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Autore: Ayr    22/05/2017    7 recensioni
Mi hanno accusato di tradimento, ma sono solo una vittima innocente degli eventi, incastrata da qualcuno più furbo e spietato di me, che non ha avuto rimorsi nel coinvolgermi in tutto questo e nel far ricadere la colpa sul mio capo, su cui, ora, pende la lapidaria sentenza: verrò destituito dal mio incarico e cacciato da quella che fino a quel momento era stata la mia casa.
Verrò umiliato, un’ultima volta, la più terribile: mi verrà strappato tutto ciò che fino ad ora ho posseduto ed il mio unico compagno di una vita verrà distrutto. Una parte di me morirà inevitabilmente con lui, quando il Sigillo verrà spezzato e rimarrò spezzato anche io.
Non voglio essere ricordato in questo modo, non se ho anche la più remota possibilità di raccontare come siano veramente andate le cose, e di dimostrare la mia innocenza.
Narrerò la mia storia e lascerò che siano i posteri a giudicarla, nella speranza che qualcuno riesca a vedere come io sia stato solo una vittima ingenua di un enorme inganno ben architettato.
[La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul forum di EFP: ‘The Dragon’s Riders Contest!’]
[Steampunk fantasy (o almeno ci provo)]
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II


Una fiammata divampò, e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Ariel e il suo provvidenziale scatto di polso, l’Andromeda sarebbe stata ridotta a un nugolo di farfalle di cenere.

Krugar imprecò tra i denti e si aggrappò al parapetto, per evitare di essere sbalzato fuori bordo dal movimento brusco e inaspettato.
«Chi è la testa di cazzo che era di vedetta?» sbraitò.
«Monkey, signore» rispose qualcuno.
«Giuro che se dovessimo uscire vivi di qui, gli strappo gli occhi e glieli faccio ingoiare, tanto non li usa, può benissimo farne a meno!»
L’orco era stato colto alla sprovvista: un attimo prima veleggiava tranquillamente tra le nuvole insanguinate dal sole morente, ed esattamente un momento dopo, era abbarbicato al parapetto come una cozza allo scoglio, mentre una fiammata passava a pochi centimetri dal suo naso. Tutto questo senza che quell’idiota avesse visto avvicinarsi qualcuno o qualcosa.
Una figura scura si stagliò contro il cielo infiammato dai caldi toni del crepuscolo: una mastodontica bestia di ferro, nerboruta e possente, dal collo tozzo provvisto di acuminati spuntoni di titanio, corna d'acciaio rinforzato e lanciafiamme supplementari ai lati della bocca che vomitavano fuoco e scintille; l’orco tornò a domandarsi come avesse fatto a non vederlo Monkey.
Il suo cavaliere si distingueva appena in mezzo alla giungla di acciaio e titanio dell'animale. Da ciò che riusciva a intravedere Krugar era longilineo e indossava un lungo cappotto dalle falde ampie -o un mantello- che le raffiche di vento, prodotte dalle ali del drago, gonfiavano come una nuvola temporalesca.
Doveva trattarsi di un altro di quei Dragoron, il secondo che gli mettevano alle calcagna a distanza di un paio di mesi, ed era fastidioso e inopportuno quanto quello che l'aveva preceduto. Ma la sua cavalcatura era decisamente più minacciosa, sebbene più pesante e difficile da manovrare, e anche il cavaliere appariva più temibile del suo predecessore e anche meglio armato: il secondo particolare che l'orco notò, infatti, fu lo scintillio di una canna di fucile.
Ma Krugar non si lasciò intimidire: a quella distanza, il cavaliere sarebbe riuscito a colpire a malapena il rostro che spuntava sulla punta del muso del drago, simile al corno di un rinoceronte; il vero problema era rappresentato dal drago meccanico stesso e dalle sue poderose fiammate.
«Ai posti di combattimento, aprite le Bocche» ordinò Krugar, fece un cenno al timoniere, che ruotò il timone e la nave con lui, in modo che il fianco e tutti i suoi scintillanti cannoni fossero in bella mostra davanti all'incosciente che aveva osato attaccarli.
«Facciamogli vedere con chi ha a che fare!» digrignò tra i denti.
«In nome dell'Impero e della Compagnia Orientale, vi dichiaro in arresto per aver commesso crimini contro la sicurezza dello stato e l'incolumità di coloro che la abitano.» la voce del cavaliere giunse distante e appena udibile, sommersa dalla cacofonia di suoni concitati che regnava sul ponte.
«Arrendetevi ora o..» le sue parole vennero troncate dal fischio di un ordigno che esplose e pochi centimetri dal suo volto, dando inizio alla battaglia, «Sarò costretto ad usare le maniere forti» concluse imperturbabile, spazzando via i rimasugli della bomba dalla manica della giacca di pelle rossiccia.
L'aria si riempì del sibilo dei proiettili, non semplici palle di cannone, ma congegni esplosivi che scoppiavano a contatto con l'aria e potevano rivelarsi estremamente letali: Mitch non era stato abbastanza attento e l'esplosivo si era portato via buona parte del suo volto e la mano sinistra; dopo questo episodio, il vecchio pirata era diventato per tutti Miccia, artificiere ufficiale dell'Andromeda e primo ad aver avuto l'onore di testare sulla propria pelle la potenza devastante della polvere pirica scovata alle Isole.
Il cavaliere non si scompose e fece avanzare il drago nel mezzo dello spettacolo pirotecnico.

«Un osso duro questo nuovo» commentò tra i denti l'orco mentre dava il segnale per una nuova scarica, che colpì il drago, ma non riuscì a intaccare la sua armatura né le ali, costituite da una membrana ignifuga e scintillante come argento.
Il drago spalancò le fauci, rivelando un inferno scarlatto, di fiamme e lingue di fuoco che, pian piano, si concentrarono in una poderosa fiammata che venne scagliata all’indirizzo della nave.
Il timoniere virò bruscamente, scaraventando Krugar contro il parapetto ma evitando che la nave venisse carbonizzata, l'orco ringraziò la provvidenziale abilità di Ariel per l’ennesima volta e iniziò a sbraitare ordini: non c'era tempo da perdere, prima che il drago potesse produrre un'altra fiammata ci sarebbero voluti un paio di minuti e in quel tempo sarebbero potuti passare al contro-attacco. Una nuova gragnola di colpi sommerse il drago, ma i lanciafiamme laterali le bruciarono prima che potessero scoppiare.
Evidentemente, quei cosi sono collegati a un altro Camino pensò Krugar osservando con più attenzione la bestia; purtroppo non si poteva intuire nulla del meccanismo interno che la regolava: ogni centimetro di quella creatura era puro acciaio o titanio indistruttibile, trattati entrambi per resistere a qualsiasi cosa.
Il Sigillo sulla fronte della creatura aveva iniziato a emanare una forte luce verde che si sprigionava anche negli occhi vuoti della bestia, e l'orco aveva imparato a sue spese che non era mai un buon segno: il drago era pronto per una nuova fiammata, prima di quanto Krugar si fosse aspettato.

Deve essere tecnologicamente più avanzato, o in quel pancione enorme si nasconde più di un Camino...
Le sue riflessioni vennero bruciate da una nuova vampata, così inattesa e subitanea che Ariel non riuscì ad impedire che le lingue di fuoco lambissero i rostri e il fianco d'osso della nave, rendendoli incandescenti.
Krugar imprecò tra i denti mentre una risata cristallina si levava dalle parti del Dragoron, sicuro della vittoria. Era ancora abbastanza lontano e solo le fiamme del drago potevano raggiungere l'Andromeda, se solo fosse riuscito ad avvicinarsi abbastanza, avrebbe potuto usare uno di quegli speroni di metallo per sventrare la nave, e a quel punto sarebbero calati a picco e si sarebbero sfracellati sul suolo sotto di loro. Ma, probabilmente, la Compagnia li preferiva vivi e il cavaliere non si sarebbe arrischiato più di tanto: solo loro erano a conoscenza dell’ubicazione del luogo dove avevano nascosto le merci che avevano rubato, e la Compagnia avrebbe dovuto prenderne almeno uno che fosse ancora in grado di parlare.
Potevano sfruttare questa cosa e volgerla a proprio favore: se il cavaliere si fosse limitato a lanciare attacchi a distanza per contenere i danni, non ci sarebbe stato il rischio di venire speronati, e loro sarebbero stati più liberi di muoversi.
«Dunabar, inutile di un nano, muovi quelle gambette storte che ti ritrovi e va a prendere l'artiglieria pesante!» tuonò l'orco rivolto a un essere piccolo dalla lunga barba nera e furbetti occhi grigi, il nano sussultò e corse sotto coperta.
«Quell'idiota pensa ancora di poterci battere» la risata gutturale di Krugar si propagò per il ponte della nave, presto raggiunta all'eco di quelle della sua ciurma, «Non ha la più pallida idea contro chi abbia deciso di mettersi.»

Krugar Mano Scarlatta, temibile pirata dei cieli e terrore di tutto ciò che navigava nel cielo e sul mare, non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da un damerino a dorso di drago; era già riuscito a sconfiggere più volte l’altro cavaliere, e quegli enormi bestioni meccanici non lo spaventavano per nulla.
«Sfiancatelo!» ordinò ai suoi uomini, «Fategli sprecare tutto il fuoco che ha in corpo finché non ne rimarrà più nemmeno una goccia!»

Un piano si stava lentamente formando nella sua testa, era ambizioso, ma non impossibile…sempre che i calcoli fossero corretti. L’Andromeda poteva trasportare una Waahl di medie dimensioni e quell’ammasso di ferraglia doveva essere più leggero se voleva avere una possibilità di alzarsi in volo, probabilmente il suo scheletro era costituto da tubi cavi, come le ossa degli uccelli: non sarebbe stato un problema trascinarlo fino a terra, e incatenato al suolo, parte del suo vantaggio sarebbe andata persa.
Dunabar riemerse reggendo tra le mani un arpione grande il doppio di lui e pesante il triplo: era uno degli ultimi “acquisti” di Krugar, veniva usato per la caccia alle Waahl, le enormi balene volanti rosse che solcavano i freddi cieli del Nord, ricercate per il loro prezioso grasso e le loro ossa resistenti. L’Andromeda era stata ricavata proprio dallo scheletro di una di queste, e le ossa della cassa toracica erano dei perfetti e naturali spuntoni indistruttibili. Inutile a dirsi che la caccia alle Waahl fosse illegale, così come la vendita di qualsiasi strumento per praticarla.

«Blake, dà una mano al nano!» un uomo allampanato dai lunghi capelli neri si precipitò a soccorrere Dunabar che stava soccombendo al peso del rampone: per abbattere quelle creature colossali e poterle trascinare fino a terra, un semplice arpione non sarebbe bastato, e quell’arma era capace di penetrare qualsiasi cosa; Krugar sperò che funzionasse anche per l’armatura di acciaio e titanio del drago, o almeno per la membrana che costituiva le ali, che sembrava più fragile.
Mentre i due montavano l’arpione, Ariel faceva piroettare l’Andromeda per sottrarsi agli attacchi sempre più serrati del Dragoron. L’orco dovette ammettere che quella creatura era un portento: rispetto agli altri aveva la possibilità di effettuare colpi ravvicinati; probabilmente il circuito era formato da diversi Camini che si accendevano in alternanza in modo che il drago non rischiasse mai di rimanere senza munizioni. Una trovata davvero ingegnosa, Krugar non poteva permettersi di sottovalutare quel cavaliere decisamente più scaltro e pericoloso. Ben presto, però, la scorta di zolfo sarebbe terminata e il cavaliere si sarebbe ritrovato nudo e senza protezioni: quello sarebbe stato il momento per sferrare l’ultimo attacco.

Gli uomini dell’Andromeda rispondevano al fuoco con il fuoco e investivano il drago con scariche di proiettili, e agli esplosivi vennero affiancate le più canoniche palle di cannone, impedendogli di avvicinarsi ulteriormente.
«L’arpione è montato, signore» ansimò Blake.

«Lasciatelo a me» rispose l’orco marciando verso la prua della nave, dove il muso scheletrico della Waahl fungeva da polena e da supporto per la balista che avrebbe lanciato il rampone. Se i suoi calcoli erano esatti, in pochi minuti il drago avrebbe esaurito la scorta di combustibile e non sarebbe più stato capace di emettere nemmeno una scintilla.
«Ariel, fammi guardare negli occhi quel coglione!» strepitò Krugar, «Voglio godermi la sua faccia quando gli infilerò l’arpione nel culo!»
Il timoniere fece virare la barca e l’orco si trovò esattamente davanti al ventre di metallo della bestia, il cavaliere non sarebbe riuscito a spostarsi in tempo, i movimenti erano limitati dalla mole del drago, e l’uncino avrebbe colpito esattamente dove l’orco l’avrebbe indirizzato.
«Quando scaglierò l’arpione, preparate quelli più piccoli e tenete a portata di mano anche le reti. Ariel, non appena vedrai questo aggeggio perforare il drago, inizia la discesa!»

Date le direttive, il capitano si concentrò sul suo obiettivo: le fiammate erano diventate più rade e fiacche, ormai non raggiungevano più nemmeno la punta dei rostri d’osso dell’Andromeda: il momento propizio era giunto.
«Hai finito di fare l’eroe, stronzetto» mormorò Krugar mettendosi in posizione: si bilanciò sulle gambe allargate, afferrò saldamente la balista, chiuse un occhio, prese la mira, e fece scattare il meccanismo. L’arpione fendette l’aria con un suono acuto e straziante, simile al grido di una Banshee, e colpì l’ala membranosa del drago, lacerandola. Cavaliere e cavalcatura si sbilanciarono e anche la nave subì uno strattone ma, con grande sollievo e soddisfazione di Krugar, non calò a picco e resistette al contraccolpo; il cavaliere si aggrappò con forza alle creste puntute del dorso della bestia meccanica, nel tentativo di non cadere. L’ala integra continuava a sbattere, mantenendo in volo il drago, ma altri arpioni più piccoli e leggeri seguirono la stessa traiettoria del compagno e andarono a sfondare anche la seconda ala; un nuovo strattone fece perdere l’equilibrio a Krugar: la forza di gravità stava attirando l’ammasso di acciaio e titanio verso terra e con lui anche la nave.
«Resistete!» li incitò il capitano, «È come cacciare un’enorme Waahl di metallo.»
Gli uomini misero in moto gli argani e le corde che tenevano legati gli arpioni alla nave si tesero e iniziarono a rientrare, accorciando le distanze, altre fiocine andarono ad assicurare la presa sul drago; il cavaliere ormai era in trappola: l’unico modo che aveva per fuggire, sarebbe stato buttarsi e fare un volo di trenta metri, con la sicurezza di sfracellarsi sul terreno brullo sottostante.

«Ormai l’abbiamo in pugno» ghignò Krugar mentre vedeva avvicinarsi sempre di più quella massa metallica e scomposta. La cassa toracica della Waahl si era rivelata un’ottima gabbia, ma per rassicurarsi che del drago non sarebbe andato perso nemmeno un bullone, la ciurma lo imbrigliò in una rete metallica e assicurò il suo carico con funi resistenti.
«Portatemi il Dragoron» fu l’ordine del capitano, mentre un ghigno inquietante si faceva largo sul volto verde, dai tratti duri e spigolosi.
Ciò che i suoi uomini trascinarono fino al suo cospetto, si rivelò essere uno membro di quella razza avida e disgustosa che erano gli umani: il loro aspetto così spento e scialbo aveva sempre ripugnato l’orco, ma ciò che disprezzava di più di loro era il carattere meschino ed egoista, aggiunto alla totale mancanza di lealtà o di onore; erano capaci di tradire il proprio migliore amico pur di ottenere ciò che desideravano, o, addirittura, di uccidere un loro fratello, ed erano soliti umiliarsi strisciando a terra come vermi e leccando i piedi a quanti ritenevano più potenti di loro, pur di ottenere la loro indulgenza o il proprio tornaconto. Krugar, per quanto fosse un pirata, non si era mai macchiato di delitti così turpi e atroci: aveva rispetto per sé e per gli altri e riteneva la lealtà, la fiducia e l’onore valori imprescindibili e fondamentali, che non potevano essere traditi o messi da parte; si sarebbe fatto mozzare la mano piuttosto che ingannare uno dei suoi compagni.
A questo si aggiungeva il vestiario alquanto bizzarro e appariscente dell’uomo: portava sopra una comune camicia bianca una sorta di panciotto di pelle a cui erano attaccate delle maniche, simili a spallacci di un’armatura, che sparivano in un paio di guanti armati neri, un paio di pantaloni argento decorati con volute antracite erano sostenuti da una cintura a cui erano appesi degli svolazzi di stoffa di pelle rossa e di cui Krugar non riusciva a comprendere l’utilità; un fazzoletto di seta allacciato al collo e fermato con una spilla, e un tricorno nero provvisto di una lunga piuma di fenice, completavano il tutto.
L’orco si sentì preso in giro: erano appena stati attaccati da un fenomeno da circo.


   
 
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