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Autore: JEH1929    11/05/2017    1 recensioni
E così era stato deciso: avremmo abitato insieme.
Io mi ero gettata a capofitto nella novità senza pensare veramente cosa essa potesse veramente comportare, come mi succedeva sempre. Come al solito avevo riflettuto assai poco e così avevamo iniziato a visitare un appartamento dietro l’altro, quanto più vicini possibile all’università.
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“Sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Ti amo. Tua per sempre, Sana”
E mentre stringo fra le mani il libretto e non riesco a trattenere una piccola lacrima, che mi brucia gli occhi, penso a quanto la sorte possa essere ironica e a quanto sia facile che tutto ciò che pensavi avresti posseduto per sempre possa essere perduto in un millisecondo.
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Fanfiction su Sana e Akito e su quello che potrebbe essere loro successo dopo la fine del manga.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Apro gli occhi, sentendo la porta di ingresso sbattere rumorosamente. Dei passi pesanti avanzano all’interno dell’appartamento. Mi tolgo le cuffie con cui stavo ascoltando la musica e mi metto a sedere sul letto. Sento un leggero scompiglio in soggiorno e riconosco la voce di Sana che spicca su tutte le altre. Sembra piuttosto irritata e impone a tutti il silenzio, prima di avanzare pericolosamente nella mia direzione. Alla fine la porta si apre e me la ritrovo davanti.
Il volto di Sana è arrossato dalla rabbia e i capelli sono disordinati e umidi per la pioggia appena caduta. Mi guarda per un attimo con un’espressione di sfida e si sbatte la porta alle spalle, ponendosi esattamente davanti a me, le mani sui fianchi.
Senza neanche sapere cosa mi attende mi metto sulla difensiva, pronto ad accogliere il suo slancio d’ira.
- Che vuoi, Kurata? – mi esce dalla bocca, con il tono più indifferente che mi riesce di mettere su. Non lo ammetterei neanche sotto tortura, ma in questo momento mi spaventa abbastanza.
Lei spalanca gli occhi e poi si acciglia di nuovo, come se la mia risposta l’avesse ulteriormente irritata, però rimane in silenzio, senza riuscire a trovare le parole. È veramente strano che lei rimanga senza parole, di solito sono io quello che rimane in silenzio senza dire niente.
- Perché? – le esce finalmente di bocca, con voce strozzata.
- Perché cosa? – le chiedo.
- I capelli…
Eh? Per un attimo la sua strana risposta mi disorienta. Non riesco a capire se sia sul punto di scoppiare dalla rabbia o di scoppiare in lacrime, ma non ho alcuna intenzione di abbassare la guardia.
- Tu mi devi una spiegazione. – continua.
La parola spiegazione mi fa sussultare, non mi è mai piaciuto, dare spiegazioni.
- Non so cosa tu stia vaneggiando. – rispondo, tranquillo, freddo, anche se dentro di me continuano a frullare mille congetture diverse.
La vedo esitare ancora, come se dovesse buttare giù un boccone amaro. Apre la bocca diverse volte per poi richiuderla.
- Perché le ragazze con cui esci hanno tutte i capelli rossi? – sputa fuori alla fine.
Sussulto, ma riesco a recuperare velocemente il controllo.
- Eh? Tu stai vaneggiando. Capelli rossi? Non ci avevo neanche fatto caso.
- Ah certo. Ovvio. – adesso è sarcastica.
- Pensi davvero di essere sempre il centro dei miei pensieri? – le dico, con la voce più fredda che riesco a sfoderare.
Lei mi guarda, come se l’avessi ferita profondamente. Poi si volta ed esce, sbattendosi la porta alle spalle.
- Non hai capito niente… - le sento sussurrare, mentre corre via da me.
Cosa? Cosa non ho capito? Ma cosa diavolo sto facendo? Voglio davvero lasciarla andare così senza aver capito cosa significano le sue parole? Mi avrebbe davvero affrontato in questo modo se non le importasse più nulla? In fondo in tutte queste settimane mi ha sempre ignorato, deve pur essere successo qualcosa che l’abbia indotta a venirmi a parlare. Ma cosa? E poi quelle parole… “non hai capito niente”, che significavano?
Prima di poterci pensare ulteriormente, apro la porta, allucinato.
I miei amici sono immobili, con gli occhi spalancati. Poi Aya si riprende e mi indica la porta d’uscita.
- È andata di là, muoviti.
Mentre spalanco la porta, mi appunto mentalmente che dovrò ringraziare Aya. Così inizio a correre, senza sapere bene a cosa sto andando incontro.
 
Mi siedo sulla panchina del giardinetto vicino a casa nostra, dove il giorno del nostro arrivo mi sono rifugiata. La panchina è ancora umida, ma ha smesso di piovere e il cielo si è fatto inaspettatamente azzurro, anche se la temperatura è ancora bassa. Non mi ero neanche accorta del cambiamento.
Ripenso alle parole di Hayama, alla loro freddezza e di nuovo si insinua dentro di me il dubbio che tutto quello che i miei amici hanno notato, quello che Natsumi ha sentito non siano altro che frutto della loro immaginazione. Poi sento dei passi affrettati alle mie spalle e vedo Hayama passare quasi di corsa vicino al punto in cui mi trovo. Non appena mi vede, rallenta il passo, fino a raggiungere la panchina. Allora si siede. Tiro su le ginocchia e ci appoggio la fronte, decisa a non fare la prima mossa.
- Ti ricordi la prima volta che abbiamo litigato, dopo il mio ritorno dall’America? – dice.
Non rispondo, ma è ovvio che me ne ricordi. Era successo un paio di mesi dopo il suo ritorno, per un motivo stupido che neanche riesco a ricordare. Ma non era quello il punto. Non c’eravamo parlati per due giorni e quei due giorni erano stati quasi più lunghi di tutto il tempo in cui non c’eravamo visti. Alla fine il bisogno reciproco era stato così forte che ci eravamo ritrovati l’uno nelle braccia dell’altro prima ancora di essere riusciti ad aprire bocca. Era stato tutto così semplice.
- Perché prima era sempre tutto così semplice e adesso non lo è più? – chiede.
Esattamente la stessa cosa che mi domando anche io, da mesi. Di nuovo non rispondo.
Il silenzio si protrae per un tempo lunghissimo, alla fine mi chiedo se se ne sia andato, lasciandomi qui da sola. Quindi alzo la testa, ma lui si trova ancora lì. Il sole fa strani giochi di luce sul suo volto, mentre lui guarda fisso davanti a sé.
Stranamente è di nuovo lui a parlare.
- Dove sei stata oggi?
Sono stupita che gli altri non gli abbiano detto del mio incontro con Natsumi. Ma non sono sicura che sia il caso di dirgli che l’ho vista. O forse sì? In questo momento non ho alcuna certezza, così tutto quello che riesco a fare è trincerarmi dietro l’aggressività.
- Non penso che ti riguardi.
Sbuffa, irritandosi per il mio rifiuto di una tregua.
- A proposito hai fatto la tua scelta? – chiede.
- Che scelta? – la mia voce è un sussurro.
- Non è affatto una bella cosa tenere due così bravi ragazzi in sospeso.
Di nuovo con questa storia.
- Eh?
- Hiroto e Kamura.
Spalanco gli occhi. Ma che cosa diavolo sta dicendo? Come può davvero pensare che io possa fare una cosa del genere? Specialmente dopo che gli ho rivelato il senso di colpa che provo nei confronti di Naozumi. E poi cosa sa di Hiroto? Non so se la sua sia semplicemente una provocazione o se stia dicendo sul serio, ma per un attimo non riesco a trattenere la rabbia ed esplodo, alzando la voce forse di un’ottava di troppo. Mi alzo in piedi, fissandolo dritto in volto.
- Hayama, ma tu che ne sai!?
- Ah, io non saprei niente? Io ti ho vista! – adesso mi sta urlando contro anche lui, l’ultima traccia della calma che sembrava aver recuperato scompare.
Siamo l’uno davanti all’altro e ci guardiamo in cagnesco. Lui stringe i pugni lungo i fianchi, l’espressione accigliata.
- Non hai capito niente e basta.
- Ah, parla quella che capisce sempre tutto… - la sua voce trasuda sarcasmo, irritandomi ancora di più.
- Adesso basta! Tu non hai nessun diritto di essere geloso, chiaro? O te lo devo ripetere per l’ennesima volta?
- Io non sono affatto geloso.
- E allora, sentiamo, per quale motivo fai queste stupide scenate ogni volta che mi vedi con qualcun altro?
- Io non faccio nessuna scenata.
Sembra un disco rotto.
- Ah no? Vogliamo parlare di quello che è successo da Gomi?
- Stavo solo cercando di aiutarti! – la voce gli trema quasi dalla rabbia.
Alzo gli occhi al cielo.
- Io non capisco più niente!
- Non credo che sia una grande novità. – sibila.
Rimango in silenzio e anche lui si interrompe. Distolgo lo sguardo. Il vento muove leggermente le fronde dell’albero. Stanno già iniziando a cadere le prime foglie, dato il prossimo arrivo dell’autunno. Tuttavia la luce continua a penetrare a tratti, creando strani giochi di luce.
Komorebi. L’effetto particolare della luce solare quando passa attraverso le sottili e leggere foglie degli alberi. La parola mi balza alla mente inaspettatamente.
- Comunque non è vero che non so niente di te. – sussurra le parole talmente piano che mi sembra quasi di essermele immaginate.
Mi volto nella sua direzione. Il vento gli smuove i capelli, delicatamente. Il suo volto è illuminato e in ombra, in alternanza. Rabbrividisco e mi accorgo di non aver preso la giacca, uscendo come una furia. Anche Hayama indossa solo una maglia, ma non sembra far caso alla temperatura esterna.
- Io ti conosco meglio di chiunque altro. – aggiunge.
So che è vero, come lo sa lui. E entrambi sappiamo che in questo mondo non c’è nessun altro che ci comprenda così bene e così profondamente. Nessuno conosce i miei difetti e le mie mancanze in maniera tanto approfondita. Nessuno riesce a leggere e a scorgere così bene le ombre dentro di me. Come io riesco a leggere le ombre e i tormenti nei suoi occhi ambrati. Allo stesso modo non c’è mai stato nessuno che abbia potuto usufruire quanto lui della mia gioia. Io, che sono una ragazza generalmente allegra di carattere, non lo sono mai veramente, mai del tutto, a meno che non sia con lui, che non sia per lui. Mentre lui, che è sempre così scontroso, arrabbiato e in guerra con il mondo, riesce a mostrare la sua luce soltanto a me. Perché in fondo soltanto io sono in grado di vederla del tutto.
Komorebi. Luce e ombra. Ma non separate. No, l’una mescolato all’altra, in continua evoluzione eppure sempre uguali a sé stesse, sempre vicine. Non possono esistere l’una senza l’altra. Nei loro continui giochi di luce fra le fronde degli alberi.
- Lo so. – rispondo semplicemente e lui si volta e mi lancia uno sguardo sorpreso, come se si fosse aspettato tutt’altra reazione da parte mia.
- Eppure nei momenti in cui vorrei riuscire a leggerti e capire cosa pensi, cosa attraversi il tuo strano cervello… non ci riesco.
Sorrido. Anche questo, esattamente la stessa cosa per me. Riusciamo a leggerci alla perfezione, tranne quando il sentimento che stiamo esprimendo riguarda direttamente l’altro. Allora diventiamo ciechi, mentre le nostre emozioni diventano evidenti a tutti gli altri. Siamo due sciocchi, che si rifiutano di vedere, trincerati dietro la testardaggine. Ed è in questi momenti che diventiamo un mistero. Un qualcosa di incomprensibile, di imprevedibile.
Komorebi. Un mistero. Non sai mai cosa aspettarti dal movimento delle foglie causato dal vento e da come la luce si rifletterà sulla terra, sull’acqua, sull’erba, sui volti delle persone, dei bambini, degli innamorati, degli amici, dei solitari. Così imprevedibile. Ma è proprio questo il bello, no? Non sai mai cosa aspettarti dalla luce e dal vento.
- Eppure, nonostante tutto continuiamo ad essere qui.
Annuisco.
Già. Nonostante tutto, nonostante gli ostacoli, le incomprensioni, le difficoltà…continuiamo ad essere sempre qui, l’uno accanto all’altra, fedeli. Anche nei momenti di maggiore odio reciproco è sempre stata la nostra priorità sapere dove era l’altro, cosa faceva. Vederci almeno per un momento. Per questo non eravamo riusciti a rimanere lontani a lungo. Il nostro era un bisogno fisico, mentale, spirituale. Avevamo bisogno l’uno dell’altro in qualsiasi modo possibile. Vederci era rigenerante, come riuscire a raggiungere una fonte dopo aver camminato per ore nel deserto. Il nostro bisogno è una costante.
Komorebi. Trovare l’ombra, il ristoro dopo aver sofferto così a lungo. L’ombra offerta dalle foglie degli alberi. Sedersi e chiudere gli occhi, mentre la luce si diverte sul tuo volto finalmente rilassato. Questo è per noi, il bisogno di vederci.
Il silenzio si prolunga mentre questi pensieri inaspettati si fanno strada nella mia mente confusa. E per la terza, quarta, quinta volta Hayama interrompe il silenzio. Si volta nella mia direzione, l’irritazione chiara nei suoi occhi ambrati.
- Dannazione Sana! Di’ qualcosa!
Apro la bocca, ma le parole mi muoiono in bocca. La richiudo e inghiotto, mentre la frustrazione attraversa il suo volto. Ma nella mia mente un’unica parola continua a ripetersi.
Komorebi. È l’illuminazione di un istante. È il fuoco interiore che arde per tutta la vita.
E finalmente capisco il significato, il perché questa parola non faccia che frullarmi in testa dall’inizio della conversazione. Siamo noi. Noi siamo komorebi, in tutte le sue sfumature: luce e ombra, mistero, riposo, illuminazione di un istante, fuoco interiore che arde per sempre. Questi siamo noi e così è la nostra relazione. Non è la perfezione, affatto. Adesso capisco quanto mi sbagliavo quando pensavo che la nostra relazione fosse perfetta. Ero totalmente fuori strada. Ma è giusto che non lo sia. Una relazione perfetta non è reale, affatto, eppure il nostro amore è la cosa più reale che ci sia mai stata nella mia vita e anche nella sua. E nello stesso istante ho la certezza che anche lui provi la stessa cosa che provo io. Semplicemente, per le parole che ha detto, per i litigi, per le ombre che abbiamo passato, per l’imprevedibile che ci attende. Ma è proprio questo il bello, che sia imprevedibile.
E quindi all’ennesimo gesto di impazienza di Hayama, all’ennesimo cenno di rabbia e nervosismo, all’ennesima occhiataccia, non posso che rispondere in un unico modo.
Mi avvicino lentamente e lo bacio sulle labbra. Per la prima volta, nel corso di tutta la nostra relazione, lui ha parlato e io ho agito.
All’inizio rimane immobile, pietrificato, e si irrigidisce, come se non si fosse aspettato questa mia reazione ed effettivamente non me l’ero aspettata neanche io, nel momento in cui mi ero seduta su questa panchina. Ma io lo stringo più forte, una mano intorno al suo collo, l’altra che si fa strada fra i capelli dorati. Allora anche lui non esita più e inizia a baciarmi, cingendomi i fianchi con le mani. Il bacio si prolunga, mentre ritroviamo quella familiarità, quell’equilibrio non perfetto che ci ha sempre caratterizzato e allo stesso tempo avvertiamo che è tutto nuovo, tutto diverso, tutto migliore. Perché è così che va con noi: tutto è sempre uguale a sé stesso eppure niente lo è realmente. Per questo non ci siamo mai stancati l’uno dell’altro e mai ci stancheremo.
Quando ci fermiamo a riprendere fiato, lo sguardo che leggo nei suoi occhi è strano, stupito. Gli occhi spalancati.
- Mi hai baciato. – dice, come se non riuscisse a credere alle sue parole.
- Questo mi sembra ovvio… - rispondo, assumendo il tono che è solito assumere lui e sorrido.
 
Quando Sana appoggia le labbra sulle mie per un attimo mi chiedo se non stia per caso sognando, ma la loro morbidezza, il profumo di cocco e gelsomino che mi invade le narici, il sapore della sua bocca, la dolcezza della sua lingua e infine le sue mani delicate infilate fra i miei capelli mi scuotono. Allora rispondo al bacio. E mi accorgo di quanto mi fossero mancate, quelle labbra, quella sensazione, quella completezza. Perché sì, è così che finalmente mi rendo conto di essere completo. Di nuovo. E capisco che anche lei mi ama, con la stessa intensità con cui io la amo ancora. E che per tutto questo tempo non siamo stati che due sciocchi, accecati dal nostro orgoglio.
Le mie labbra sono delicate, le mie mani immobili sui suoi fianchi, ho come paura che possa non essere vero, che Sana possa respingermi da un momento all’altro. Oppure che possa svegliarmi nel mezzo di questo sogno meraviglioso. Quando ci stacchiamo tutto quello che riesco a sussurrare è uno stupido:
- Mi hai baciato.
- Questo mi sembra ovvio… - e lo dice in tono ironico, come se lo fosse la cosa più scontata di questo mondo, e con quel sorriso sulle labbra.
Il distacco mi sembra già un dolore fisico, una mancanza. Allora non possa far altro che tornare a prendere l’iniziativa e baciarla, come è sempre stato. Sento le sue labbra incurvarsi in un sorriso, quando la stringo a me, con più forza, con più passione, assaporandone ogni singolo dettaglio, mentre lei assapora me. Mi faccio largo con le mani sulla sua schiena, non indossa una giacca, ma tutto quello che vorrei è toccare la sua pelle. Infilo l’altra mano nei suoi capelli rossi. Finalmente. Nessuno ha i capelli perfetti di Sana, così lisci, così morbidi. I capelli che sogno di stringere ogni notte prima di addormentarmi e che ho cercato di ritrovare in ogni ragazza che mi è passata davanti e di cui ho rimosso ogni minimo dettaglio. Mentre ogni familiare dettaglio di Sana mi riempie e mi inebria i sensi. Totalmente concentrati e totalmente immersi l’uno nell’altra. In questo momento potrebbe crollare il mondo e noi non ce ne accorgeremmo neanche.
Soltanto la forte risata e l’esclamazione di una voce a noi familiare riesce a interromperci. Fuka e Takaishi sono immobili a pochi metri da noi. Fuka sta ridendo talmente forte da stringersi la pancia con le mani e tutti si voltano a guardarla, mentre Takaishi appare imbarazzatissimo, come se preferisse trovarsi in qualsiasi altro posto piuttosto che lì. E non mi stupisco affatto nel constatare che anche io vorrei che si trovassero in un qualsiasi altro posto, il più lontano possibile da noi. Aggrotto le sopracciglia, mentre Sana arrossisce, staccandosi velocemente da me e per un attimo mi si blocca il respiro, come se mi avessero tolto la terra di sotto i piedi. Di nuovo. L’occhiata che lancio a Fuka potrebbe incenerire un pezzo di ghiaccio eppure tutto quello che riesco ad ottenere è farla ridere ancora più forte.

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Ciao a tutti! Scusatemi tantissimo per il ritardo, avevo detto a qualcuno di voi che avrei aggiunto il capitolo nei giorni scorsi, ma sono stata veramente impegnatissima e sono rimasta indietro con la storia. Mi dispiace tanto! Ma adesso manca poco alla fine.
Finalmente ho svelato il significato del titolo della mia storia. Komorebi è una parola giapponese realmente esistente e intraducibile in italiano, se non con una parafrasi, ossia "l’effetto particolare della luce solare quando passa attraverso le sottili e leggere foglie degli alberi". Io ho deciso di dargli un significato un po' più personale e un po' più legato alla storia di Sana e Akito.
Spero che il capitolo vi piaccia! A presto!
   
 
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