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Autore: Warlock_Vampire    13/05/2017    2 recensioni
"Io, che ho conosciuto molto presto cosa fossero dolore e odio e che solo dopo molto tempo ho compreso l'amore; io, che ho imparato ad uccidere prima ancora di saper vivere; io, che ho vissuto per secoli nella profonda convinzione che ognuno può ottenere ciò che vuole, sempre e comunque, sacrificando tutto, se necessario; dopo così tanto ho davvero bisogno di mettere nero su bianco i fatti."
In queste memorie Katherine Pierce si racconta, dalla sua fragile umanità alla trasformazione in Vampiro, ripercorrendo tutte le tappe più significative della sua lunga esistenza.
AVVERTENZA: La lettura di questa storia è un contributo, una spin off, di The last challenge (il nostro crossover). Pertanto, consigliamo la lettura di The last challenge, anche se non è essenziale.
Inoltre, essendo la "nostra" Katherine, le vicende in cui è coinvolta sono frutto dell'immaginazione degli autori e nulla hanno a che vedere con la Katherine di The Vampire Diaries, pur ricalcandone l'aspetto e il carattere.
Precisato questo, buona lettura!
Genere: Azione, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elijah, Katherine Pierce, Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Milano – 1522
 
Piazza del Duomo era piuttosto affollata. Un caos di passanti, carrozze, povera gente e nobili famiglie. Il viaggio era stato piuttosto confortevole e non avevo avuto altri incontri con Vampiri sanguinari in cerca del Diamante, per fortuna.
L’oggetto era in quel momento –come sempre- riposto con cura nella borsetta da cui non mi separavo mai.
Il vetturino aveva lasciato il baule accanto a me, aveva preso un paio di monete di mancia per il suo servizio, e se ne era andato.
Io ero in anticipo per Rose, ma scrutavo ugualmente la folla in cerca di lei, dei suoi capelli rosso scuro e della sua aria così inglese. Passava il tempo -e passa tuttora- ma lei resta sempre uguale a se stessa. Sarà forse anche questo che mi piace di Rose, il suo non lasciarsi corrompere dalle brutture del mondo.
D’un tratto la vidi camminare a passo spedito e capo chino verso di me, proveniente da una via laterale. Indossava un abito di splendida foggia e i capelli erano raccolti in un’elaborata acconciatura. Alzò gli occhi e incontrò i miei da lontano. Se possibile, camminò ancora più in fretta e mi raggiunse.
«Katerina» mi salutò, facendo un breve inchino. Sorrise e sorrisero anche i suoi occhi verdi. Io mi inchinai di rimando e poi la abbracciai di slancio. Erano quattro anni che non la vedevo e, in barba a tutti i freni che mi ero sempre imposta nei suoi riguardi, avevo voglia di stringerla a me per un istante, di sentire il suo profumo, di farle sapere quanto mi fosse mancata.
Rose ricambiò la mia stretta e poi mi porse la lettera che le avevo fatto recapitare, quasi due settimane prima.
«E’ arrivata l’altro ieri» mi spiegò, «lo hai soggiogato, vero, quel pover’uomo? Ha voluto vedermi a tutti i costi e stava quasi per aggredire la domestica che voleva prendergli la lettera per portarmela».
«Mh, tutto nella norma, allora» risposi, tornando ad essere la Katerina distaccata di sempre; «spero che tu abbia scelto un palazzo sontuoso e non una bettola come a Vienna, Rose, perché ho davvero bisogno di un bagno caldo e di un letto comodo prima di ripartire».
«Ripartire?» chiese Rose, aggrottando le sopracciglia.
«Sì, ripartire. Non possiamo stare qui e tu verrai con me, che ti piaccia o no» dissi, forse troppo rudemente.
«Cos’hai combinato, Kat?» volle sapere.
«Te lo racconto dopo. Ora andiamo».
E così mi feci accompagnare presso la sua residenza, che si rivelò essere un palazzo di modeste dimensioni appartenente ad una famiglia piuttosto benestante.
Ne fui contenta. Voleva dire che Rose aveva imparato la lezione da quella volta a Vienna in cui a tutti i costi aveva voluto occupare una locanda e non mi aveva permesso di soggiogare un’intera famiglia con la servitù. Il risultato era stata la peste bubbonica che l’aveva costretta a diventare un Vampiro, contratta proprio tra le fetide mura di quella stamberga.
Rose fece gli onori di casa presentandomi alla famiglia, poi mi condusse presso le sue stanze e ordinò alle domestiche di prepararmi un bagno caldo e un letto per la notte.
«Ora mi vuoi dire cosa è successo?» domandò, fissandomi a braccia conserte.
Mi versai un bicchiere di vino dalla caraffa all’angolo della stanza, poi lanciai a Rose la mia borsetta. La prese al volo e l’aprì.
Trattenne il respiro quando il Diamante Oscuro scivolò tra le sue mani e brillò della luce riflessa del sole che entrava dalle finestre.
«Oh mio dio… è proprio…».
«…Quello che sembra? Sì, è il Diamante Oscuro» l’aiutai.
«Ma dove lo hai preso, Kat?!».
«Nel Nuovo Mondo, naturalmente» replicai, sorridendo appena alla sorpresa confusione dipinta sul volto della mia fedele compagna.
«Spiegami tutto immediatamente» ordinò Rose con gli occhi sbarrati.
E così le parlai del mio viaggio e di tutto quello che ho già fedelmente riportato in queste pagine a proposito di quegli episodi.
«E così ti inseguono per averlo?» chiese infine, dopo che le ebbi raccontato dell’incontro coi due Vampiri a Firenze.
«Già. Pensavo di lasciare la Penisola, andare a Est» azzardai.
«E dove? Io non voglio lasciare Milano» protestò Rose.
«Sono già quattro anni che sei qui, dovrai andartene comunque tra poco.
Non so dove, pensavo all’Est in generale, magari tornare in Bulgaria non sarebbe una cattiva idea».
«Quando vuoi partire?» si arrese Rose.
“Domani”, le avrei detto. Ma vedevo quanto a Rose dispiacesse l’idea di lasciare Milano, così dissi “la prossima settimana”, giusto per darle il tempo di godersi gli ultimi giorni nella città e darle un degno addio, seppur temporaneo.

 
***


Neanche il tempo di preparare i bagagli, che i miei piani furono sconvolti.
La sera stessa del mio arrivo a Milano, si presentò alla porta un uomo. Non volle parlare con le domestiche né con nessun altro membro della casa.
Voleva me.
Mi avvicinai a lui, ma emanava un tale profumo di sangue fresco che era di certo umano. Un umano soggiogato. Vestiva semplicemente e teneva a tracolla una bisaccia, da cui estrasse un bigliettino di pergamena, nel momento in cui mi vide e mi riconobbe per Katerina Petrova.
Mi porse il bigliettino, su cui lessi:
 
Mia cara Katerina,
quanto tempo è passato dall’ultima volta? Vieni domani alle otto in Piazza Mercanti, sola, e con un bagaglio possibilmente.
Non vedo l’ora di rivederti.
 
Nessuna firma. Ma non dovetti chiedermi chi fosse il mittente. Mi bastò rialzare gli occhi sullo sconosciuto per capirlo. L’uomo aveva estratto dalla bisaccia una coppa dorata, si era tagliato il polso con un coltellino e ora lasciava gocciolare il sangue nella coppa. Quando fu riempita me la porse, si strappò un lembo della camicia con cui fasciò la ferita, poi si inchinò ed uscì dalla casa in silenzio, senza mai guardarsi indietro.  
Nikolaj.
Il cuore prese a martellarmi nel petto.
Nikolaj. Dopo più di un secolo di lontananza, mi aveva chiesto un incontro.
Sentii che il Diamante Oscuro era solo una delle ragioni per cui voleva rivedermi.
 
L’idea che il giorno seguente avrei incontrato il mio Creatore dopo così tanto tempo, dopo l’inganno perpetrato a sue spese, mi catapultò in uno stato di eccitata agitazione. Avevo timore di lui, ma allo stesso tempo volevo disperatamente incontrarlo.
Rose mi raggiunse silenziosamente e mi ritrovò ancora così com’ero rimasta dopo la scomparsa del messaggero: con il bigliettino di Nikolaj stretto nel pugno e la coppa di sangue nell’altra mano, ancora intatta.
«Kat?».
Rose fissava la coppa di sangue con ardente desiderio. Lei, come Nikolaj, non apprezzava come me i colli freschi da mordere. Preferiva il sangue nella coppa, da dove poteva nutrirsi senza sporcarsi. Da quanto non si nutriva? D’un tratto mi parve stremata, il volto di un pallore grigiastro, le vene scure sotto gli occhi iniettate di sangue.
Le porsi allora la coppa e lei la trangugiò in pochi sorsi.
«Si tratta di Nikolaj» le dissi, dandole il bigliettino perché potesse leggerlo.
Iniziò subito a protestare che sarebbe venuta con me, un po’ perché voleva conoscere l’uomo che mi aveva trasformata in quella che ero, e un po’ perché voleva proteggermi da qualsiasi cosa Nikolaj avrebbe tentato di farmi.
«Dice chiaramente che devo andare da sola, Rose. E rispetterò i suoi ordini, se non altro perché so che sarebbe capace di ucciderti».
E poi per mille altre ragioni che non le spiegai. Che tra me e Nikolaj c’era un rapporto del tutto particolare, che volevo vederlo da sola e Rose sarebbe stata solo un impiccio, che volevo picchiarlo così selvaggiamente e poi baciarlo altrettanto forte, che volevo dirgli –o fargli capire, almeno- che non lo odiavo poi così tanto e che non l’avevo lasciato per fargli un torto, ma solo per me stessa. Che non aveva capito nulla di me e, allo stesso tempo, aveva capito tutto.
Rose non sarebbe mai venuta con me. Lei no, non avrebbe compreso tutte queste cose, di cui sentivo l’ardente bisogno di fare e di dire a Nikolaj.
  
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