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Autore: daisyssins    10/05/2017    0 recensioni
"...Le sembrava quasi impossibile non dare “troppo peso” ad una persona come Luke Hemmings, perché certe persone, quando ti entrano dentro, non è che tu possa farci un granché. Lei lo odiava, non aveva mai odiato tanto una persona quanto lui, sapeva chi era, aveva paura di lui, una fottuta paura, perché le ricordava tutto quello da cui stava scappando."
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«Sei strana. E sei bellissima» sussurrò lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, facendo scorrere le dita tra i capelli corti della ragazza.
Phillis sbottò in una breve risata sarcastica, prima di «E tu sei matto.» rispondere divertita.
«Io sarò anche matto, ma tu resti strana. E bellissima.»
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«Luke, ho paura, stai perdendo sangue..»
«Ancora non te l'hanno insegnato, Phillis? Il sangue è il problema minore. E' questo ciò che succede quando cadi a pezzi.»
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La verità ha un peso che non tutti, e non sempre, hanno la forza di reggere.
Trailer Pieces: https://www.youtube.com/watch?v=vDjiY7tFH8U&feature=youtu.be
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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13. Comatose

«Non ti macchiare mai del sangue di qualcun altro, Luke. Non farlo mai. Dal sangue non ti lavi più, diventa un po’ anche colpa tua»
Suo padre gli aveva ripetuto quel mantra per tutta la vita, sin da quando Luke era piccolo e lui tornava a casa con qualche ferita, che la moglie curava senza fiatare, in silenzio, gli occhi bassi e pieni di amarezza per il mostro che aveva davanti e che, un tempo, era stato l’uomo che aveva amato.
La prima volta che Luke si fece seriamente male si ritrovò da solo, contro una ferita da arma da taglio che non aveva idea di come medicare.
«Non puoi aiutarlo, Liz» il signor Hemmings aveva fermato la moglie, spaventata come mai prima di allora. «Non puoi aiutarlo, perché deve imparare a cavarsela da solo. Ché il suo sangue è un affare suo, deve imparare a conviverci»
Ci aveva messo mesi. Il taglio, abbastanza profondo, per poco non prese infezione: la ferita ci metteva molto, a guarire, e Luke aveva convissuto con un dolore tremendo ogni volta che si piegava, e il costato martoriato gli faceva venire voglia di urlare.
Poi, pian piano, il taglio si era rimarginato. Era stato un processo lungo e doloroso, ma quella che un tempo era stata una ferita sanguinante, dai bordi frastagliati sporchi di rosso scuro, era pian piano diventata solo una cicatrice rosea e lunga, a ricordargli la prima volta che si era trovato da solo.
Non aveva mai neanche aiutato i suoi amici, nemmeno Ashton, e Ashton per lui era come un fratello. Col sangue degli altri non bisognava mischiarcisi.
Ma quel giorno, lì per terra, non era Ashton, e nemmeno suo padre: non c’era una persona addestrata da tutta la vita a cavarsela in ogni situazione, ad evitare gli ospedali come una peste. Lì per terra, con gli occhi chiusi e la maglia che andava man mano macchiandosi sempre più di rosso, c’era Phillis Turner.
Luke non ci dovette pensare neanche un attimo. Semplicemente corse da lei, verso il suo corpo – solitamente già bianchissimo, niveo – che andava assumendo un colorito sempre più smorto, meno sano. Meno vivo.
«Cazzo, Phillis, cosa cazzo hai fatto!» urlò il ragazzo, piegandosi in ginocchio contro il corpo della Turner. La sollevò, la posò contro di sé, le portò due dita contro il collo: il battito c’era, ma era lentissimo.
Estrasse il cellulare più velocemente che poté, componendo il numero del pronto soccorso.
Stava infrangendo una seconda regola: niente ospedali, mai. Negli ospedali c’era troppa burocrazia, troppi documenti da firmare, dichiarazioni da rilasciare.
Negli ospedali chiedevano troppe spiegazioni, informazioni, e quelli come loro, di dare informazioni, proprio non potevano preoccuparsi.
Niente ospedali.
«Pronto?»
«Pronto, c’è stata una sparatoria... Una ragazza è stata ferita, c’è bisogno di un’ambulanza!»
La voce non gli aveva mai tremato così tanto.
Niente ospedali, dicevano.
Se la Turner fosse morta, una parte di lui se ne sarebbe andata con lei.

 

**

Una stanza fredda, asettica.
Lucy aveva sempre odiato il bianco degli ospedali. Le trasmetteva solo disagio, paura, la terribile sensazione della morte imminente: le strisciava addosso, sulla pelle, e poi le si incastrava tra le ossa.
Era la paura della morte che, anche quel giorno, era rimasta incastonata in lei, nei suoi polmoni alla disperata ricerca di aria.
Non sapeva come ci fosse finita, Phillis, lì.
Non sapeva cosa cazzo fosse successo alla sua amica, non sapeva perché lei, una ragazzina, si fosse ritrovata su un letto di un ospedale, dopo aver subito
l’estrazione di una pallottola. Un colpo di arma da fuoco che, tre giorni prima, aveva gettato la sua amica in un coma profondo. L’operazione era andata bene, avevano detto i medici, ma la ragazza aveva perso davvero molto sangue.
Alcuni ce la fanno comunque, a volte.
Alcuni ci riescono, a trovare la forza di svegliarsi, convivere con la paura, con il ricordo di quel momento, il rumore dello sparo nelle orecchie. La consapevolezza di quanto la propria vita sia stata appesa ad un filo, quegli ultimi attimi prima di perdere i sensi.
Sì, alcuni ci riescono.
Altri, semplicemente, non hanno la forza. Non si capisce cosa sia, magari la paura, magari debolezza fisica, ma altri non si svegliano mai. Potrebbero continuare a vivere attaccati a delle macchine praticamente per sempre.
Però Phillis era forte, Lucy lo sapeva. Non era il tipo da non trovare la forza, lei.
Era una che combatteva, una tosta, con le sue risate acute, le sue battute ciniche, la sua sfacciataggine. E se proprio si fosse sentita stanca, così stanca da non voler andare avanti, sarebbe stata Lucy la sua forza.
Era per questo che ogni giorno, dopo scuola, si sarebbe recata in ospedale. Studiava con i libri in bilico sulle gambe, seduta su una poltroncina accanto al letto dell’amica, dalla quale si alzava solo quando arrivava la madre di Phillis.
Allora si allontanava.
Adelaide ed Andrew Turner però non si presentavano molto spesso.
Il padre, soprattutto, in quei tre giorni si era visto solo una volta, e per meno di un’ora. Lucy lo aveva incontrato qualche altra volta, andando a casa Turner, ma – nonostante per lei fosse poco più che uno sconosciuto – mai le aveva messo tanta soggezione come quel giorno all’ospedale.
Gli occhi erano da spiritato, fissavano la figlia su un lettino d’ospedale quasi come non la vedessero davvero. Quasi a non volerci credere. La rabbia folle che Lucy aveva scorto dietro quello sguardo gelido l’aveva terrorizzata.
La signora Turner l’aveva vista quel pomeriggio, anche se per poco tempo, e anche la sera prima e il giorno in cui Phillis era stata portata in ospedale.
Salvata da uno sconosciuto, dicevano. Un numero anonimo, una voce di ragazzo. Terrorizzato, sembrava. Se avessero aperto le indagini, sicuramente il ragazzo sarebbe stato il primo che avrebbero cercato di rintracciare.
Adelaide Turner era stata seduta sul letto, accanto alla figlia, e Lucy si era allontanata quando aveva visto alcune lacrime scorrerle sul viso.
Sapeva che quella donna non era mai stata una grande madre, per Phillis. Lo sapeva benissimo, lei, la migliore amica, ma davanti a quel dolore così totalizzante da annullare tutto il resto, le era mancato il fiato.
Era uscita dalla stanza con un peso sul petto, osservando la donna – così simile a sua figlia, con quei capelli biondissimi, serici, il portamento severo – chinarsi sulla bionda, inerme, e posarle un bacio sulla fronte. Non baciava mai la figlia, lei.
Ma quel giorno lo fece.
E lo avrebbe fatto anche in seguito, e l’avrebbe abbracciata, le sarebbe stata vicina.
Il dolore che aveva stampato in faccia sembrava così forte da riuscire a far crollare l’intero ospedale. Così forte da risvegliare sua figlia dal coma.
«Tu sei Lucy, giusto?»
La rossa si voltò di scatto.
I suoi occhi scuri misero a fuoco la persona che le aveva parlato, e impietrì involontariamente, all’istante.
Non era lei, quella che aveva paura di Luke Hemmings e del suo gruppo. E Calum Hood non le aveva mai fatto niente di male, ma come aveva saputo che Phillis era lì, in quell’ospedale? E soprattutto, cosa gliene importava, a lui, di Phillis? La rossa non riusciva a credere che fosse un caso, la sua presenza lì. Non riusciva a fare quadrare quel terribile cerchio che era quell’assurda situazione.
Eppure ne aveva fatti quadrare, di cerchi, primo fra tutti proprio Phillis.
«Calum Hood. Cosa ci fai qui?» rispose stancamente, ma senza alcuna traccia di accusa nella sua voce. Forse era davvero un caso.
Il ragazzo si strinse nelle spalle, e «A scuola le voci girano in fretta» spiegò. «Lei era mia amica»
Lucy avrebbe voluto crederci. Calum sembrava sincero, il suo sguardo era venato di profonda preoccupazione, le labbra strette in un’unica linea diritta. Avrebbe voluto crederci, ma come fare, conoscendo Phillis e il terrore naturale che nutriva per quei ragazzi?
«Davvero?»
«Davvero. Non sai quante cose possono cambiare, in poche settimane, non lo immagini nemmeno»
La ragazza si morse un labbro, trattenendo un moto di rabbia. Avrebbe voluto sbottare contro quel mare di assurdità che il moro era stato capace di produrre in una sola frase, avrebbe voluto scaricare un po’ della rabbia e della paura che covava dentro di sé, e lui sembrava il capro espiatorio perfetto. Nonostante questo, si trattenne. Non era sua la colpa di ciò che era successo. Forse c’era davvero qualcosa che Phillis non le aveva raccontato, anche se il pensiero la feriva.
«Aiutami a capire, allora. Aiutami a farlo, davvero, perché altrimenti impazzirò»
E involontariamente, la natura di Lucy ebbe ancora una volta il sopravvento sulla sua razionalità.
Istintivamente si stava fidando di lui, uno sconosciuto, e dell’anima che aveva colto dietro i suoi occhi. Si stava fidando di Calum Hood.

**

Una mattina, neanche tanti anni prima, Luke Hemmings aveva visto suo padre venire sparato.
Era alla Centrale. Era lì con Michael, un Michael ancora normale, uno che non gli urlava contro se non riusciva a fare cinquecento flessioni in dieci minuti.
Suo padre era entrato di colpo, la porta si era spalancata. L’uomo aveva rivolto appena uno sguardo alla stanza, aveva individuato Luke e «Portatelo via» aveva detto, prima di perdere i sensi. Luke non ricordava altro, di quel giorno, perché le braccia forti dell’amico lo avevano allontanato. Avevano passato il resto della serata ad allenarsi, per tenere occupata la mente, nonostante Michael sapesse e Luke no. Nonostante quello lì, steso sulle scale della Centrale, era il signor Hemmings, e non il padre di Michael.
Colpito anche lui dalle pallottole di un’arma da fuoco. Questo era ciò che era capitato.
C’era stato il signor Hood, però, che di professione – ufficialmente – era uno stimato chirurgo: c’era stato lui a rimuovere con precisione quei pezzi di metallo dal corpo dell’uomo, mentre questo si imponeva di non urlare.
Anche senza ospedale, ce l’aveva fatta. Era quello che Luke si sarebbe sentito rinfacciare per il resto della serata.
«Hai idea di cosa cazzo hai combinato, eh? Ne hai la più pallida idea?» Michael era livido, gli occhi fuori dalle orbite, la voce più alta di un’ottava mentre gridava, fuori di sé.
Luke non rispose.
«Ti ho fatto una domanda, stronzo»
«Ed io non ho intenzione di ripetere ancora la stessa cosa»
Michael gli lanciò uno sguardo che probabilmente sarebbe anche riuscito ad incenerirlo lì, sul posto, in quel momento. «Sei nella merda, Hemmings, e stavolta ci sei da solo. Non credere che ne uscirai così facilmente» sputò fuori con cattiveria, le mani che tremavano.
Cattiveria.
Era questo, ciò che Michael era capace di dare.
Cattiveria, e rabbia, e odio. Rancore verso il mondo. Non era molto vasta, la sua gamma di emozioni, eppure Luke gli aveva sempre voluto bene. Erano amici. Lo erano sempre stati, almeno fino a quel momento. Ma ora l’odio di Michael riempiva quella stanza, scoppiava, tremava e con lui anche le sue braccia tremavano convulse, quasi che il ragazzo ne avesse perso il controllo.
«Non voglio uscirne facilmente, Michael, io me ne vado»
Lo aveva detto.
Era stata una giornata come tante, per loro della Centrale. Loro lo sapevano, come andavano le cose. Era un giorno normale. Fino a quel momento.
«Tu… cosa?»
Ma, un attimo dopo, Luke gli aveva già dato le spalle.


**

Hei there.
Sono tornata con un giorno di anticipo, lo so, ma non credo domani avrò tempo di postare e quindi eccomi qui.
Non avete idea di quanto sia strano, dopo due anni, parlarvi ancora di Phillis e Luke. Loro sono il mio grigio, sono quella parte di me che ho superato, ma che non andrà mai via del tutto. Mi era mancato raccontarvi di loro. Mi era mancato raccontarvi di me.
Giusto un piccolo appunto: ho inserito il pov di Lucy perché credevo andasse fatto, perché l'avevo messa troppo da parte, negli ultimi capitoli, ma lei è la mia migliore amica, ed io la adoro, e dovevo darle il suo spazio.
E, beh... that's all for today.
Spero apprezzerete,
Ida. x

  
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