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Autore: Fatta Di Cristallo    09/05/2017    0 recensioni
Cristallo e Diamante è una storia fantasy sovrannaturale contemporanea, con protagonista una ragazza fragile dallo sviluppo contorto e controverso. Samantha non è umana, almeno non del tutto.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Mi chiamo Crystal, ma questo non è sempre stato il mio nome. Il mio vecchio nome era Samantha, o meglio, la vecchia me. Quello era il mio nome fino a quando non ho scoperto di non essere umana. Strano a dirsi, partorita da umani ma non avere nulla di umano, se non l'aspetto. 

Tutto è iniziato un giorno, al Lucca Comics. La mia vita non era emozionante, era statica; sapevo che non stavo vivendo, ma prendevo le cose come venivano senza cambiarle o andarmi a prendere quello che volevo. Ero una cagasotto fenomenale, paurosa di tutto, persino di mettere il naso fuori di casa.

«Dai sarà bellissimo!» disse tutta eccitata la mia migliore amica.

Si riferiva all'evento nerd a cui avremmo preso parte qualche giorno dopo.

Vanessa era una ragazza molto bella: folti capelli ricci di un castano chiaro con uno shatush naturale. I suoi occhi erano verdi, un bel verde, bassina come me e aveva due anni in più della sottoscritta. Faceva strage di cuori, lo sapeva, ma non lo voleva ammettere. Ogni tanto se la tirava credendo che tutti la desiderassero, il suo fisico glielo permetteva: bei fianchi, bel seno, bel sedere; al contrario di me, che di bello allo specchio non vedevo nulla.

I miei lucidi capelli neri non avevano forma, un mosso che arricciavo con l'arriccia capelli; avevo occhi altrettanto scuri, portavo gli occhiali ed ero in sovrappeso.

Io e Vanessa avevamo in comune tante e poche cose. La passione per le cose nerd ci univa e anche per l'arte: lei disegnava, io scrivevo qualcosa. Non ero sicura di me, la mia autostima era sotto lo zero e credevo che le cose che creavo fossero uno schifo, un po' come me.

Avevo iniziato a scrivere verso i dodici anni, proprio quando iniziò il bullismo. Mi nascondevo nella scrittura perchè in lei mi sentivo sicura di essere quella persona imperfetta e complicata senza aver paura di non sentirmi abbastanza.

Vanessa cercava a modo suo di aiutarmi a sbloccare, non era un tipo sdolcinato che consolava, preferiva riempirti di schiaffi e dirti «Smettila di piangere!». Perché sì, ero fatta di cristallo, ero una ragazza troppo emotiva, troppo sensibile, piangevo per tutto e per nulla. Bastava poco per ferirmi, per fendermi e farmi infrangere in mille pezzi dispersi e non più ricongiungibili.

Ero un ammasso di "troppo" di cose sbagliate e un "non abbastanza" di cose giuste.

Eravamo in un pullman che ci avrebbe portato a Lucca da una cittadina sperduta del Molise. Io e Vanessa era da una vita che volevamo andare al Lucca comics, avevamo le mensole piene di libri gadget e action figure.

Sette ore maledette ora in quel barattolo ambulante, pieno di ragazzi sudati e urlanti. Fino a qualche anno fa era uno sociofobica incallita, non che adesso mi sia passata, ma sono migliorata.

Se avessi affrontato questo viaggio a sedici anni invece che diciannove, sarei stata perennemente a disagio, con le risate degli altri che mi avrebbero dato fastidio credendo fossero rivolte a me.

Avevo il terrore di essere derisa e umiliata, merito di tutti quegli anni di bullismo, anche se a diciannove anni non era cambiato molto, ma stavo imparando a fregarmene.

«Sam non vedo l'ora!» esclamò Vanessa.

«Anche io!» esclamai guardando fuori dal finestrino.

Vanessa odiava chiamarmi Sam, a lei non piacevano i diminuitivi dei nomi, mi chiamava Sam solo perché Samantha era troppo lungo e non sapeva con che diminutivo chiamarmi, infatti anche lei preferiva essere chiamata con il diminutivo rafforzato dall'accento tipo Vané invece che Vane.

Mi persi fra i fronzoli dei miei pensieri mentre guardavo fuori dal finestrino. Ero una sognatrice ad occhi aperti cronica e i finestrini degli autobus facevano venire l'acquolina in bocca a una sognatrice come me.

Dopo un paio di pit-stop giungemmo a Lucca. Una città piena di storia di borghi e mura antiche.

Il Lucca comics era una cosa magnifica, se non lo si vive non si può capire cosa si prova. Era una fiera enorme con tantissimi stand da visitare.

Il B&B dove alloggiavamo non era distante dalla fiera; e meno male, il tempo non bastava, ventiquattro ore erano poche. Per fortuna mamma e papà mi avevano dato il permesso di rimanere tutti i giorni del Lucca Comics. I miei non erano come quelli di Vanessa; erano dei tipi ansiosi e apprensivi, forse era anche merito loro se sono cresciuta con questa folle paura addosso. Avevo una sorella minore che era persino peggio di me. Avevo fatto sacrifici per venire a questa fiera, paghette e soldi di alcuni lavoretti messi da parte. I miei erano solo umili operai di fabbrica e non possedevamo molto se non una casetta modesta e un meticcio preso al canile.

Stavamo mangiando sul prato, io ero quel tipo che mangiava voracemente qualsiasi cosa, ma ora, lì, dovevo trattenermi dal mangiare a due tre morsi alla volta.

Ero andata per gettare le carte sporche in una pattumiera lì vicina e non feci a meno di udire certe storie.

Un tizio vestito come un genio della lampada parlava ad alta voce ad un gruppo di ragazzi seduti sull'erba.

Parlava come se stesse recitando, muoveva animatamente ogni parte del corpo, alzava e bassava la voce per dare più enfasi alle parole e nominava parole strane, che io conoscevo: parlava di esoterismo.

L'esoterismo mi aveva sempre affascinato, avevo fatto qualsiasi genere di ricerca, ero persino arrivata all'Angiologia e alla demonologia. Mi piaceva il fantasy, avevo studiato fino all'esaurimento tutti i mostri, demoni e creature fantastiche e mitologiche esistenti. Amavo le storie con gli angeli e i demoni, avevo letto un sacco di libri a proposito e visto parecchi film e serie tv.

Vicino al bizzarro ragazzo era seduto su una sedia pieghevole un uomo, vestito in giacca e camicia. Aveva la faccia rugosa e raggrinzita, ma non sapevo dire che età avesse. Stava leggendo un libro dalla copertina nera con una gamba accavallata.

Il ragazzo dal pizzetto lungo non smetteva di parlare, fino a quando chiese

«Conoscete l'angelo Metatron?» chiese lui con certa enfasi.

Alcuni risposero che lo conoscevano solo perché era stato inserito in alcune serie tv o libri fantasy.

«Non si chiamava Metatron. Ma aveva un altro nome» spiegò quella specie di genio senza avere la pelle blu.

«Enoch!» esclamai io.

Ero ossessionata dagli angeli e demoni in particolare, oltre che da tutte le creature fantastiche.

Mi venne istintivo pronunciare quel nome, era il mio pane quotidiano.

Vanessa mi guardò stranita, io arrossì come mai in vita mia. Arrossivo sempre e troppo spesso, per qualsiasi cosa mi imbarazzasse.

L'uomo seduto alzò la testa dal libro e mi guardò incuriosito.

Il mezzo genio si girò a guardarmi, io volevo sparire ma non sapevo come.

«Vieni vieni ragazza» mi sollecitò lui chiamandomi, facendomi segno con le mani.

Ero estremamente timida, facevo amicizia con chi mi ispirava fiducia e aveva un'aura buona, perché sì, vedevo e percepivo le auree. Non sono cazzate, l'aura esiste davvero. Sapevo fin da piccola di essere diversa dagli altri, ma questa è una storia che vi racconterò dopo.

Mi chiamò un altro paio di volte prima di riuscire ad avvicinarmi, sotto lo sguardo dei ragazzi seduti, tra cosplay e divise di Harry Potter.

«Come sai questo nome?» chiese con uno sguardo così da teatro che fra poco ridevo.

«Mi piace l'angiologia e la demonologia» risposi a bassa voce.

L'uomo seduto ancora più attirato da me, mise la gamba a terra e chiuse il libro dandomi tutta la sua attenzione.

«Meraviglioso» disse il mezzo genio sgranando gli occhi e agitando le braccia.

Mi fece altre domande su quel genere e io risposi preparata.

L'uomo seduto sulla sedia ammiccava un sorriso ogni volta che rispondevo.

Mi comprai la sua simpatia e quella dei ragazzi seduti. Guardai i ragazzi con le cravatte gialle e nere, i Tassorosso, la mia casa. Avevo fatto un test che mi aveva smistata lì, anche Vanessa l'aveva fatto, ma era risultata serpeverde.

L'uomo che assomigliava a un prete in borghese iniziò a girarmi a torno, mi faceva domande su quello che sapevo sul sovrannaturale. Si presentò con il nome Curt. Sapeva parlare bene l'italiano, anche se avevo sentito qualche nota straniera nella sua voce. Non pensavo che fosse un maniaco, ma pensavo che nascondesse qualcosa.

«Tu» disse sedendosi accanto a me «Hai bisogno di queste» lasciò cadere sul tavolo delle pietre.

Lo guardai stranita.

«Alcune pietre fanno bene alla nostra psiche e al nostro organismo. Non prendermi per un santone, è solo che mi piace l'occulto come te» disse sorridendomi.

Prese l'acquamarina e la mostrò davanti a me.

«Aiuta a sciogliere la timidezza, a calmare i nervi, aiuta l'autostima, diminuisce la paura e l'ansia» mi spiegò cose che già sapevo.

«Sì l'acquamarina, lo so» risposi.

«Sei intelligente» mi fece un complimento lui.

«Non sono intelligente, ho solo studiato cose che mi piacciono» replicai.

«Studiare indica intelligenza» mi sorrise Curt, e ricambiai.

«L'agata fucsia» prese la pietra in mano «Questa ti incita a lasciare andare le delusioni e la tristezza. Ce ne sono di tanti colori, ognuna una caratteristica diversa» mi spiegò.

«La adularia, una pietra lunare» mi mostrò una pietra bianca «Aiuta la sfera emotiva a essere meno sconclusionata» affermò sorridendomi.

Credo che abbia capito il tipo di persona che io ero: quando l'emotività era troppa, offuscava la mia sfera razionale, e quando era troppo poca non prendevo in considerazione proprio i sentimenti.

«L'alessandrite sollecita gli scopi spirituali e la consapevolezza» mi illustrò.

Stava esponendo le pietre in ordine alfabetico, iniziai a farfugliare delle ipotesi.

O era davvero un santone e aveva capito la mia psiche e stava cercando di abbindolarmi con l'effetto forer non tenendo conto che mi stava descrivendo le pietre in ordine alfabetico o era un insegnate che era abituato a spiegare in ordine di nome.

«Perché mi sta spiegando le pietre in ordine di nome?» chiesi con un po' di timore.

«Che occhio» rise «Quella che non era intelligente» rise ancora.

Aspettavo ancora la risposta «Allora?» richiesi.

«Tenace vedo» rispose «Non preoccuparti. Sono un tipo che spiega al pubblico parecchie cose, e in genere lo faccio in ordine alfabetico» mi illustrò.

Non sapevo se credergli o meno.

Un corno suonò: iniziava un gioco organizzato da un'organizzazione, era una caccia a tesoro, bisognava correre per tutta l'area del comics in cerca della risposta alla domanda che urlavano al megafono.

Era troppo divertente, si poteva fare in due. Io e Vanessa correvamo a destra a manca. Ma le mie gambe cedevano subito, non ero allenata come lei, che alla sua linea ci teneva e se non era in palestra era sulla litoranea a correre. Anche a me piaceva correre, ma il solo pensiero che dovevo essere vista mentre svolgevo attività motoria da altre persone soprattutto incrociare sguardi di gente super allenata slanciata e un bel fisico, mi faceva cambiare idea.

Un ragazzo urlò al megafono.

«Ehi ragazzi, almeno voi non siate teologi e seminaristi vi conviene alzare le chiappe e correre per il comics per la prossima domanda» urlò un ragazzo con gli occhiali da sole su un palco.

«Nell'apocalisse di Giovanni, la bestia del mare, in simbologia cosa rappresenta?» domandò urlando quella voce metallica.

Io per curiosità avevo letto sia la genesi che l'apocalisse con le rispettive spiegazioni simboliche, non era da prendere così alla lettera. Recitai il versetto dell'apocalisse per ricordarmi.

«"E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e stette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di una leone"» recitai.

Era la mia occasione per superare la mia sociofobia, ma la risposta la dissi a Vanessa senza andare sotto il palco e urlare che simboleggiava il potere politico.

«Brava Sam» mi sorrise Curt.

«Merito di uno studio letto sull'apocalisse, da sola non lo avrei mai capito» raccontai facendo dell'autoironia sulla mia intelligenza.

Io e Vanessa facemmo molte amicizie quei giorni. Mi guardavo in torno e mi rendevo conto che quelle persone si avvicinavano al mio mondo strano. Si avvicinavano ma nonostante ciò io non mi sentivo mai capita infondo. Mi sentivo profondamente diversa da tutti, da tutto. Il mondo non mi apparteneva. Non mi sentivo a casa da nessuna parte. A quel raduno mi sentivo più vicina a quello che è il significato vero di "casa", ma non era abbastanza lo stesso.

«Ti stai divertendo Sam?» mi chiese Adelaide, una ragazza dal forte accento toscano. Era vestita in divisa Tassorosso. Mi aveva spiegato che lei faceva parte di una organizzazione che una volta all'anno organizzavano un raduno sul libro della buona e vecchia Rowling.

«Ci verrai?» mi chiese Iara, una ragazza fin troppo emaciata, lei era dell'Emilia Romagna, anche se non aveva cadenza lo sapevo perché me lo aveva riferito quando mi presentai alla casa dei Tassorosso presenti lì.

«Ehm, non so» risposi mortificata.

C'era voluta la mano di Dio per venire al Lucca comics dicendo ai miei genitori che sarebbe stata l'unica volta, ma ora che iniziavo a scoprire la bellezza del viaggiare e scoprire il mondo non volevo fermarmi, ma come potevo se la mia vita era condizionata dalla mia paura, dalla mia ansia, dai soldi e dai miei genitori?

Mi sentivo in catene.

Imprigionata da questa realtà in questo mondo che assolutamente non faceva per me.

«Come non lo sai?» mi chiese Samuele, un altro tassorosso romano da un incredibile assenza di cadenza romana.

«Soldi, genitori» sbuffai io.

«Come ti capisco» si intromise una veterana come Adelaide del Lucca comics e delle altre fiere nerd.

«Fino a quando ho vissuto sotto il loro tetto ero condizionata da loro. Ma da quando vivo con il mio ragazzo è tutto diverso, sono più libera di fare quello che voglio perché lui non è i miei genitori e mi lascia le mie libertà e i miei spazi» raccontò.

Più che cercare di comprendere la mia situazione sembrava stesse raccontando la sua storia con la scusa del mio problema.

«Scusala Sam» disse Adelaide «Ha iniziato da poco con lui la convivenza e lo va a raccontare a tutti» rise lei.

Ecco, come pensavo, l'euforia del cambiamento.

«Ma non è vero» rise Silvia.

Mentre Vanessa passava del tempo con altri ragazzi che condividevano con lei la sua passione per il disegno, io mi sedetti sul prato con le mie nuove amicizie.

Davanti a me passarono due ragazzi che mi avevano presentato.

Lui, un tipo palestrato ma non tanto alto, dalla voce alta e della capacità oratoria meravigliosa, sarà per quel motivo che tutte le andavano dietro: infatti lei, una ragazza robusta e alta, con un bel decolté, lo guardava come ipnotizzata.

«Che c'è?» mi chiese Iara «Anche a te piace lui?».

Non era male ma non era quello il motivo del mio interesse, come al solito ero presa ad analizzare tutto, loro, l'atteggiamento, il modo di esporsi.

«No, li stavo osservando per altro» confessai «Sembra che lei sia cotta di lui» spiegai.

«Lo è» rise Adelaide «Ma non dirlo in giro» mi sussurrò ridendo «A me l'ha detto Adelaide, un po' si vede ma non lo avrei mai immaginato» dichiarò.

«Invece si vede» risi io.

Io vedevo sempre di più degli altri, certe volte anche troppo.

«Tu che analizzi così maniacalmente i dettagli sì lo vedi, tu che ti perdi in queste cose lo noti» mi disse Iara.

«Sì ma non mi sto lì a sforzare, mi viene naturale» dichiarai.

«Dote» mi sorrise lei «A Carmine lo vogliono un po' tutte» affermo Iara «Ha quel nonsoché che ti abbaglia, non è la prima che gli va dietro senza riuscire ad avere di più dell'amicizia» mi spiegò.

«Un Don Giovanni» risi io.

«Sì» rispose ridendo Iara «Non so ma davvero, tutte lo vogliono. Manuela lei» indicò la ragazza che lo seguiva come un cagnolino «Un'altra Manuela, una certa Laura, una Lucia e tante altre che nemmeno ricordo» mi raccontò.

«Ma gli vanno dietro perché piace o perché si fa desiderare? Illude o altro?» chiesi.

«Ah guarda, di voci ce ne sono ma non so quale sia quella giusta. Ma il suo fare amichevole e amorevole con tutte si fa volere bene e piacere» confermò.

«Una specie di flirt sotto i baffi non visibile ma comunque le attrae» dichiarai io, che nonostante non avessi mai avuto un ragazzo avevo capito fin troppo bene i loro movimenti.

Una ragazzina energica ci corse davanti.

«Ehi Greta» la chiamò ridendo Iara.

Greta era la piccola del gruppo, sempre così vivace ed attiva che ti iniettava energia. Portava sempre con sé una tazzina di porcellana come ricordo della nonna morta qualche anno prima, c'era così affezionata che non permetteva a niente e nessuno di portarla via da lei.

Peccato che qualche anno dopo, per colpa di una parte di me, si starebbe schiantata in terra in frantumi.

C'era un ragazzo molisano come me, che aveva preso a girarmi attorno dal secondo giorno, non sapevo che altro fare per fargli capire che non era il mio tipo.

E' una cosa brutta quando non si viene ricambiato e lo so bene, ma in fin dei conti cosa puoi farci? Non c'è colpa se non si ricambia, non è automatico: se si piace a qualcuno automaticamente l'altro ci piace, non è sempre così.

Alcuni ragazzi avevano attirato la mia attenzione, ma non ero tipo che ci provava, troppo timida, avevo dei blocchi che con i ragazzi dal vivo non mi facevano avvicinare, dare un bacio era un'impresa. Avevo avuto varie frequentazioni, ma alla fine, tutti si stancavano di me, succedeva sempre prima o poi. Riuscivo ad attirare la loro attenzione, ad farli abboccare, ma mai a tenermeli. Avevo avuto anche io qualcuno che mi veniva dietro, ma i miei complessi, il mio lunaticissimo che sfiorava il bipolarismo, la mia malinconia, la mia insicurezza, l'ammasso di paure che avevo, facevano allontanare tutti prima o poi. La gente vuole al suo fianco persone solari, non persone dai sorrisi finti che dentro hanno infinite guerre con loro stessi. Io ero quella, un ammasso di paure, problemi, complessi, guerre interiori e litigi con lo specchio. La mia vita sembrava una stazione, tutti venivano e andavano senza mai rimanere, solo poche persone erano rimaste sempre, che sopportavano questo mucchio di difetti che ero.

Io e Vanessa avevamo un carattere molto diverso, lei sicura di sé con un'autostima che sparava i botti, varie relazioni alle spalle e una fila di ragazzi in coda.

Ma come mi veniva dietro Curt non mi era mai venuto dietro nessuno.

«Ti hanno mai consigliato l'angelite?» mi chiese lui.

Era una pietra azzurra che calmava l'iperattività, l'ansia per chi credeva alla cristallo terapia: lui doveva crederci fin troppo.

«No, ma ne ho sentito parlare. Ma ho usato il diaspro rosso per i miei troppi brufoli» ammisi.

«Ottimo» recensì lui.

«Cara Sam» si sedette accanto a me «Tu credo abbia fatto uso di troppa pietra di luna, se capisci cosa voglio dire» mi guardò con i suoi occhi azzurri lanciandomi un'intesa.

La pietra di luna favoriva la sensibilità, credo volesse dire che io ne avessi troppa, anche se la pietra migliorava l'offuscazione dei sentimenti sul cervello; e i miei influenzavano troppo le mie decisioni.

«Pietra di luna e granato insieme sono eccezionali per chi si illude spesso» mi disse Curt.

Mi servirebbe davvero allora, come mi sarebbe servita l'ambra, calcopirite, cinite, labradorite, lapislazzuli, malachite, mokaite, occhio di bue, onice bianco, ossidiana, pirite, quarzo citrino e la tormalina.

Una lista lunga, ma è modo per farvi capire in che stato vivevo.

Questo attaccamento che aveva Curt alle pietre, mostrandomele e spiegandomele mi faceva pensare, ma non avrei mai creduto quello che stava cercando di fare.

I miei guai, o meglio, l'inizio della mia nuova vita iniziò quando Curt stava maneggiando delle collane con dei cristalli come ciondoli. Li faceva toccare a tutti, sembrava volesse ottenere qualcosa, fino a quando mi passò davanti e uno di quelli si illuminò.

Gli occhi di Curt si illuminarono come quel cristallo.

Non tutti lo notarono, solo alcuni che sospirarono meravigliati.

Curt mi guardò come se si fosse innamorato di me.

Ovviamente non era innamorato di me, ma era innamorato di quello che io ero.

Mi guardò entusiasta, mi afferrò le mani e ci appoggiò la collana sopra i palmi.

Il cristallo esplose di luce.

   
 
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