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Autore: Luxanne A Blackheart    08/05/2017    1 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO OTTO.
Amore che non si è saputo dare.
 

"Lo spreco della vita si trova nell'amore che non si è saputo dare, nel potere che non si è saputo utilizzare, nell'egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità.







Dopo quella che sembrò un'eternità, William smise di sorridere come uno psicopatico e diventò serio all'improvviso. Guardò suo fratello Jean e successivamente James e Lucille; se Roman avesse potuto sudare l'avrebbe fatto, mentre Jean sarebbe morto sul colpo per un infarto.
Tutti stavano aspettando una riposta, mentre i camerieri sgomberavano i rifiuti e ripulivano il tutto, aguzzando le orecchie per captare qualsiasi pettegolezzo, qualcosa di nuovo sulla nuova famiglia.
“Ti ho visto esagerare con lo champagne, fratello caro. Madre, punitelo, non sono cose che si fanno, avrebbe potuto rovinare la vostra festa!”
“Sei sempre il solito burlone, William. Andate nelle vostre stanze ora e fatevi una bella dormita. E' molto tardi.”, Camille li spinse tutti quanti verso le scale, afferrando Vladimir per il braccio, che continuava a mandare occhiatacce a William. Il solito, insomma.
Jean e Roman si guardarono per un momento, sollevati, mentre assieme agli altri fratelli salivano le scale. Lucille e James al capo della fila, Will ultimo e dietro tutti. Quando giunsero al piano di sopra, nel pianerottolo che divideva le varie camere da letto, tutti si fermarono, girandosi verso William che li aveva chiamati.
Appariva serio, mortalmente serio, come quando lo assaliva uno dei suoi momenti particolari di depressione e obbligo di far del male a se stesso. Tutti sapevano e conoscevano le manie di William e tutti si preoccupavano per lui, tranne Vladimir che lo odiava, perché erano una vera e propria famiglia dopo tutti quei secoli passati assieme. Quel legame era tutto ciò che avevano, tutto ciò che gli era rimasto, anche quando i ricordi apparivano non del tutto chiari.
“Io so tutto, tutto, Jean.”
“Che cosa sapresti, Will?!”, la voce di Jean appariva stridula e ansiosa. James e Lucille si guardarono negli occhi confusi e preoccupati.
“William, non mi sembra questo il momento di...”, Roman cercò di mettersi in mezzo per difendere il fratello, ma l'altro lo interruppe alzando una mano. C'era una strana luce nei suoi occhi, una luce che lo fece zittire e stare al suo posto, mentre Jean lo implorava di fare qualcosa, di placarlo in qualche modo, perché in quella casa c'erano troppe persone che avrebbero potuto sentire, in primis Vladimir e Camille.
“E sono deluso da te, Jean. Pensavo che... che nonostante tutto, tu ti fidassi di noi tre, che ci reputassi tuoi fratello e che ci amassi. Ne abbiamo passate così tante e a te non passa neanche per la mente di darci una simile notizia?”
“Will, ti prego, non è quello..”
“Abbiamo vissuto tanto tempo, Jean, credi che non ci siamo mai accorti del tuo modo di essere per quanto tu cercassi di nasconderlo? Tutti noi lo sapevamo, sapevamo tu fossi omosessuale da prima che tu te ne accorgessi e non ce n'è mai fregato niente! Sei una persona, una dannata persona, e quello è semplicemente un orientamento sessuale. Ti piacciono gli uomini? E allora? Non devi odiarti per questo, sei solo diverso dalla massa, ma sei un essere umano, sei nostro fratello e sei il solito Jean. E' vero che per questa società e questo secolo è una cosa improponibile, ma del resto tutto ciò che è diverso ha sempre spaventato l'uomo, soprattutto una cosa che va contro la morale religiosa e contro il loro stupido Dio, scusami James...”, fece una pausa solo per scusarsi con il biondo, facendo un sorriso imbarazzato. “Non dovresti odiarti, perché certamente noi non lo faremmo mai. E credimi, te lo dice un esperto, che ci sono ben altri modi per cui odiare se stessi, ma come si vive la sessualità non è uno di questi. Ti vogliamo bene, ti voglio bene e per te e tutte queste teste di cazzo farei qualsiasi cosa, persino uccidere la regina, se ne dovesse valere la vostra vita.”
“Will, tu sì che sai come stupire, sai? Era proprio di te, in realtà, che avevo paura. Tu sei così... instabile e nessuno sa mai come tu possa reagire ad una determinata situazione.”
Il biondo sorrise maliziosamente, il solito sbruffone era ritornato. “Sono pazzo, non instabile. E poi, se vogliamo dirla tutta, miei cari, anche io ho avuto le mie esperienze con lo stesso sesso.”
“Oh, ti prego, non ricominciare!”, Roman sbuffò, mentre James, Jean e William ridevano. La sola che non alzò un dito fu Lucille, che era rimasta come pietrificata a fissare il pazzo instabile che raccontava di quella famosa volta nella quale, talmente ubriaco e drogato, si sarebbe fatto convincere dalle avance di un famoso scrittore.
“Hai anche insinuato di essere entrato nelle grazie della regina Elisabetta, quando ella neanche ti salutava quando vi incontravate a palazzo!”, affermò James, sbottonandosi il primo bottone della camicia.
“Ero un dannato upir e il suo dannato amante, quando lei aveva chiaramente detto all'umanità di essere vergine e di non volersi maritare; inoltre tutti sapevano che non amasse quelli come noi, i succhia sangue. Sapete, non è stato facile, ma questo è il motivo per cui sono ricco.”
“Il motivo per cui tu sei ricco è perché Camille ti vuole troppo bene e fa qualsiasi cosa tu le chieda; se fosse stato per nostro padre, tu adesso saresti sotto dieci metri di terra e ti saresti già decomposto!”
“E forse sarebbe stata la cosa migliore per tutti quanti.”
All'improvviso tutti tacquero e si girarono verso Lucille che lo stava guardando. Aveva pronunciato quelle parole senza pensarci, le aveva semplicemente lasciate andare, senza mettersi un freno. Tutti la guardarono scioccati, mentre lei fissava Will, che semplicemente continuava a sorridere, quel solito ghigno irritante che faceva quando stava per dire una delle sue solite stupidaggini.
“Non siate così scioccati, fratelli cari, la nostra Lucille è semplicemente irritata dal fatto che io le abbia boicottato il primo bacio con quel pavone ricchissimo dalle piume d'oro.”
“Tu non capirai mai e non cambierai mai. Jean, domani noi due dobbiamo parlare. E a voi tutti, buonanotte.”




Quando Lucille varcò la soglia di camera sua c'era qualcosa di diverso; non nel modo in cui erano ordinati i mobili o le lenzuola, no quello era esattamente rimasto uguale, ma c'era un odore metallico, un odore che conosceva benissimo. Se aguzzava le orecchie poteva anche sentire un fiato. Umano. Un umano nascosto in camera sua, nella sua tana, nell'unico posto nel quale poteva essere se stessa.
La upir spalancò lo sguardo, rendendosi conto dell'enorme guaio nel quale si trovavano. La camera più vicina al pianerottolo, nel quale avevano discusso, era la sua... E se quell'essere avesse ascoltato tutta la loro conversazione, avvenuta non in toni contenuti, e spargesse la voce in giro? No, non voleva neanche pensare alla fine che avrebbero fatto, soprattutto cosa avrebbero fatto a Jean solo per il suo orientamento.
“Fatti avanti, umano, prima che ti trovi io e ti faccia veramente male. Noi upir odiamo quando la nostra tana viene occupata da un estraneo. Teniamo alla nostra privacy.”
Non se lo fece ripetere due volte che una ragazzina di circa sedici anni uscì da sotto il suo enorme letto a baldacchino. Tremava come una foglia, mentre Lucille la guardava con un sopracciglio sollevato e le braccia conserte al seno.
“Chi sei? E che cosa ci facevi nascosta sotto il mio letto, ragazzina?”
“Io... Avevo perso mia madre, signorina Nottern e la stavo cercando. Ma non l'ho trovata da nessuna parte e vi ho sentiti giungere allora...”
“Allora hai pensato di nasconderti, non è vero?”
“Sì, signora, scusatemi... Non volevo.”
“Ti sei nascosta nonostante mia madre, colei che vi ha generosamente pagati per il vostro servizio patetico, ti abbia espressamente detto che queste camere erano proibite per chiunque, persino per gli ospiti, figuriamoci per una pezzente come te!”
La ragazzina continuava a tremare e assieme a lei il suo labbro, che veniva ripetutamente morso per il nervosismo. Era ingenua, una ragazzetta inutile che non valeva le sue parole, ma poteva aver sentito tutto e non poteva certamente lasciarla andare così. Doveva farla fuori immediatamente e in quel momento ne aveva bisogno. Voleva liberare la bestia che era in lei.
“Che cosa hai udito della nostra conversazione?”
“Niente e anche se fosse non direi niente a nessuno!”
“Dimmi che cosa hai sentito, ragazzetta!”, Lucille le fu addosso in un momento, la spinse facendola cadere per terra.
“Niente, signorina, niente!”, la ragazzina cominciò a piangere, cercando di proteggersi con le mani dagli schiaffi della donna. Ma in quel momento entrarono nella stanza il resto dei Nottern, con indosso le vestaglie da notte, e guardarono la scena scioccati.
“Lucille, che succede?”
“Questa ragazzina ha sentito tutto! Dobbiamo ucciderla, non possiamo rischiare che apra la bocca con tutti!”
James le fu subito addosso, allontanandola dalla serva, prima che potesse fare qualcosa di avventato. “Lasciami stare, non mi toccare. Devo salvare Jean e devo salvare la famiglia!”
“Guardala, Lucille, guardala! Non c'è bisogno di arrivare a tanto. E' troppo spaventata, non parlerà.”
“Le persone come lei lo fanno, questa ragazzina per una dannata torta parlerà. Sarebbe capace di uccidere suo padre pur di mangiare!”, Lucille urlò, cercando ancora una volta di afferrare l'umana. Non bastarono le mani di Jean e James a fermarla. “Dobbiamo ucciderla, uccidiamola. William, dimmi che almeno tu la pensi come me!”
Will guardò prima sua sorella, poi la ragazzina rannicchiata in se stessa che piangeva, cercando di non guardare i brutti mostri che erano. Era minuta, aveva una bellezza elfica, con lineamenti delicati, pelle pallida e lentiggini sulle guance, che la rendevano indifesa come un cucciolo. A peggiorare il tutto erano le sue trecce color ebano, dalle quali erano sfuggite delle ciocche. Era una bambina spaventata, niente di più.
Lucille invece sembrava una pazza, un animale rabbioso pronto ad uccidere, desideroso di sangue, di vendetta, di qualcosa che certamente non l'avrebbe liberata. Non sarebbe servito a niente uccidere quella bambina.
Perciò prima che riuscisse a liberarsi, Will l'afferrò per le spalle, facendola girare verso di se e le spezzò il collo con un unico colpo. La bambina emanò un urlo, notando l'apparente cadavere della donna non toccare il suolo, ma venire afferrato dal suo stesso assassino e adagiata con una delicatezza tale nel suo enorme letto da sembrare un gesto troppo intimo da guardare.
“Vieni, ragazzina, mia sorella non ti farà più del male. Adesso sei sotto la mia responsabilità.”
“Will, ma cosa fai?”
La bambina non se lo fece ripetere due volte e raggiunse il bel ragazzo, afferrandogli la mano, stritolandola per la paura quasi. Preferiva il male minore.




Quando Lucille si risvegliò, era giorno; i raggi del solo filtravano attraverso le pesanti tende rosa e le toccavano il viso, producendole un leggero solletico sulla pelle. Aprì gli occhi, completamente rossi per la fame, e si guardò intorno tutta stordita e dolorante. Le faceva malissimo il collo, sentiva dolore, come se qualcuno glielo avesse spezzato violentemente; cosa che effettivamente era accaduta.
“Finalmente sei sveglia, Lucie. E' passato un certo Dorian Grey, avevate un appuntamento. Gli ho detto che avevi un pesante mal di testa, colpa del troppo champagne.”, James abbozzò un sorriso, ma non c'era la generosità e la dolcezza che di solito era sempre presente nel suo sguardo. Nascondeva qualcosa, un segreto che lo logorava dall'interno e che non lo lasciava mai senza pensieri nell'ultimo periodo. Non le aveva accennato mai di nulla, forse l'unico con cui si sfogava davvero era William, perché sapeva che nel suo stato attuale non poteva realmente sentirlo. Tutti custodivano segreti in quella famiglia e nessuno osava confidarsi con l'altro, tranne lei. “Che diavolo ti è preso ieri?”
“Nulla, che cosa prende a te piuttosto?”
“Nulla.”, James sospirò, sistemandosi la sua imbarazzante vestaglia celeste lucido. “Non reagisci mai in quel modo, soprattutto quando riguarda povere vite innocenti. Non è stato da te, quindi cosa c'è? Qualche problema con Will?”
Lucille sbuffò, afferrando la sua vestaglia rosa e indossandola. Si sedette sulla toeletta e afferrando la spazzola, cominciò a pettinarsi i bei e lunghi capelli senza nodi, perfetti. Qualcuno, sperava non William, le aveva tolto l'abito e fatto indossare la vestaglia. “Ci deve essere per forza qualcosa per farmi comportare così? C'è un motivo se ci chiamano Famiglia del Diavolo, James. ”
“Non sei più quella persona. Nessuno di noi lo è.”
“No, non tutti. William è esattamente com'era. E poi non capisco perché dobbiamo sempre renderlo presente nei nostri discorsi!”
“William finge. Tu non sai mentire.”
“Smettetela, dannazione, smettetela!”, sbottò all'improvviso, sbattendo la spazzola contro il pavimento con tanta forza che si spezzò in piccoli pezzetti. “Smettetela di dipingermi come una ragazzina innocente che ha bisogno di protezione. Il mio aspetto potrà anche trarre in inganno, ma non sono debole, non sono innocente e non necessito di essere protetta. Sono letale come lo siete tutti voi, anche Camille lo è. E la cosa divertente è che l'unico che l'ha capito è proprio Will.”
“Lo so, mi ricordo di cosa siete capaci voi due, ma non vedo questo cosa c'entri...”
“C'entra perché voi avete segreti e non mi dite mai niente, mi vedete ancora come una bambina innocente, ma sono una donna ora, una donna da molto tempo ormai. So affrontare le situazioni. Jean non mi dice niente, Roman se ne sta sempre in quel dannato laboratorio, Will mi odia e tu sei sempre lì a dipingere! Quindi te lo richiedo, dimmi qual è il vostro dannato problema!”
James sorrise, alzandosi dalla poltrona su cui era seduto e afferrando la sorella per le spalle, mentre si guardavano attraverso lo specchio. Tutta quella situazione le faceva rabbia e odiava tutti in quel momento, situazione aggravata dalla fame.
“Ti ho vista nascere e crescere, per me sarai sempre la mia sorellina indifesa e bisognosa di protezione ma...”
“Se devi dirmi una delle tue solite cose dolci, puoi anche andartene e...”
Ma la interruppe prima che lei avesse un'altra delle sue sfuriate, dicendole: “Ho chiesto alla mia fidanzata di sposarmi, ma lei ha rifiutato perché l'amore non è mai abbastanza.”
“Che cosa hai fatto? Che cosa ha detto?”, gli occhi rossi di Lucille scomparvero. I suoi bei occhi castani scintillavano ora per l'incredulità. “Dimmi chi è, raccontami tutto. Posso conoscerla?”
“No, Lucie, non puoi. E' fra i nostri nemici più grandi, appartiene alla Confraternita.”
La ragazza fu come se si fosse paralizzata per un momento, guardava il fratello attraverso lo specchio, senza azzardarsi a proferire parola.
“Ma ti sei completamente fuso il cervello? Dimmi, Will ti ha passato qualche sua droga?!”, urlò alla fine, girandosi e picchiandolo con sonori schiaffi.


Erano circa le undici del mattino, quando Charles ricevette il messaggio da parte di uno dei servitori dei Nottern. Era un semplice messaggio scritto a mano da parte di Jean, nel quale gli si chiedeva di raggiungere Hyde Park per fare una passeggiata all'aperto. E così, abbandonando sua sorella nel bel mezzo della colazione, si vestì di tutta fretta e afferrando il cilindro e il bastone, uscì di casa, correndo quasi ad Hyde Park.
Lo stava aspettando da circa dieci minuti e non faceva altro che controllare l'orologio da taschino circa ogni due secondi. Quando stava perdendo ormai tutte le speranze, lo vide camminare con passo molto incerto verso di lui.
Si rese conto di averlo sempre guardato di sera, al buio o semplicemente sotto le candele smorte, non l'aveva mai osservato sotto il sole, illuminato dalla vera luce divina e non aveva mai compreso a pieno la sua bellezza fino a quel momento. Era terribilmente pallido, anemico, fin troppo magro e freddo, tant'è che quando lo aveva stretto tra le braccia gli era parso di abbracciare uno scheletro. Ma in quel momento con i raggi del sole che sembravano baciare la sua pelle perfetta e i ricci d'ebano, non poté evitare di sentirsi turbato, a disagio, senza parole, confuso e profondamente innamorato di quell'essere perfetto e meraviglioso.
Era tutto ciò che desiderava in una persona e avrebbe potuto stare con lui per l'eternità; si fregava dei suoi complessi, della società, del lavoro e della moralità. Era convinto delle sue idee, era convinto di voler stare con quel ragazzo perché sapeva di rappresentare la sua felicità. Era apparso all'improvviso, si erano incontrati nel momento perfetto, anche se le circostanze erano delle peggiori, considerato che aveva dovuto pagarlo come una delle peggiori puttane per averlo. Era convinto, voleva conquistarlo, anche se ci sarebbero voluti settimane, mesi e anni, per Jean valeva la pena.
Si rendeva conto di essere molto precipitoso, frettoloso, che c'era la possibilità che Jean non lo volesse... Ma non gliene importava; il vero amore gli era letteralmente piombato davanti i piedi e lui non avrebbe sprecato la sua vita per senso del pudore.
“Buongiorno, Charles.”
“Buongiorno, Jean. Mi avete chiamato e io sono qui; ditemi cosa vi serve da me e cercherò di esaudire ogni vostro desiderio.”
“Mi volevo solamente scusare per il comportamento scortese che ho avuto ieri con voi... Non avrei dovuto trattarvi in modo talmente meschino.”
“Non preoccupatevi, da voi mi farei trattare peggio, se questo vi rende felice.”, Jean lo guardò, sospirando. “Scusatemi.”
“Ci ho pensato per tutta la notte, soprattutto dopo una chiacchierata con una persona di cui mi fido. Vorrei darvi una possibilità.”
“Per cosa?”
“Per... corteggiarmi.”, disse, così a bassa voce da sembrargli di non averlo udito. Charles sorrise come se gli avessero dato una delle notizie più liete e gli strinse la mano, scuotendola più volte.
“Aspettatevi un invito molto presto allora, singor Nottern.”
“Facciamo questa sera?”
“Dite sul serio?”
“Sì, sono serio come la morte.”
Charles gli regalò un altro sorriso e disse: “Manderò una carrozza a casa vostra alle otto, vestitevi elegante.”


Gli uomini erano chiusi nella vecchia fabbrica abbandonata, seduti intorno ad un lungo tavolo rotondo. Battevano i pugni contro il legno, mentre con voci gravi inneggiavano la Confraternita e il suo potere durato nei vari secoli. Erano tutti vestiti con mantelli neri che coprivano viso e gran parte del corpo.
Colui che si trovava a capo tavola si alzò e disse: “Cari fratelli, care sorelle, cari amici, la Famiglia del Diavolo è tornata. Londra sta per bruciare e se non facciamo qualcosa l'apocalisse sta per scoppiare. Dobbiamo eliminarli una volta per tutte quei maledetti diavoli.”
   
 
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