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Autore: Elis9800    03/05/2017    2 recensioni
[...]
Hinata sbatté la testa contro il cuscino, incavolato. Non credeva fosse tanto difficile catalogare una persona sotto la sezione “amico”, “amante”, “compagno” e così via…
E, d’improvviso, l’immagine della mano di Kageyama sopra il suo petto lo colse di sorpresa.
Le guance gli divennero calde e un fremito lo percorse.
Kageyama… che cosa era per lui? Era soltanto un amico? Era soltanto un compagno di squadra? Era soltanto la creatura con cui si connetteva alla perfezione mentre erano in campo?
[...]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Shouyou Hinata, Tadashi Yamaguchi, Tobio Kageyama, Yachi Hitoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tempo al tempo




 
“Per oggi basta così! Vi siete allenati abbastanza, pulite tutto e dritti filati a casa a riposare, mi raccomando” esclamò, con la faccia bonariamente minacciosa, il coach Keishin Ukai, rivolgendosi, in particolar modo, a due giocatori che parevano non volerne sapere di abbandonare la palla.
“Questa è l’ultima, lo promettoooo!” urlò un ragazzo dai capelli color del tramonto, spiccando letteralmente il volo per colpire un’alzata perfetta.
Il coach scosse la testa, rassegnato. Era impossibile far ragionare quei due…
Una bella ragazza bionda al suo fianco li guardava con gli occhi a cuoricino. Non avrebbe mai smesso di emozionarsi o, tantomeno, stancarsi di vedere quel magnifico duo in azione, nonostante ormai fossero passati quasi tre anni.
Il rumore del pallone schiacciato a terra con un tonfo secco risuonò nell’intera palestra.
“Adesso avete finito” sentenziò Ukai Jr, acchiappando al volo la palla e fulminandoli con lo sguardo.
“Dovresti dare il buon esempio tu… che capitano saresti altrimenti?” lo rimbeccò il coach, mentre i componenti della squadra sorridevano loro malgrado.
In fondo, il rosso era fatto così, cambiare per lui sarebbe stato impossibile.
“Mi dispiaaace, è solo che vorrei sempre allenarmi di più e il tempo pare non bastarmi mai… però ha ragione, coach. Forza ragazzi, a riordinare!” trillò poi cambiando tono, sfoderando uno dei suoi sorrisi splendenti come il sole, in contrasto con i visi incupiti dei pallavolisti.
“Dopo tutto questo tempo non ho ancora capito da dove tu prenda tutto questo entusiasmo… posso comprendere quello per la pallavolo, ma anche per la pulizia della palestra…”
Il tono del biondo ragazzo occhialuto era scostante e sprezzante. Il solito, insomma.
“Su Tsukki, non fare sempre il polemico e aiutami a sistemare la rete” intervenne Yamaguchi, tirandolo via per la maglietta.
Hinata sorrise guardandoli da lontano. 
Il rapporto tra quei due era finalmente diventato paritario. Tadashi adesso rimproverava Kei molto più spesso, divenendo uno dei pochissimi cui desse retta.
Senza di lui sarebbe stata dura, pensò con un sospiro, guardando i capelli neri del ragazzo ondeggiare, trattenuti dal codino alto. Aveva deciso di farli crescere l’anno precedente e gli donavano parecchio.
“Ehi, idiota d’un Hinata! Muovi il culo e dammi una mano!” sbraitò un tizio dalla chioma liscia e scura e il volto tanto cupo da far paura. 
Shoyo, però, non si fece certo intimidire: can che abbaia non morde.
Dopo che tutti ebbero finito, si riunirono attorno al rosso, che allargò le braccia come se volesse abbracciarli tutti.
“Sono davvero contento dei miglioramenti ottenuti ogni giorno che passa! E tra qualche settimana avremo anche l’occasione di perfezionarci ancora, durante il ritiro a Tokyo. Voglio il massimo da ognuno di voi!” esclamò, fissando gli occhi di tutti i compagni che ricambiarono lo sguardo, sorridendo risoluti.
Nessuno di loro, in quel momento, teneva conto che quel capitano non arrivasse al metro e 70. Nessuno di loro faceva caso al fatto che fosse il più basso di tutti.
Erano tutti troppo concentrati sull’aura di energia, determinazione e coraggio provenienti da quel piccolo corpo, e il loro rispetto deriva proprio da quello.
Hinata, dal canto suo, non avrebbe mai creduto d'arrivare fino a quel punto. 
Se qualcuno, molti anni addietro, gli avesse rivelato “Sai che diventerai il capitano della fortissima Karasuno, la squadra che più ammiri fra tutte?”, non l'avrebbe mai preso sul serio.
Il suo era sempre stato un sogno, una cosa ridicola…
E, invece era divenuta la realtà. 
Certo, non era più la squadra di due anni prima, quella che lo aveva fatto arrivare ai Nazionali per la prima volta e gli aveva regalato emozioni su emozioni, risate, lacrime, paure e tanto, tanto coraggio. 
Non c’erano più Daichi, Asahi, Suga, Tanaka, Noya e tutti gli altri… ne aveva nostalgia, naturalmente, e gli mancavano davvero tanto sul campo.
Ma non si faceva abbattere. 
Sapeva che nessuno di loro aveva abbandonato la pallavolo. Alcuni continuavano a giocare in squadre universitarie sfidandosi in tornei d'alto livello, come il vecchio affidabile capitano e il dolcissimo Sugawara, altri ancora nelle associazioni di quartiere e al brillante libero Yuu era stata persino offerta la possibilità d'entrar a far parte di una squadra professionale, in cui spiccava come non mai. Le sue Rolling Thunder erano ormai diventate famose.
Insomma, nessuno fra loro aveva rimpianti e, anzi, si potevano ritenere tutti soddisfatti delle scelte perseguite.
Quella che adesso il piccolo capitano aveva davanti agli occhi, era una squadra nuova in cui riponeva la massima fiducia. Fiducia che anche i suoi senpai gli avevano ampiamente concesso, anni prima. 
Ed era felice. 
Era felice di poter condividere ancora l’emozione di far parte di un gruppo unito e compatto in cui non prevalessero le abilità di un singolo, ma quelle dell’intera squadra. 
Era questo il loro motto. Uno stormo di corvi che, assieme, sarebbe riuscito a spiccare ovunque il volo.
“Sì, capitano!” urlarono 15 voci in coro, scuotendo Shoyo dai propri pensieri.
Dopodiché iniziarono a uscire, stanchi ma eccitati dal ritiro imminente.
“Yacchan… oggi torni a casa da sola?” chiese sommessamente Yamagughi, con le guance lentigginose color porpora mentre si rivolgeva alla graziosissima manager.
“Sì… non voglio che Hinata-kun faccia strada in più troppo spesso, deve già affrontare un viaggio lungo ogni giorno” spiegò la ragazza bionda mentre si sistemava la giacca e la borsa a tracolla. 
Hinata, infatti, aveva l’abitudine d'accompagnarla a casa qualche volta, specialmente quando terminavano molto tardi con gli allenamenti.
“Ecco… se ti va, possiamo tornare insieme… sempre che non ti dispiaccia” si affrettò ad aggiungere precipitosamente Tadashi, scuotendo le mani in avanti. 
Dietro di lui, Tsukishima ridacchiò. Non credeva che quello scemo avesse finalmente trovato il coraggio di sputare il rospo, nonostante i due fossero piuttosto in confidenza, ormai.
Hitoka arrossì lievemente. Nemmeno lei credeva più che quel ragazzo tanto timido quanto carino le facesse quella proposta.
“Volentieri” annuì sorridendo e prendendolo a braccetto. L’influenza della sorellona Saeko le aveva fatto perdere parte del suo eccessivo timore nei confronti del mondo e l’aveva resa leggermente più intraprendente.
Shoyo spalancò gli occhi quando li vide e non riuscì a trattenere un urletto di gioia. 
Kei lo smorzò subito stampandogli una mano in faccia.
“E’ inutile che ti agiti tanto presto, stanno soltanto tornando a casa assieme” sibilò il centrale, stizzito.
Hinata lo sguardò male da sotto in su. 
Quel dannato era cresciuto ancora in quegli anni e la faccenda lo faceva imbestialire non poco.
“Che c’è di male ad essere contenti? E poi, il mio era un incoraggiamento. Non fai anche tu il tifo per lui, Tsukishima? Non saresti contento se si mettessero finalmente insieme?” chiese il capitano, imbronciato ed eccitato al tempo stesso.
“Da come parli sembra che le vada dietro da un’eternità… e comunque, è naturale che sarei felice per lui” precisò, sistemandosi gli occhiali e uscendo dalla palestra tutto impettito.
“Quello spilungone… non gli va bene mai niente. Insomma, non è normale essere allegri quando due si innamorano?” chiese spontaneamente il rosso, chiudendo a chiave la struttura e incamminandosi verso la sua bici. 
Il destinatario della domanda non rispose subito. 
Stava pensando…
Due che si innamorano è una notizia felice… ma lo è meno nel caso in cui l’innamorato sia solo uno.
“Che ti succede, Kageyama? Anche tu non la pensi così? Avete tutti il cuore di ghiaccio eh…” osservò Hinata scuotendo la testa. 
Un colpo secco gli arrivò sulla nuca.
“Come ti permetti a dire cose del genere, idiota d’un Hinata!” sbottò il setter, guardandolo in cagnesco.
“Ma è la verità” si lamentò il ragazzo, massaggiandosi la testa. Era mai possibile che dovesse colpirlo qualunque cosa dicesse?
“E’ solo che non siamo tutti così spensierati come te, idiota. Mettersi assieme è una cosa seria” farfugliò il corvino, senza guardarlo.
“Beh, sarà seria, ma nasce da una cosa semplicissima” rispose il rosso, iniziando a pedalare per evitare che il compagno lo picchiasse ancora.
“Semplicissima?” ripeté Tobio, fissandolo in tralice.
“Se due si amano, si mettono insieme. Non credo sia poi così complicato… penso che siate voi a rendere difficili cose che invece non lo sono affatto” concluse Hinata con una scrollata di spalle.
Kageyama rimase interdetto. 
Certo, a parole sembrava tutto così immediato e facile…
“E ti sembra una cosa da niente confessare i propri sentimenti per qualcuno?” ribatté Kageyama, quasi aggredendolo.
“Beh, se si prova qualcosa, non è naturale dirla? E se si ha paura a farlo con le parole, esistono sempre i gesti… insomma, è impossibile tenersi dentro una cosa tanto bella come l’amore. O almeno credo... E poi, in fondo, cosa si dovrebbe temere a dire ciò che si pensa?” fu l’ultima frase udibile alle orecchie del corvino.
Hinata aveva iniziato il suo ritmo incalzante di pedalata e nessuno gli sarebbe potuto stare dietro a piedi. Stava tornando a casa.
“Si ha paura d'esser rifiutati…” gli rispose mentalmente Tobio, guardandolo sfrecciare via.
 

 
***


Il giorno dopo era domenica mattina. 
Una bellissima e assolata mattinata di fine primavera che permetteva agli abitanti di Miyagi di passeggiare tranquillamente per le vie e concedersi un po’ di riposo dalla frenetica settimana lavorativa. Similmente era quello che facevano i pallavolisti della Karasuno, stremati da sei giorni di allenamenti in palestra e studio nelle aule.
Per Shoyo, quello era invece il giorno in cui poteva dedicarsi ai suoi piccoli amici del ginnasio comunale.
Si riunivano giovani di tutte le età, ma coloro che prediligevano Hinata, oltre che a prenderlo sempre sul serio, erano i bambini delle elementari, desiderosi d'apprendere le fondamenta della pallavolo.
Quell’attività per il rosso, oltre che servire come allenamento extra per esercitarsi a giocare con qualsiasi persona e a qualunque livello, era piacevolissima e divertente, ed era un modo per aiutare tutti coloro che, per un motivo o per un altro, non potevano praticare quel fantastico sport. 
Si rivedeva molto in quei ragazzini che avevano cercato d'imparare da soli, aiutandosi a vicenda per come potevano, senza però giungere a risultati brillanti. 
Così aveva deciso di fare loro da “maestro”, sebbene fosse la parola meno appropriata per il suo ruolo: era essenzialmente una sorta di fratello maggiore che li seguiva passo passo. 
Sorrideva sempre al ricordo della difficoltà con cui, ormai al liceo, aveva dovuto memorizzare i rudimenti della pallavolo come il palleggio e la ricezione, eccellendo soltanto nelle azioni più complicate. E sorrise ancora al pensiero della pazienza infinita che Suga, Daichi e gli altri membri della squadra gli avevano riservato. 
La stessa che, adesso, esercitava con i suoi piccoli allievi, che aspettavano le domeniche con trepidante attesa. 
Non era molto, ovviamente, il tempo che poteva dedicargli, ma per loro era già abbastanza.
Durante le giornate di sole, proprio come quella, si spostavano sempre nel campetto all'aria aperta poco distante la palestra.
Appena giunti, si misero subito all’opera. 
Hinata li divideva sempre in gruppetti e ad ognuno assegnava un fondamentale da imparare, per poi farli ruotare tra loro, cosicché tutti apprendessero le medesime basi. 
Lui passava di volta in volta e cercava di prestare loro attenzione, per quanto possibile, alla stessa maniera.

“Oggi stanno schiacciando” commentò la proprietaria della bancherella di dolciumi posta proprio dinanzi al campetto.
Capitava spesso, infatti, che scorgesse quel gruppetto allenarsi, sempre seguendo le indicazioni dal medesimo ragazzo.
“E migliorano?” chiese una delle sue solite clienti, la signora Watanabe.
“Beh, non posso dirlo con certezza, considerando che li vedo solo quando c'è bel tempo… però credo di si. Quella bambina con le treccine, ad esempio, non riusciva a far passare il pallone dall’altra parte fino a qualche tempo fa” rispose la dolciaria con un sorriso.
“Quel giovanotto deve impegnarsi molto con loro” esclamò la signora, osservando da lontano gli strani gesti che il rosso compiva per far comprendere ai ragazzi la dinamica del movimento del pallone, per quanto gli consentissero le sue capacità. 
“Uno yogurt, per favore” brontolò una voce brusca alle spalle delle due figure.
"Certo, caro” rispose la donna al ragazzo dai capelli lisci che passava di lì per puro caso e che si era anch’egli fermato ad osservare il campo da pallavolo sull’altro lato della strada.

Dopo aver pagato, attraversò la carreggiata e si sedette su una panchina all’ombra di un grande ciliegio, che la oscurava quasi interamente alla vista con i suoi lunghi rami.
Tobio stava attentamente osservando Hinata farsi alzare la palla da un bambinetto con gli occhiali per mostrare una schiacciata di primo tempo, finché delle voci femminili non invasero prepotentemete le sue orecchie.
“Se ti piace così tanto perché non vai a presentarti, Akane?” sbottò una ragazza con un guinzaglio in mano mentre cercava di tenere a bada il cagnolino nero dal pelo lungo e riccio.
“Ma che cosa dici! Non potrei mai… non ne ho il coraggio, ecco. E poi, secondo me, è già impegnato…” rispose l’amica al suo fianco, sospirando.
“E tu che ne sai? Te l’ha detto tua sorella?” rincarò la dose l’altra, indicando il campo davanti a loro.
Kageyama drizzò immediatamente le orecchie.
“No, è solo una mia idea… è troppo carino per non avere una ragazza”
“Convinta tu…”
“Ma è palese! Dai, guardalo. Ha un faccino talmente tenero… e quei capelli rossi sono bellissimi, per non parlare di quanto è figo mentre schiaccia. Sembra prendere il volo! E poi, ama i bambini! Ha una pazienza infinita ed è sempre pieno di entusiasmo” sentenziò la suddetta Akane, sognante.
“Peccato che, probabilmente, sia a malapena più alto di me” la stroncò l’amica tirando indietro il cane, che sembrava terribilmente infastidito da qualcosa.
“Insomma, Noriko! Non è carino da dire. Non ci può fare nulla se non è così alto... E comunque, io sono più bassa di te, quindi il problema non si porrebbe” precisò subito la ragazza mentre l’amica ridacchiava.
“E dire che ha 18 anni… oppure tua sorella ti ha detto una bugia?”
“Sei davvero perfida oggi, Noriko. Non avrebbe motivo di mentirmi!”
“Sto scherzando Akane, rilassati. Non ti arrabbiare, penso anch'io che sia davvero un ragazzo carino e molto bravo a giocare a pallavolo, nonostante l'altezza. Per questo motivo ti dico di andare da lui a parlargli. Potresti sfruttare il fatto che tua sorella si allena con loro ogni domenica… passandola a prendere, ad esempio. Gli diresti che Ryoko non fa altro che raccontare di lui, di quanto sia bravo eccetera, e da lì... attacchereste bottone facilmente” concluse semplicemente Noriko.
“La fai facile tu, che sei bellissima e hai tutti i ragazzi ai tuoi piedi” mugugnò tristemente Akane.
“Ah, questa è bella! Da quando avrei tutti questi spasimanti?” rispose l'altra mentre si allontanavano dal punto in cui era seduto Kageyama.
Il corvino si sporse leggermente dalla propria posizione per cercare di scorgere quelle due prima che uscissero totalmente dalla sua visuale. 
Quella tipa, Akane, sebbene si lamentasse di non essere bella come l'amica, non era per nulla male… anzi, era proprio graziosa, con le lunghe trecce castane e gli occhi chiari. 
Ed era anche piuttosto bassina… quanto Yachi, per la precisione.
Il suo sguardo s'incollò nuovamente sulla figura mingherlina che saltava di qua e di là per il campo.
In quei due anni Hinata era diventato ancora più carino e, nonostante fosse cresciuto soltanto di 5 cm in altezza, non consentendogli nemmeno di arrivare al metro e 70, aveva sviluppato qualche muscolo in più rispetto al primo anno, che ora gli delineava addome, braccia e gambe. 
I capelli rossi erano arruffati come sempre ma leggermente più folti, capaci di ricadere maggiormente sul suo viso delicato ma dai lineamenti più adulti, mentre gli occhi castano chiaro erano pieni di vita come sempre. 
Era naturale che potesse piacere… 
Così naturale che, però, non aveva mai riflettuto attentamente su un possibile coinvolgimento emotivo di quell’idiota con una ragazza. 
Non si confidavano certo tutto, ma Tobio poteva dirsi alquanto sicuro di sapere che Hinata non avesse mai avuto una relazione stabile.
Certo, non sapeva avesse già avuto qualche esperienza di quel tipo con qualcuna… 
La sola ipotesi gli dava su i nervi. 
Così come l’idea che quella ragazza carina di poco prima gli andasse a parlare quel pomeriggio… 
Ma cosa poteva fare lui? Di certo non fermarla.
“Magari potresti confessargli quello che provi…” fu la lontana voce della sua coscienza, che il corvino non esitò a reprimere in un millisecondo.
Che assurdità. 
Non era nemmeno un concetto contemplabile.
Aveva preso la sua decisione due anni prima: il suo strano e malsano sentimento non avrebbe mai abbandonato la sua mente. Magari sarebbe morto con lui, anche se sperava che si sarebbe affievolito appena le loro strade si fossero divise.
Perché sarebbe successo… e si sarebbe verificato anche a breve, pensò con un sussulto.
Tobio aveva sempre cercato di allontanare il pensiero della sua vita futura, ripetendosi che avrebbe avuto ancora molto tempo davanti a sé e fino a quel momento era sempre riuscito a scacciarlo via… 
Ma quella volta, l’incombenza della realtà che si avvicinava sempre di più, non gli consentì di fuggire.
Lui e Hinata, probabilmente, non si sarebbero visti mai più.
Davanti a lui lo attendeva una carriera all’interno della Nazionale, che lo aveva già convocato per un colloquio l’anno precedente. 
Avevano già eseguito il primo passo dopo averlo invitato a partecipare al Raduno Nazionale Giovanile in seguito alla vittoria con la Shiratorizawa al primo anno; 12 mesi dopo, il manager della squadra titolare nipponica gli aveva formalmente proposto di unirsi a loro, appena terminati gli studi. 
Il suo, sarebbe stato simile al cammino intrapreso da Ushijima Wakatoshi.
Sarebbe stato suo compagno di squadra… 
L’idea non lo faceva di certo impazzire, ma in fondo, chi se ne fregava. Si parlava della nazionale Giapponese!
L’entusiasmo gli moriva, tuttavia, al pensiero che questo avrebbe significato il non poter più far schiacciare… quell’idiota di Hinata.
La oro accoppiata era ormai conosciuta in tutto il paese con nomignoli sempre diversi: il “duo disumano”, il “duo micidiale”, il “duo stramboide” e altri fantasiosi epiteti di vario genere. Nessuno, però, era in grado di conoscere e mai avrebbe potuto percepire la chimica che li legava. 
Nessuno avrebbe mai capito davvero che quei due si comprendevano con uno sguardo, con un singolo gesto e agivano di conseguenza ai cambiamenti della loro aura… 
Erano connessi, mentalmente… e perfino fisicamente. 
I movimenti di uno terminavano nell’altro, come se fossero un tutt’uno.
Un brivido gli percorse la schiena e il cuore prese a martellargli nel petto al rivedere tutte quelle immagini nella sua testa.
Tobio non aveva mai provato tanta soddisfazione quanto quella di far schiacciare il piccoletto. 
Certo, non possedeva neanche lontanamente una potenza disarmante quanto Ushijima o Bokuto… non riusciva ancora ad esercitare tecniche efficaci come l’ex capitano della Wakutani… e non aveva minimamente l’altezza imponente di Lev… 
Eppure, si trovava sempre nel punto esatto al momento esatto. 
Avrebbe sempre, sempre preso la sua alzata, per quanto difficile, veloce, alta, bassa o vicina alla rete che fosse… 
Lui avrebbe colpito con tutto se stesso il pallone, arrivando alla vetta, scavalcando il muro e facendo punto. 
Non avrebbe mai perso la voglia di migliorarsi, non si sarebbe mai lasciato abbattere o intimidire da una possibile sconfitta... 
Ma avrebbe sempre mantenuto quegli occhi decisi e irremovibili, che incutevano persino timore per quanto fossero puri, ad incoraggiare i compagni e a far comprendere agli avversari che lui non avrebbe perso. 
Occhi che avrebbero infilato a forza nelle nella testa di tutti che lui, Hinata Shoyo, nato nel cemento, non si sarebbe mai arreso e sarebbe arrivato in cima, lasciando tutti a bocca aperta. 
Lasciando senza parole lo stesso Kageyama fin dalla loro prima partita delle medie, la prima e ultima giocata da avversari. Il corvino aveva compreso che ci fosse qualcosa di straordinario in quel ragazzino già nel momento in cui l’aveva incontrato all’uscita dalla palestra comunale, mentre lacrime calde, sincere e disarmanti gli scendevano dalle palpebre. Lacrime che accompagnavano e scandivano le sue parole risolute, le quali proclamavano che lui non si sarebbe mai arreso e, anzi, avrebbe continuato a rimanere in campo.
E Tobio… inspiegabilmente lo aveva preso sul serio. Aveva accettato e custodito le frasi di sfida che il rosso gli aveva lanciato.
L’alzatore sorrise amaramente mentre finiva di mangiare il suo yogurt.
Per la verità, il suo obiettivo iniziale era far crollare quel ragazzino tanto minuto, calpestarlo fino a fargli comprendere la cruda realtà della vita, ovvero che senza talento non si può andare da nessuna parte.
Eppure… Hinata lo aveva strabiliato. Gli aveva fatto rimangiare la parola, lo aveva quasi costretto ad alzargli la palla tanto si era dimostrato capace di vincere… e aveva finito con l’aiutarlo. L’aveva aiutato a smettere d'essere il “Re del campo”, quel re dispotico che i componenti della Kitagawa Daiichi e se stesso tanto disprezzavano. 
Era stato solo grazie a quel piccoletto, se adesso Tobio poteva dirsi davvero felice di giocare a pallavolo.
Dapprima non era altro che una mera sfida tra se stesso e le sue abilità, con il solo scopo di scoprire quanto al limite potesse spingersi.
Adesso, invece… non vedeva mai l’ora di potersi connettere all’intera squadra… e di fondersi con il suo piccolo, ma infinitamente grande, schiacciatore.
Tornò a guardare Hinata consolare un bimbo che non riusciva a schiacciare come avrebbe voluto e, inconsciamente, un sorriso gli si disegnò sulle labbra allo sguardo preoccupato del capitano della Karasuno. 
Quell'idiota, aveva ancora l’abitudine d'entrare nel panico ogni qual volta succedesse qualcosa d'imprevisto… o quando si ritrovasse davanti persone spaventosamente più grandi di lui.
Del resto, l’età non fa la maturità, pensò ghignando.
I cupi pensieri sul futuro furono momentaneamente spazzati via dal sorriso splendente che si aprì sul volto di Hinata Shoyo. 
 

 
***


“Ehiii, Yamaguchi… come mai quel sorrisetto estatico?” lo rimbeccò Hinata dopo essere entrato molestamente nella classe sua e di Tsukishima ed essersi accoccolato sulla sedia davanti al compagno.
“Eh? Che sorrisetto?” rispose il ragazzo con le lentiggini, confuso ma felice al tempo stesso.
“Dai, non fare il finto tonto! Quello che hai stampato in faccia! Avanti racconta, cosa è successo?” rincarò la dose il rosso con gli occhi colmi di curiosità.
“Sei molesto…” commentò il biondo occhialuto mentre addentava il suo sandwich al prosciutto.
“No, è che… ecco… ti ricordi che… sabato sera ho riaccompagnato a casa Yacchan?” iniziò a raccontare Tadashi, le guance che s'arrossavano. 
Nel frattempo anche Tobio era entrato nella loro classe e aveva iniziato a seguire il discorso.
“Certo che mi ricordo! Ed ero felicissimo, vero, vero Kageyama?” esclamò Hinata girandosi verso l’alzatore, che però si limitò a guardarlo male.
“Ecco, quella sera… abbiamo parlato tanto io e lei e… e le ho chiesto se le avesse fatto piacere uscire assieme qualche volta… magari andare a mangiare qualcosa o al cinema…” aggiunse, imporporandosi sempre di più. 
Hinata, invece, non smetteva di muoversi dall’impazienza.
“E lei… mi ha detto che ne sarebbe stata contentissima… e così, domani sera, dopo l’allenamento…abbiamo ecco… un appuntamento?” 
Terminò la frase quasi fosse una domanda, come se non ci credesse nemmeno lui a quanto appena affermato.
Shoyo dalla felicità saltò in aria fin quasi a toccare il soffitto dell’aula.
“Ma è una cosa fantastica Yamaguchiiii! Tu e Yacchan avete un ap-” ma venne bruscamente interrotto da Kageyama che gli tappò la bocca con la mano.
“Zitto idiota, vuoi farlo sapere all’intera scuola?” lo rimproverò, ma il ragazzo si divincolò subito, buttandosi quasi su Tadashi.
“Sono troooppo felice per te! Spero davvero che vi mettiate assieme, saresti così carini” esultò spontaneo come sempre, facendo divenire il viso del pinch server definitivamente rosso come un peperone.
“Io, invece, non capisco proprio perché tu sia così insicuro di te stesso” sibilò a un tratto Kei, guardando l'amico. 
Lo infastidiva molto che paresse non rendersi conto del suo valore.
Tadashi sembrò non capire.
“Per una volta concordo con Tsukishima! Insomma, Yamaguchi: devi avere più fiducia in te stesso! Sei alto, alto per la miseria! E sei diventato un mostro con la battuta al salto flottante! Hai perfino mantenuto la promessa di due anni fa, realizzando 10 punti consecutivi in partita! Sei migliorato tantissimo e hai fatto tutto da solo… con il nostro supporto e quello di Shimada-san, ovviamente, ma è tutta farina del tuo sacco! Nessuno ti ha regalato niente. Nemmeno l’appuntamento con Yacchan è stato un miracolo! Mettitelo bene in testa, capito?” concluse Hinata, guardandolo fisso negli occhi… con quegli occhi tanto penetranti che fecero sobbalzare Tadashi.
Tobio lo guardava meravigliato. 
Come diavolo faceva la sua testa a mescolare tanto infantilismo e tanta maturità? 
Le frasi con cui se ne usciva erano sempre scioccanti. Non ci avrebbe mai fatto l’abitudine. Soprattutto quando rendeva tanto semplici concetti così grandi, così contorti…
“Lo farò, Hinata. Grazie mille” disse Yamaguchi con lo sguardo serio. 
Una nuova consapevolezza sembrava averlo colpito in pieno.
Suo malgrado, a Kei sfuggì un sorriso. 
C’era un motivo se quella testa vuota era diventata il loro capitano, in fondo.
Shoyo annuì sorridendo e uscì velocemente dall’aula così come vi era entrato, seguito a ruota da Kageyama che voleva approfittare dell’occasione… per chiarirsi un dubbio.
“Ehi idiota d'un Hinata…”
“Mmm?” rispose l’interessato, addentando voracemente il suo pranzo.
“Tu… ecco, hai ricevuto… cioè per caso… hai incontrato recentemente una ragazza con le trecce castane e gli occhi verdi?” chiese quasi sbuffando l’alzatore, senza guardarlo in viso.
Il rosso ci pensò un po’ mentre masticava il suo onigiri.
“In effetti… sì, ne ho incontrata una domenica pomeriggio. Perché?” domandò, deglutendo rumorosamente. 
Guardarlo mangiare era raccapricciante.
Tobio tossì e un senso di pesantezza lo attanagliò.
“No, ecco, per curiosità… è che l’ho incontrata per strada e mi ha chiesto se ti conoscessi… magari ti avrà visto in giro e sapeva che fossimo, ecco, amici… oppure… boh” 
Il discorso di Kageyama non stava molto in piedi né sintatticamente né contenutisticamente parlando, eppure Hinata non sembrò farci troppo caso. 
Stava ancora pensando.
“Ah sì?” mugugnò distrattamente, terminando di masticare. 
“Era venuta a prendere sua sorella alla palestra comunale… e ci siamo messi a parlare, una roba così” concluse semplicemente mentre finiva di spazzolare i rimasugli del suo box del pranzo.
Kageyama lo guardò male. 
Non poteva uscirsene soltanto con “una roba così”. 
Che diamine voleva dire? Cosa gli aveva detto quella ragazza?
“Voleva qualcosa da te?” non riuscì a trattenersi dal domandare.
“Niente di particolare. Mi ha solo detto che la sua sorellina parla spesso di me a casa e che sono molto bravo a giocare a pallavolo… e poi mi ha chiesto quanti anni avessi e se fossi impegnato. Tutto qui” aggiunse, scrollando le spalle.
A Tobio mancò un battito. 
Tutto qui? Tutto qui? Come cazzo faceva a liquidare un palese segno di interessamento con una frase del genere?
“Scusa ma… tu cosa le hai risposto?” sbottò, cercando di non rimanere vittima di una crisi nervosa.
Il rosso lo guardò confuso, come se la sua fosse una domanda terribilmente stupida.
“Cosa avrei dovuto risponderle? La verità no? Che ho 18 anni e che non sono impegnato” ribatté.
"Calmo, calmo, Tobio. Va tutto bene. Non uccidere questo idiota, cerca di controllarti" si disse mentalmente il setter.
“E lei… non ha insistito su nient’altro?” riprovò, cercando di usare il tono più noncurante che avesse.
Hinata sembrò rifletterci su.
“In effetti, ha aggiunto qualcosa al riguardo. Mi ha chiesto se fossi interessato a conoscere una ragazza e avere con lei una relazione” 
Lo disse con tanta tranquillità che per poco Kageyama non lo strozzò.
A quel punto non sapeva se Hinata fosse davvero stupido o proprio non possedesse la facoltà intellettiva del distinguere un discorso normale da un’avance.
“E io ho risposto di no a entrambe le cose” concluse poi il capitano, evitando all’alzatore l’umiliazione di chiedergli ancora dettagli in merito. 
Quest’ultimo tentò comunque un’ultima strada.
“E come hai trovato quella ragazza?”
“Beh, era molto carina” proferì il rosso, annuendo energicamente.
"E tu sei infinitamente stupido" si disse il corvino mentre lo trafiggeva con gli occhi.
“E… ecco, non ti avrebbe minimamente interessato conoscerla?” 
Tobio sapeva che quella, più che una conversazione, sembrava un interrogatorio.
“Non saprei onestamente. Magari se fosse stata simpatica” rispose Shoyo illuminandosi.
Kageyama non ce la fece più. 
Senza dire una parola si allontanò dal rosso, annuendo distrattamente. 
Hinata lo guardava interdetto.
Che diamine gli era preso?


Inutile dire che l’alzatore si sentì infinitamente più leggero sapendo che quella ragazza non avesse provocato alcuna particolare reazione a Shoyo. 
Certo, non sapeva ancora come tradurre il fatto che non avesse nemmeno pensato che quella tizia ci stesse provando con lui… ma in fondo, tutto di guadagnato. 
Più ignorava le ragazze che gli andavano dietro, meglio era per lui. 
Nella sua mente, Hinata non doveva appartenere a nessuno. 
Non avrebbe davvero sopportato di vederlo con qualcuno a fianco… e al solo pensiero che quel corpo si sarebbe unito a un altro… un brivido gli percorse la schiena. 
Solo lui poteva fondersi con Hinata.
Era il suo prolungamento, la sua “metà”.
Eppure… non lo avrebbe mai potuto avere per sé…
Il dolore alle nocche, dopo aver sbattuto il pugno sull’armadietto, lo fece riscuotere.
 


Quella sera, l’allenamento fu più intenso del solito. 
Tutti i membri della squadra erano distrutti e piombarono a terra per una pausa. 
Hinata ne approfittò per bere un po’ d’acqua. A volte, era difficile per lui interrompere il ritmo senza fine a cui era abituato, ma doveva tenere sempre conto dei suoi compagni e dei loro normali tempi di ripresa. 
Notando la propria maglietta inzuppata di sudore, decise di sfilarsela e tamponarsi direttamente la pelle con l’asciugamano.
Kageyama, non molto lontano da lui, non esitò a lanciargli un’occhiata di sottecchi.
Cazzo, quanto era allettante quella pelle lattea… quanto sembravano chiamarlo quegli addominali finemente disegnati, quelle spalle così sottili ma forti al tempo stesso… 
Poi, vide una macchia su quella pelle che lo disturbò. 
Non prestò nemmeno attenzione a ciò che stava facendo, fu quasi un movimento involontario per lui.
“Che ti sei fatto qui?” furono le parole che gli uscirono dalla bocca mentre con la mano calda gli andava a toccare la zona diaframmatica, subito sotto il pettorale destro. Fu un attimo. 
Una scossa elettrica lo pervase dalla testa ai piedi e tolse la mano dal corpo di Hinata di scatto, come se si fosse bruciato.
“Sc-scusa” mormorò imbarazzato, arrossendo violentemente. “Non volevo, è che… ho visto il livido, e...” ma fu interrotto.
“Non ti… preoccupare” 
La voce di Shoyo era… strozzata?
L’alzatore lo guardò e… sembrò scorgere, nella sua espressione, le stesse sensazioni provate da lui pochi attimi prima.
“Ho sbattuto contro il palo della rete… niente di grave” aggiunse il rosso con un tono strano.
Lo stava guardando. 
I suoi grandi occhi castani avevano un punto interrogativo stampato sulle pupille e parevano penetrare quelli blu di Tobio, che alla fine dovette distogliere lo sguardo.
“Idiota, vedi di non farti male sul serio allora!” sbraitò di scatto, allontanandosi da lui. 
Aveva il corpo in fiamme.
Dal canto suo, Hinata non si mosse. 
Quella mano… la mano che tante volte Kageyama aveva aizzato contro la sua testa per colpirlo… quella volta era stata così… gentile, calda… morbida…
Inconsciamente posizionò il suo palmo nel punto esatto in cui lo aveva toccato il compagno.
Che anche l’alzatore fosse stato colpito dalla sua stessa scossa elettrica?
Più che una domanda, era una speranza.
 


Appena tornato a casa, Shoyo si buttò sul letto, esausto.
Era stata una giornata intensa sotto molti punti di vista. 
Aveva la testa che scoppiava di pensieri, di congetture assurde e chi più ne ha chi più ne metta… tutte riguardanti un unico ragazzo. 
Si rese subito conto che Kageyama si fosse comportato stranamente già a partire dalla mattina, quando gli aveva rivolto fin troppe domande su quella ragazza della domenica precedente. 
Non che loro due non parlassero della loro vita privata, ma era davvero raro che discutessero di ragazze. 
Ad esempio, non aveva idea dello stato relazionale del compagno. Credeva che fosse single solo perché lui non lasciava intendere il contrario.
Che lo strano approccio di qualche ora prima fosse un mero tentativo dell’alzatore di parlare di qualche ragazza?
Hinata fece una smorfia. 
Lui era la persona meno adatta. 
Si era tanto sforzato, in quegli anni, di provare attrazione sessuale nei loro confronti… 
Eppure, aveva sempre, miseramente, fallito. 
Ammetteva che ve n'erano alcune di carine e riconosceva una bellezza quando la vedeva… ma la cosa finiva lì. 
Non ne aveva mai baciata nessuna e mai ne aveva sentito il bisogno. 
Sapeva che non era una cosa normale… e sapeva anche che non avrebbe potuto continuare per sempre quello stato di astinenza.
Anche perché lui non era certo asessuato. 
Aveva la necessità di sfogare i propri istinti come chiunque altro… solo, era stato difficile capire inizialmente perché con lui non funzionasse il metodo “tradizionale”: riviste pornografiche di belle ragazze svestite, video su Internet di ogni genere… niente; le donne lo lasciavano indifferente. E non poteva certo continuare a darsi piacere non pensando a niente, agitando solo meccanicamente la mano…
“L’illuminazione” arrivò, per la prima volta, durante un ritiro estivo, due anni prima.
Si trovava a Tokyo con la vecchia Nekoma e, una sera, riuniti tutti insieme a parlare di ragazze, uscì il discorso della popolarità dei ragazzi fra le donne e il nome di Kuroo-san fece capolino.
Shoyo non gli aveva prestato attentamente attenzione… in generale, infatti, non si soffermava molto sia sulle ragazze e sia sui ragazzi, sebbene questo lo credesse più un fattore abitudinario. 
Comunque, quando quella sera si ribadì più e più volte che Kuroo fosse uno degli studenti più belli della palestra e del suo successo fra il gentil sesso, al rosso venne l’idea di iniziare ad osservarlo con maggior occhio dal giorno seguente. 
Operazione che si concluse prima del previsto nelle docce in comune.
Era l’ultimo giorno del ritiro, tutti avevano fretta di sciacquarsi per andare ad abbuffarsi di carne e nessuno, Kuroo compreso, fece caso al fatto che Hinata lo stesse fissando insistentemente da quando erano entrati per lavarsi. 
Il rosso gli squadrò la schiena muscolosa e liscia, il sedere sodo e perfetto, gli addominali scolpiti e i pettorali invitanti; il viso, deformato in un perenne ghigno, non faceva che aumentare lo charme di quel ragazzo… E non appena si buttò sotto l’acqua, bagnando quel corpo da modello, e, per un gesto istintivo, si sfiorò inavvertitamente il membro a riposo… 
Hinata ebbe un’erezione.
La sorpresa trasfigurò il viso del rosso, mentre uno strano calore gli avvolgeva il basso ventre.
Riuscì, fortunatamente, a nascondere la prova del misfatto, a vestirsi in tempo record e, nonostante non fosse del tutto lucido, la giornata proseguì tranquillamente… 
Tuttavia, una volta tornato a casa nel suo letto… gli bastò ripensare a Kuroo, per farglielo venire duro. 
Così, ebbe il primo orgasmo della sua vita pensando a un uomo nudo. Il primo di una lunga serie.
Eppure, Shoyo non aveva mai tentato un approccio diretto con il suo stesso sesso. 
Non solo perché non avesse la più pallida idea di come agire… ma, soprattutto, poiché non credeva di provare particolari sentimenti per qualcuno. 
Poteva dirsi eccitato alla vista di un bel ragazzo magari, sebbene non ve ne fossero così tanti di suo gusto vicini a lui, ma quella straordinaria sensazione chiamata “amore”… non pensava di averla mai percepita.
Si ritrovava fin troppo spesso a chiedersi sconsolato cosa diamine fosse, l’amore. 
Per una persona spontanea e vitale come lui, che riusciva sempre a cogliere il lato positivo delle situazioni… cosa ci sarebbe stato di diverso dal solito? 
Che razza di legame univa una coppia? 
Che emozioni si dovevano provare per essere innamorati di qualcuno?
Il problema, per il rosso, non era ammettere a se stesso un sentimento palese… ma era cercare di assegnargli un nome e una forma.
Provò a fare mente locale delle persone innamorate che conoscesse.
Ciò che provava Yamaguchi per Yacchan glielo si leggeva chiaramente in faccia ogniqualvolta la guardasse. Arrossiva, diventava ancora più timido e cercava di starle il più vicino possibile.
A Bokuto-san… beh, brillavano sempre gli occhi quando guardava il suo Akaashi, e quest’ultimo si prendeva cura in ogni modo possibile del suo compagno. Il loro legame era così intimo e tenero da far sorridere ogni volta Shoyo, il quale, quando era venuto a sapere della loro relazione qualche anno prima, non ne era rimasto così sorpreso come ci si potesse aspettare. Vedeva, anzi, in loro una sorta di prototipo di coppia ideale… che gli faceva comprendere che anche lui avrebbe presto trovato un ragazzo da amare…
Reazione differente era stata, invece, quella che aveva avuto per l’amico Kenma, di cui tutto poteva aspettarsi tranne il suo finire assieme a quel felino di Kuroo. 
Non poteva fare a meno di provare un pochino di gelosia, al pensiero che avesse quel bellissimo corpo tutto per sé… ma era ugualmente felice per lui.
Era soprattutto da quest’ultima coppia che Hinata traeva spunto. 
Mentre per le prime due, infatti, era palese un interesse reciproco più o meno accentuato… non aveva mai notato che Kuroo provasse qualcosa per il suo alzatore, né tantomeno il contrario. 
C’era comunque da tener conto che i due si conoscessero da una vita… e che, probabilmente, le fondamenta della loro relazione fossero nate proprio negli anni precedenti.
Hinata sbatté la testa contro il cuscino, incavolato. 
Non credeva fosse tanto difficile catalogare una persona sotto la sezione “amico”, “amante”, “compagno” e così via…
Poi, d’improvviso, l’immagine della mano di Kageyama sopra il suo petto lo colse impreparato.
Le guance gli divennero calde e un fremito lo percorse.
Kageyama… che cosa era per lui? Era soltanto un amico? Era soltanto un compagno di squadra? Era soltanto la creatura con la quale si connetteva alla perfezione mentre erano in campo? Era soltanto… un corpo capace di farlo eccitare?
Shoyo chiuse gli occhi e si morse il labbro, furente.
Quel dannato… gli pesava ammetterlo, ma era già da un po’ di tempo che il suo piacere si scatenava proprio a causa sua. 
In un primo momento, gli era sembrata quasi una cosa normale, come era stato per Kuroo sotto la doccia: non credeva di provare particolari sentimenti verso di lui, eppure era stato in grado di farlo venire solo al pensiero…
La faccenda, però, si era fatta via via più problematica con il passare dei mesi. 
Ormai, l’unico metodo per far fomentare Shoyo… sembrava il dover pensare unicamente al suo alzatore, al suo sguardo tagliente, alle sue mani e braccia che tante volte scagliava contro di lui…
Ma credeva che anche quello fosse un fenomeno, per così dire, “naturale”, solo una faccenda fisica magari… 
Aveva anche cercato di non dar importanza al fatto che l’avesse sognato più di una volta… 
Il loro rapporto reale, del resto, era sempre rimasto invariato.
Però, quella sera era accaduto qualcosa di differente.
Era capitato più volte che Kageyama alzasse le mani su di lui e ci aveva anche fatto l’abitudine… tuttavia, non era mai successo che gli facesse quasi una carezza in una zona del corpo di solito coperta agli occhi.
Probabilmente, rivedendo la scena dall'esterno, poteva apparire un’azione quasi normale… un semplice gesto di premura da parte di un amico.
Peccato che quell’alzatore non lo avesse mai graziato di tali gentilezze.
“Per quale motivo oggi se n’è uscito in quel modo?” si chiedeva ossessivamente, sfiorandosi il petto.
Ma non era solo quello… 
Anche il suo sguardo era stato… come poteva dire… più dolce, sebbene fosse durato soltanto un attimo.
Che si stesse soltanto creando problemi inutili?
In fondo, l’indomani sarebbe tutto tornato come prima… no?
Cercando di reprimere a fatica la confusione che albergava nella sua mente, si buttò sotto le coperte, sperando di trarre qualche giovamento dal sonno.
 

 
***


“Ragazziii, ascoltate qua, ho una proposta da farvi!” esclamò Hinata allegro, riunendosi con i tre compagni del terzo anno.
“Ho paura ogni volta che sento le tue idee…”
“Taci, brutto quattrocchi. Ormai manca meno di una settimana al ritiro, giusto? Ecco, Kenma mi ha chiesto se ci andava di unirci tutti e quattro a lui, Kuroo, Akaashi, Bokuto e gli altri del terzo anno della Nekoma, dopo esserci allenati! Tutti quanti a Tokyo, nella vera città insomma! Una specie di vacanze pre-esami, che ne dite?” 
Hinata sembrava un bambino cui i genitori avessero appena comunicato un viaggio a Disneyland.
“Sarebbe una cosa fighissima” esultò Tadashi e a quanto pare fu l’unico a condividerne l’entusiasmo.
“E gli allenamenti dove li metteresti in tutto questo?” sbraitò Kageyama.
“In effetti è strano che proprio tu proponga un viaggio non finalizzato alla pallavolo” aggiunse Tsukishima, guardandolo in tralice.
“Sarebbe solo un fine settimana! E poi torneremmo subito qui a spaccarci il culo in vista dei primaverili… sarebbe anche un modo di stare insieme per l’ultima volta dato che… insomma… prenderemo tutti strade diverse…”
Il tono di Shoyo si incrinò leggermente e fu subito percepito dai tre ragazzi, in particolar modo da Tobio, che si incupì e guardò tristemente, senza farsi notare, il piccolo schiacciatore.
“In fondo… una vacanza magari non ci farebbe male…” sussurrò, guardando intensamente il pavimento.
“Davvero?? Vuoi dire che possiamo andare??” 
Shoyo sembrò rinascere di colpo e guardò il setter con occhi talmente estatici da costringerlo a rivolgere nuovamente il viso altrove o sarebbe di certo arrossito.
“Da come parli, sembra che sia il Re a doverci dare il permesso d'andare” ghignò Kei, guadagnandosi un’occhiata assassina dall'interessato.
“Beh, è sempre quello più problematico da convincere…” spiegò il rosso, schivando un pugno del corvino.
“Su, non litigate…” cercò di mettersi in mezzo Tadashi con un sorriso accomodante.
“E chi vuole perdere tempo a litigare con questo idiota…”
Non era la prima volta che Kageyama se ne usciva con frasi del genere, tuttavia, il tono usato in quel momento fu più scostante e sprezzante del solito.
Si accorse subito dell’espressione lievemente ferita sul volto di Hinata… e si maledisse mentalmente per quanto detto. 
Non poteva farci nulla: trattarlo e rispondergli male era l’unico modo con cui riusciva a non cedere ai suoi sentimenti repressi.
“Quindi siamo d’accordo. Dico a Kenma di prenotare due stanze in un albergo? Mi ha detto che ci avrebbe pensato lui…” aggiunse il rosso dopo una rapida pausa.
“Due?” fu l’eco di Tobio.
“Sì, ci mettiamo due per stanza, no? Non ha senso spendere soldi prendendo una singola per ognuno” rispose Yamaguchi, come se la cosa fosse abbastanza ovvia.
“Sarà interessante scoprire chi dei due ammazzerà l’altro durante la notte” gongolò il biondo, rivolgendosi al duo micidiale.
A Kageyama il sangue gelò nelle vene. 
Un fatto era dormire in una stanza comune tutti assieme… ma trovarsi vicino solo ed esclusivamente ad Hinata per due intere notti…
Il cuore gli batteva forte e gli risuonava nelle orecchie tanto da non udire quello che i compagni stavano dicendo davanti a lui.
“Ehi Re! Stai ascoltando?” 
Kei era perplesso mentre osservava attentamente la faccia sudata e tesa dell’alzatore.
“Ti chiedevamo se fosse un problema per te dormire con Hinata. Se pensi che litighereste anche per chi debba utilizzare per primo il bagno, allora possiamo fare a cambio”
Nonostante le migliori intenzioni di Tadashi, la faccia disgustata di Kei fece ben intendere che non avrebbe per nulla gradito finire in camera con uno dei due.
“No… va bene così” borbottò preso alla sprovvista l’alzatore e il suo sguardo incontrò quello del rosso. 
Per poco non strabuzzò gli occhi. 
Che Hinata avesse interpretato quel suo comportamento come un rifiuto di stare assieme a lui? 
Il suo viso, nonostante continuasse a sorridere… era come se si fosse spento. 
“Bene, allora gli invio subito un messaggio” li informò congedandosi, senza però guardare il setter.
“Hai litigato con Hinata?” gli domandò a bruciapelo Tsukishima, dopo essersi accertato che il piccoletto fosse fuori portata d’orecchie.
“Eh? N-no…” farfugliò il corvino, confuso per quella domanda diretta.
“Sembravi piuttosto imbarazzato prima… sicuro che non sia successo nulla?” chiese anche Yamaguchi e le lentiggini scure, che spiccavano sui lineamenti delicati, gli conferivano un’aria ancor più premurosa del solito.
“Sicurissimo! Non capisco perché vi preoccupiate senza motivo” reagì Tobio irascibile come suo solito, aggrottando la fronte e le sopracciglia scure.
“Ci preoccupiamo perché non vogliamo problemi inutili durante il ritiro” ribatté secco il biondo, guardandolo dall’alto del suo nuovo metro e 92.
“Tsukki, quanto sei insensibile…” lo rimproverò il compagno con uno sguardo severo.
“Non è solo per questo, ovviamente. E’ che… non so Kageyama, ultimamente mi sembra che tu lo stia trattando peggio del solito. Hinata non ci fa mai caso… ma penso che a lungo andare la cosa possa buttarlo un po’ giù, così mi chiedevo se ci fosse stata una ragione particolare…” concluse Tadashi, guardando il corvino.
Tobio lo fissò sorpreso. Che voleva dire?
“Peggio del solito?” sussurrò, senza apparentemente capire.
“Nel senso che durante gli allenamenti non gli parli nemmeno più, le cose gliele urli sempre addosso. E’ come se tu lo aggredisca sempre…” azzardò il ragazzo moro.
L’alzatore fece mente locale degli ultimi giorni. 
In effetti, riflettendoci bene, forse aveva leggermente esagerato con il rosso… e, casualmente, il suo atteggiamento era peggiorato dalla sera in cui gli aveva appoggiato la mano sul petto con sfacciata confidenza.
Che la sua mente avesse reagito inconsciamente per proteggere ciò che provava?
“Non me n'ero accorto” mormorò grattandosi la testa, interdetto.
A Kei non sfuggirono quelle espressioni e iniziò rapidamente a collegare tutte le frammentarie reazioni, apparentemente immotivate, di quella testa calda avvenute nel corso del tempo che coinvolgevano anche Hinata.
“Se fossi in te, mi scuserei” scherzò Yamaguchi, ma rimase basito quando l’alzatore annuì, soprappensiero. 
Si scambiò una rapida occhiata con il biondo.
Lui che avrebbe chiesto scusa a Hinata?
 

 
***


I giorni trascorrevano veloci. 
La Karasuno era sempre più eccitata per l’inizio delle vacanze estive e il ritiro a Tokyo che si sarebbe svolto da lì a due giorni.
Anche Shoyo non vedeva l’ora di partire, sia perché gli era nettamente mancato giocare con la Nekoma, capitanata quell’anno dal gigante Lev che tanto agognava battere, e sia perché l’idea di ritrovarsi con tutti gli ex componenti delle squadre più forti che conosceva, nonché suoi cari amici, lo eccitava da morire.
A smorzare il suo entusiasmo era, però, il pensiero di dover condividere la stessa camera di Kageyama. 
I problemi erano principalmente due: non sapeva se il suo fisico avrebbe retto all’eccitazione che quel corpo gli provocava ed era fermamente convinto che il compagno non volesse stare con lui. 
Quell’ultimo pensiero lo rendeva particolarmente triste. 
Insomma, erano amici da ben tre anni ormai…
“Palla, Hinata!” gli gridò l’alzatore, incitandolo a schiacciare.
Shoyo si scosse dai suoi pensieri e iniziò a prendere la rincorsa… ma la consueta occhiata che scagliava al compagno prima balzare in aria… quella volta non venne ricambiata. 
Un po’ interdetto, saltò più in alto che poté e colpì la palla un po’ male, sebbene l’avesse schiantata a terra ugualmente dall’altra parte della rete.
“Ma dove guardi, idiota!!” gli urlò contro Kageyama, che l’aveva visto proiettarsi troppo a sinistra rispetto alla palla.
“Scusa… ero distratto” rispose velocemente il rosso. 
Del resto, non poteva certo dirgli che stava occhieggiando lui e che si aspettava che lo guardasse a sua volta…
“Beh, faresti meglio a concentrarti come si deve se hai intenzione di migliorare un briciolo! Che pensi di ottenere altrimenti?!” 
L’alzatore continuava ad urlare mentre si avvicinava sempre di più al capitano, che lo guardò confuso da quella reazione.
“Credi che possa esserci sempre io a pararti il culo eh, idiota?! Pensi che le tue schiacciate mediocri possano essere utili senza un’alzata dignitosa, se non ti applichi come si deve?! Ti rendi conto che, da solo, non puoi andare proprio da nessuna parte?!”
Kageyama lo aveva preso dal collo della maglietta e l'aveva sollevato da terra, quasi senza accorgersene.
Hinata, dopo un attimo di totale spaesamento, provò a divincolarsi.
“Ma che cazzo ti prende?! Cosa ti ho fatto, si può sapere? Perché ce l’hai tanto con me?!” sbraitò con gli occhi che bruciavano. 
Era davvero stanco di essere trattato al pari di una pezza da quel pazzotico.
“Sono giorni e giorni che m'insulti e te la prendi con me per qualsiasi cosa! Parla una buona volta o smettila di trattarmi come fossi una tua marionetta!” aggiunse furioso, fissandolo negli occhi blu. 
Fu decisamente troppo, per Tobio.
“Ma di cosa dovrei mai parlare con un idiota come te?! Non capiresti! Non capisci proprio nulla tu, sembri un demente bravo solo a ridere e sghignazzare!!” 
Le parole di Kageyama apparivano come lame affilate e colpirono più e più volte il rosso.
Il corvino aveva la mente annebbiata. 
Non riusciva a ragionare lucidamente. 
L’unico suono che la sua mente pareva trasmettergli, era lo sprazzo di conversazione udito qualche ora prima alla pausa pranzo, mentre prelevava dalla macchinetta un brik di latte.

"Si danno proprio da fare i tipi del club di pallavolo” aveva detto un tizio, indicando la palestra da cui provenivano i suoni attutiti di palloni.
“Puoi dirlo forte, sono tanti assatanati! Però sono bravi, bisogna ammetterlo” fu la risposta di un altro.
“Li avete mai visti giocare? Ce n’è uno in particolare che è pazzesco” ghignò un terzo.
“Parli del piccolo rosso? Dicono che sembri volare quando schiaccia”
“Proprio lui. Ed è anche il capitano…” aggiunse la voce ghignante.
“Eh?! Capitano? Ma se è un tappo, ahahah”
“Sarà anche un tappo, ma io una bella botta gliela darei.”
Alle parole di quella voce gongolante, Kageyama si paralizzò. 
Furia e destabilizzazione si fusero assieme.
“Masao!” sibilò una voce scandalizzata.
“Beh, che c’è? Io dico apertamente quello che penso, lo sai. Quel tappetto si è fatto davvero carino e non mi dispiacerebbe per nulla divertirmi un po’ con lui. Tra l’altro, non sono mai stato con un rosso e già m'immagino tutti i peli del suo inguine di quel color carota… mi eccita solo pensarci” sghignazzò ancora, tra le risate isteriche degli altri due.
“Se ti piace così tanto, perché non ci provi?” gli consigliò uno.
“Ma non sai se è interessato ai ragazzi!” lo contestò un altro.
“Secondo me, non gli dispiacciono per nulla. Non l’ho mai visto con una ragazza, nonostante ne abbia parecchie al seguito, soprattutto tra quelle del primo anno… chiunque ne avrebbe approfittato, non credete? Nah. Secondo me, invece, ha una storia con qualche suo compagno di squadra” rivelò, con voce falsamente enigmatica, il più insopportabile tra i tre.
“Davvero? E chi potrebbe essere?” chiesero gli amici stupiti.
“Ci scommetto tutto quello che volete che ha una tresca con il suo alzatore. Quei due sono troppo in sintonia… avranno trovato il ritmo perfetto mentre quello scorbutico se lo alzava per bene” ridacchiò malevolmente.
Tobio, in un primo momento, non si accorse del leggero rigonfiamento tra i suoi pantaloni. 
Credeva di essere accaldato solo per la rabbia delle insinuazioni di quei tre bastardi… ma poi, l’immagine di lui che possedeva il corpo roseo e piccolo di Hinata, i capelli rossi sparsi per il suo petto e i peli pubici dello stesso colore che accoglievano la sua mano…
Dovette correre in bagno e chiudersi per una buona decina di minuti. 


Era quella medesima sequenza di immagini ad avere in mente mentre tirava, sempre con maggior forza, la maglietta bianca di Hinata, ancora stretta nelle sue mani.
Ce l’aveva a morte con lui. 
Non sopportava che qualcuno potesse pensare che loro due avessero una relazione… non tollerava che fosse così vulnerabile per colpa sua.
Non era possibile che gli facesse quell’effetto, nonostante avesse represso con tutta la forza e determinazione possibile i sentimenti per lui ormai da tempo…
Era talmente fuori di sé dalla rabbia, da non accorgersi nemmeno dello sguardo spaventato e ferito che Hinata gli stava rivolgendo. 
“Quello che non capisco sei tu!!” gli urlò contro il rosso, cercando di difendersi.
Le braccia di Tobio agirono in preda alla foga prima ancora che potesse ragionare.
Tenendolo sempre stretto lo scaraventò a terra con tutta la forza che possedeva.
Il rumore sordo del capo di Hinata sbattuto contro il pavimento, lo fece riscuotere quel tanto che bastava per rendersi conto della violenza con cui l’avesse schiantato al suolo.
In palestra, a quell’ora, non era rimasto più nessuno: tutti i componenti della squadra se n'erano già andati da un pezzo e Yamaguchi era uscito con Yaichi per recarsi al cinema. 
Rimaneva solo Tsukishima, che si allenava a muro grazie alle schiacciate di Hinata. 
Aveva ascoltato in silenzio e in disparte quella lite nata dal nulla, ma decise di avvicinarsi non appena vide il rosso riverso a terra.
A quest’ultimo sfuggì un gemito dolorante dalle labbra e cercò di mettersi seduto, massaggiandosi la nuca che gli pulsava dolorosamente.
“K-kageyama…?” 
Non sapeva nemmeno lui se quella fosse una domanda, un richiamo o una preghiera.
Shoyo lo guardava senza capire, con un’espressione sofferente sia per la botta ricevuta sia per le parole che lo avevano ferito profondamente.
Gli occhi lo imploravano di dargli una spiegazione… che non arrivò mai.
Tobio si girò di scatto e corse via. 
Che cazzo aveva fatto? 
Cosa diamine gli era saltato in testa? 
Avrebbe potuto fargli davvero male… e al pensiero di quegli occhi imploranti, gli sfuggì un ruggito. 
Lo aveva ferito intimamente, lo sapeva bene. 
Gli aveva sputato addosso delle cose orribili… gli aveva gettato contro tutto il veleno che nascondeva internamente solo perché non aveva il coraggio di ammettere i propri sentimenti. 
Non aveva il coraggio di confessare che, senza quel piccolo bastardo, la sua vita sarebbe stata vuota, priva di quel significato che solo lui aveva saputo assegnargli. 
E adesso, lo aveva trattato come una pezza… come una marionetta…
Tobio si scosse. 
Hinata aveva detto che si era sentito la sua marionetta. 
Il burattino di un Re dispotico…
S'inginocchiò sul cemento e si strinse le mani sui capelli. 
Perché, perché, perché era un totale disastro? 
Perché aveva la capacità di rovinare sempre ogni cosa? Perché non imparava mai la lezione?
Anche quel bellissimo sole che si trovava davanti ogni giorno… l’aveva inesorabilmente macchiato.



“Hinata, stai bene?” 
Kei gli tese la mano e lo aiutò a rialzarsi.
Era davvero leggero, osservò, mentre lo rimetteva in piedi.
Il piccolo rosso era scosso, si vedeva. Aveva lo sguardo fisso a terra e gli occhi spenti.
“Credo… di sì” rispose soltanto, sistemandosi la maglietta storta.
“Ce la fai a tornare a casa da solo?” chiese il biondo, guardandolo attentamente.
Non voleva che quello screanzato finisse sotto un camion mentre pedalava senza nemmeno guardare davanti a sé, con la testa persa fra mille pensieri spiacevoli.
Shoyo però annuì. Sarebbe stato un buon modo per distrarsi.
“Faccio io qui stasera, non preoccuparti. Tu… se vuoi, puoi andare.”
Kei non lo stava incoraggiando ad andarsene, tuttavia credeva che il capitano volesse rimanere da solo. 
In fondo, era quello che faceva sempre quando era davvero giù di morale. 
Cercava spesso il conforto degli altri nelle situazioni più futili, però, quando qualcosa lo preoccupava sul serio, preferiva rifletterci in solitudine.
A lui quelle azioni non erano mai sfuggite. Come non gli era sfuggito lo strano atteggiamento dell’alzatore in quelle ultime settimane. Uno scoppio da parte sua sarebbe stato prevedibile.
Quel dannato Re faceva sempre cose stupide… ma quella le batteva davvero tutte.
“Grazie, Tsukishima…” mormorò Hinata, guardandolo riconoscente, per poi scappare via.
Non voleva che il compagno vedesse le lacrime scendere sul suo viso.
Kei sbuffò al pensiero di quello che sarebbe accaduto il giorno successivo. 
Probabilmente quei due non si sarebbero parlati… e temeva all'idea di quanto sarebbe potuto perdurare il loro probabilissimo periodo di freddo. 
L’ultima volta in cui avevano litigato violentemente era stata due anni prima… con una dinamica abbastanza simile, si ritrovò a pensare amaramente.
“E’ proprio un idiota” riflettè il ragazzo mentre chiudeva a chiave la palestra, ma non si stava riferendo al rosso.
Poteva affermare infatti con una buone dose di sicurezza, dopo aver raccolto in quegli anni un numero sufficiente di prove derivanti da sguardi e parole, celati o meno… che quel Re si fosse preso una bella cotta. Che, a quanto pare, voleva a tutti i costi tener segreta…
“Ma con quali conseguenze?” si chiese tra sé e sé, scoccando un’occhiata alla luna argentea, svettante nel cielo plumbeo.
 


Non appena fu arrivato a casa, Shoyo non si prese nemmeno la briga di accendere la luce della sua stanza. Si buttò direttamente sul futon, gli occhi fissi sul soffitto buio.
“Perché?” era la domanda che non smetteva di risuonargli nella testa. 
Perché Kageyama gli aveva sputato contro tutte quelle cattiverie?
Perché lo aveva buttato a terra senza motivo?
Perché sembrava non voler più avere a che fare con lui?
Quest’ultimo pensiero lo pietrificò.
La persona che gli era più stata vicina, volente o dolente, negli ultimi tre anni… era stata proprio Kageyama.
Certo, non sempre la sua era stata una presenza positiva… ma lo aveva fatto sentir parte di qualcosa di grande, di qualcosa di straordinario… come se, tra loro, fosse scoppiata una reazione chimica potentissima.
Gli tornarono in mente, in quel momento, tutte le occhiate che i due si erano rivolti durante le loro partite mentre era in procinto di schiacciare. Tutte le emozioni che avevano condiviso. Tutte le volte che il compagno l’aveva chiamato “idiota” e tutte le volte che lui stesso l’aveva preso in giro per la sua irascibilità.
E ripensò nuovamente alle parole che gli aveva rivolto solo meno di un’ora prima.
“Credi che possa esserci sempre io a pararti il culo eh, idiota?!”…
No. 
Non ci sarebbe stato sempre lui al suo fianco.
Improvvisi singhiozzi scossero quel piccolo corpo.
Aveva cercato di non pensarci… si era detto che, in fondo, i momenti passati assieme erano stati tanti e ne avrebbe potuto trarre bellissimi ricordi… ma non gli bastavano.
Non gli bastavano, realizzò, mentre le lacrime gli bagnavano le guance e strizzava gli occhi, mordendosi il labbro inferiore.
Kageyama l’aveva buttato via. 
Forse lo stava facendo per prepararlo all’imminente separazione che li attendeva di lì a qualche mese, chissà.
Sarebbe andato nella Nazionale, lo sapeva bene.
Un vuoto di consapevolezza lo inglobò all'improvviso.
Non avrebbe più potuto giocare a pallavolo con quell’irascibile, intrattabile, stupido, geniale, perfetto alzatore…
“No, no, no!” pensò sofferente, affondando le mani nelle lenzuola bianche e stringendosi in posizione fetale.
Ne voleva ancora… ne voleva ancora di giorni passati assieme, ne voleva ancora di litigate, di risate, di complicità, di… sguardi che volevano dire mille parole.
L’idea di dovergli dire addio, di vedergli eseguire in futuro le sue dannatissime e perfettissime alzate a qualcun altro… lo faceva sentire tradito.
Non voleva che se ne andasse. Non voleva che lo abbandonasse…
Non voleva sentirsi nuovamente senza un posto in cui stare.
Pianse, stringendosi il cuscino fra le braccia.
A quanto pareva, a Kageyama non era mai importato nulla di lui. 
L’aveva sempre e solo considerato come una pedina di buona qualità. 
Aveva ragione Kindaichi fin dall’inizio. Era stato semplicemente stupido a farsi delle illusioni.
Rise amaramente tra le lacrime.
Non aveva imparato proprio nulla in quegli anni.
 

 
***


“La tensione si taglia con un coltello” sussurrò Tadashi a Kei, osservando il capitano e l’alzatore passarsi accanto nel corridoio scolastico senza guardarsi.  
“E dire che il ritiro è alle porte…” rispose il biondo irritato.
“A proposito, dobbiamo pensare a come sistemarci per la notte quando staremo in città! Non penso proprio che quei due vorranno dormire nella stessa stanza…” commentò Yamaguchi.
Il compagno sbuffò. “Se proprio devo scegliere, preferisco Hinata. Non garantirei per l’incolumità dell’altro…” sentenziò.
In fondo, era tutta colpa sua, pensò Kei scocciato.
“Va bene, va bene, come vuoi tu, Tsukki” rispose il moro, accomodante come sempre.
“Tadashi-kun, eccoti” la dolce voce di Hitoka risuonò alle loro spalle. 
“Ciao Yacchan” squittì il ragazzo, leggermente rosso ma senza alcuna traccia di timore sul viso.
“Buongiorno anche a te, Tsukishima-kun. Sapete per caso dirmi se è successo qualcosa tra…” 
Non terminò nemmeno la frase che i pallavolisti le spiegarono la situazione in quattro e quattr'otto.
Al termine del racconto, la ragazza aveva la bocca aperta e gli occhi marroni sgomenti.
“Non mi sono ancora ripresa da quel primo litigio al primo anno, non sono pronta per affrontarne un altro…” furono le sue parole rassegnate. 
Perché quei due dovevano sempre alzarsi le mani? 
Non li avrebbe mai compresi del tutto, i maschi.
 


L’allenamento di quel pomeriggio fu tutto fuorché rilassante. 
I componenti della squadra, all’infuori dei quattro del terzo anno, non capirono cosa fosse successo e, sebbene provassero a chiedere al loro capitano se potessero fare qualcosa in particolare, quello li rassicurava con uno dei suoi sorrisi splendenti come il sole.
Una cosa che si era ripromesso Shoyo quella mattina, era riuscire ad apparire calmo e allegro come sempre. 
Si era davvero stufato dei colpi di testa di quell’alzatore, aveva realizzato dopo averci dormito su quella notte. Non si sarebbe più fatto scuotere da lui.
Tobio, dal canto suo, dovette percepire qualcosa di diverso dalle solite reazioni del rosso.
Il rimorso minacciò di mangiarlo vivo. Si era comportato come un bambino, il bambino che tante volte accusava d’essere Hinata.
Il suo cuore minacciava di esplodergli in petto mentre lo guardava, sorridente come al solito, saltellare per l’intera palestra. Così in contrapposizione con lo sguardo sofferente e smarrito del giorno prima…
 

Era il tramonto quando Tobio decise di non riuscire a tollerare più quella facciata di tranquillità messa su da Hinata.
“Ti posso parlare un attimo?” gli chiese d'un tratto sottovoce, avvicinandoglisi cautamente.
Il capitano si girò quasi distrattamente verso di lui e, con un sorriso immenso e falsissimo, rispose semplicemente “Oggi vorrei evitare di rischiare di spaccarmi la testa, se non ti dispiace” e fece per allontanarsi.
Quelle parole furono come un pugno allo stomaco che mozzò il respiro del corvino.
“Per… favore. Per favore Hinata… c’è una cosa che devo dirti…e di cui… debbo scusarmi” mormorò con un fil di voce, trattenendo il rosso per un braccio.
Shoyo percepì un brivido scorrergli lungo la colonna vertebrale. 
Kageyama… che voleva scusarsi? 
Kageyama che gli chiedeva qualcosa per favore?
Troppo intontito per rifiutare, lo seguì fuori dalla palestra.
Ukai Jr. non disse nulla. Aveva notato che fra i due vi fosse alta tensione ed era più che felice che potessero chiarire prima dell'inizio del ritiro.


I due s'incamminarono nello spazio deserto sul retro del ginnasio, con i raggi ultimi del sole a illuminargli i volti.
Hinata non aprì bocca. Non toccava certo a lui. 
Teneva soltanto gli occhi fissi sul viso, contorto da un miscuglio di emozioni discordanti, che aveva davanti a sé.
“Sono stato uno stronzo. Ieri sera io… ero fuori di me. Ero incazzato per i fatti miei e ti ho detto… delle cose che… non pensavo” iniziò il corvino, senza incrociare il suo sguardo. 
Non credeva di poter continuare se avesse affondato le sue iridi blu in quelle color del fuoco.
“Mi dispiace. Scusami se ti ho fatto rimanere male… volevo che sapessi che non ce l’ho con te…” continuò, ma venne bruscamente interrotto. 
Alzò gli occhi e guardò finalmente il capitano.
“Non c’è bisogno di scusarti così tante volte. Sono contento che, almeno, ti sia reso conto di aver esagerato, questo mi basta. Capisco che per te sia difficile continuare a doverti allenare con noi e a dover perdere del tempo con me… ma, in fondo, non manca poi molto alla fine, no?” disse lentamente, con l’accenno di un sorriso rassegnato.
L’alzatore sgranò gli occhi. 
Di che diamine stava parlando quell’idiota?
“Farai un salto di qualità enorme, sono davvero contento per te. Da una misera squadra di provincia alla nazionale… chissà come ci si debba sentire. Ma, in fondo, io non posso capirlo. Non posso riuscire a fare nulla da solo, no?” 
La facciata che si era tanto sforzato di costruire, stava vanamente cadendo giù a pezzi.
Era arrabbiato. 
Aveva solo voglia di prendere a pugni Kageyama, così tanto da fargli sentire il dolore che in quel momento stava provando lui.
Tobio, però, parve comprendere cosa stesse passando per la testa di quel piccolo rosso.
“Hinata, ascolta…” provò a ribattere, ma lo fermò un pugno in pieno petto. Non gli fece molto male fisicamente, tuttavia poté percepire distintamente tutto il rancore che emanasse. 
“Non ascolto un bel niente! Sono stufo, arcistufo di sentire i tuoi discorsi senza senso! Non fai altro che lamentarti di quanto io faccia schifo, di quanto sia inutile, di quanto sia stupido… perché non smetti di alzarmi definitivamente la palla allora? Perché non la finisci con questa farsa!? Dato che di me non te ne importa niente, dato che non te n’è mai fregato nulla di quanto male potessi rimanere dopo le tue solite frecciatine odiose o i tuoi insulti gratuiti, smettila anche di usarmi come semplice pedina! Lo preferisco di gran lunga! Almeno… mi abituerei a quando tu… non sarai più al mio fianco” 
La voce di Shoyo s'incrinò imprevedibilmente.
Era partito in quarta incazzato come non mai… soltanto per arrivare a sfogare tutte le sue paure e frustrazioni.
Tobio non disse nulla per alcuni secondi. 
Le parole di Hinata stavano ancora compiendo il loro effetto sul suo cervello e si limitò dunque ad osservare quel volto arrossato e ansimante per essersi liberato di tutto ciò che lo opprimeva dall'interno.
E, d’un tratto, la frase che Shoyo gli aveva rivolto la sera di qualche settimana prima, lo colpì come una scossa elettrica. 
“Penso che siate voi a rendere difficili cose che non lo sono affatto”…
Era vero. Era dannatamente vero. 
Quello che doveva fare era semplicissimo. 
Così semplice che si meravigliò di non averlo fatto già da tempo, pensò con la testa improvvisamente più leggera.
Senza aggiungere un solo suono, Tobio afferrò le braccia di Hinata, il quale credette, non a caso, di stare per esser nuovamente picchiato. 
Chiuse inconsciamente gli occhi. 
Non voleva vedere il nuovo scatto d’ira dell’alzatore causato dal suo ultimo discorso…
Quando, all'improvviso, imprevedibilmente, sentì qualcosa di umido e bollente sulla bocca. 
Spalancò gli occhi di scatto… e si ritrovò il viso di Kageyama a pochi millimetri dal suo. 
Erano le sue labbra, a star premendo su quelle del rosso.
Il cervello di Shoyo non aveva mai lavorato tanto velocemente, prima d'allora.
Lo stava baciando. 
Kageyama Tobio, il suo alzatore, lo stava baciando.
Il ragazzo che aveva tante volte sognato… stava premendo la bocca sulla sua.
Il corvino che aveva avuto sempre al suo fianco in quegli anni… con cui condivideva una chimica pazzesca…
Non ragionò. 
Non era una cosa che si addicesse a un tipo come lui. Seguì invece l’istinto.
Alzò le braccia fino a circondargli il collo e dischiuse le labbra per assaporare quelle dell’alzatore… che non riuscì a credere alla reazione più che positiva di Hinata. 
Non poté nemmeno credere, pensò maledicendosi, d'aver sprecato due anni della propria vita a porsi inutili problemi sull’assurdità dei sentimenti verso quel piccoletto straordinario.
"Rispose" a quell'azione affondando le mani nei capelli infuocati di Hinata e facendo muovere la lingua contro la sua.
Stava baciando il ragazzo di cui era innamorato.
Shoyo, dal canto suo, sentì uno scoppio nel petto. 
Non aveva mai provato una sensazione del genere...
Non era solo eccitazione.
Non era solo felicità.
Era qualcosa di più… qualcosa che non avrebbe saputo descrivere a parole. Che fosse…
Il suo bacino si mosse da solo, strusciandosi sul corpo dell’alzatore.
Sentiva che i pantaloncini gli stringevano eccessivamente…
Le mani di Tobio si avvolsero intorno al suo viso, accarezzandolo, e, al pensiero dell’erezione pulsante che il rosso gli stava strofinando addosso… dovette staccarsi, o non ce l’avrebbe fatta più a trattenersi.
“Non dire più stronzate” fu l’unica frase che pronunciò con voce gracchiante, immergendo i suoi occhi blu in quelli ardenti del capitano.
Non ci fu più bisogno di parole.
Shoyo rabbrividì. Quella voce bassa e roca…
Annuì solamente, come se fosse ancora in estati.
Tobio non riuscì a trattenere un sorriso alla vista di quegli occhi raggianti e ancora disorientati.
“Ricomponiti e rientriamo, gli altri potrebbero venire a cercarci…” gli sussurrò all’orecchio, scoccandogli anche un audace bacio sul collo, nonostante le orecchie gli andassero praticamente a fuoco.
Il rosso stava invece andando interamente in autocombustione, lo sentiva perfettamente. Si sarebbe sciolto di lì a qualche secondo...
Ma, fortunatamente, così non fu. 
Dopo essersi lanciati uno sguardo carico di significato, i due si diressero nuovamente in palestra... 
E le loro mani, si sfiorarono.
 


La permanenza nella medesima stanza, durante il weekend a Tokyo, non se la sarebbero mai dimenticata.
E il pensiero che le loro strade si dovessero dividere, non fu più così opprimente.
Sarebbero rimasti uno a fianco all’altro, due eterni ragazzini incontratisi per caso, grazie al magnifico sport che li aveva uniti fin da subito: la pallavolo.







Ringrazio tutti coloro che abbiano letto e, in particolar modo, chi decidese di lasciare un qualsiasi tipo di feedback.
Bacetti. 
 
   
 
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