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Autore: Ortensia_    24/05/2017    1 recensioni
[ IN SOSPESO ]
Kageyama Tobio, vent'anni appena compiuti, una retta universitaria da pagare e una madre isterica di cui prendersi cura. La sua monotona esistenza subisce uno scossone dal momento in cui incontra un ragazzino dai capelli arancioni che sostiene di essere uno shinigami.
Inizialmente rifiuta di credergli, ma essendo lui stesso un essere soprannaturale comincia a pensare che possa esserci un fondo di verità nella sua confessione.
Quel che Kageyama non sa è che gli esseri come lui sono molti altri e che anche loro riceveranno presto visite dal regno dei morti.
[ Superheroes!AU; coppie e accenni all'interno; fonti di ispirazione: Marvel!Universe; Death Note; Psycho-Pass (non è necessario essere fan della Marvel o consocere gli anime citati per seguire la fanfiction) ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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VIII


La lealtà di uno shinigami




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E d o g a w a __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



- La clessidra?
-Persa.
- Si è rotta?
- No, non riesco più a trovarla.




❋ ❋ ❋


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S h i n j u k u __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



Dopo aver considerato attentamente tutte le conseguenze che sarebbero potute derivare da un eventuale cambiamento di alloggio, Tendou ed Eita avevano deciso di lasciare l'hotel in cui avevano passato la notte precedente così da potersi sistemare in uno poco distante dall'appartamento di Sugawara.
Era ormai evidente quanto Sugawara fosse importante per Eita, perciò Satori si era definitivamente deciso a supportare l'alleanza proposta dal suo protetto, a prescindere dalla presenza di Shimizu. A dire il vero dubitava che quest'ultima stesse pianificando un tradimento, ma sapeva che era molto forte e perciò non avrebbe abbassato la guardia per nessuna ragione.
Da quando erano giunti nel nuovo albergo, Eita si era alzato dal letto solo due volte, per andare in bagno, senza contare che aveva rifiutato il pranzo e sembrava a malapena in grado di rispondergli. Tendou, dal canto suo, si era piazzato davanti alla televisione nella speranza di scacciare la noia, ma in realtà, visto che aveva trascorso tutto il tempo a voltarsi per controllare che l'altro fosse ancora cosciente, non avrebbe saputo nominare neppure uno dei programmi che quel pomeriggio erano stati proiettati sul piccolo schermo.
Quando vide che erano le venti, Satori esalò un flebile sospiro di sollievo, felice di potersi finalmente staccare dalla televisione e di avere un buon pretesto per buttare Eita giù dal letto e controllare con più attenzione il suo stato di salute.
«Semisemi, dobbiamo andare!» si sollevò dalla sedia con un unico, rapido movimento, quindi si avvicinò al letto del suo protetto, che tuttavia non accennò il minimo movimento.
Tendou serrò le labbra e lo guardò respirare in una alquanto inusuale e discreta contemplazione, poi prese fiato e lo chiamò di nuovo, questa volta con voce più bassa ma utilizzando allo stesso tempo un timbro più profondo, così da poter essere sentito con chiarezza.
Eita emise un rantolio a malapena percettibile, quindi si rigirò lentamente fra le lenzuola e voltò il viso in direzione del proprio shinigami, la pelle leggermente stropicciata dal contatto prolungato con il cuscino e gli occhi socchiusi. Sospirò sommessamente, portando le dita della mano destra a massaggiare la fronte.
«Scusami, ma non credo di farcela.»
Satori non batté ciglio, ma affondò i denti nel labbro inferiore: se gli chiedeva scusa, doveva essere davvero grave.
Avrebbero dovuto incontrare Sugawara e Shimizu davanti a un locale non troppo distante dall'albergo, così da poter scambiare qualche opinione e idea sulla situazione attuale, ma era evidente che lo stato di malessere di Semi avrebbe impedito a quest'ultimo di lasciare la struttura.
«Vorrà dire che daremo buca ai nostri amichetti» Tendou sospirò sommessamente, non troppo contento all'idea di dover scegliere fra l'accamparsi ancora di fronte al televisore e l'andare subito a dormire pur di non annoiarsi, ma Eita non gli diede il tempo di accennare un solo passo.
«Aspetta» Semi cercò il suo sguardo, gli occhi vitrei e le labbra leggermente socchiuse, come se in quel momento avesse difficoltà a respirare. «Va' a chiamare Hýdra, fallo venire qui.»
Tendou assottigliò lo sguardo e corrugò la fronte, infastidito dalla richiesta imprudente del suo protetto, che tuttavia si ripeté fra un colpo di tosse e l'altro.
Eita smise di parlare. Per qualche istante, la camera fu riempita soltanto da continui colpi di tosse e rantolii che aumentarono di intensità e che spinsero il moribondo a mettersi a sedere, piegare la schiena e tastare febbrilmente le lenzuola in cerca di un fazzoletto da portarsi alla bocca.
La tosse si placò pochi istanti più tardi, soffocata dalla stoffa sottile del fazzoletto che Semi teneva energicamente premuto sulle labbra.
«Va'...» Eita, la voce smorzata, scostò il fazzoletto dalla bocca «portalo qui.»
Tendou non fiatò, ma lasciò la camera immediatamente, non appena vide che il fazzoletto usato da Eita si era sporcato di sangue.


❋ ❋ ❋


Le venti e venti.
«Sono in ritardo.»
Sugawara sussultò all'osservazione discreta di Shimizu, come se l'aver pensato al ritardo dei loro alleati nello stesso istante dell'altra lo avesse fatto sentire spiato nella profondità dei propri pensieri.
Seduto sulla panchina, le mani congiunte sotto al mento, sollevò lo sguardo per osservare Shimizu, in piedi a qualche passo da lui, quindi lo riabbassò ed emise un sospiro rassegnato.
«Dovremmo provare a chiamarli?»
«Meglio evitare qualsiasi conversazione telefonica, Sugawara-san.»
Sugawara restò immobile per qualche istante, poi annuì con un lento cenno del capo, il dito medio della mano sinistra ad accarezzare il mento e lo sguardo fermo sull'asfalto scuro.
«Cosa facciamo?» chiese poi a fior di labbra.
«Fra dieci minuti ce ne andiamo» Shimizu fece una lunga pausa. «Spero solo non si tratti di un'imbosca–»
Smise di parlare nel momento in cui udì una serie di passi pesanti e ravvicinati, quindi inclinò leggermente il viso, così da poter osservare con più attenzione la sagoma che si stava dirigendo frettolosamente verso di loro.
«Non è serata, Kiyoko-san!» a quelle parole, anche Sugawara voltò il capo in direzione dei passi. «Vedi di non sbriciolarmi le ossa!»
Tendou si fermò accanto alla panchina, e Sugawara si alzò subito in piedi.
Vi fu un breve istante di silenzio durante il quale Shimizu e il suo protetto restarono immobili, in attesa di fronte a Tendou. Satori prese una grande boccata d'aria, cominciando a parlare non appena riuscì a intercettare lo sguardo di Koushi.
«Klessidra ha bisogno del tuo aiuto.»


❋ ❋ ❋


Quando sentì cigolare la maniglia della porta, Eita si scostò le lenzuola dal viso ed emise un sospiro che, seppur debole e leggermente tremante, aveva tutta l'aria di essere una genuina espressione di sollievo.
Restò immobile, ma con sguardo vigile seguì ogni singolo movimento di Sugawara, scortato da Shimizu; Tendou fu l'ultimo a entrare, richiudendo subito la porta dietro di sé.
«Tendou mi ha detto che non stai molto bene,» Koushi, titubante, si avvicinò al letto «che ti succede?»
Alla domanda di Sugawara, Eita rivolse una rapida occhiata a Shimizu e poi a Tendou.
«Tendou,» poi si decise a richiamare l'attenzione del suo shinigami, le labbra increspate in una piccola smorfia e la fronte corrugata «esci.»
Satori corrugò la fronte a sua volta, sorpreso dalla richiesta del suo protetto. Si guardò intorno per qualche istante, spaesato, per poi schiudere le labbra, intenzionato a protestare – non riusciva a capire che in quel momento era il solo che avrebbe potuto proteggerlo? Lo detestava così tanto da volerlo allontanare a tutti i costi? Anche in un frangente simile? Anche dopo che si era prodigato per portare Sugawara in quella stanza di albergo?
«Che aspetti?» Eita, comunque, fu più veloce di lui: lo punzecchiò all'improvviso, frustandolo in pieno volto con la sola voce, sprezzante seppur roca e bassa. «Esci dalla stanza.»
Tendou afferrò la maniglia, stringendola con forza fra le dita della mano destra, ma restò a guardare Eita ancora per qualche istante, decidendosi a lasciare la camera nel momento in cui Sugawara si voltò verso di lui annuendo, come a rassicurarlo e a volergli comunicare che non avrebbe dovuto preoccuparsi.
Non appena la porta fu richiusa, Sugawara tornò a rivolgere la propria attenzione a Eita, mentre Shimizu emise un flebile sospiro, come infastidita dall'ovvia indecisione di Tendou riguardo il seguire le direttive del protetto.
«Non è necessario che tu protegga uno come Tendou-san, Klessidra» Shimizu lo apostrofò istintivamente, affondando i denti nel labbro inferiore subito dopo: non voleva essere cattiva, semplicemente non riusciva a comprendere esattamente il comportamento di Eita nei confronti di Tendou – lo allontanava per proteggerlo? Perché? Nessuno teneva particolarmente a Satori, tanto meno quel ragazzo, o almeno così le sembrava.
«Non so neppure io perché l'ho fatto» Eita rispose a fior di labbra, la fronte leggermente aggrottata: non ne capiva esattamente il motivo, ma non voleva assolutamente che Tendou restasse a guardare; non era abituato a rendere partecipe del suo dolore qualcuno che conosceva, a malapena lasciava che sua nonna si occupasse di lui nei momenti peggiori, ma con Sugawara e Shimizu, che aveva incontrato appena qualche ora prima, sarebbe stato tutto molto più facile.
«Cosa senti?» Sugawara si fermò accanto al letto, piegando leggermente le ginocchia per avvicinarsi ulteriormente.
«Mi fanno male le gambe,» Semi fece una breve pausa, guardando Shimizu sedersi in silenzio sulla sedia foderata che si trovava di fronte alla televisione spenta «e le braccia.»
«I muscoli?»
«Le ossa» Eita ribatté immediatamente, amareggiato, perché lui più di tutti sapeva che quel dolore era una delle manifestazioni peggiori del tumore che da tempo gli stava divorando i polmoni.
«Dammi il braccio» Sugawara si sedette, le mani già tese a mezz'aria, pronte ad afferrare il braccio di Eita e sistemarlo sulle proprie gambe «vedo cosa posso fare.»
«Non sono le braccia il problema» Semi si schiarì la gola «né le gambe, a dire il vero.»
Sugawara lo guardò con la fronte aggrottata. Era confuso, ma voleva capire quale fosse il vero malessere di Eita.
Aveva l'impressione che fosse grave, ma non riusciva a immaginare di cosa potesse trattarsi.
Semi cominciò a tossire, e per un po' non riuscì a fermarsi.
«Shimizu-san» senza che Sugawara avesse il bisogno di guardarla e continuare a parlare, Shimizu si alzò e si diresse rapidamente verso il bagno, tornando indietro poco dopo, un bicchiere di plastica pieno d'acqua fra le mani.
Eita afferrò il bicchiere con la mano destra, la sinistra a coprire la bocca, ancora percossa dagli spasmi della tosse.
Bevve l'acqua in un solo sorso, non appena la tosse si placò.
«Grazie» rantolò, schiarendosi nuovamente la gola.
«Klessidra, cos'hai? Precisamente.»
Eita lo guardò, l'espressione contrita e gli occhi lucidi a causa dell'attacco di tosse.
«Precisamente?»
«Sì, così forse potrò aiutarti davvero.»
Semi emise un flebile sospiro, rassegnato all'idea di dover informare l'altro della sua condizione.
«Un...» esitò: non gli era mai piaciuto il nome della sua malattia, aveva un suono orribile che rispecchiava in pieno la sua entità malevola «un carcinoma polmonare a... a piccole cellule. Non so a che stadio sia.»
«Oh...» Sugawara non era un dottore né conservava nel suo intelletto particolari nozioni scientifiche, ma sapeva che in medicina parole come “carcinoma” non promettevano nulla di buono.
Si voltò solo un istante, rivolgendo un'occhiata silenziosa a Shimizu, che dal canto suo si fermò ad appena due passi dalla sedia foderata e poi tornò indietro, dirigendosi verso la porta.
Sugawara tornò a rivolgere la propria attenzione a Eita, riprendendo a parlare solo quando sentì che la porta si chiuse e capì che erano rimasti soli.
«Se sai quello che hai, significa che sei stato dal medico» curvò leggermente la schiena, poggiandogli la mano destra sul petto. «Quanto tempo fa lo hai scoperto?»
«Due anni fa.»
Sugawara lo guardò, mentre con il palmo della mano cercava maggiore aderenza: non sapeva niente di medicina, ma il buonsenso gli diceva che Eita sarebbe dovuto morire già da tempo.
«Ascoltami,» si schiarì la voce, per poi serrare le labbra e contrarle in una smorfia lievemente disturbata «non credo di poterti guarire, ma posso aiutarti ad allentare il processo più di quanto tu abbia fatto finora.»
Semi annuì appena, per poi emettere un sospiro e volgere gli occhi al soffitto bianco, come annoiato o rassegnato dalle parole dell'altro.
«Cosa c'è?» Sugawara si morse il labbro inferiore, in attesa di una risposta.
«Niente» Semi sospirò di nuovo. «Immaginavo che mi avresti detto così, solo non so più se rallentare il processo sia la cosa giusta da fare... alla fine, sai, prolungo soltanto la mia sofferenza.»
«Adesso come stai?»
Eita trattenne il respiro solo per un attimo, preso alla sprovvista dalla domanda dell'altro. Sbatté le palpebre un paio di volte, come se avesse bisogno di riacquistare il controllo del proprio corpo per verificarne la condizione.
«Sto...» sbatté ancora le palpebre, stupito «sto molto meglio.»
«Sì,» Koushi accennò un sorriso «le gambe e le braccia fanno ancora male?»
«Per niente, e respiro perfettamente» Eita lo guardò e sorrise di rimando. «Grazie.»
«Non prolungheremo la tua sofferenza,» Sugawara si alzò dal letto, ampliando il sorriso «finché resterai con me andrà tutto bene.»
Eita restò in silenzio e annuì leggermente, ancora sconvolto dalla velocità con cui l'altro era riuscito a dissipare la sua sofferenza.
«Klessidra, posso farti una domanda?»
«Cosa vuoi sapere?»
«Due anni fa vivevi a Minato, vero? E ti sei rivolto all'Aiiku Hospital per la diagnosi.»
Eita dischiuse appena le labbra, aggrottò la fronte e abbassò leggermente le palpebre. Sugawara vide il suo viso contrarsi, l'ombra dell'inquietudine abbattersi sul suo sguardo.
«Perché se così fosse,» Koushi continuò «allora credo di sapere il tuo vero nome. Ricordo bene la storia del dotato di cromosoma Z scappato da Minato in seguito ad alcune analisi ospedaliere. Ho ancora l'articolo a casa.»
Eita prese una boccata d'aria, ma non rispose: doveva mentire? Quante possibilità c'erano che un altro dotato di cromosoma Z avesse vissuto la sua stessa storia?
«Non ti ucciderò» Sugawara cercò di rassicurarlo, e proprio in quel momento Eita si sentì come scosso: che differenza faceva preoccuparsi che l'altro venisse a conoscenza del suo vero nome? Probabilmente non lo avrebbe davvero ucciso, e se invece lo avesse fatto avrebbe dato un taglio definitivo alle sue sofferenze.
«Sei Eita? Eita Semi?»
Eita serrò le labbra e guardò in basso solo per qualche istante.
«Sì,» risollevò lo sguardo, schiarendosi appena la gola «sono Eita Semi.»
Sugawara lo guardò, e per qualche secondo restò immobile, senza dire nulla.
«Io mi chiamo Sugawara Koushi,» poi gli tese la mano e gli sorrise «piacere di conoscerti.»


❋ ❋ ❋


Giunta nella hall dell'hotel, Shimizu arrestò i propri passi e si guardò intorno con attenta circospezione: si trattava di un ambiente confortevole, saturo dell'eco di una musica rilassante e di luci soffuse che addolcivano ulteriormente le già delicate tonalità di colore. Restò immobile per qualche istante, limitandosi a sbattere le palpebre un paio di volte, poi, individuato Tendou, riprese a muoversi.
Sentendola arrivare, Tendou abbassò il grosso bicchiere – ormai pieno di birra solo per metà – e sollevò lo sguardo, rivolgendole un'occhiata per niente amichevole. Tuttavia restò fermo, in silenzio, in attesa che fosse lei a fare la prima mossa.
«Non affezionarti troppo» Kiyoko mosse soltanto le labbra, austera e impassibile.
«Come dici?» Tendou assottigliò lo sguardo, stringendo la presa sul bicchiere.
«Dico che non dovresti affezionarti troppo al tuo protetto, Tendou-san» Shimizu rispose con calma, nessuna cattiveria o cenno di malizia nella sua voce. «Gli resta davvero poco da vivere.»
Satori rimase a fissarla senza dire una parola, il bicchiere sorretto da una mano, sospeso a mezz'aria, lo sguardo assottigliato e le labbra increspate in una smorfia appena percettibile: davvero Shimizu stava tentando di dargli lezioni di vita? Come se le importasse, come se per Eita fosse stato possibile affezionarsi a lui e come se questo avesse potuto compromettere i suoi sentimenti.
«Sono un mostro,» Satori accennò un sorriso «giusto? Non potrei affezionarmi in nessun caso a qualcuno. E se davvero succedesse, non soffrirei per la sua morte... perché sono un mostro.»
Fece una piccola pausa, riprendendo a parlare non appena vide l'altra schiudere le labbra.
«Ma, soprattutto, questa è la mia vita. Se riuscirò e vorrò affezionarmi al mio protetto lo farò, a prescindere che da vivere gli restino due giorni o decenni» poggiò il bicchiere sul tavolino di vetro, alzandosi in piedi per fronteggiare al meglio l'altra. «Non hai diritto di dire se posso o meno affezionarmi a qualcuno. Stanne fuori.»
Con espressione cupa, contratta dalla rabbia, Tendou le transitò accanto in fretta, il passo pesante. Shimizu restò immobile, a fissare il divanetto di pelle, il posto appena lasciato vuoto dall'altro.
Si era sentita simile a lui, a volte. Quasi sempre incapace di esprimere i propri sentimenti, soprattutto quelli positivi, e respinta con orrore e terrore a causa della propria reputazione. Se gli aveva detto qualcosa di simile era perché lei, al contrario degli altri, non lo considerava un mostro, non lo aveva dato per scontato ed era certa potesse provare sentimenti positivi come tutti; ciò significava che avrebbe sofferto, quindi Shimizu aveva semplicemente tentato di farlo riflettere attraverso la sua filosofia di vita, invitandolo a isolarsi emotivamente per non restare ferito in maniera irreparabile dalla cruda realtà. Lei e Tendou potevano essere anche due fra gli shinigami più forti, ma i loro ragazzi erano buoni di cuore, e per questo deboli, e sarebbero morti, e loro avrebbero sofferto. Sofferto in modo contenuto, se fossero riusciti a non affezionarsi troppo.
A quel pensiero, Shimizu chiuse gli occhi ed emise un sospiro rassegnato: non avrebbe obbligato Tendou ad ascoltarla, ma lei avrebbe ugualmente continuato a proteggersi da un futuro piuttosto evidente.


❋ ❋ ❋


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S h i b a t a __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



Kageyama inclinò il capo, abbassando le palpebre non appena il naso si immerse completamente oltre la spessa sciarpa. La neve cominciava a sciogliersi, ma faceva davvero molto freddo, perciò cominciò a dondolare leggermente, sollevarsi sulla punta dei piedi e poi riabbassarsi in continuazione, nella vana speranza di sgranchire e rilassare i muscoli delle gambe.
Aspettava Oikawa, e più tempo passava più si convinceva di aver preso la decisione sbagliata, questo perché – a prescindere dal fatto che avesse scelto un luogo piuttosto in vista e non troppo lontano da casa – era solo.
Non riusciva assolutamente a credere alla possibilità che Oikawa rispettasse i patti e si presentasse senza il proprio shinigami, ma forse poteva confidare direttamente in Iwaizumi, che Hinata aveva detto essere piuttosto serio, leale e rispettoso; Hajime era forte, ma sembrava non sentire né il bisogno né il desiderio di lottare, per cui era improbabile che avesse deciso di assecondare un eventuale piano malvagio ideato dal suo protetto.
«Vuoi chiedermi qualcosa in particolare, Tobio-Chan?»
Kageyama sussultò, per poi voltarsi immediatamente: Oikawa lo stava fissando, le labbra ritte, serrate con forza, lo sguardo annoiato e le mani sprofondate nelle tasche del cappotto.
Si guardò intorno, in fretta, ma non abbastanza per passare inosservato agli occhi dell'altro.
«Siamo soli.»
Kageyama rivolse nuovamente la propria attenzione a Oikawa, affondando leggermente i denti nel labbro inferiore.
«Cosa hai intenzione di fare, adesso?»
«Me ne andrò da qui.»
«E dove?»
«Non ti riguarda» lo sguardo di Tooru, così come la voce, parvero incupirsi. «E prima ancora che tu possa fiatare,» lo indicò con un dito, facendolo rabbrividire appena «sappi che non ti dirò altro, perché io e te non siamo alleati.»
Tobio non fu sorpreso dalle parole dell'altro, ma la pressione dei denti sul labbro aumentò ugualmente.
«Alla fine giocare agli amichetti è stato conveniente, ma la tua brutta faccia mi ricorda che il mio unico desiderio è ammazzarti.»
Kageyama si sentì smuovere qualcosa nel petto, offeso e mortificato dalle parole pronunciate da Oikawa.
«Allora fallo» disse poi, lo sguardo assottigliato e la fronte leggermente aggrottata.
«Non qui, in un posto tenuto sotto controllo dalla polizia» Tooru indietreggiò, riprendendo a parlare pochi istanti dopo, un cinguettio serafico che sgorgava lentamente da un disgustoso sorriso serpentino. «Ma verrà il tuo momento, Tobio. Stanno certo.»
Si girò, ma prima ancora di accennare un passo voltò il viso per rivolgersi nuovamente a Kageyama.
«A proposito: grazie per avermi detto di andare via dall'hotel, l'altro giorno. Mi hai proprio salvato.»
“E ti sei condannato da solo, idiota”: fu questo che Kageyama, disilluso, pensò di se stesso, il sangue congelato e il viso in fiamme per la rabbia.


❋ ❋ ❋


Hinata aveva tutte le ragioni per sospettare di Oikawa, pensare che avesse intenzione di attaccare ancora una volta Kageyama per cercare di eliminarlo una volta per tutte, eppure era piuttosto tranquillo. Restare alla finestra della camera del proprio protetto, a osservare attentamente Iwaizumi – fermo sul marciapiede opposto alla casa – lo confortava. Avevano stretto un patto: lui e Hajime si sorvegliavano a vicenda, per assicurarsi che nessuno corresse a dare man forte a Oikawa o Kageyama, attenti anche alle più vaghe sfumature dell'interno, al sesto senso che smuoveva il loro istinto nel momento in cui i loro protetti si trovavano in pericolo.
Kageyama non era molto lontano, comunque, e anche questo lo tranquilizzava; probabilmente avrebbe fatto ritorno di lì a un quarto d'ora.
Shouyou chiuse gli occhi solo per qualche secondo, stanco, riaprendoli nel momento in cui avvertì i passi della madre di Kageyama appena fuori dalla stanza, in corridoio. Batté le palpebre un paio di volte e si girò per guardarla: aveva l'aria leggermente affannata, la paletta nella mano sinistra e la scopa sorretta dalla destra; tuttavia non si mosse, ma restò a fissare il pavimento con le labbra serrate in una smorfia contrita, come se volesse esprimere il suo disappunto nei confronti dell'ambiente già pulitissimo.
Pensieroso, Hinata tornò a dare un'occhiata a Iwaizumi, poi si voltò nuovamente verso la madre di Kageyama, indeciso se dirle qualcosa o meno – ma cosa? E a che scopo? Lei a malapena lo guardava, lo aveva sempre ignorato, come se non esistesse.
Si schiarì appena la voce, quasi a volerle far capire che era lì, e poi, dopo aver atteso diversi secondi, decise di rivolgere nuovamente la propria attenzione allo scenario fuori dalla finestra, questa volta fino al ritorno di Kageyama e Oikawa.
Appena un minuto più tardi, però, un rumore all'interno della camera lo fece sobbalzare e poi rabbrividire: la madre del suo protetto era entrata e probabilmente stava spolverando una delle mensole; non era mai stata così vicina e, considerato che era sotto pressione anche per il costante monitoraggio di Iwaizumi, Shouyou dovette convenire fra sé e sé che quella situazione era a dir poco pessima.
Assottigliò lo sguardo, deciso a mettere maggiormente a fuoco la figura di Hajime e non pensare ad altro che a quello che aveva davanti agli occhi.
«Hinata, vero?» ma una domanda improvvisa, posta da una voce docile e leggermente tremante, recise con violenza il flusso dei suoi pensieri e per un attimo sembrò perfino accecare la sua vista.
Hinata si pietrificò. Riuscì soltanto a schiudere leggermente le labbra, che tremarono in un rantolio appena accennato.
Si voltò poco dopo, così lentamente che per un istante sembrò essersi trasformato in una statua di gesso, quindi rivolse un'occhiata incredula alla madre di Kageyama, immobile al centro della stanza e con uno straccio bianco fra le mani.
Possibile che con: “Mia madre non parla mai” Kageyama intendesse che di norma era piuttosto taciturna? Altrimenti perché rivolgeva la parola a un estraneo e non al proprio figlio?
Confuso, Shouyou si limitò ad annuire con un cenno del capo.
La madre di Kageyama restò a fissarlo in silenzio, senza che l'espressione seria cambiasse di una virgola. Era di un'austerità strana, quel viso, e a renderlo anche più particolare era la bruciatura sulla guancia destra. Guardandola bene, con il volto dai lineamenti delicati tagliato a metà dalle labbra serrate e la pelle candida plagiata dalla macchia scura della bruciatura, quella donna non sembrava proprio cattiva, ma solo leggermente triste, nostalgica come una fanciulla che attende il ritorno del proprio amato in riva al mare.
«Hai fame?» la domanda innocua lo rincuorò, perché quella non sembrava certo la prima cosa da dire dopo un lungo periodo di silenzio. Il suo protetto doveva aver esagerato quando gli aveva parlato di lei.
«Ho visto che sei rimasto qui in camera per tutto il giorno» continuò, lentamente. «Posso prepararti un panino, se vuoi.»
Hinata rivolse una rapida occhiata oltre la finestra: Iwaizumi era ancora fermo dall'altra parte della strada.
«Sì,» tornò a voltarsi verso la donna, increspando le labbra in un sorriso di cortesia «in effetti ho un po' di fame. Grazie.»


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Moniwa aveva accettato la proposta del capo quella mattina stessa, ma non prima di aver imposto una determinata condizione – per quanto fosse stato imbarazzante parlarne.
Aveva detto al proprio capo che desiderava una camera matrimoniale, ma che ovviamente avrebbe provveduto a pagare da sé la spesa in eccesso. Fortunatamente non aveva ricevuto domande che potessero considerarsi inopportune, semplicemente, il suo superiore aveva acconsentito con un sorriso leggero e un deciso cenno del capo.
Moniwa si sentiva tranquillo all'idea di essere riuscito a rimanere vago riguardo il motivo della camera matrimoniale; per quanto ne sapeva il suo capo, lui poteva, sì, volere compagnia durante il suo soggiorno a Shinjuku, oppure desiderare uno spazio più ampio per una maggiore comodità. La verità, comunque, stava nel mezzo, perché a fargli compagnia ci sarebbe stato Aone.
Recarsi a Shinjuku da solo gli era parsa una cattiva idea fin dall'inizio, e così aveva ritenuto anche Aone, per cui avevano deciso di partire insieme.
Quando Kaname aprì la porta della stanza, gli sembrò che il viso si infiammasse, emanando soffi di vapore bollente: nonostante avesse parlato di camera matrimoniale fin dall'inizio, per tutto il tempo non aveva pensato affatto che tale decisione avrebbe implicato il dover condividere il letto con il proprio shinigami.
Proprio in quel momento, le dita di Aone sul dorso della sua mano lo fecero sobbalzare. Takanobu afferrò il manico della valigia del suo protetto e varcò la soglia con i bagagli di entrambi, posandoli sul letto matrimoniale pochi istanti dopo.
«Non entri?» poi si voltò a guardare Kaname, ancora fermo sulla porta.
«S-sì» Moniwa si richiuse la porta alle spalle pochi istanti dopo, avanzando verso di lui con passo esitante, deciso a dedicarsi a disfare il proprio bagaglio e infilarsi subito sotto le coperte, stanco a causa del viaggio e desideroso di scuotersi di dosso l'imbarazzo. Appena aprì la valigia pensò a Tetsuko, che sarebbe rimasta con la nonna fino al suo ritorno, e trovò subito un po' di sollievo.


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Kyoutani e Yahaba avevano lasciato Shibata quella mattina, dopo essersi assicurati che la zona non fosse più sorvegliata dalla polizia. Una volta ritornati a Sendai avevano fatto velocemente la spesa – Kyoutani, in realtà, visto che Yahaba non aveva comprato nulla ma rubato una bottiglia di vodka – e poi erano tornati in fretta e furia a casa.
Proprio in quel momento, immerso nel sacco a pelo, Kentarou inclinò leggermente il viso e rivolse una rapida occhiata alla porta socchiusa, come se, consapevole del poco spazio che lo divideva da Yahaba, potesse vederlo con chiarezza.
Non era passata neppure una settimana dal loro primo incontro, ma Kyoutani lo aveva già visto bere più volte, aprire e richiudere freneticamente il frigo e riempire bicchieri e tazze di vodka. Yahaba beveva, uccideva per soldi che non usava – visto che rubava – ed era scorbutico e violento: una personalità affetta da vizi fastidiosi e che cozzava pericolosamente con quella di Kyoutani, sebbene per certi versi potessero considerarsi piuttosto simili.
Innervosito dal solo pensiero del proprio protetto, Kentarou sfiatò dalle narici e tornò a rivolgere la propria attenzione allo spazio buio che lo separava dal soffitto.
Chiuse gli occhi, ma qualcosa gli impedì di addormentarsi. Ci impiegò qualche minuto per capire cosa lo stava privando della rilassatezza mentale tipica dello stato che precede il sonno profondo, quindi sollevò improvvisamente le palpebre, inspirando con forza dalle narici e sollevando le braccia per incrociarle al petto, nella speranza di respingere il freddo che si era insinuato nel sacco a pelo.
Gli bastarono un paio di minuti per rendersi conto che sprofondare nel sacco a pelo e sfregarsi energicamente le braccia con le mani non sarebbe servito: faceva sempre più freddo, a tal punto che, nel buio della stanza, riuscì a scorgere perfino il proprio fiato condensarsi in un fumoso ammasso biancastro.
Sfiatò dalle narici, spazientito, e scivolò lentamente fuori dal proprio giaciglio, quindi, le labbra contratte in una smorfia a causa del pavimento gelido a diretto contatto con le piante dei piedi, raggiunse la porta e uscì dalla piccola camera. Il corridoio era anche più buio della sua stanza, essendo privo di finestre, ma nell'immediato capì che c'era qualcosa di diverso, come se stesse emanando una fioca luce propria dalle pareti e dal pavimento.
Kyoutani aggrottò la fronte e tirò su col naso, confuso e infastidito dal freddo sempre più pungente, poi riprese ad avanzare, deciso a raggiungere la camera del proprio protetto.
Si fermò a pochi passi dalla porta di Yahaba, quando notò una strisciolina bianca, luminosa e irregolare correre lungo la parete alla sua destra, e proprio in quel momento mise il piede sinistro su qualcosa di estremamente freddo che lo fece sobbalzare.
Guardò il pavimento, e poi alla sua sinistra, e scoprì che tante sottili tracce di brina stavano tessendo trame bizzarre attorno a lui, rendendo la casa sempre più fredda e ostile ma illuminando suggestivamente il corridoio, guidandolo lungo il percorso che lo avrebbe condotto a Yahaba.
Kentarou cercò di aggirare le trame di brina meglio che poté, ma era evidente che più avanzava più queste diventavano fitte, si inspessivano e si indurivano, trasformandosi in ghiaccio aguzzo e scivoloso. Dovette camminarci sopra a piedi nudi, le dita ad arrancare lungo la parete per non scivolare, ma quasi del tutto invano, visto che anche questa era congelata.
Yahaba aveva lasciato la porta aperta, ed era una fortuna, perché in caso contrario era probabile avrebbe trovato la serratura completamente bloccata dal ghiaccio. Kyoutani barcollò sulla superficie ghiacciata ancora per qualche istante, chiedendosi se non sarebbe stato più facile superare quell'ostacolo una volta trasformato, tuttavia, ancor prima che potesse prendere una decisione, giunse alla soglia della camera del proprio protetto.
Si fermò, trattenendo appena il fiato: nel suo corpo scorreva il sangue di un mutaforma, di un lupo, perciò stava cominciando ad abituarsi a quel freddo pungente, ad adattarsi all'ambiente ostile per sopravvivere; quello che lo lasciò pietrificato, infatti, non ebbe niente a che fare con le sensazioni fisiche che stava percependo, ma con quel che videro i suoi occhi: il ghiaccio aveva ricoperto gran parte del pavimento e delle pareti, aveva inghiottito le lenzuola, e Yahaba vi dormiva come incastonato, una brina lieve sui capelli e sul viso leggermente più pallido del solito.
Kyoutani aggrottò leggermente la fronte, confuso e innervosito dalla situazione: che Shigeru avesse perso il controllo del suo potere? Non sembravano esserci danni, come se il ghiaccio si fosse formato lentamente e senza fare rumore, il fusto paziente di una rosa che riesce a ricoprire interamente un muraglione e raggiungerne la cima solo dopo decenni.
Sarebbe voluto tornare a dormire, e prese seriamente in considerazione l'idea di fare dietrofront, ma fu proprio in quel momento che si rese conto che Yahaba non stava dormendo – non serenamente, per lo meno.
Shigeru aveva il viso contrito, la fronte aggrottata e le labbra incrinate in una smorfia sofferente; a volte le braccia, strette attorno al corpo, scattavano, come scosse da piccoli spasmi, e dalla bocca sfuggiva qualche flebile rantolio.
Kentarou protese leggermente le labbra, impensierito e infastidito dalla situazione, ma non si mise a pensare: quello che doveva fare gli era sembrato ovvio fin dall'inizio. Serrò le palpebre, sospirando spazientito, e quindi lasciò che il suo lato animalesco prendesse il sopravvento, che nella profondità della notte fosse sostituito dal lupo.
Si avvicinò con passo felpato al letto, velocemente e senza esitazioni grazie alle unghie ben ancorate al ghiaccio, quindi lo aggirò, osservando con attenzione lo spazio a disposizione, e non appena ebbe individuato un punto ottimale vi saltò sopra.
Guardò Yahaba, che tremava senza sosta mentre un altro strato di brina stava cominciando a formarsi su quello che già gli ricopriva il viso. Sfiatò dalle narici e si accucciò accanto al suo protetto, così che la pelliccia calda potesse entrare in contatto con il suo corpo. Kyoutani osservò Yahaba con attenzione, lo strato bianco sul suo viso assottigliarsi fin quasi a divenire trasparente, la pelle riacquistare un po' di colore; appena il suo protetto smise di tremare, sistemò il muso fra le zampe e chiuse gli occhi, pronto ad addormentarsi nella morsa del gelo.




L'angolino della piantina autoritaria
(You should read this):

Sì, non sono morta.
Mi scuso di aver saltato la pubblicazione di aprile, davvero, mi è dispiaciuto moltissimo, ma non è stato un periodo facile. Voglia di scrivere e ispirazione sono scomparse, qualsiasi cosa mettessi su carta mi sembrava privo di senso e sentimento e quindi ho lavorato davvero molto lentamente a questo capitolo. Non posso dire di aver pienamente superato questo periodo difficile, ma sto un po' meglio e, soprattutto, ho ritrovato la volontà per lasciarmelo alle spalle – che è una cosa più che fondamentale, direi.
In realtà, rileggendo il capitolo, non credo neppure di aver fatto un completo disastro (però il titolo lo odio, giuro u-u). È un capitolo privo di azione, quindi ai più potrà risultare un po' noiosetto, ma Wonderwall è un po' come se avesse molti terremoti dentro di sé: dopo gli scontri ci sono piccole scosse, capitoli di assestamento che mi servono per riequilibrare le cose e bilanciare gli avvenimenti (oltre ad approfondire i personaggi e i loro rapporti, cosa che – ormai lo sapete – ha la priorità nelle mie storie).
Detto questo, se nella scorsa pubblicazione avete trovato un paragrafo che non c'entrava assolutamente con Wonderwall, mi scuso. Ero davvero stanca e avevo copiato e incollato un trafiletto di un articolo nel posto più sbagliato in assoluto, ovvero nel bel mezzo del capitolo! xD
Detto questo, mi permetto un appunto sull'inizio di questo capitolo, su Sugawara e su Aone e Moniwa, per poi passare a una comunicazione importante.
La strana conversazione che avviene all'inizio del capitolo si svolge fra la nonna e la madre di Eita (già nel capitolo II, si è detto che la nonna di Eita comunica regolarmente con sua madre attraverso un Internet Point, ricordate?)
Per Sugawara ho scelto l'alias “Hýdra”, che essendo greco non si legge all'inglese ma proprio come “idra”. Ho scelto questo nome per l'abilità di Sugawara, cioè la cura e la rigenerazione, siccome nel contesto della mitologia greca l'Idra è un mostro dotato di più teste a cui, se se ne mozza una, dal moncherino ne rinascono addirittura due. (Per Eita... Klessidra con la K, sì. Perché fa figo).
L'Aone di Wonderwall parlerà con Moniwa, poco, ma lo farà. Qualora si dovessero ritrovare di fronte ad altri, però, gesticolerà proprio come fa nell'anime.
E ora, ahimè, la comunicazione importante: domani subirò un intervento laser agli occhi per eliminare la miopia (FINALMENTE!), e, niente, le disgrazie sono improbabili, ma... non si sa mai? Non credo diventerò cieca, ma il periodo post-operatorio potrebbe essere un po' difficile (anche per questo ho voluto pubblicare ora e non ho aspettato il 31 maggio). Almeno i primi giorni cercherò di riposare gli occhi il più possibile, ma comunque, se non dovessero presentarsi complicazioni, nulla mi impedirà di pubblicare il prossimo capitolo in tempo, cioè il 30 giugno (in ogni caso, provvederò ad avvertirvi sulla mia pagina Facebook).
Grazie per aver letto il capitolo e anche le note! Alla prossima!
   
 
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