you're my, my, my true love, my
whole
heart
Please don't throw that away
Cuz I'm here for you
Please don't walk away and
Please tell me you'll stay woah, stay woah
*
“Siamo
arrivati, amico” disse Jack
Picchetto mestamente: sembrava davvero dispiaciuto del fatto che
Severus
dovesse (finalmente) scendere dal Nottetempo.
Piton
si alzò lentamente dalla
scomodissima sedia sulla quale aveva passato l’intero
viaggio, e con lo sguardo
percorse ogni angolo dell’autobus, dandogli così
l’addio.
…
Stava
davvero diventando troppo
sentimentale.
Scosse il capo, per esorcizzarsi da quei pensieri inopportuni.
Il
silenzioso Ern lo salutò con un cenno
della mano e un piccolo sorriso, mentre il bigliettaio gli chiese
timidamente
undici falci come compenso.
Severus ridusse gli occhi a due fessure mentre si frugava nelle tasche
alla
ricerca del denaro: porse poi le monete a Jack, che sembrava
sull’orlo delle
lacrime.
“Allora”
disse quest’ultimo, intascando le
falci: “Tornerai a trovarci, vero?”
“Non
vedo perché no” rispose Severus
soave, falso come Giuda: “Ora devo affrettarmi. Con permesso.
Ah, può
riprendersi il…”
Ma
il Nottetempo stava già partendo, con
Jack Picchetto che lo salutava dal finestrino sventolando un fazzoletto
cremisi.
“…
gelato” concluse Severus imbestialito.
***
Severus
si rese conto di una cosa.
Jack Picchetto, troppo impegnato nella narrazione della sua radiosa
vita
famigliare, si era completamente dimenticato di dirgli il nome della
tappa
successiva ad Abergavenny.
In
pratica, Piton non aveva la minima idea
di dove si trovasse.
Dannazione.
Poteva essere in pericolo.
Il
pericolo… una sensazione quasi
perpetua, che aveva aderito alla sua pelle insieme al Marchio Nero lo
stesso
giorno che questo gli era stato inciso nella carne. Da allora non se
l’era mai
scrollata di dosso, ogni cosa poteva rappresentare un insidia, un
inganno.
Guardare in ogni direzione prima di procedere, essere veloci e
scattanti in
caso di attacco.
Essere pronti ad uccidere ed essere uccisi.
Ma
quel posto non sembrava nascondere
nulla.
La cosa che gli balzò subito all’occhio era il
perfetto, maniacale e in qualche
modo inquietante… ordine.
Case paurosamente uguali, balconi straripanti degli stessi identici
fiori,
alberi disposti a una distanza calcolata al millimetro.
Severus Piton non riusciva a tollerare una manifestazione
così palese di banale
normalità.
Scosse
nuovamente il capo, dandosi
dell’idiota.
Cosa ci faceva ancora in quel posto? Si sarebbe dovuto Smaterializzare
appena
sceso dal Nottetempo. Fra una cosa e l’altra aveva sprecato
quasi la metà del
pomeriggio in emerite cretinate, e per di più aveva ancora
quello stupido
gelato in mano.
Eppure,
c’era qualcosa che gli impediva di
andarsene. Una strana sensazione di deja vu.
Di
certo non era mai stato in quel quartiere,
ma gli sembrava comunque famigliare: che qualcuno gliene avesse parlato?
“Hei,
signore, ti togli dal marciapiede?”
fece improvvisamente una vocina petulante dietro di lui.
Severus
si voltò verso l’interlocutore.
Un bambino.
E con lui uno, due, tre, quattro bambini, di alcuni anni più
grandi.
Cinque bambini in tutto.
Orrore.
In
particolare gli faceva orrore quello
che aveva parlato, l’unico che aveva il privilegio di
deambulare con una
biciclettina dall’aria molto costosa.
Il bambino in questione, oltre ad essere grasso da far spavento, aveva
la
faccia di chi non ha ricevuto la benché minima educazione,
che sia un
rimprovero o una patacca sul sedere.
La faccia di chi si crede al di sopra di tutto e tutti. La faccia di un
bambino
viziato e prepotente.
Insomma, una faccia da James Potter.
Incredibile
come quasi tutti i pensieri
sgradevoli di Piton sfociassero sempre in direzione di quel depravato
di un
Potter.
“Allora? Dobbiamo passare!” si lagnò il
ragazzino con tono irrispettoso.
Troppo
irrispettoso per Severus Piton.
Sul viso dell’uomo si aprì un ghigno sadico:
sarebbe stato divertente umiliare
quel surrogato di Potter davanti ai suoi amici.
“Che
cosa hai detto, colesterolo?” chiese
Piton con malignità, concentrando in quelle cinque parole
tutta la
bastardaggine della quale disponeva.
I
compagni del bambino indietreggiarono.
Uno sussurrò: “L’Uomo Nero
dev’essere sordo”.
L’Uomo
Nero?
“Ho…
ho detto che dobbiamo passare” ripetè
il bambino, le guance ciccione che tremolavano un po’ per il
timore:
“Spostati”.
Severus
Piton non era un uomo di molte
parole. Solitamente bastava il suo sguardo per ghiacciare il sangue
nelle vene
alle persone che lo infastidivano. Quindi, in pratica, tutte.
“Dud,
andiamocene” fece un bambino in un
bisbiglio terrorizzato.
Ma
‘Dud’ sembrava non sentirlo: abituato
com’era ad averla sempre vinta, fissava shoccato lo
sconosciuto. Eppure doveva
saperlo che con l’Uomo Nero non si scherza.
Ma
d’un tratto negli occhi del bambino si
accese una scintilla di pura cattiveria. Smettendo di concentrarsi su
Piton e
guardando dietro di lui, cominciò a gridare a squarciagola:
“POTTER! POTTER!
POTTEEEEEER!”
In
un lampo i ragazzini scattarono
all’inseguimento di un bambino in lontananza e sparirono
dietro una curva,
lasciando basito il professore di Pozioni.
POTTER?!
Com’era
possibile?
La
prima cosa a cui Piton pensò fu:
omonimia. Quanti Potter potevano esserci in Inghilterra?
Milioni?
Dopotutto lui non aveva visto in faccia il bambino, che era stato
veloce a
sparire dietro la curva.
O forse non c’era nessun Potter, e ‘Dud’
poteva aver urlato un nome qualsiasi a
mo di diversivo.
C’era
solo un modo per scoprire la verità.
Severus
si mise a camminare in direzione
dell’incrocio fra le due vie residenziali: dovevano pur
esserci dei cartelli
che indicassero la sua ubicazione…
L’unica
certezza era che, ad ogni passo,
quel luogo si faceva sempre più familiare…
Arrivò
ai pressi del cartello.
Ora
doveva solo alzare il volto verso la
scritta, aprire lentamente gli occhi e constatare che si trovava
precisamente
a…
Privet Drive.
Privet Drive.
Privet Drive.
Privet
Drive.
Dove
Harry Potter viveva, protetto
dall’Incanto Fidelius.
In
un attimo i pezzi del puzzle si
ricomposero mostrando la verità.
Sorte.
Fato. Destino.
Cose
alle quali Severus non aveva mai
creduto.
Ma
ora si sentiva come un burattino nelle
mani di queste entità misteriose, un burattino in balia di
una serie di eventi
che l’avevano inevitabilmente condotto proprio a
Privet Drive.
Un
motivo ci doveva essere. Non poteva
essere tutto casuale.
Erano
passati quattro anni da quando aveva
fatto a Silente quella promessa, e ne aveva fatto il suo scopo di vita:
proteggere suo figlio.
Cos’altro poteva fare?
E in quattro anni non c’era giorno in cui non pensava al
momento in cui avrebbe
incrociato di nuovo i suoi occhi,
gli occhi di Lily
Evans, incastonati nel viso dell’uomo che aveva
odiato con tutto se stesso.
Oh,
quegli occhi… un trionfo di verde
incantevole, infinito, il ricordo più dolce che aveva e che
avrebbe mai avuto.
Non era pronto. Se quel momento era arrivato, lui non era pronto.
Perché
sapeva che Harry non
era lei.
Harry era il maledettissimo figlio di James Potter, con tutti i suoi
infiniti
difetti.
Era inutile cercare Lily in Harry.
Inutile e dannoso.
Ed era meglio così: meglio convincersi che di Lily non era
rimasto niente, piuttosto
che illudersi di rivederla negli occhi di suo figlio.
Per
cui si guardò intorno, alla ricerca di
sguardi indiscreti, accertandosi che non ci fosse nessuno.
Doveva Smaterializzarsi, e subito.
Guardò a destra, a sinistra, di fronte, dietro di
se…
Guardò
anche in alto.
E
quando guardò in basso… fu investito da
un bagliore verde.
~
“Allora?
Ti piace qui?”
Severus occhieggiò la spiaggia affollata, la coda
lunghissima al chiosco del
gelato,
un gruppo di ragazzi dai fisici scolpiti che pedinavano due ragazzine
ridacchianti,
il mare dalle acque cristalline dove galleggiavano sporadici rifiuti.
Poi osservò i capelli della ragazza danzare con la brezza
marina,
e il sole scintillare nei suoi occhi.
“Certo. Io… amo questo posto.”
Lily sorrise.
“Bene! Mi sentivo una rapitrice.”
~
*