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Autore: voiceOFsoul    03/05/2017    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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«Non trovi appropriata questa colonna sonora per il nostro nuovo incontro? Sembra surreale che ci ritroviamo a sentir parlare di vergini dopo quello che è successo l’ultima volta tra noi, non trovi? Come stai? Novità su quel fronte?» mi chiede.

Lo fisso senza dire una parola. Dario è rimasto il solito stronzo arrogante, pieno di sè come un palloncino che sta per scoppiare, tanto egocentrico quanto egoista, incapace di mostrare considerazione per chicchessia. Purtroppo non è cambiato neanche il suo essere maledettamente bello, con il viso dai lineamenti decisi, la barba appena rasata, gli occhi azzurro cielo che sembrano brillare di luce propria, il fisico perfetto da far schifo che si percepisce anche adesso che è al buio vestito in total black. Non so perché mi tornano in mente le immagini di quel pomeriggio alle medie in cui per la prima volta abbiamo lavorato insieme e poi di tutti quelli che ne seguirono a scambiare messaggi e a lanciarsi sorrisi durante la ricreazione. Non posso credere che quel bimbo in realtà così timido e dolce sia diventato l’uomo brutale che ho di fronte stasera e che ha stravolto la mia vita.

Continua a fissarmi con un sorriso malizioso e malevolo. Gli piace vedere che non riesco a rispondergli, è un animale che sente l’odore della paura e ne gode, se ne nutre come un parassita del suo ospitante. E, anche se ho cercato di non ammetterlo neanche a me stessa, lui ancora mi fa paura. Dario Simoni riesce ancora a mettermi in soggezione. Quanto posso essere stupida e debole?

Vedo Rebecca tra la folla, tra poco arriverà da noi e sento chiaramente quanto potrebbe essere deleterio il suo incontro con lui. In poche settimane è riuscito a distruggere la mia carriera alla SoftWaiting, non posso permettergli di provarci ancora. Rebecca non deve conoscerlo, non deve vederlo, non deve neanche sospettare della sua esistenza. Tanto meno lui deve sapere che sono qui per lavoro, il pensiero non deve neanche sfiorarlo altrimenti non si darebbe pace e continuerebbe a cercare un ulteriore modo per schiacciarmi. Devo riuscire a farlo allontanare e poi trovare il modo per sparire senza rovinare la serata a Rebecca o minare le possibilità della LambdaDev di far affari con Scherini e i suoi soci.

Non ho molto tempo per pensare perciò decido semplicemente di non farlo. Ancora senza nulla, mi sforzo di mimare un’espressione sull’orlo di una crisi di pianto, mi volto e mi allontano a passo svelto dalla pista verso una delle uscite che dà sul giardino. Gli anni passati a conoscerlo danno i loro frutti: in preda alla sua voglia di farmi ancora più male, mi segue  gongolando della sua presunta forza. A questo punto spero solo che Rebecca non si metta a cercarmi.


«Ma la sentite?» urla uno pseudo Steven Tyler, ridendo come un matto. «Se riescono ad applaudire lei per noi faranno crollare il palazzo!»

«Lasciala stare, è solo una ragazzina.» risponde il suo batterista, con la lunga mosca sotto il labbro come il vero Joey Kramer.

«Sai che gli farei io alla ragazzina?»

Decido che non voglio sentire altro da quei due e mi avvicino di più ai miei ragazzi. Adesso che siamo qui dentro con gli altri cinque della tribute band agli Aerosmith, la stanza inizia a starci un po’ stretta.

«Dove si sarà cacciato il Jackson-cubo?» chiede poco elegantemente Giorgio riferendosi alla stazza parecchio cicciottella del ragazzo che interpreta il King of Pop.

«Ha detto che usciva a prendere aria e ad ogni parola di quei due impasticcati laggiù mi convinco che abbia fatto bene.» Guardo l’orologio. «La ragazza ha iniziato da un paio di brani. Non dovremo esibirci prima di un’ora o forse più. Che ne dite di fare un giro in sala a rubare qualcosa dai banchi della gente ricca?»

Nessuno ha obiezioni al riguardo. Due minuti dopo giriamo già con i piatti pieni in mezzo a gente impegnata a far finta che gli ultimi trent’anni o giù di lì non siano mai passati. Non ho mai gran voglia di mangiare prima di un’esibizione, ma il fascino del buffet gratuito vince su tutto. Giorgio afferra un flûte di aperitivo analcolico poggiandolo in equilibrio sul piatto carico, sfiora la tragedia quando rischia di rovesciare tutto passando accanto a una sfrenata ed eccentrica cinquantenne vestita di bianco, ma riesce ad arrivare con il suo bottino sano e salvo dall’altro lato della sala.

«Per essere ricchi, fanno delle porzioni veramente da fame!» osserva con aria disgustata «Ho dovuto prendere quattro tramezzini per farne uno di dimensioni umane.»

«Mangiare non è chic!» risponde Emma scimmiottando i figli di papà.

«La mia pancia è poco chic e va benissimo cosi!» risponde lui addentando maleducatamente un sandwich e iniziando a masticarlo con la bocca aperta, proprio appiccicato al viso di lei che non riesce a smettere di ridere.

«Ecco MJ! È fuori in giardino.» ci informa Giacomo. «Guardatelo! È teso come una corda di violino, non riesce a star fermo.»

«Mi chiedo perché noi non siamo ugualmente ansiosi.» risponde Giorgio continuando a mangiare.

«Parla per te!» allungo la mano a mezz’aria per fare vedere come sto tremando. Ho cercato di non darlo a vedere finora, ma l’esito di stasera è davvero troppo importante per non agitarsi.

«Cos’è? Principi di Parkinson?» cerca di sdrammatizzare Giorgio. «No, davvero. Non puoi essere così agitato. Abbiamo suonato in pubblico non so più quante centinaia di volte. E siamo grandi, lo sai.»

«Sì, ma stasera ammetterai che non è la solita serata al pub di Steve, no?» indico nuovamente la sala piena di gasati più o meno attempati con un ampio gesto del braccio. «Non mi sembra che qui ci sia il nostro pubblico né tanto meno i nostri amici.»

«Tom, sei il nostro frontman, non puoi essere tu ad avere la tremarella.» mi incita Alfredo. «Non vederla come un colloquio di lavoro perché non lo è. Se siamo qui significa che il colloquio lo abbiamo superato, De Blasi non avrebbe mai rischiato una figuraccia né avrebbe perso il suo tempo con noi se non credesse che piaceremo anche ai suoi soci. Perciò adesso vai lì, dove è MJ, stai un po’ a prendere fiato come lui, ti schiarisci le idee e poi torni qui e spacchi. Ci siamo capiti?»

Non rispondo, mi limito ad annuire con un gesto del capo. Come sempre, Alfredo dimostra di sapere cosa dire e quando dirlo. Non servirà a nessuno che io me la faccia sotto e rischi di sbagliare, nella serata che potrebbe significare tutto per noi. Devo sciogliermi, renderla più easy. Quando mi vedeva troppo teso prima di una serata, Simona aveva i suoi metodi per farmi rilassare. E sì, funzionavano!

Mi scappa da ridere. Ci ho pensato davvero? E davvero ci ho pensato senza accompagnarlo con un senso di rabbia? Davvero lei ormai non è altro che questo? Non c’è più amore in me per lei, né odio, né rancore. Solo ricordi conditi di nulla.

C’è un’altra cosa che ha sempre funzionato per sciogliere la tensione. Vado in fretta all’open bar e chiedo due Vodka-tonic. Li afferro entrambi e vado fuori. Incrocio MJ, che è rientrato in vista della sua prossima esibizione. Sono da solo. L’aria è fresca, ma un velo di umidità la rende più pesante. Sento l’erba crepitare sotto la suola delle scarpe mentre mi incammino verso uno degli alberi. Mi siedo accanto alle radici, incrocio le gambe e butto giù il primo vodka-tonic come fosse acqua liscia. Lo stomaco mi brucia per la botta improvvisa. Scivolo con la schiena appoggiata lungo il tronco finché non ho una buona visuale del cielo. Porto alle labbra il secondo bicchiere e lo sorseggio piano, fissando il telo blu della notte. Peccato che di stelle se ne vedano poche, c’è qualche nuvola che disturba lo spettacolo. Il bruciore allo stomaco viene sostituito da una piacevole sensazione di calore che dall’ombelico si dirama al resto del corpo. La testa si fa meno pesante e l’ansia sembra solo un lontano ricordo. La vodka a stomaco vuoto è sempre stata meglio di una camomilla!

La musica arriva alle mie orecchie ovattata e si mescola con il suono che fa la lieve brezza che si è alzata andandosi a infiltrare tra le foglioline d’erba che tremano al suo passare. Le nuvole camminano placide coprendo quel po’ di meraviglia che si riusciva ad apprezzare. Che palle! Stacco lo sguardo dal cielo e mi osservo intorno. Il giardino che sembrava così piccolo guardandolo dall’interno, in realtà si trasforma in un piccolo boschetto preceduto da una piccola siepe che impedisce di capire quanto sia profondo. Scruto gli alberi di fronte a me, ma non un raggio di luce li attraversa. Sento muovere le foglie e mi convinco che ne stia per uscire un cagnolino o un gatto, sorrido aspettando che arrivi pronto a regalargli due coccole prima di rientrare. Le foglie rumoreggiano più forte e la siepe si muove come se stesse per cadere. Ne esce fuori una coppia abbracciata, tanto stretta da non riuscire a distinguere i contorni di nessuno dei due. Istintivamente decido di voltarmi, più per mio pudore che non per il loro, è possibile che siano tanto ubriachi da non accorgersi neanche di me. Mi alzo e, dopo essermi spazzolato un po’ i pantaloni con le mani, afferro i due bicchieri di plastica. Quei due non fanno il minimo rumore, si sentono appena dei mugolii. Sorrido pensando a quando anche io finivo le feste appartato in giardino con Simona. Mi avvio verso l’entrata cercando di non far troppo rumore per evitare di disturbarli.

«Aiuto.»

Appena prima di chiudere la porta finestra nuovamente alle mie spalle, qualcosa di strano mi blocca. Non sembrava un mugolio, ma potrebbe essere stata la mia immaginazione. Resto fermo sulla soglia aspettando di sentire qualcos’altro.

«Aiuto!»

«Zitta, stronza.»

Stavolta sono certo che non può essere solo frutto della mia mente. Torno sui miei passi e torno a guardare il giardino. I due non ci sono più. Mi concentro sul boschetto per vedere se qualche movimento possa farmi capire dove si siano cacciati. Chiudo la porta fingendo di essere rientrato e aspetto in silenzio una traccia da seguire.

I mugolii ritornano ma questa volta sono chiaramente lacrime soffocate. Tendo l’orecchio, ma non riesco a capire dove si trovi.

«Aiuto...» lo sento di nuovo, più flebile, quasi rassegnato.

Il rumore di una zip che scende mi fa gelare il sangue nelle vene.

Vaffanculo, devo muovermi. Non cerco più di far piano. Chiunque lui sia e qualsiasi cosa stia facendo, spero che mi senta e si fermi. La siepe si muove all’improvviso, allungo il passo per raggiungere il posto.

Non guardo la scena, con una forza che non ho mai avuto sollevo di peso il ragazzo e lo spingo lontano. Cade a terra, ma il suo sguardo non è per nulla sorpreso o spaventato. Sorride, mi sta sfidando.

«Tranquillo, ce n’è per tutti.» dice fissandomi negli occhi mentre si rialza.

Sento le ragazza piangere alle mie spalle.

«Stai zitto, pezzo di merda.» Quasi non credo di essere davvero io a parlare. L’adrenalina miscelata alla vodka può davvero fare miracoli. «Ti senti uomo? Ti senti forte? Prenditela con uno della tua stazza.»

Il suo ghigno non cessa, mi si avvicina a passo sicuro mentre le mie gambe iniziano a ricordarsi che la vodka le ha fatte rammollire. Lo osservo e mi chiedo che cosa cazzo mi sia passato per la testa: non mi ero accorto che fosse più alto di me e, a quanto fa capire la maglietta attillata, molto più muscoloso. Mi fissa negli occhi senza cedere la sfida, il  mezzo sorriso bastardo gli inarca le labbra verso destra. Guarda per un attimo alle mie spalle, verso la ragazza.

«È tutta tua.» sussurra.

Mentre si allontana senza voltarci le spalle, non smette di ridere.


Non posso crederci. Non so di cosa essere più stupefatta, di essere stata tanto iellata da incontrarlo proprio adesso che mi sono liberata di un altro psicopatico, di essere stata tanto stupida da credere che ritrovarmi da sola con Dario fosse una situazione che potevo controllare o di essere stata salvata dall’ultima persona che mi sarei mai aspettata di incontrare.

Non si è mosso finché non l’ha visto scomparire dietro la porta finestra e perdersi di nuovo tra la folla. Si è voltato verso di me, ha sgranato gli occhi e non ha detto una parola.

«Grazie.» Con poca grazia mi sollevo da terra, spolvero i vestiti con le mani, controllo che non ci siano strappi.

Tommaso continua a fissarmi, come se non mi stesse realmente vedendo.

«Strano ritrovarsi così, vero?» cerco di rompere l’atmosfera di gelo che ancora è tangibile.

«Sei...» lo dice così piano che lo sento a stento.

«Ti sei già dimenticato di me?» gli chiedo, non credendoci davvero.

«Sì… No... Cioè… cosa ci fai qui?»

«Mi faccio buttare a terra da ragazzi poco raccomandabili.» Mi pento di questa battuta di quarto grado non appena finisco di dirla. Stringe le sopracciglia in uno sguardo di rimprovero. «Scusami, volevo solo sdrammatizzare. Sono a Roma per lavoro con una mia collega. Abbiamo un evento aziendale domani sera e stiamo cercando di intraprendere una partnership con gli organizzatori di questa serata di beneficenza. Non immaginavo certo che finisse così, mi pare inutile sottolinearlo.»

Ancora silenzio.

«Stai bene?» mi chiede infine.

«Grazie a te, sì. Mi hai salvato. Sembra che tu sia molto bravo in questo.»

«E che tu sia molto brava a cacciarti nei guai.»

Lo dice che con un tono un po’ troppo forte, lo stomaco mi si contrae.

«Beh… io...»

«Scusa Ramona, non volevo insultarti. Ho bevuto a stomaco vuoto e sono anche parecchio in ansia. E questo...» passa entrambe le mani tra i capelli «Sicura di stare bene?»

«Io sì, te lo giuro. Tu, però, mi stai facendo preoccupare.»

«Non volevo. Tutto questo mi ha fatto salire l’adrenalina d’improvviso e non sto riuscendo a calmarmi al momento.»

Seguo l’istinto e gli prendo le mani, entrambe, le stringo tra le mie.

«Stasera ho incontrato uno dei demoni del mio passato e credo che tu sia diventato una specie di mio angelo custode, Tom. Ti racconterò cosa è successo non appena sarà il momento, ma adesso devi solo respirare profondamente e fare quello che sai fare meglio.»

«Intendi, salvarti dai piccoli psicopatici che ti circondano?» gli scappa una piccola risata.

«Non te la prendere, ma spero che tu non debba più farlo.» rido anch’io.

Sto tenendo ancora le sue mani. Tom mi attira verso di sé, mi abbraccia, mi stringe a sé forte, accarezzandomi la schiena attraverso il giubbino.

«Ti sei calmato un po’?» gli chiedo con il viso affondato nell’incavo del suo collo.

«Quasi.» sussurra.

Le sue mani salgono velocemente a raccogliermi il viso. Mi guarda un instante, il tempo di un rullo di tamburi sul cuore, poi poggia le labbra sulle mie e tutto svanisce.
   
 
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