Notte
Melinda si gira e si rigira su quel
maledetto letto, infine si alza e va in bagno.
Prende a guardarsi allo specchio.
Osserva i lunghi capelli castani, che
corrono disordinati e poco curati sulle sue spalle, sulle sue clavicole, fino a
coprirle il seno.
Ha gli occhi scuri, Melinda.
L’iride è marrone, di una sfumatura simile
a quella del cioccolato fondente, del tipo con un’altissima percentuale di
cacao e la pupilla – per quanto brillante, per quanto nera – a volte vi si
perde ed è indistinguibile.
Si avvicina al suo riflesso, intenta a
cogliere proprio questo dettaglio e si rende conto che le lacrime scindono le
due componenti al punto tale da portarla a dubitare di quale sia il vero colore
dei suoi occhi.
Ultimamente piange molto, in effetti forse è stato questo a farla cambiare.
È che la solitudine logora, soprattutto se
nessuno degli altri aspetti della vita sembra volersi rimettere in carreggiata
ed avviarsi nella giusta direzione.
Che poi, “giusta direzione”, dice Melinda fra sé e sé, inarcando le
sopracciglia con un certo scetticismo.
In realtà basterebbe che la via fosse
buona.
Finisce il pensiero e passa a guardare il
naso; dritto sì, ma ha sempre la sensazione che sia troppo grosso e le ingombri
il viso e ora che è rossiccio l’effetto è maggiormente enfatizzato.
Una lacrima scende assieme a questa
riflessione, anche se non è né la prima né l’ultima volta che si ritrova a
rimuginare sui suoi difetti.
Le imperfezioni pesano, in particolare
quando ogni sforzo ha come obiettivo distruggerle, eliminarle, annichilirle
completamente. Loro sono sempre più forti, però, riescono immancabilmente a
trovare il modo di ripresentarsi e spesso infondere ulteriore dolore.
Nemmeno la bocca è tra i suoi tratti
preferiti, ma di recente ha scoperto come valorizzarla con il trucco e ciò,
ogni tanto, è sufficiente a consolarla un po’.
Mentre continua a scendere con lo sguardo,
Melinda pensa che dovrebbe fermarsi perché ciò che avrebbe visto a breve le
avrebbe fatto molto più male di quanto fosse disposta ad ammettere. Ovviamente,
a quel punto i suoi occhi quasi corrono mentre quella considerazione le
attraversa la mente e allora le vede. Sul collo, sul lato destro, qualche
centimetro sotto all’orecchio vi sono due semicirconferenze rossicce. Quella
esterna è più spessa e di un colore più intenso, ma è palese che quei due segni non siano altro che il ricordo di un morso appassionato.
Alza la mano destra e con le dita segue
prima l’arcata più fine e poi l’altra; preme, forse nell’inconsapevole tentativo
di sostituire il dolore fisico a quello emotivo, sulla pelle alterata, ma non
sente nulla. Non un brivido la scuote, né un’emozione di alcun tipo si accende
dentro di lei.
Ha una persona a fianco, ma negli ultimi
tempi è come se abitassero su due pianeti distanti al punto da essere incapaci
di comunicare.
Melinda gli vuole molto, molto bene. Non
riuscirebbe ad immaginare di aprire gli occhi il mattino e non potergli mandare
un messaggio, anche solo per augurargli il buongiorno.
Lui risponde, la chiama, parla con lei per
ore.
Eppure, quando la sera va a letto, Melinda
si raggomitola sotto le coperte e si sente sola. È certa che se anche vi fosse
lui a stringerla e ad accarezzarle i capelli non cambierebbe nulla.
Il quesito, quindi, è uno soltanto:
perché?
Melinda non sa darsi una risposta e teme
che forse non la troverà mai.
Distoglie lo sguardo dallo specchio,
sposta i capelli dietro le spalle e poi apre il rubinetto, lasciandolo regolato
sulla temperatura più bassa. Unisce le mani a cucchiaio per raccogliervi un po’
d’acqua in cui poi immerge il viso, provando un immediato, ma temporaneo
sollievo.
Si asciuga, si sistema e torna a letto.
Il buio della camera di nuovo la
inghiotte, così come la solitudine.
Si stende sul letto, avvicina le ginocchia
al petto e vi nasconde il viso.
Un’altra notte passa ed un’altra nota
d’infelicità si aggiunge alla solita routine.