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Autore: Warlock_Vampire    20/05/2017    1 recensioni
"Io, che ho conosciuto molto presto cosa fossero dolore e odio e che solo dopo molto tempo ho compreso l'amore; io, che ho imparato ad uccidere prima ancora di saper vivere; io, che ho vissuto per secoli nella profonda convinzione che ognuno può ottenere ciò che vuole, sempre e comunque, sacrificando tutto, se necessario; dopo così tanto ho davvero bisogno di mettere nero su bianco i fatti."
In queste memorie Katherine Pierce si racconta, dalla sua fragile umanità alla trasformazione in Vampiro, ripercorrendo tutte le tappe più significative della sua lunga esistenza.
AVVERTENZA: La lettura di questa storia è un contributo, una spin off, di The last challenge (il nostro crossover). Pertanto, consigliamo la lettura di The last challenge, anche se non è essenziale.
Inoltre, essendo la "nostra" Katherine, le vicende in cui è coinvolta sono frutto dell'immaginazione degli autori e nulla hanno a che vedere con la Katherine di The Vampire Diaries, pur ricalcandone l'aspetto e il carattere.
Precisato questo, buona lettura!
Genere: Azione, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elijah, Katherine Pierce, Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Castello di Urquhart, Scozia – 1522 (1)
 
Sono passati un po’ di anni da quel giorno di fine settembre del 1522, in cui mi recai all’appuntamento con Nikolaj. È ancora tutto impresso nella mia memoria e lo sarà per sempre.
Lo narro adesso, dopo tanto tempo, perché non ho avuto il coraggio di farlo prima; di scrivere nero su bianco i fatti di quei pochi giorni trascorsi col mio Creatore, che erano stati un misto di nostalgia, passione, odio, ricordi di tempi passati e racconti di avventure più recenti.
Mi recai in Piazza Mercanti, luogo stabilito da Nikolaj nel suo bigliettino di pergamena. Il cuore mi palpitava nel petto e riuscivo molto faticosamente a dissimulare lo stato di profonda agitazione in cui versavo. Stringevo la borsetta col Diamante in una mano e il manico del mio bagaglio nell’altra.
La piazza era deserta, non fosse stato per una carrozza in sosta ad un angolo e tre individui con abiti scuri che non avevano smesso di fissarmi dal momento in cui avevo messo piede nel piazzale. Nikolaj doveva per forza trovarsi all’interno della carrozza, o almeno così credevo.
Uno dei tre uomini si inchinò quando mi avvicinai, un altro mi prese di mano la valigetta, il terzo aprì la porta della carrozza e si sedette all’interno, in attesa.
«Mia signora, vi prego di prendere posto» disse il Vampiro che si era inchinato al mio arrivo.
«Dov’è Nikolaj?» domandai, stringendo forte il Diamante nel pugno, quasi fosse un amuleto.
«Vi prego di entrare nella carrozza» ripeté l’uomo, visibilmente in imbarazzo.
L’interno della carrozza era vuoto, se non si contava il Vampiro che si era seduto ad un angolo del divanetto. Nikolaj non era lì.
Una certa delusione si fece strada dentro di me, accompagnata dal nervosismo crescente e dalla paura. La sentivo serpeggiare nel mio petto e minacciare di stringermi nella sua morsa gelida. Trassi un profondo respiro nel tentativo di calmarmi e finii per ubbidire, prendendo posto nella carrozza di fronte al Vampiro.
Il tizio che mi aveva parlato si sedette affianco a me, mentre quello che si era occupato del mio bagaglio si mise alla guida dei cavalli. Li frustò appena e questi partirono.
«Dove siamo diretti?» domandai.
Nessuno dei due Vampiri mi rispose.
«Dov’è Nikolaj!» esclamai.
Niente.
«Potrei uccidervi tutti e tre e nel frattempo pettinarmi i capelli e incipriarmi il viso senza che neanche un’unghia mi si spezzi. Oppure potrei non creare alcun tipo di problema a voi o a Nikolaj Ivanov. A voi la scelta. Sono certa che siate persone intelligenti. Allora?» sibilai.
«Il signore ci aveva avvertiti che probabilmente avreste detto cose di questo tipo» fu l’unico commento di uno dei due, precisamente quello seduto di fronte a me. Mi lanciò un’occhiata divertita e non aggiunse altro.
Avrei voluto strappargli quel sorrisetto sornione dalla faccia con una mossa particolarmente violenta che immaginai sin nei minimi particolari, crogiolandomi nel pensiero che questo avrebbe saputo placare la mia rabbia in quel momento. Figurai la mia mano penetrare la pelle del suo petto, le mie dita stringersi intorno al suo cuore pulsante e poi estrarlo con un movimento veloce del braccio. Sarebbe stato incredibilmente spassoso.
«Sarà un viaggio lungo, mia signora. Vi consiglio di rilassarvi» disse l’altro, strappandomi ai miei gloriosi sogni sanguinari.
 
Fu un viaggio maledettamente lungo. Attraversammo l’Europa! Da Milano fino alla Francia e poi oltre il canale della Manica, poi tutta l’Inghilterra e ancora più su, fino alla Scozia degli Stuart. Un viaggio durato settimane e non del tutto confortevole, sia per la carrozza che per i miei fedeli compagni di viaggio che erano personaggi del tutto anonimi e di poche parole.
Arrivammo sulle sponde del Loch Ness una fredda notte di fine novembre. Poco lontano si scorgevano le luci del Castello di Urquhart, che avevo individuato essere la residenza attuale di Nikolaj. Scossi la testa, divertita. Era tipico di lui, scegliere una fortezza immersa nella natura, lontana dal caos delle città, con un grande parco per la caccia e uno stuolo di servitori ai suoi ordini.
Quando la carrozza si arrestò, uno dei Vampiri scese a terra con un balzo, poi mi tese la mano e mi aiutò a uscire dal mezzo. Gli altri erano già affaccendati a sistemare i cavalli e a occuparsi della mia valigia.
Vidi da lontano il portone poco illuminato del castello spalancarsi e una figura scura emergere dall’oscurità, rischiarata solo dal fascio di luce delle torce rette da tre o quattro servitori.
Nikolaj.
Camminai meccanicamente verso di lui, il Diamante nella borsetta, stretta nel pugno come unica ancora di salvezza, il cuore nel petto che minacciava di esplodere.
Fui finalmente davanti a lui; solo pochi metri ci separavano. Mi sorpresi di trovarlo sempre uguale. I capelli lunghi portati alla moda del tempo, i vestiti di ottima fattura, il portamento elegante e gli occhi castani che riflettevano la luce aranciata delle torce. Fissai quegli occhi incapace di guardare altrove.
Tutto il resto del mondo era sparito, non mi importava che di quegli occhi, di quel sorrisetto bieco e di quel viso che avevo tanto sfuggito, amato, bramato.
«Katerina» bisbigliò Nikolaj, assaporando il gusto del mio nome sulle sue labbra. Sorrise ancora di più e allargò le braccia in segno di benvenuto.
«Sei ancora più bella dell’ultima volta. Il vampirismo ti dona» aggiunse.
«Tu invece sei sempre lo stesso» replicai divertita, gettando uno sguardo al castello dietro di lui, «manieri di pietra, servitori soggiogati, Creature soprannaturali al tuo servizio. Non ti stanchi mai di tutto questo? Non ti viene voglia di cambiare? Mh, sarà vero che i vizi non si perdono».
«Mi mancava la tua lingua tagliente».
Dal canto mio, estrassi dalle pieghe del vestito la sua coppa dorata e gliela lanciai. Nikolaj la prese al volo e mi fissò ancor più divertito di prima, se ciò fosse stato possibile.
«Come ho detto, sei davvero poco originale».
«Oh, ammettilo che non vedevi l’ora di rivedermi» rise Nikolaj, depositando la coppa nelle mani di una servetta, che si prostrò in un inchino e si dileguò nel castello.
Nikolaj fece appena un gesto della mano e un’altra ragazzina sui quindici anni si fece avanti con una pelliccia marrone scuro piuttosto pesante, che sistemò proprio sulle mie spalle.
«Cos’è, pelliccia di Licantropo?» lo presi in giro.
Nikolaj scosse la testa e mi invitò ad entrare nel castello.
Era una residenza di modeste dimensioni, dalle fredde pareti di pietra grigia, ma splendidamente arredata e bene illuminata da moltissime torce e candele affisse alle pareti o pendenti da lampadari sul soffitto. La lunga tavola in legno massiccio era imbandita di ogni ben di dio, ma non era quella la tappa che Nikolaj aveva previsto per noi. Non subito almeno.
«Immagino sia stato un viaggio lungo e difficile…» attaccò.
«…noioso. Direi noioso» lo interruppi, «di tutti gli scagnozzi che potevi mandarmi, hai scelto i meno divertenti che la Storia abbia mai conosciuto. Non so cosa mi abbia trattenuta dall’ucciderli».
«Ho fatto preparare per te una stanza e un bagno caldo» disse Nikolaj, come se non avesse affatto sentito i miei commenti sui suoi adepti.
Fu così che abbandonai qualsiasi remora e mi lasciai scortare da un paio di cameriere fino alla mia stanza, dove un’altra ragazza stava già sistemando in un armadio le poche cose contenute nella mia valigia. Era una camera graziosa, dal soffitto alto, riscaldata dal fuoco che scoppiettava nel camino. Il letto a baldacchino era imponente e le cortine scure erano rischiarate dalla luce argentata della Luna, che filtrava dalla grande finestra che si apriva sul parco due piani più sotto e le acque placide del Loch Ness.
Lasciai che mi spogliassero e mi facessero il bagno in una vasca di pietra strabordante di acqua fumante e profumi. Mi rivestirono con un abito rosso rubino, mi acconciarono i capelli e mi fecero indossare dei gioielli abbinati al vestito. Per tutto il tempo non mi separai dalla borsetta col Diamante, riflettendo sul posto adatto in cui nasconderlo. Alla fine, però, decisi che lo avrei portato con me alla cena con Nikolaj, incapace di separarmi dall’oggetto oscuro che avevo tanto faticosamente recuperato da Tenochtitlàn. Così lo nascosi sotto la gonna del vestito e mi apprestai a tornare da Nikolaj.
«Siediti» mi ordinò il Vampiro una volta che ebbi fatto il mio ingresso nella sala da pranzo. Lui era già seduto a capotavola al lato opposto rispetto al mio e almeno due metri e mezzo di tavola imbandita ci separavano. Il tutto mi ricordò con una punta di orrore e allo stesso tempo di nostalgia, i tempi in cui io ero un Vampiro novello che aveva ancora molta strada da fare, e lui il mio rigido e sexy maestro di vita.
«Dove hai lasciato la pelliccia?» mi chiese con disappunto. La sua, del resto, era ancora placidamente appoggiata sulle sue spalle.
«Sapeva di cane morto» dissi, alzando sdegnosa un sopracciglio.
«E’ freddo».
«E io per quale motivo sarei un Vampiro? Per lagnarmi del freddo?» chiesi retoricamente.
Iniziammo a mangiare senza scambiarci che poche altre parole. Ma Nikolaj era determinato a riportare il buonumore tra di noi, così, come suo solito, fece venire due camerieri che versarono per noi il loro sangue nelle coppe che poi ci servirono.
Scossi la testa; «come ho detto, l’eternità ti rende noioso e abitudinario».
«Sono felice che per te non si possa dire lo stesso, Katerina. Hai viaggiato molto in questi cento tre anni».
Il mio cuore fece una capriola nel petto. Eccola, la prova. La prova che Nikolaj non mi aveva persa di vista in quel secolo passato lontani, che sapeva tutto di me, di Rose e soprattutto del Diamante Oscuro.
«A cosa serve essere immortali se non a vedere il mondo?» replicai cauta.
«Dove sei stata? Raccontami, su» mi incitò.
«Non fingere che non sappia che mi hai seguita, Nik».
Scoppiò a ridere e si risistemò la pelliccia che gli era scivolata; «ammetto le mie colpe, Kat. E sono contento di notare che sei sveglia come lo eri cent’anni fa. Tuttavia, c’è un certo lasso di tempo in cui ti ho persa di vista. È in quegli anni che vorrei sapere dove sei stata».
1519-1522. Queste erano le date di cui voleva sapere. Il mio periodo in America. Non avrei dovuto chiederglielo per esserne sicura.
«Non voglio guastarci la serata con questo argomento, Katerina» disse, come leggendomi nel pensiero, dopo qualche minuto di silenzio.
«Che ne dici di una passeggiata?» aggiunse, alzandosi in piedi e tendendomi la mano.
 
«E’ molto che sei qui?» gli chiesi. Camminavamo sulle sponde del Loch Ness, scortati da un quartetto di servi che reggevano le torce per illuminarci la strada.
«No, non molto. Solo qualche mese» replicò Nikolaj. Procedevamo lentamente, a braccetto.
«E i padroni del castello dove li hai lasciati? Aspetta, no! Lasciami indovinare… A marcire in qualche cella sotterranea?».
«In realtà sono proprio qui davanti a noi» rispose, indicando con un cenno della mano i due servi che procedevano in testa al gruppo.
«Hanno quattro figli. Due fanno gli stallieri, una la lavandai e l’altra è una delle serve al tuo servizio».
«Sei crudele» commentai.
«Sono geniale» mi corresse, «ogni tanto arrivano missive e ospiti vari. Mi basta soggiogare questi cari signori per far tornare tutto nella norma. Poi quando gli ospiti se ne vanno, riprendo il controllo della situazione».
Continuammo a camminare in silenzio per qualche minuto, poi Nikolaj mi chiese di Rose.
«Avrei voluto inviarle una lettera e dirgli che sarei stata via per un po’, ma i tuoi sgherri noiosi non me lo hanno permesso» dissi con una certa amarezza.
«Oh, non preoccuparti per quello. Ho inviato io uno dei miei “sgherri noiosi” a dirle che non saresti tornata per la cena. Non era questo ciò che volevo sentire, comunque».
«Che cosa allora?».
«Hai fatto con lei quello che io ho fatto con te. Sono contento di vedere che mi hai preso a modello, tutto sommato, nonostante ti sforzi così tanto di odiarmi».
«Io non ti odio. Non del tutto almeno» dissi.
Nikolaj si bloccò e si voltò verso di me, avvicinando il suo viso al mio.
«Allora perché mi hai lasciato?» sussurrò.
«Credevo l’avessi capito» esclamai allontanandomi da lui, «io voglio essere libera, voglio fare quello che voglio, quando e dove voglio. Non ti avrei mai seguita per l’eternità come uno dei tuoi adepti muti».
«Sì, immagino che sia stato un mio errore, quello di credere che avresti accettato le mie condizioni» bisbigliò lui, più rivolto a se stesso che a me.
«E comunque io non ho fatto a Rose quello che tu hai fatto a me. Io non l’ho costretta a restare con me dopo la trasformazione. Certo, sono stata contenta del fatto che mi abbia seguita, ma non l’ho trasformata perché diventasse il mio cagnolino. Finiamo per ritrovarci, per passare molti anni assieme, per vedere il mondo assieme, ma lei ed io siamo sostanzialmente libere di andare dove vogliamo».
Nikolaj sorrise tristemente.
«Eppure da Milano volevi a tutti i costi andartene, e non lei hai permesso di restare».
Mi colpì ancora una volta la quantità enorme di informazioni che Nikolaj aveva su di me.
«Questa volta è diverso».
«Non voglio parlarne adesso» replicò lui, liquidando la discussione con un gesto infastidito della mano.
Riprendemmo il cammino di ritorno al castello e Nikolaj prese di nuovo il mio braccio e lo appoggiò al suo, da vero gentiluomo quale era.
«Sono contento che tu sia qui, Katerina» sussurrò al mio orecchio, prima di depositarmi un bacio gentile sulla guancia.




N/A: questo è ciò che resta oggi del Castello di Urquhart, con il Loch Ness alle sue spalle

  
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