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Autore: WillofD_04    29/05/2017    3 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Isola Fuyuka.
Una settimana prima.
 
Mi svegliai con un leggero languore. Non sapevo che ore fossero, ma sospettavo che non fosse più tardi delle sei di mattina. Avevo dormito poco e niente quella notte, ma non mi sentivo neanche troppo stanca. Ero felice. E la felicità, su di me, aveva lo stesso effetto eccitante del caffè. Mi alzai dal divano, consapevole che non mi sarei comunque più potuta addormentare a causa dei trapani elettrici – ovvero il russare di tutti i Pirati Heart – in funzione a pochi metri da me, ed evitando di calpestare Bepo, mi diressi a piedi nudi verso la cucina, con l’intenzione di prendere un pezzo di torta. Certo, a quell’ora era più che altro un mattone per lo stomaco, ma a meno che non volessi uscire e mettermi a leccare la neve, quella era l’unica opzione commestibile che avevo a disposizione per saziarmi.
Non ci misi molto a trovare quello che stavo cercando e quando arrivai sulla soglia della porta della cucina, con mia grande sorpresa, scoprii che c’era qualcuno già in piedi. La figura si girò verso di me e mi diede una rapida occhiata, per poi rigirarsi e tornare a concentrarsi sul pezzo di carta che aveva sotto gli occhi.
«Buongiorno» gli dissi, con la voce ancora un po’ impastata «non si può dire che tu non sia un tipo mattiniero, eh?» scherzai poi.
Non mi rispose. Effettivamente aveva un’aria stanca, quasi stravolta. Piegai la testa da un lato e corrugai le sopracciglia, nel tentativo di capire cosa lo turbasse tanto. Poi, mi venne l’illuminazione. Incrociai le braccia e mi appoggiai con la spalla allo stipite della porta.
«Un altro articolo su Doflamingo?» chiesi cautamente. Lo vidi irrigidirsi leggermente nel sentire quel nome, e il fatto che non mi avesse risposto era la conferma che quello che pensavo era giusto.
Sospirai, mi staccai dalla porta e lo raggiunsi. Ero alle sue spalle e potevo vedere la foto della faccia sprezzante del Demone Celeste stampata sulla carta. Vista in quel modo metteva molta più inquietudine di quanta ne mettesse sulle pagine del manga. Appena alla destra del giornale, notai una tazza di caffè nero ancora piena e fumante.
«Hai fatto il caffè?» chiesi, non ottenendo alcuna risposta «Posso prenderne un po’?» domandai nuovamente. Il capitano annuì flebilmente ed io mi diressi verso gli scaffali, in cerca di una tazza. Quando la trovai me ne versai una piccola quantità e lo bevvi quasi tutto d’un fiato. Senza zucchero non era il massimo, ma non potevo affrontare una conversazione delicata come quella se ero mezza addormentata.
Erano passati quasi sei mesi dall’uscita dell’articolo che aveva annunciato l’evasione dell’ex flottaro e in tutto quel tempo non si era più sentito parlare né di Doflamingo, né di Kaido, né di Rufy. Mi chiedevo a che gioco stessero giocando tutti e tre, ed ero sicura che anche Law si stesse chiedendo la stessa cosa. Eravamo d’accordo che Cappello di Paglia ci avrebbe chiamati quando fosse stato in procinto di andare a Wa, affinché noi avessimo potuto raggiungerlo il prima possibile per ingaggiare una battaglia contro lo Shogun del paese, e di conseguenza anche contro l’Imperatore che vi era affiliato. Ma per il momento tutto taceva. Che i piani fossero cambiati? Non ne avevo idea, nessuno ci aveva informato.
Poggiai la tazza vuota sul tavolo e fissai il chirurgo negli occhi, sebbene lui per tutto quel tempo avesse continuato a guardare il rotocalco. Riflettei a lungo se fare o no la mossa compromettente che volevo fare. Alla fine, con molta cautela, la feci. Mi misi seduta accanto a lui su uno sgabello e poi mi allungai a toccargli molto delicatamente il ginocchio con la mano. Lui spostò velocemente lo sguardo prima sulle mie dita, poi su di me. Aveva un’espressione imperscrutabile. Non capivo se fosse infastidito da quel mio gesto o se gli andasse bene. Nel dubbio, tolsi velocemente la mano dalla sua gamba e la richiusi a pugno.
«Ascolta» iniziai «in questi sei mesi è successo di tutto».
Mi guardò, impassibile.
«Per poco non prendeva fuoco il sottomarino a causa mia» cominciai, ma dovetti interrompere il mio discorso perché Law aveva iniziato a guardarmi male.
«Ammetto i miei errori» affermai, portando le mani ai lati della faccia «per fortuna Bepo è prontamente intervenuto ed è riuscito ad evitare la catastrofe» dissi, sorridendo divertita. Feci una piccola pausa, poi continuai a parlare.
«Abbiamo dovuto sopportare giorno dopo giorno Maya e Omen che facevano i piccioncini, riuscendo a non ammalarci di diabete. Abbiamo rischiato più volte di essere catturati da quel maledettissimo ammiraglio del cavolo, anche se alla fine siamo riusciti a fargliela sempre sotto il naso, per fortuna. Siamo stati presi a sassate durante una battaglia. Sono stata quasi catturata da una banda di sequestratori e sono stata salvata per un pelo da un colpo di pistola che apparentemente nessuno di voi ha sparato. Poi che altro? Ah, già! Mi hai addirittura difeso da un tizio che mi ha dato della poco di buono. Chissà che fine avrà fatto la sua testa...o il suo cuore...».
Mi persi per un attimo nei ricordi. Erano stati davvero mesi intensi ed incredibili. Era accaduto di tutto ed io me li ero goduti appieno, tentati rapimenti e sassate a parte. Eppure ero riuscita a vedere chiaramente il lieve tormento, cresciuto a poco a poco sempre di più, che si era insinuato in Law. Era preoccupato, quasi non sembrava più lui. Certo, lo capivo. Se la persona che odiavo di più al mondo fosse uscita di prigione, dopo tutti gli sforzi disumani che avevo fatto per portarle via tutto ciò che aveva, dopo essere quasi morta ed aver pianificato una vendetta per la metà degli anni in cui avevo vissuto, dire che sarei stata frustrata sarebbe stato decisamente poco. Ecco perché comprendevo la sua angoscia, che nonostante non trasparisse, c’era e lo sapevamo tutti. In parte, involontariamente, la trasmetteva anche a noi con quel suo chiudersi in se stesso.
Il capitano inspirò con la bocca, come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma poi ci ripensò e rimase zitto.
«E sì...» cominciai, riluttante all’idea di doverlo pronunciare ad alta voce «ho esagerato più volte con il vino e una delle tante volte in cui ero ubriaca, potrei, accidentalmente, aver sbagliato cabina, essere entrata nella tua ed essermi spogliata davanti a te...» ammisi, con un grande imbarazzo e con tanta vergogna. Nel momento in cui lo dissi, però, riuscii a strappargli un ghigno. Quel maledetto. Osava addirittura ghignare delle mie sventure.
«Non fare quell’espressione con me» lo ammonii puntandogli l'indice contro «era buio ed io non ero in me. Era compito tuo fermarmi in tempo, invece non l’hai fatto. Questo significa che non ti è dispiaciuto del tutto che io sia rimasta in reggiseno e mutande davanti a te» constatai, alzando un sopracciglio ed incalzandolo. C’era da dire che per aver sbagliato cabina dovevo essere proprio tanto ubriaca. E anche se non l’avevo fatto assolutamente apposta, una vocina nel profondo – molto nel profondo – mi diceva che in fondo non mi era del tutto dispiaciuto aver sbagliato stanza. Se non altro ero sopravvissuta. E questo era un gran traguardo.
Law continuò a sogghignare per un minuto buono, senza dire niente. Non che ce ne fosse bisogno, la sua espressione parlava da sola. Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa.
«Comunque» cominciai, riprendendo il filo del discorso che avevo intenzione di fare «stiamo bene. Stiamo tutti bene. E finché stiamo bene dobbiamo goderci questo momento» gli dissi, con sguardo eloquente. Dovevo assicurarmi che capisse quello che volevo dire e che si tranquillizzasse un po’. Nel momento in cui la notizia dell’evasione di Doflamingo si era diffusa, tutti noi della ciurma eravamo stati a lungo in ansia. Anche io ero molto preoccupata, ma dovevamo cercare di non pensarci, o non saremmo andati avanti.
Quando ebbe finito di bere un sorso del suo caffè gli posai di nuovo una mano sul ginocchio, costringendolo così a guardarmi.
«Quel mostro non potrà più farci del male» dichiarai, cercando di sembrare il più convinta possibile. Corrugò le sopracciglia e mi guardò storto. «Farti. Volevo dire farti del male» mi corressi rapidamente. Non potevo di certo stargli a spiegare che se soffriva lui soffrivo anche io. Mai. Non lo avrei mai ammesso, neanche sotto tortura.
«Staremo bene, vedrai» gli dissi dolcemente. Per qualche secondo nessuno si mosse, poi Law annuì impercettibilmente e ripiegò il giornale in quattro. Finì il caffè nella sua tazza con una rapida e lunga sorsata e poi si alzò in piedi.
«Non hai segreti per me, Trafalgar D. Water Law» gli annunciai ghignando, riferendomi al fatto che avevo capito al volo cosa lo disturbasse ed ero stata in grado di alleviare, almeno in piccola parte, la sua agitazione «ormai ci conosciamo da tanto tempo».
«Troppo, per i miei gusti» commentò acido. Furono le prime parole che mi disse quella mattina.
«Tsk. Ma smettila!» lo rimproverai poco seriamente, accompagnandomi con un gesto della mano. «Comunque, se vogliamo fare gli ingordi, in frigo ci sono gli avanzi della torta di ieri sera» gli comunicai alzandomi dallo sgabello ed abbandonandomi subito dopo ad un potente sbadiglio. Il caffè non era servito a molto, a quanto pareva.
Un attimo dopo, notai che il suo corpo si era irrigidito e che si stava guardando intorno con circospezione. Aggrottai la fronte, in attesa che parlasse.
«C’è la Marina. Siamo circondati» sibilò serio.
«Cosa?» chiesi io, stordita. «M-ma c’è anche Kizaru?» domandai, terrorizzata al pensiero.
«Non mi pare. Nessuna delle presenze che avverto è particolarmente forte» dichiarò calmo, ed io potei tirare un sospiro di sollievo.
«Quindi? Che facciamo? Li combattiamo o...» non potei finire di formulare la domanda, perché mi interruppe.
«Ci apriremo un varco e poi ce ne andremo dall’isola. Non ho tempo da perdere con queste nullità» annunciò con sprezzo. Poco dopo vidi comparire un pericoloso ghigno sul suo viso.
«Era prevedibile che ci rintracciassero» commentò compiaciuto. Capii troppo tardi dove voleva andare a parare.
«No...Law, no. L’hai detto tu che non hai tempo da perdere con queste nullità» cercai di dissuaderlo, invano.
«Ma questo non ci impedisce di divertirci un po’» affermò, pregustandosi il momento in cui avrebbe scomposto le parti del corpo di quei poveri – era il caso di dirlo – Marines.
«Sveglia gli altri. Radunate alla svelta le vostre cose e preparatevi per partire» mi ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
Sbuffai e gettai la testa all’indietro, nello sconforto totale. Dovevo segnarmi da qualche parte di comprargli, come prossimo regalo di compleanno, un puzzle da mille pezzi. Così forse avrebbe smesso di giocare a scomporre esseri viventi a suo piacimento. Se non altro non aveva perso il suo tocco sadico.
 
Ero quasi letteralmente volata su per le scale dopo aver svegliato parte della ciurma. Dormivano tutti come sassi. Gli unici a svegliarsi quasi subito erano stati Maya e Jean Bart. Con Shachi e Penguin avevo dovuto adottare il metodo che aveva usato Usop a Thriller Bark, tempo prima, per svegliare Rufy, Zoro e Sanji. Gli avevo detto che ero rimasta completamente nuda e che per coprirmi avevo solo una bottiglia di rum in mano. Aveva funzionato alla perfezione. Come avevo previsto si erano ridestati, ma erano rimasti alquanto delusi dal fatto che fossi vestita e non avessi alcolici con me. Non potevo credere che dopo tutto quello che si erano scolati la sera precedente avessero ancora voglia di bere. Con Bepo, invece, c’era voluta l’artiglieria pesante. Mi ero dovuta mettere a saltare sulla sua pancia con i piedi per farlo svegliare. Il che mi aveva riportato alla mente l'imbarazzante episodio accaduto tempo prima con lo spadaccino; quando per svegliarlo, dopo aver provato di tutto, mi ero messa a cavalcioni su di lui ed avevo iniziato a rimbalzare sul suo torace. Poi era sopraggiunto il mio capitano, il verde si era svegliato ed io ero diventata più rossa di un peperone. Il resto era storia. Con il Visone ci era voluto un po’ e avevo anche rischiato di cadere più volte, ma alla fine ero riuscita nel mio intento e gli avevo comunicato gli ordini del capitano. L’orso era scattato in piedi, si era scusato con me un paio di volte per non essersi svegliato prima e poi era corso anche lui nella sua stanza per radunare le sue cose e prepararsi all’attacco. O alla fuga. Ancora non mi era ben chiaro come avremmo agito.
Stavo buttando alla rinfusa, dentro alla borsa che mi aveva gentilmente prestato Robin tempo prima, tutte le cose che avevo portato su Fuyuka e che erano sparse per tutta la stanza. In fretta. Dovevo fare in fretta.
«Dov’è il profumo?» chiesi a voce alta a me stessa, cercando di fare mente locale su dove avessi potuto lasciarlo.  «Ah, sì!» esclamai, correndo in bagno e prendendo la boccetta che stavo cercando. Non potevo e non volevo dimenticare niente su quell’isola invernale.
Mi tolsi il vestito e lo misi nella borsa assieme alle scarpe. Una volta che mi fui accertata di aver preso tutto, chiusi la lampo del borsone ed indossai degli abiti – ovvero la divisa dei Pirati Heart – più consoni a quello che stavamo per fare. Saltellai su un piede nel tentativo di infilarmi l’altro stivale e quando ci riuscii, afferrai la maniglia della porta. Tuttavia fui costretta a fare retromarcia nel momento in cui mi ricordai che non avevo la cintura – e quindi nemmeno la mia Mr. Smee – addosso. Me la legai in vita, recuperai la borsa che avevo temporaneamente abbandonato a terra ed uscii dalla camera. Il corridoio era immerso nel caos più totale. I miei compagni correvano agitati da una parte all’altra con in mano vestiti ed altri oggetti personali. Quasi mi venne da ridere. Non sembravano dei pirati. Sembravano studenti delle superiori in gita. Mi sembrava di assistere alla scena tipica a cui si assiste l’ultimo giorno: a breve saremmo dovuti ripartire e nessuno di noi aveva sentito la sveglia, per cui dovevamo portare a termine gli ultimi preparativi in un tempo record. Il paragone sarebbe stato più che azzeccato, se non fosse che noi rischiavamo la vita. Però dovevo ammettere che tutta quella confusione, un po' la amavo. Mi fermai ad osservare quella deliziosa e frenetica scenetta giusto per un paio di secondi, nei quali mi lasciai andare ad un sorriso materno.
«Fermi tutti!» ci intimò Ryu – che era nel bel mezzo del corridoio – con espressione estremamente preoccupata. Aveva le braccia protese in avanti e leggermente allargate.
«Dobbiamo prendere la torta!» urlò, con l’appoggio di Bepo, Shachi e Penguin.
«Al diavolo la torta, dobbiamo salvarci la pelle» fece Jean Bart, piuttosto contrariato. E per quanto mi dispiacesse abbandonare quel capolavoro di bellezza e bontà, non potevo essere più d’accordo con l'omone.
«Lasciamogliela come ringraziamento per l’ospitalità» suggerii io, mentre mi accingevo a scendere la rampa di scale che mi avrebbe portata nella hall.
Quando, pochi minuti dopo – strano ma vero, non ero io l’ultima ad essere scesa – fummo tutti nel punto prestabilito, il capitano ci fece un cenno della testa e noi ci apprestammo ad uscire dall’ingresso principale. Dopotutto, non potevamo mica dileguarci in tutta sicurezza dalla porta sul retro, giusto?
 
Eravamo accerchiati, come previsto. Saremmo stati accerchiati anche se fossimo fuggiti dalla porta sul retro, ma di sicuro avremmo avuto più possibilità di farcela. Lasciai cadere la borsa sulla neve, accanto a me e poi sfoderai l’ascia con espressione seria. Di fronte a noi, i Marines stringevano le loro armi, leggermente tremanti. Avevano paura e non li biasimavo. Sembravano quasi tutti reclute o comunque soldati di basso rango. Mi guardai intorno. C’erano circa una cinquantina di uomini, e continuavano a spuntare da tutte le parti. Mi chiedevo come avremmo fatto a batterli. Non che non avessi fiducia nel mio capitano, ero solo un po’ spaventata.
«Commodoro Brandnew» si pronunciò Law, guardando dritto davanti a sé. Anche se era di spalle, ero sicura che stesse sogghignando compiaciuto.
Proprio di fronte a noi, c’era un uomo alto, magro e piuttosto buffo. Aveva i capelli verdi e ricci, tanto che sembravano la chioma di un albero. Portava degli occhiali da sole con le lenti molto scure ed aveva le basette ricurve, al punto che gli incorniciavano gli zigomi e scendevano fino ai lati della bocca, larga e carnosa. Indossava una camicia blu notte aperta sul torace, con dei disegni azzurri che a mio parere erano estremamente astratti. Sulle spalle portava la giacca della Marina. Mi pareva di averlo già visto. Ma certo. Era il tizio del Quartier Generale della Marina che era stato incaricato di assegnare le taglie ai criminali. Ripensandoci, tutto tornava. Era grazie a lui e alla sua presenza se ora avevo una taglia sulla testa.
«Trafalgar Law» rispose il commodoro, grave. «Hai finito di terrorizzare intere popolazioni?» chiese retoricamente. Sapevo che il ghigno sulla faccia del capitano si era allargato ancora di più. Cominciavo a riconoscere il vecchio Law, quello dell’Arcipelago Sabaody e quello che era piombato dal nulla a casa mia. Il sadico, pazzo, Chirurgo della Morte.
«Grazie per essere venuti. Vi stavo aspettando» soffiò il moro, molto emozionato all’idea di poter fare una strage.
Il commodoro Brandnew strinse i pugni e fece un’espressione a metà tra il disgustato e l’infuriato – doveva proprio disprezzarci – poi, con un gesto della mano, diede ai suoi uomini l’ordine di avanzare ed attaccarci.
«Pensavo che fosse un uomo più loquace» commentò Shachi.
«Già. A quanto pare ha fretta di farsi sconfiggere dal capitano» affermò Penguin, come sempre in armonia con l’amico.
«Capitano, attendiamo ordini» gli annunciò Bepo. Nonostante la situazione, nessuno di noi era preoccupato. Eravamo tutti immobili, tranquilli, in attesa che il nostro capitano elargisse disposizioni.
«Cercate di restare vivi» disse semplicemente. Sospettavo che stesse continuando a sogghignare sfacciatamente. Dopodiché lo vidi alzare la mano sinistra e portarla appena sopra il bacino.
«Room» pronunciò, appena prima che l’intera zona venisse inghiottita da una sfera bluastra.
 
«Scusa» dissi ad un marine privo di conoscenza, mentre utilizzavo la sua divisa per ripulire l’ascia dal sangue prima di riporla nel suo apposito porta-arma. Era stata una battaglia veloce ed indolore, almeno per noi. Ero convinta di non aver ucciso nessuno, ne avevo storditi una decina e feriti tre o quattro, ma niente di più. Da che ricordassi era la prima volta che non le prendevo durante una battaglia. Facevo grandi passi avanti, i duri allenamenti di Bepo iniziavano a dare i propri frutti. Non che gli avversari fossero forti, ma erano comunque soldati.
Mi rimisi in piedi, mi spolverai la divisa e aspettai che mi passasse il lieve fiatone che avevo. Spostai lo sguardo su Law. Aveva ritirato la sua Room ed ora era in piedi a pochi passi dal commodoro Brandnew, steso per terra e sanguinante. Lo stava silenziosamente deridendo. Lo raggiunsi e mi fermai poco dietro di lui e appena qualche metro avanti rispetto al resto della ciurma. Attendevamo tutti lui.
«Ora possiamo andare?» chiesi, nella speranza che smettesse di prendersela con quel pover’uomo. Ero pur sempre un dottore e mi dispiaceva vedere qualcuno versare in quelle condizioni. Come prevedibile, Law non mi rispose.
«Uccidimi, non mi importa» sputò il marine con un sorriso. Ero appena riuscita a sentirlo, tanto era bassa e sofferente la sua voce «mi basta sapere di aver guadagnato abbastanza tempo per permettere a Kizaru di raggiungere quest’isola. Ci penserà lui a voi. Sarà la vostra fine, finalmente» annunciò, ridendo e tossendo allo stesso tempo.
Alle sue parole mi allertai. Kizaru stava venendo qui? Dovevamo assolutamente darcela a gambe! Non c’era tempo da perdere. Dovevamo dirigerci al Polar Tang e salpare immediatamente.
Per tutto il tempo, il chirurgo non si era mosso, né aveva detto niente. Non potevo vederlo in faccia, per cui non sapevo che espressione avesse, sempre che ne avesse una in quel momento.
«Capitano?» lo richiamai, nella speranza che dicesse qualcosa.
Non mi rispose. O meglio, non a voce. Vidi Brandnew iniziare a contorcersi e a gridare dal dolore per qualche secondo, poi smise ed iniziò a fissare Law con sprezzo. Ci impiegai un attimo a capire. L’attimo in cui vidi una piccola scatola trasparente viola piombare verso di me. Mi sporsi velocemente in avanti per recuperarla al volo prima che potesse cadere a terra. Un cuore. Avevo tra le mani un cuore umano. Il cuore del commodoro Brandnew.
Avrei voluto dire qualcosa, ma non sapevo cosa. Boccheggiai un paio di volte prima di rigirarmelo tra le mani ed osservarlo con attenzione. Non c’era che dire, era sicuramente affascinante. Ma non capivo perché l’avesse tirato proprio a me. E non c’era alcun dubbio che il suo lancio fosse diretto a me, lui non sbagliava mai.
«Che ci dovrei fare con questo?» chiesi confusa al moro, che non si era ancora mosso.
«È un regalo di compleanno» rispose Law. Anche se mi dava le spalle, potevo sentire dalla sua voce che era piuttosto soddisfatto «è tuo. Fanne ciò che vuoi» mi disse poi con noncuranza.
Aggrottai la fronte e spalancai la bocca. Ero perplessa e anche piuttosto allibita. Un regalo di compleanno? E che avrei dovuto farci con il cuore di un marine? Anzi no, che avrei dovuto farci con un cuore umano ancora battente in generale?
Feci per parlare un paio di volte, ma dalla mie labbra non uscì nulla. Ero talmente sconcertata che non riuscivo nemmeno a trovare le parole giuste.
«Per quanto sia elettrizzata al pensiero, io...» quando finalmente mi decisi ad aprire bocca, non potei finire la frase, perché venni interrotta.
«Muoviamoci» ci intimò il capitano, muovendo un passo in avanti ed incamminandosi verso il porto, seguito dal resto della ciurma.
Non potevo starmene con le mani in mano. O meglio, con i cuori in mano. Andavo di fretta, non volevo diventare una groviera a causa dei raggi laser di Kizaru.
Aspettai che gli altri del gruppo fossero andati avanti – non volevo che mi vedessero fare quello che avevo intenzione di fare – e poi mi avvicinai con molta cautela al commodoro. Sia io che i miei compagni sapevamo bene che Law era ironico quando mi aveva detto del regalo di compleanno – sebbene una piccolissima parte di me avesse gioito nel sentirlo – ma non volevo lo stesso che mi vedessero ridare il cuore a Brandnew. Ero un pirata e in quanto tale avrei dovuto fregarmene ed andarmene, o addirittura “divertirmi” un po’ e farlo soffrire, ma non volevo farlo; e non volevo che i ragazzi cominciassero a considerarmi una rammollita.
Mi avvicinai cautamente al marine, ancora steso per terra. Feci per abbassarmi per riconsegnargli il cuore, ma mi fermai appena in tempo. Aveva tirato fuori – dal nulla a quanto pareva – una carabina e ora me la stava puntando contro. Aveva uno sguardo fermo e deciso, non avrebbe esitato a premere il grilletto. Alzai le braccia in segno di resa. Ci mancava solo che mi facessi sparare da quell’imbecille dopo che avevo tentato di fare un gesto gentile per lui. Poi, all’improvviso, capii quello che dovevo fare. Guardai alla mia sinistra. Tra le dita avevo qualcosa di suo.
«Fossi in te non lo farei» gli dissi, con un sorriso beffardo. E doveva essere esattamente in quel momento che mi avevano scattato la seconda foto. Ricordandomi di quegli eventi cominciavo a capire. Eravamo stati tutti vittime di un gigantesco equivoco. Ma ormai non si poteva più tornare indietro.
Il commodoro fece per premere il grilletto. Tuttavia, prima che potesse farlo, gli schiacciai con forza il cuore. Quello iniziò a dimenarsi, torcersi e strillare per il dolore. Stavo giocando sporco? Sì, ma quella era la mia unica possibilità di salvezza. Approfittai del suo momento di debolezza per calciare via la sua arma, in modo che non potesse raggiungerla nemmeno se avesse strisciato per qualche metro. Quando mi fui assicurata che non potesse più nuocermi, rilassai le dita e allentai la presa sul suo cuore. Stringevo letteralmente il potere in mano; e dovevo ammettere che quella sensazione mi piaceva. Dio, come mi piaceva. Mi chiesi se anche Law si sentisse così, anche se la risposta mi sembrava ovvia. Era evidente che si sentisse così. Non lo faceva solo per puro e semplice sadismo, sebbene quello fosse innegabilmente presente. Cominciavo a capire le sue motivazioni e anche il delirio di onnipotenza di cui era preda qualche volta, a discapito di noi poveri sottoposti. Stringere tra le dita la vita di qualcuno e avere il potere di deciderne le sorti era una sensazione indescrivibile. Stupenda, ma anche pesante. Ad ogni modo, dopo un iniziale momento in cui mi sentii in colpa per il marine, mi misi a ghignare. Fissai fiera l’organo che stringevo in mano. Cominciavo a capire quanto bello e prezioso fosse come regalo di compleanno. Tuttavia non era comunque mio e dovevo restituirlo al suo legittimo proprietario.
«Sai che c’è? Io volevo solo aiutarti, ma tu sei stato scortese con me» comunicai all’uomo che avevo di fronte – o meglio, sotto di me – fingendomi offesa. «Perciò, questo te lo dovrai andare a prendere da solo» gli annunciai poi, tirando la scatola trasparente che avevo in mano poco lontano da noi. La neve attutì la caduta, ma comunque nel momento in cui il cuore toccò terra potei vedere Brandnew sussultare.
Non persi altro tempo, ignorai la sua espressione carica d’odio verso di me, lo superai ed affrettai il passo per raggiungere il resto della mia ciurma. C’era pur sempre il presunto arrivo di un Ammiraglio del Quartier Generale in ballo.
Mentre zampettavo sulla neve, ebbi modo di riflettere su quanto fossi cambiata in quegli anni. Se prima l’idea di avere un cuore battente in mano mi faceva assolutamente ribrezzo, ora avrei fatto carte false per avere la possibilità di toccarne uno. E se da un lato ero convinta di aver fatto la cosa giusta nel lasciare l’organo all’uomo a cui apparteneva, dall’altra me ne dispiaceva molto. Però dovevo ammettere che nonostante l’iniziale amarezza, era gratificante fare la scelta corretta. Mai l’avrei pensato, ma ormai il mio mondo era fatto da bisturi, addestramenti, sangue, aghi – purtroppo – e organi umani. Tutto quello mi affascinava terribilmente, al punto che non mi riconoscevo quasi più. Ero sempre io, ma non ero io. Sembravo un’altra persona, eppure ne ero contenta. Perché la persona che ero diventata era una persona più felice. Una persona più consapevole e più padrona di se stessa. Una persona che sapeva cosa voleva, sapeva in che modo ottenerlo. Sapevo dove ero diretta e sapevo come arrivarci. Ma per il momento, l’unico posto in cui volevo tornare era il caldo e sicuro sottomarino di Law. E fu proprio con questo pensiero che ritrovai i miei compagni ed insieme, senza intoppi o ammiragli di mezzo, ce ne ritornammo al nostro accogliente e familiare Polar Tang. Da che mi ricordassi, quello era stato uno dei più belli compleanni di sempre, cuori rubati, corse contro il tempo e Marina compresi.
C’era, però, una cosa che non mi tornava in tutta quella faccenda. Perché il Chirurgo della Morte era stato così incosciente? Di solito era un tipo minuzioso e di certo non sprovveduto, in tutto quello che faceva, quindi avrebbe dovuto sapere che cacciando via gli abitanti di un’intera isola, la Marina o il Governo si sarebbero mobilitati. Prima o dopo qualcuno li avrebbe chiamati. Era vero, aveva sequestrato loro tutti i Den Den Mushi, ma niente impediva a quelle persone di raggiungere in barca un’isola vicina. E perché non si era accorto dei reporter? O se ne era accorto e aveva fatto finta di non vederli? Poteva anche essere, del resto la mente del medico dagli occhi di ghiaccio funzionava in modo complicato e a dir poco incomprensibile. Eppure non riuscivo a scrollarmi di dosso questo pensiero. Da quando Doflamingo era uscito di prigione, il chirurgo aveva sempre tenuto un basso profilo, evitando in ogni modo di esporsi. Non si era fatto notare e aveva sempre limitato i danni e gli sbarchi. Quindi perché usciva allo scoperto proprio ora? E perché in questo modo? Forse le mie erano solo paranoie. Scossi la testa e sbuffai una risata, mentre camminavo accanto a Bepo, che sembrava quasi dispiaciuto di dover lasciare quell’isola dal clima gelido, come piaceva a lui. Proprio non riuscivo a stare una mezz’ora senza macchinare assurde ed improbabili teorie. E fu proprio in quel momento che congegnai la teoria più assurda di tutte. Alzai la testa, spostai lo sguardo di lato, fissando un punto imprecisato e corrugai le sopracciglia, mentre un sorriso sbocciava come un fiore in primavera sulle mie labbra. E se avesse soltanto voluto regalarmi una serata speciale, senza badare ai giornalisti ed ai nemici – che fossero la Marina, il Governo o  Doflamingo – per una volta? Qualunque fosse stata la risposta a quella domanda, non mi importava. Ne era valsa la pena, per tutto. E poi, avevo bisogno di quella gita fuoriporta. Anzi, ne avevamo bisogno. Tutti noi. Perché ormai eravamo diventati quasi una famiglia. Ed è esattamente questo che fanno le famiglie. Condividono momenti speciali ed indimenticabili. E io ero sicura che di quelli ce ne sarebbero stati ancora tanti altri, sebbene gli imprevisti fossero dietro l'angolo.





Angolo autrice

Salve! Eccomi tornata con un altro capitolo. Come sempre spero che vi sia piaciuto ed invito chiunque ne abbia voglia a darmi un parere in proposito. :)
Il flashback, come penso si capisca, è terminato. Dal prossimo capitolo si ritornerà al presente, e vi preannuncio già che i capitoli successivi saranno più blandi e rilassati. Spero di non annoiarvi. Comunque, ci tenevo a fare una piccola precisazione. Alcune degli episodi nominati quasi all'inizio da Cami e accaduti nei sei mesi di "buio", verranno approfonditi in seguito. Quindi abbiate pazienza e..."stay tuned"!
Concludo ringraziando tutti coloro che hanno ancora la pazienza e la voglia di seguire questa Fanfiction. Grazie a tutti! <3
Alla prossima! :)
   
 
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