Serie TV > Poldark
Segui la storia  |       
Autore: lady lina 77    14/05/2017    1 recensioni
Seguito di Without you. Un anno dopo la nascita di Isabella-Rose, Ross e Demelza vivono una vita serena e felice a Nampara, insieme ai loro tre figli. Ma il destino si sa, è malefico. E un incidente scombinerà di nuovo le carte, facendoli precipitare in un tunnel di dolore, incertezza e difficoltà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Demelza cavalcava come una forsennata, da sola, nel buio della sera della Cornovaglia. Era un misto di sentimenti fortissimi e contrastanti, un fascio di nervi e preda di una terribile sensazione di pericolo incombente e paura.

Era preoccupata, spaventata, disperata e incredibilmente arrabbiata. Con Clowance, certo. Lo sapeva da sempre, dal suo primo vagito, che sarebbe stata la figlia che l'avrebbe fatta dannare più di tutti. Testarda, fiera e orgogliosa come suo padre, vanitosa, vivacissima e allo stesso tempo aggraziata come una piccola principessa che non accetta compromessi e vuole tutto e subito. Un mix del genere non avrebbe potuto far altro che procurarle guai... Ma soprattutto, era arrabbiata con se stessa per non essere intervenuta prima e con fermezza nella disputa fra padre e figlia che si era creata dopo l'incidente in miniera. E poi c'era Ross ed era furente anche con lui. Sapeva che ce la stava mettendo tutta per rendersi utile ma pure nella malattia e preda dell'amnesia, pareva poco propenso ad accettare consigli e assolutamente caparbio nel fare di testa sua.

Quando era tornata dalla Wheal Grace e aveva scoperto che l'aveva messa in castigo e minacciata di farle saltare la cena, si era arrabbiata ma si era pure morsa le labbra ed era stata zitta per non sminuire la figura di Ross agli occhi di Clowance. Ma quando Jeremy, entrando nella cameretta, non aveva più trovato la sorella e aveva notato la finestra aperta, l'ansia e la rabbia si erano impossessati di lei, assieme alla paura. Clowance non c'era da nessuna parte. E nemmeno la sua bambola preferita! Non ci voleva un genio per capire che fosse scappata e il pensiero della sua piccola bimba da sola, al buio e al freddo della notte, l'avevano terrorizzata all'istante. Si sarebbe presa a schiaffi da sola per aver permesso che succedesse una cosa simile, per aver fatto sentire la sua bambina talmente poco amata da spingerla a scappare. Per Clowance era difficile avere a che fare con un padre tanto diverso da prima e Ross sembrava non capire quanto la figlia si sentisse spersa e alla sua incessante ricerca. Aveva sei anni e cercava di attirare l'attenzione con gli unici modi che poteva conoscere: capricci e dispetti.

E lei... Lei non era intervenuta, troppo stanca, troppo preoccupata e presa da mille cose, troppo intenta a piangersi addosso per quanto successo a Ross.

Gli si era scagliata contro, appena scoperto l'accaduto, mentre Prudie e Jud si preparavano ad uscire per cercare la bimba.


"Come hai potuto permettere che succedesse una cosa del genere? Cosa pensavi di ottenere facendo il padre duro e rigido? Tu gli sei sempre stato vicino, l'hai sempre spronata con dolcezza a fare le cose e l'hai sempre aiutata dove non riusciva da sola! Questo eri tu, per lei!".

Ross si oscurò. "Credevo di fare del bene. Mi dispiace, non pensavo che sarebbe scappata".

A quelle parole, la tentazione di urlare fu più forte di tutto, per lei. "Non potevi saperlo perché non la conosci, ORA! Non ricordi chi sei, non ricordi chi siamo noi e se solo mi avessi ascoltato, nostra figlia adesso sarebbe al caldo e al sicuro, in casa. Non in fuga chissà dove, perché pensa che non gli vuoi più bene".

Ross abbassò il viso. "Esco a cercarla".

Demelza avrebbe voluto essere felice di quella sua iniziativa, sapeva che si sentiva in colpa e che era confuso e preoccupato, ma non avrebbe permesso a un ulteriore guaio di angustiarla, per quella sera. "Non ricordi nulla di questi posti, rischieresti di perderti anche tu! Esco io, a cavallo, conosco i posti che lei conosce e farò prima, da sola. Tu ti perderesti e mi rallenteresti, mi dispiace ma devi rimanere. Sta tranquillo, la troverò e la riperterò a casa e d'ora in poi sarò io a pensare a lei e alla sua educazione. Questo finché non avrai imparato a conoscerla, di nuovo".

"Ma...".

Demelza guardò Jud, decisa a porre fine alla conversazione con suo marito. Il servo indossava il mantello e aveva già pronta una lanterna in mano. "Andrai con lui, se proprio te la senti di uscire, Ross. Controllate a piedi i dintorni, mentre io mi allontano a cavallo". Poi guardò Prudie, desiderosa anch'essa di intraprendere le ricerche. "Tu resterai a casa, ad occuparti di Jeremy e Bella. Ti prego Prudie, ne ho bisogno".

La serva annuì. "Sì signora".

Jeremy le andò vicino, mentre si metteva il mantello per andare a cavallo. Ci si aggrappò, strattonandolo. "Mamma, riporta a casa Clowance, ti prego! E' mia sorella e se non sa fare i compiti, l'aiuto io".

"Certo, tesoro" – disse, baciandolo sulla fronte.


Non aveva lasciato a Ross il tempo di controbattere. Tutto era sulle sue spalle dall'incidente e non aveva tempo da perdere. Voleva solo ritrovare la sua bambina, abbracciarla, sgridarla, tranquillizzarla e riportarla a casa. Pregò Dio, pregò sua madre e pregò anche la sua piccola Julia affinché Clowance stesse bene. Solo questo contava in quel momento per lei!

Cavalcò costeggiando le scogliere, a lungo, incurante del freddo e del buio. Qualcuno avrebbe potuto dire che non era il comportamento adatto ad una signora, ma in quel momento – e forse, in generale, sempre – le importava davvero poco.

Sulla strada vide altri uomini a cavallo che galoppavano come pazzi e le parve di riconoscere alcuni degli scagnozzi di George Warleggan. Si chiese brevemente cosa stessero cercando, ma fu solo un attimo. Aveva cose più importanti da fare, che pensare a George.

Fece mente locale sui luoghi che Clowance conosceva e frequentava e in cui avrebbe potuto nascondersi. La miniera? No, non la amava particolarmente, troppo sporca per i suoi gusti e soprattutto troppo vicina alla sua scuola. Il villaggio dove andavano a fare compere era troppo lontano perché lo avesse raggiunto a piedi, Clowance sapeva che non avrebbe fatto in tempo prima che arrivasse buio e sua figlia era piccola ma non certo stupida. C'era però un posto dove avrebbe potuto trovarla, un posto che amava, non particolarmente lontano, di cui conosceva ogni angolo o anfratto: la spiaggia dove, in estate, Ross portava tutti loro a giocare al mare era il luogo perfetto per Clowance, dove passare la notte. Lì doveva cercare, per prima cosa. E poi man mano spostarsi altrove, nel caso non l'avesse trovata. Non aveva idea di cosa si fosse messa in testa ma sapeva che Clowance era abbastanza furba da saper scegliersi un nascondiglio sicuro, per la notte. Anche in questo era come suo padre, piena di risorse davanti ad ogni evenienza.

Giunse alla spiaggia dopo una cavalcata forsennata e nervosa. Tutto era avvolto da calma e silenzio, così in contrapposizione coi suoi sentimenti. Si guardò attorno, camminando nella sabbia fredda, con le redini in mano.

Il mare era tornato alla calma, dopo un pomeriggio intero in cui era stato mosso e in tempesta, e le onde si infrangevano tranquille sulla battigia.

Demelza camminò lentamente, quasi desiderosa di fondersi con quell'atmosfera di pace e tranquillità. Ne aveva bisogno, disperatamente. Avrebbe voluto piangere ed urlare, lasciarsi andare alla disperazione e all'angoscia, sprofondare nella sabbia ed aspettare che qualcuno arrivasse ad asciugare le sue lacrime e a consolarla. Ma sapeva che non sarebbe arrivato nessuno e sapeva anche che non poteva permettersi nemmeno il lusso di sperarlo. Lei era la moglie di Ross, un uomo che in quel momento era malato e bisognoso di cure e attenzioni. Ed era la madre di Jeremy, Clowance e Isabella-Rose. Venivano prima di tutto, anche di se stessa. E se per prendersi cura della sua famiglia doveva annullarsi, lo avrebbe fatto finché ne avrebbe avuto le forze fisiche e mentali. Non era tempo di piangere e non lo sarebbe stato a lungo...

Improvvisamente, la sua attenzione fu catturata da un rivolo di fumo che fuoriusciva da una grotta in fondo alla spiaggia. Il suo cuore perse un colpo mentre la speranza aumentava in lei. Chi poteva esserci a quell'ora, in spiaggia? Certo, potevano benissimo essere contrabbandieri... Ma magari...

Lasciò le redini e si mise a correre come una forsennata, dimenticando prudenza e paure. Se laggiù c'era la sua bimba, lei doveva raggiungerla subito.

Ma appena fu davanti a quel piccolo fuoco improvvisato, non fu la sua bimba che vide. Ma un piccoletto circa della stessa età, intento a gettare legnetti nella brace. Era magrolino, coi capelli pieni di riccioli scuri, vestito con abiti eleganti e dai modi di fare piuttosto aggraziati. Si bloccò, chiedendosi che cosa ci facesse un bambino del genere lì, da solo, in spiaggia e di notte.

Il piccolo si voltò verso di lei, accigliato. "Oh, e tu chi sei?" - chiese, guardingo, guardandosi attorno.

Demelza sospirò. Se tanto gli dava tanto, sua figlia non era l'unica ad essere scappata di casa, quel giorno. Ci mancava solo questa! "Chi sei tu? E che ci fai qui?".

"Accendo il fuoco per non morire di freddo!" - rispose lui, sicuro.

Demelza alzò gli occhi al cielo. Beh, non intendeva essere sfrontato, questo era chiaro, però lei non aveva tempo da perdere. Stava per dire qualcosa quando una vocina, dalla grotta, la raggiunse.

"Con chi stai parlando?".

Demelza si voltò, mentre il cuore le batteva forte. Era la SUA vocina, quella della sua bambina. Dimentica del piccolo fuochista, corse all'interno della grotta, chiamando il nome di sua figlia con disperazione.

Corse, e finalmente la vide. Se ne stava seduta contro una roccia, rannicchiata e avvolta in una logora coperta. "Clowance!" - sussurrò, quasi stentando a credere di averla trovata. Voleva abbracciarla, scuoterla, picchiarla, baciarla e poi abbracciarla di nuovo. Era talmente felice e allo stesso tempo furente con lei, che non sapeva come avrebbe reagito una volta che l'avesse avuta sotto mano.

La bimba restò a fissarla con gli occhi spalancati, stupiti e attoniti. Rimase sulle sue solo pochi istanti però. Si morse il labbro, gli occhi le diventarono lucidi e poi si alzò di scatto, correndole incontro e saltandole al collo. "Mamma!" - esclamò, stringendosi a lei.

"Clowance!". Demelza la abbracciò, stringendola a se con la stessa disperazione e forza con cui l'aveva stretta fra le braccia il giorno in cui era nata. Solo questo poteva fare, per ora. Si sentiva come quel giorno di più di sei anni prima a Londra, si rese conto, spersa, impaurita e senza appigli, piena di incognite per il futuro e senza certezze. Ma ora aveva la sua bimba accanto a se, ora poteva tirare un sospiro di sollievo almento per quello. Pianse, in silenzio, accarezzando i lunghi capelli rossi della sua bambina. Poi la guardò, asciugandole le lacrime che, anche a lei, rigavano il viso. Era scappata di casa, certo. E il tempo del castigo e della sgridata sarebbe arrivato presto per questo, ma non era il momento ora. Avvertiva quanto fosse spaventata e allo stesso tempo sollevata di essere stata ritrovata. "Non hai idea della paura che mi hai fatto prendere".

"Mi dispiace, mamma. Io non volevo spaventarti, ma però... Papà... Lui..." - disse la piccola, con foga.

"Lo so!" - le rispose con fermezza, cercando di rassicurarla. "Ora andrà tutto bene, ci penserò io. Ma tu non fare mai più una cosa del genere, non hai idea della paura che abbiamo avuto".

Clowance spalancò gli occhi, asciugandosi le lacrime con la mano. "Anche papà?".

"Anche papà, certo". Demelza le scostò i capelli dalla fronte, baciandola. "Cosa ci fai qui? Cosa volevi fare, dove volevi andare?".

"Da nonno Martin e nonna Diane a Londra. Volevo che mi adottavano, visto che papà non mi vuole più".

Demelza sorrise tristemente, a quelle parole, leggendovi in esse tanto dolore e tanta disperazione. "Certo che ti vuole. Sai, lui ora è malato ma l'amore per te non è scomparso. Ha semplicemente perso un po' la strada che dal suo cuore porta alla sua testa. E sta a noi aiutarlo a tornare come prima".

"Ma però" – obiettò la bimba – "A Jeremy e Bella vuole ancora bene".

Demelza scosse la testa, cercando le parole per aiutarla a tranquillizzarsi. "Ne vuole anche a te, sta tranquilla".

"Come fai a saperlo?".

"L'ho sposato!".

In quel momento la coperta con cui Clowance si era riparata dal freddo fino a poco prima, si mosse. E da essa, come per magia, uscì un cucciolo bianco e piuttosto sporco che, guaendo, sembrava cercare di attirare attenzioni su di se. Camminava in maniera sgraziata, doveva essere molto piccolo di età, i movimenti erano ancora scoordinati e i lamenti erano da cucciolo nato da poco. Per un attimo lo fissò e basta, ricordando il giorno in cui aveva trovato Garrick tanti anni prima. Quel cucciolo un po' glielo ricordava, in maniera dolorosa.

"Lui è Artù!" - disse Clowance, quasi leggendole nel pensiero.

Bene, ora doveva essere arrabbiata anche per questo! "Clowance, lo sai cosa penso dei cani!".

La bimba abbassò lo sguardo. "La sua mamma è morta e lui piangeva. Lo ha trovato il mio amico la fuori, che sta accendendo il fuoco. E me lo ha regalato. L'ho chiamato Artù, come il re".

In quel momento, a quelle parole, il cane passò in secondo piano per Demelza. Il bambino del fuoco, già, se n'era dimenticata! "Chi è quel bambino?" - chiese con urgenza alla figlia.

"Mi chiamo Valentin Warleggan".

La vocina del bambino giunse alle sue spalle a sorpresa e, assieme a quel nome pronunciato a mezza voce, le fece venire la pelle d'oca. Era arrivato senza che se ne accorgesse, mentre era presa ad abbracciare e a tranquillizzare sua figlia. Si voltò verso di lui, fissandolo meglio, mentre i ricordi lontani di un passato che ancora sapeva farle male, tornavano a galla.

Lo guardò, così magro, così ricciolino, così simile a... Le venne in mente Elizabeth, la notte terribile in cui Ross era andato da lei cedendo a quell'antico amore, il dolore che aveva provato, i tre anni a Londra da sola coi suoi bambini, l'incontro di quattro anni prima nel bosco, con la sua antica rivale che teneva per mano quello stesso bambino che ora aveva davanti. Il figlio di George... O il figlio di Ross...

Elizabeth era morta ormai da due anni ma era come se il suo fantasma aleggiasse sempre sulla sua testa. Non per Ross, lui la sua scelta l'aveva fatta ed era certa che ne fosse felice. Ma era lei che, ogni tanto, si fermava a chiedersi per quanto tempo ancora quella notte orribile avrebbe continuato a condizionare la sua vita. Ora, guardando quel bambino, si rese conto che quella condizione sarebbe durata per sempre. Lui esisteva e la sua mente non riusciva ad ignorarlo! Non riusciva ad essere razionale come suo marito, concentrata solo su coloro che considerava i veri affetti della sua vita, la sua mente vagava anche oltre e in un certo senso il ricordo di quella notte, nonostante il matrimonio felice con Ross, avrebbe continuato a tormentarla. Soprattutto in un momento della sua vita come quello.

E ora averlo davanti, inaspettatamente, peggiorava le cose. Provava una specie di repulsione verso di lui, al solo pensarlo. E ora che ce l'aveva davanti, anche se si sentiva in colpa per questo, la cosa non cambiava chissà che. Era orribile pensare una cosa del genere di un bambino che non aveva colpe, ma non riusciva a farne a meno. Avrebbe voluto prendersi in braccio la sua Clowance, correre con lei verso il suo cavallo e lasciarselo alle spalle. Ma di certo non poteva farlo, lo sapeva. Era l'unica adulta in quella spiaggia e la responsabilità di quel bambino dipendeva da lei. "Valentin Warleggan di Trenwith House?" - chiese, sentendosi stupida perché sapeva già la risposta.

Il bimbo annuì. "Sì. Voi siete la mamma di Clowance?".

"Si" – rispose Demelza, freddamente. "Cosa ci fai qui?".

Clowance intervenne, incuriosita da quella strana atmosfera. "L'ho conosciuto oggi pomeriggio per caso e gli ho chiesto se voleva scappare di casa con me. Mi ha detto di sì, ha un papà che non gli parla mai e che vuole bene solo a sua sorella piccola".

Demelza alzò gli occhi al cielo, avendo finalmente chiaro il quadro della situazione. Non solo aveva a che fare con QUEL bambino che mai avrebbe voluto incontrare, ora avrebbe dovuto anche accompagnarlo a casa e sorbirsi le urla di George Warleggan che gli avrebbe rinfacciato quanto la sua bimba avesse messo in pericolo il suo piccolo erede. Scosse la testa, immaginando già il proseguio della serata. "Devo riportarvi a casa, tutti e due" – disse, risoluta.

"Io non voglio tornare a casa, sto bene qui" – rispose Valentin, sicuro.

Clowance abbassò lo sguardo, sbadigliando. "Io forse un po' di voglia ce l'ho, ma...". Fissò Artù che, insistentemente, cercava di arrampicarsi sulle sue gambe.

Demelza capì subito cosa volesse dire, fermandola fermamente. "No, il cane non viene, sai come la penso!".

"Ma mamma, morirà qui da solo!".

"Non voglio cani, fine del discorso" – ribadì Demelza, cercando di ignorare il visino di quel grazioso cucciolo. Sapeva che da solo non sarebbe sopravvissuto, ma non se la sentiva di riprovarci di nuovo, dopo il dolore per la morte di Garrick.

Clowance si imbronciò, si mise le mani sui fianchi ed indietreggiò. "E allora, mi sa che resto qui pure io con Valentin. Non torno a casa se lui non puo' venire con me. Io non abbandono un mio amico".

A quelle parole così uguali a quelle che lei stessa aveva pronunciato a Ross tanti anni prima, il giorno in cui si erano conosciuti, Demelza sussultò. In lei rivedeva la se stessa bambina, senza appigli, con un cane come unico amico. Capiva come si sentisse Clowance, il senso di protezione e il sentimento di affetto che la legava a quel cane. Quel giorno, Ross aveva ceduto. E lei non poteva fare diversamente. Inspirò profondamente, cercò in se il coraggio per aprirsi a un nuovo affetto e alla fine annuì. "Va bene, ma dovrai prendertene cura tu. Sarà il TUO cane e ne sarai responsabile".

"Mamma!!!" - esclamò Clowance, abbracciandola felice.

"Andiamo a casa, ora?" - chiese Demelza.

Clowance, prendendo in braccio Artù, annuì. "Sì, a casa".

Valentin abbassò lo sguardo e non disse nulla. Si vedeva che era in difficoltà, impaurito e per nulla entusiasta davanti alla prospettiva di tornare a Trenwith, ma Demelza non poteva fare altrimenti. Capiva come si sentiva e poteva immaginare che vivere con un padre come George Warleggan non fosse il massimo del divertimento. Ma non c'erano alternative o meglio, non ce n'erano che lei potesse accettare...

Inspirando nuovamente, si avvicinò a lui, cercando di apparire gentile e credibile. "Vieni, andiamo. Parlerò io con tuo padre, lo conosco e sono sicura che riuscirò a convincerlo a non essere troppo severo" – disse, porgendogli la mano.

Valentin annuì, poco convinto. Poi, con titubanza, guardandola in viso, le prese la mano e la strinse.

Demelza, a quel contatto, sentì le viscere rivoltarsi nel suo ventre, ma cercò di ignorare quella sensazione sgradevole. Era un bambino, solo un bambino... "Andiamo" – disse, prendendo Clowance con l'altra mano.

Valentin continuò a guardarla con uno sguardo strano e insistente. Poi osservò Clowance. "Beh, hai una mamma coraggiosa! Chissà se anche mia mamma sarebbe uscita di notte, da sola e a cavallo, a cercarmi".

Demelza sorrise sarcasticamente. Elizabeth di notte, da sola e a cavallo era un'eresia! No, lei era una damina che aspettava davanti alla finestra e diceva e non diceva e faceva in modo che gli altri agissero per lei.

"Mamma, sai che la mamma di Valentin è morta? Non ho mai conosciuto nessuno senza mamma" – esclamò Clowance.

"Si, lo so".

"La conoscevate?" - chiese Valentin, incuriosito.

"Sì, la conoscevo".

"Com'era?" - chiese il bambino.

"Una mamma, uguale a tutte le altre mamme" – rispose. Era il meglio che potesse dire e fare. Non voleva parlar male di Elizabeth anzi, non voleva parlarne affatto, faceva parte del suo passato e non era lì a controbattere a ciò che lei avrebbe potuto dire. Provava un sentimento di umana pietà per il fatto che non avesse potuto vivere la maternità e i suoi figli, ma finiva tutto lì. Le aveva fatto troppo male ed erano due donne troppo diverse per avere qualcosa in comune.

Giunsero al cavallo e Demelza, prendendoli in braccio, li mise in sella. E lentamente, mentre Artù trotterellava dietro di loro, si diresse verso Trenwith.

Quando vi giunsero, un drappello di uomini correva avanti e indietro con delle torce, guardati a vista da George Warleggan che dava ordini a destra e a manca.

Quando li vide arrivare, il suo socio in affari spalancò gli occhi nel vedere il suo bambino a cavallo, con la figlia di Ross accanto a lui.

Demelza gli si avvicinò, cercando di mantenere la calma. "Tutto questo baccano suppongo che sia a causa sua" – disse, indicando Valentin che, dalla sella, guardava il padre con terrore.

George la guardò con furore negli occhi, la sorpassò senza dire nulla e raggiunse il figlio, tirandolo giù dal cavallo con uno strattone, prima di dargli un violento schiaffo in viso. "Questa me la paghi" – disse, come se parlasse al suo peggior nemico e non al figlio di sei anni che, quasi senza fiato, lo guardava con occhi sgranati dal terrore.

A quel gesto, Demelza fu punta sul vivo. Anche se Valentin le risvegliava sensazioni negative, odiava veder maltrattare un bambino. "George, trattenetevi, è solo un bambino ed è fuggito di casa spinto da mia figlia. Me ne assumo ogni responsabilità. Ma non siate violento con lui, per favore".

George si voltò verso di lei, osservandola nello stesso modo spiacevole in cui la guardava alle riunioni del consiglio d'amministrazione della Warleggan Bank. "Voi e i vostri figli selvaggi, avete messo in pericolo mio figlio. E per quanto riguarda lo schiaffo, meglio un padre violento che uno assente, se mi spiego...".

Ignorò il senso di quella frecciatina rivolta ovviamente a Ross e deglutì, cercando un modo per fargli sbollire la rabbia in maniera costruttiva. Fece scendere dal cavallo Clowance, la obbligò a scusarsi e poi incitò George a mandare i bambini in giardino per salutarsi e permettere loro di parlare in privato.

Stranamente, George acconsentì.

"Signora Poldark, capite la gravità di quanto successo? Valentin non si è mai allontanato da Trenwith da solo, è cagionevole di salute e ancora inadatto alla vita fuori casa".

Demelza annuì, non poteva dargli torto. "Lo so e mi dispiace, non immaginavo che mia figlia avrebbe fatto una cosa simile e di certo non avrei mai creduto possibile che conoscesse Valentin" – concluse, osservando i due bambini che, in lontananza, giocavano col cucciolo.

George le si avvicinò, prendendole improvvisamente il polso ed attirandola a se. La guardò negli occhi in un modo penetrante e che le era sconosciuto, con una strana serietà nello sguardo. "Voi capite che questa cosa è deleteria, vero? Capite che i bambini non dovranno più vedersi, giusto? E capite anche il perché, potrei scommetterci!".

Sospirò, lo capiva ed era d'accordo. Valentin e Clowance non avrebbero avuto per sempre sei anni e non voleva assolutamente rischiare che, crescendo, quella amicizia potesse eventualmente trasformarsi in qualcosa d'altro. Era un'eventualità che la faceva inorridire e che avrebbe cercato in ogni modo di non fare accadere. Non sapeva se George si riferisse a questo o se i suoi trascorsi con Ross fossero la causa delle sue parole, ma per una volta era d'accordo con lui. "I bambini si saluteranno questa sera e non si vedranno mai più".

"Bene". George le lasciò il braccio, allontanandosi di alcuni passi. "Io e voi... Noi due Demelza, dobbiamo convivere con gli errori di Ross e con le conseguenze che hanno portato... Mi capite, vero?".

Deglutì, capendo bene a cosa si riferisse, senza che fosse stato esplicito. "Si". Era sorpresa che ne parlasse, seppur non in modo diretto. Credeva che non avesse certezze, anche se la somiglianza di Valentin e Ross era evidente. Ma in realtà lui sapeva, quanto lei. E in questa cosa erano in un certo senso 'alleati', anche se odiava ammetterlo. Vivevano sulla loro pelle le conseguenze di quella notte terribile di sette anni prima, non c'era bisogno di dirselo esplicitamente ma era così. Si trovò a pensare che era davvero strano condividere qualcosa con George ed essere dallo stesso lato della barricata. Strano e per nulla piacevole...

"Io lo so Demelza, l'ho sempre saputo che non eravate a Londra per affari e che la separazione da vostro marito fosse dovuta a ben altri motivi. Sospetti, ma che col tempo e guardando attentamente fatti e persone... e bambini... sono diventati quasi realtà... Capite ancora, vero?".

"Si".

"Bene, allora prendete quella selvaggia di vostra figlia e portatela via da qui. E fate in modo che questa conversazione di questa sera fra noi, resti SOLO fra noi per sempre".

Demelza ubbidì, senza replicare per una volta. Voleva andarsene da lì, lasciare George e dimenticarsi dell'esistenza di Valentin. Richiamò Clowance e la intimò di salutare Valentin. La piccola salutò con la manina, convinta che lo avrebbe rivisto presto. La prese in braccio, le diede Artù e poi montò anch'essa a cavallo, lasciandosi Trenwith alle spalle. "Sei in castigo" – le disse, appena furono da sole.

"Mamma...".

Demelza odiava essere dura perché sapeva quanto fosse difficile per lei quella situazione, ma non poteva lasciar correre quanto successo. "Hai messo in pericolo te stessa e tutti noi che ti siamo venuti a cercare e hai fatto una cosa brutta e grave. Hai guadagnato un cucciolo, ma avrai anche un castigo. Da domani terrai pulita la stalla e ti occuperai degli animali per due settimane".

"Ma la stalla puzza! Ed è sporca".

Demelza alzò le spalle, divertita nonostante tutto. "Beh, ti farai un bagno, di sera".

Clowance sospirò. "Quando potrò tornare a giocare con Valentin?".

"Mai più". Lo disse senza mezzi giri di parole, non c'era troppo da dire, nonostante tutto.

"Perché? E' mio amico".

"Lo so, ma non lo vedrai più lo stesso. I motivi sono tanti e sei troppo piccola per capirli. Farai come dirò io e basta!".

Clowance si mise a piangere, ma Demelza non si fece intenerire. Era per il suo bene, per quello della famiglia e anche per Valentin. Non dovevano vedersi, presto si sarebbe dimenticata di lui e l'avventura di quella giornata sarebbe diventata uno sbiadito ricordo d'infanzia, ne era certa.

Quando giunsero a Nampara, Ross e Jud erano rientrati. Prudie e i bambini erano ancora svegli e, appena la videro, le corsero incontro per abbracciare Clowance.

Jud sospirò sollevato e Ross la squadrò, prima lei e poi la bambina. "Sta bene?" - chiese.

"Bene. E ho già stabilito il suo castigo".

Suo marito non disse nulla, non si avvicinò e non parlò con la bimba, le diede una veloce occhiata fredda e poi salì le scale, diretto verso la sua camera. Era arrabbiato, preoccupato e ora anche sollevato dal fatto che la avesse ritrovata, lo capiva. E allo stesso tempo era spaventato dal non sapere come rapportarsi alla bimba, preferendo il silenzio al rischio di fare ulteriori danni. Certo, Clowance avrebbe voluto una sua reazione, ma per il momento Demelza stabilì che era meglio così.

La piccola abbracciò il fratello e la sorellina, guardando sconsolata la scala dove era scomparso il padre. Poi prese Artù, facendolo vedere a Jeremy e Bella.

I suoi figli si illuminarono in viso, felici ed eccitati.

"Abbiamo un cane?" - gli chiese, Jeremy.

Demelza annuì. "Un cane sporco, da lavare e che mordicchierà ogni cosa come tutti i cuccioli. Dovrete averne cura, mi raccomando. E dovrete anche fargli il bagno, domani".

Jeremy e Clowance si guardarono con sguardo complice, molto simile a quello di un tempo, quando vivevano soli a Londra.

Demelza sorrise, incitandoli però ad andare a letto. Per fortuna era finito tutto per il meglio.


...


Jeremy era arrabbiato nonostante il cucciolo che, tranquillamente, era saltato sul suo letto alla ricerca di coccole. "Dovevi dirmi che scappavi di casa, ti avrei seguita".

"Tu non hai motivi per scappare".

"Si, ma dove volevi andare?".

Clowance si stese sul letto, incrociando le braccia dietro la nuca. Gli raccontò della sua giornata, di Valentin, dei loro giochi in spiaggia, della strana famiglia del suo amico e di come avessero trovato Artù. Poi gli confidò che la destinazione era Londra, da nonno Martin e nonna Diane.

Jeremy sbuffò. "Ecco, vedi? Dovevi dirmelo, soprattutto se volevi andare a Londra".

"Perché?".

Il bimbo si sedette accanto a lei, prendendole la mano. "Londra era casa nostra, lo ricordi? Eravamo solo tu ed io, mamma stava sempre fuori a lavorare. E se ci vai e ci vuoi vivere, io vengo con te come una volta. Curavamo la casa e le nostre cose insieme e se ci andavi, io dovevo esserci".

"Già, scusa". Clowance si rannicchiò sopra le coperte, pensierosa. Mentre sua madre parlava col padre di Valentin, aveva captato pezzi della loro conversazione che non aveva capito e che magari suo fratello avrebbe potuto spiegarle. Stava ancora male per la decisione di non vedere più Valentin, oltre per il fatto che suo padre l'aveva ignorata anche quando era tornata dopo la fuga, e aveva mille domande in testa. "Jeremy, tu sai perché quando vivevamo a Londra, papà non c'è stato per tanto?".

Jeremy scosse la testa. "No, mamma diceva solo che aveva tanto da fare. Perché me lo chiedi?".

Clowance alzò le spalle, sospirando. "Prima, quando abbiamo riaccompagnato a casa Valentin, il suo papà ha detto a mamma una cosa sul nostro papà di quando eravamo a Londra. Non ha detto che cosa, ma mamma ha capito lo stesso. E io ho sentito, anche se ero un po' lontana".

"E cosa ha detto?" - chiese Jeremy.

"Ha detto a mamma che lui e lei devono riparare all'errore di papà e alle sue conseguenze e non so che errore è perché non lo hanno detto ma mamma ha capito. Lui ha detto... che in fondo lo sapeva che quando era a Londra era per quello che aveva fatto papà ".

Jeremy restò per un attimo in silenzio. "Non so cosa voleva dire, Clowance. La mamma diceva solo che papà non poteva vivere con noi perché era impegnato lontano".

"E tu gli credi?".

Jeremy scosse la testa. "No, non ci ho mai creduto. Forse dovremmo chiederlo alla mamma".

Clowance abbracciò il cuscino, pensierosa, mentre Artù la raggiungeva e si rannicchiava sul suo petto. "Meglio di no" – disse, accarezzandolo.

"Perché?".

La bimba scosse la testa. "Non lo so perché, ma credo che non mi piacerebbe saperlo".

Jeremy sospirò, dandole ragione. "Va bene. Ma mi giuri che se hai dei problemi, invece che scappare, vieni da me. Ti aiuto io al posto di papà, come quando eravamo a Londra".

Clowance sorrise, lo abbracciò e gli diede un bacio sulla guancia. "Va bene, te lo prometto". Si rese conto che Jeremy non era male come fratello e che averlo vicino, a Londra, era stato bello. E si accorse di essere felice che ci fosse e che le volesse bene.






  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Poldark / Vai alla pagina dell'autore: lady lina 77